Il Calderone di Severus

Posts written by Alaide

view post Posted: 31/3/2023, 21:17 Appuntamento con la lirica - Musica e Musicisti
Sono arrivata alla fine del primo atto.
Personalmente, trovo Tézier superlativo (ma ammetto che è uno dei miei baritoni preferiti, insieme a Markus Werba e a Stéphane Degout, ma posso capire se non piace. L'arte ha una forte componente soggettiva e il canto ancora di più.) e la Oropesa per il momento buona (ma la aspetto nella scena della follia di Ophélie.).
view post Posted: 31/3/2023, 18:44 Appuntamento con la lirica - Musica e Musicisti
Io guarderò stasera (sono curiosa di sentire la Oropesa in Ophélie. Dovrebbe darci indicazioni per la sua Lucia).
view post Posted: 31/3/2023, 11:42 Appuntamento con la lirica - Musica e Musicisti
Segnalo la presenza su Arte dell'Hamlet di Ambroise Thomas (la diretta è stata ieri sera. La trasmissione rimane online per diversi mesi, di solito). Si tratta della produzione in corso in questi giorni all'Opéra di Parigi
Per chi non conoscesse l'opera, è scritta nell'ottocento e adatta - più o meno fedelmente (dovrebbero esserci meno morti che nell'originale) - l'Amleto di Shakespeare.
Non l'ho ancora vista, ma so, dalle recensioni d'Oltralpe che ha fatto discutere.
Tutti concordano, però, sulla bravura del cast.

Direction d'orchestre : Pierre Dumoussaud
Mise en scène : Krzysztof Warlikowski
Lumières : Felice Ross
Video : Denis Guéguin
Chorégraphie : Claude Bardouil
Dramaturgie : Christian Longchamp
Décors : Małgorzata Szczęśniak
Costumes : Małgorzata Szczęśniak
Direction de choeur: Alessandro Di Stefano

Hamlet : Ludovic Tézier (è il nostro Silente nell'Opera per Severus)
Ophélie : Lisette Oropesa (sarà Lucia di Lammermoor alla Scala a fine aprile)
Claudius (roi de Danemark) : Jean Teitgen
La Reine Gertrude: Eve-Maud Hubeaux
Polonius : Philippe Rouillon
Laërte : Julien Behr
Marcellus : Julien Henric
Horatio : Frédéric Caton
Le Spectre : Clive Bayley
Premier Fossoyeur : Alejandro Baliñas
Deuxième Fossoyeur : Maciej Kwaśnikowski

Orchestre de l´Opéra national de Paris
Chœur de l’Opéra national de Paris
view post Posted: 27/3/2023, 12:43 Nuovo Sabbah: Milano o Roma - Sabba e incontri vari
Ho purtroppo appena scoperto che venerdì e sabato dovrò lavorare (devo aiutare un ragazzo a preparare un esame di latino e non sono riuscita a evitare quel weekend, considerando che ha l’esame a metà giugno).
Verrò sicuramente domenica in giornata e se riesco mi fermo una sera e riparto lunedì, ma su questo punto non ho certezze.
view post Posted: 26/3/2023, 10:52 (News) - Fanfiction in Progress - Cosa bolle nel Calderone di Severus
Long-fic in progress di Alaide - What harbour shelters peace away from storms? - Capitolo III
view post Posted: 26/3/2023, 10:47 Alaide - What harbour shelters peace away from storms? - Storie in Progress

Capitolo III




Hogwarts, 9-12 settembre 2000




Soren non riusciva a decidersi a bussare alla porta, illuminata da un raggio di sole. Sapeva che non aveva nulla da temere dal professor Cropper. Eppure, non era in grado di ignorare l’idea di star tradendo Medea ad andare a parlare con l’uomo. Oppure, il problema non era nemmeno quello. Erano anni che non si trovava da solo con…
Scosse il capo, come per scacciare qualsiasi idea dalla mente.
Si fece coraggio e bussò.
Quando il professor Cropper lo invitò ad entrare, accostò soltanto la porta senza chiuderla. Si attese quasi che l’uomo lo sgridasse, ma non sembrò nemmeno accorgersene. O, almeno, così credette il ragazzo.
«Cosa posso fare per te, signor Hardwick?»
«Sono preoccupato per una mia compagna di Casa, professore.»
Soren osservò con attenzione l’uomo che sedeva, placido, dietro alla scrivania che al bambino parve fin troppo ordinata. Nemmeno un foglio era leggermente storto. Trattenne un brivido. Quella precisione non gli piaceva.
Era fredda.
E cattiva.
«Per chi sei preoccupato?»
Il ragazzo si prese un attimo prima di rispondere. Distolse lo sguardo dalla scrivania, posandolo sul volto dell’insegnante, che gli parve troppo affabile.
«Si tratta di Medea, professore», affermò, sperando di aver mantenuto la voce calma. In fondo, non era colpa del professor Cropper se amava tenere il suo scrittoio in perfetto ordine e se aveva un volto cordiale. «Ci evita ed è sempre sola.»
«Immagino si tratti di una scelta della signorina Koesel, signor Hardwick.»
«Non ne sono sicuro. È sempre spaventata.»
«Credo che tu stia esagerando. Ho avuto modo di parlare con la signorina Koesel e di osservarla in classe ed è unicamente introversa.»
«Però, professore, ho fatto il viaggio con lei e già allora era spaventata», provò ad insistere. «Mi è sembrato che avesse paura di me.»
«Ritengo che tu abbia letto male l’espressione facciale della signorina Koesel», spiegò il professor Cropper con un tono che a Soren parve fin troppo tranquillo. «Probabilmente non riesce ancora ad ambientarsi. In fondo, è passata una sola settimana.»
«La ringrazio, professore.»
Soren non sapeva cos’altro dire e, quando l’uomo lo congedò, si affrettò ad uscire. Una volta richiusa la porta alle sue spalle, si chiese cosa dovesse fare. Forse, sarebbe potuto andare a parlare immediatamente con il professor Piton. Mamma gli aveva sempre parlato bene di lui e gli aveva, proprio quell’anno, spiegato per quale motivo lo stimasse così tanto. Eppure, non aveva idea se quello fosse il momento più appropriato. Inoltre, aveva promesso a Isabel di studiare con lei, quel sabato mattina. Con ogni probabilità era anche già in ritardo e la compagna d’anno doveva aspettarlo da tempo.
Affrettò il passo, raggiungendo rapidamente la biblioteca. Isabel era effettivamente già arrivata e accanto a lei, ad uno dei tavoli di studio, si era seduto Edward, il Serpeverde con cui divideva il banco a Difesa contro le Arti Oscure e a Storia della Magia.
«Credevo che non arrivassi più», mormorò la ragazza, quando si fu seduto.
«Sono andato a parlare con il professor Cropper», rispose, mentre posava sul tavolo il libro di Incantesimi e alcuni fogli di pergamena. «Mi spiace di aver fatto tardi.»
Isabel annuì alle parole di Soren, prima di riprendere a lavorare sul compito. La biblioteca, priva com’era di un bibliotecario da quando era finita la guerra, era sorvegliata, quel giorno, dalla professoressa Sprite che aveva sorriso nella sua direzione, quando aveva acconsentito alla richiesta di Edward di sedersi con lei. Forse, la sua Capocasa era contenta del fatto che stava studiando con uno studente proveniente da una Casa diversa.
D’altronde aveva il ragazzo come compagno di lavoro a Erbologia e a Trasfigurazione ed era felice di star facendosi degli amici al di fuori di Tassorosso, anche se non era certa che papà sarebbe stato contento dell’amicizia con Edward, considerando che lavorava per la giustizia magica e, a casa, non aveva avuto parole molto gentili per Serpeverde, al punto che i suoi fratelli minori erano stati terrorizzati alla prospettiva di vederla finire in quella Casa, perché papà, allora non le avrebbe più voluto bene. Isabel li aveva rincuorati dicendo loro che non sarebbe mai accaduta una cosa del genere e anche mamma aveva usato parole simili alle sue.
La mattinata trascorse tranquilla, mentre lavoravano al compito di Incantesimi, scambiando, di tanto in tanto, qualche informazione, ma Isabel notò che Soren appariva distratto e Edward si era fatto improvvisamente teso, quando gli altri membri della sua Casa del primo anno si erano seduti a un tavolo non troppo distante dal loro.
«Avete finito anche voi?» Isabel attese che i due ragazzi annuissero. «Potremmo andare fino a lago, prima di pranzo.»
Edward si sentì sollevato quando la ragazza pronunciò quelle parole. Aveva notato che Iphigenia e Rosalinde lo avevano fissato quando erano entrate in biblioteca e, sinceramente, non voleva rimanere in loro compagnia, né in quella degli altri. Aveva tentato di trovare traccia di qualcuno che era riuscito ad ottenere, in passato, di cambiare Casa, ma sembrava che non fosse mai accaduto nulla del genere, nemmeno dopo che Salazar Serpeverde aveva abbandonato la scuola.
Aveva, quindi, deciso di tentare di rimanere il minor tempo possibile in compagnia degli altri membri della Casa dove era stato smistato. Non era una soluzione ottimale, lo sapeva da solo, ma non poteva fare diversamente. Forse, in quel modo, si sarebbero arrabbiati meno quando avesse scritto svelando in quale marciume era stato mandato.
«Com’è il tuo Capocasa, Soren?» domandò improvvisamente Isabel, mentre camminavano in direzione del lago.
«Non so cosa pensare di lui», disse il ragazzo, preferendo rimanere sul vago. Non aveva nessuna intenzione di spiegare che si era sentito a disagio nello studio dell’uomo, né per quale motivo fosse accaduto. «In classe spiega bene, ma oggi non ha saputo essermi di aiuto.»
«Ci sei andato per Medea?»
Soren annuì. Aveva parlato con Isabel delle sue preoccupazioni nei giorni scorsi, prima o dopo le lezioni che condivideva con Tassorosso, e la ragazza aveva notato le stesse identiche cose. D’altronde, già durante il viaggio in treno era impossibile non accorgersi del terrore presente negli occhi di Medea.
«Tu cosa ne pensi, Edward? Forse l’hai notata… rimane sempre da sola in ogni classe. Sia io che Soren le abbiamo chiesto se potessimo sederci accanto a lei, ma sembra aver paura di noi.»
«Si chiama Koesel di cognome? Ieri il professor Cropper l’ha chiamata per rispondere ad una sua domanda. Mi è sembrata sicura di sé, però, in effetti, quelle poche volte in cui l’ho osservata mi è sembrata molto timida.»
«Non è solo quello, Edward», spiegò Soren. «Se la guardi negli occhi noterai che ha paura di tutto o, forse, ha paura soprattutto di noi.»
«E il tuo Capocasa cosa ti ha detto?»
«Niente.»
Soren non aggiunse altro, quando notò che Edward si era improvvisamente irrigidito, impallidendo di colpo. Si voltò seguendo lo sguardo dell’altro ragazzo e notò subito la professoressa McGranitt intenta a parlare con un altro mago che riconobbe come il professor Piton. Lo aveva visto una sola volta, prima di allora, per caso, quando era piccolo, ma era certo che l’uomo non si ricordasse più di lui. D’altronde quel ricordo era nebuloso e confuso, ma rammentava perfettamente gli occhi neri che lo avevano fissato allora.
«Edward, stai bene?»
Soren tornò a concentrarsi sul compagno, che aveva distolto lo sguardo dai due adulti per portarlo su Isabel che, come sempre, appariva calma e tranquilla.
«Non credevo… pensavo che Piton rimasse sempre nei suoi alloggi. Non va mai in Sala Grande.»
La ragazza notò solo in quel momento la presenza, a non troppa distanza da loro, della professoressa McGranitt e del Capocasa di Serpeverde. Si chiese se non dovesse dire qualcosa, ma non aveva nemmeno lei idea di quali parole pronunciare. Avrebbe potuto ripetere quelle di papà, però non era certa che fosse una buona idea.
«Perché dovrebbe farlo? Non è un prigioniero.»
«Ed è questo il problema, Soren. Lui… dovrebbe essere ad Azkaban come tutti gli altri», la voce di Edward era sorda, quasi rabbiosa, al punto che Isabel si chiese se i due insegnanti lo avessero sentito. «Ne abbiamo già parlato, ma tu… tu credi che sia un eroe… ma io non riesco…»
«Forse, dovresti andare a parlare con lui», mormorò Soren. «So che non vuoi, ma è il tuo Capocasa e potrebbe aiutarti. Non credo che la professoressa McGranitt parlerebbe con lui se quello che è stato detto al processo non fosse vero.»
Edward non sapeva cosa rispondere a quelle parole. Si voltò verso Isabel, ma la ragazza appariva pensosa e incerta, come non l’aveva mai vista prima. Avrebbe dovuto controllarsi meglio, ma non si era aspettato di vederlo. Aveva creduto di poter fingere di appartenere ad un’altra Casa, di essere un Tassorosso o un Corvonero, come i due ragazzi con cui stava legando di più.
«Non lo so, Soren», disse, infine. «Forse, potremmo trovare un posto dove sederci e parlare di qualcosa d’altro.»
Isabel fu lieta di udire le ultime parole pronunciate da Edward. Non voleva vederlo litigare con Soren e non si sentiva in grado di intervenire realmente. Aveva pensato di dire qualche parola, ma non desiderava alimentare una discussione tra i due ragazzi, spiegando che papà era stato uno dei giudici durante il processo al professor Piton e che aveva votato per la sua condanna.
Non aveva nemmeno idea di cosa pensare in proposito.
Ma non voleva che quella questione diventasse un motivo di tensione tra quelli che stavano diventando suoi amici e Isabel si ripromise di trovare il modo di evitare che Soren e Edward litigassero sul professor Piton, per quanto fosse certa che sarebbe stato difficile.
Quando si sedettero sul bordo del lago, Edward e Soren erano più sereni e lei si sentiva più tranquilla, mentre il sole settembrino illuminava le acque placide vicino a loro.
«Cosa ne pensi di quei tre ragazzi, Severus?» Minerva non si voltò verso il collega, preferendo osservare i giovani Fairchild, Hardwick e Millward che stavano parlando sulla sponda del lago, dopo essersi allontanati da loro. «So che sei preoccupato per il tuo Serpeverde, ma mi sembra tranquillo.»
«Adesso lo è», affermò Severus. Prima che i tre ragazzi si allontanassero, aveva notato il modo in cui Fairchild si era irrigidito non appena aveva incrociato il suo sguardo. «Questo non toglie che eviti con cura di passare del tempo con i suoi compagni di Casa. Anche Pomona mi ha detto che durante le sue ore si è unito ai Tassorosso. Ho chiesto ai miei Prefetti di osservarlo e non credo abbia parlato per più di un minuto con gli altri quattro del primo anno. Ritengo che odi l’idea di essere un Serpeverde.»
«Hai idea della motivazione?»
«Quella la posso ipotizzare fin troppo bene. È un orfano, Minerva, lo sai perfettamente anche tu.»
La donna non ebbe bisogno che Severus aggiungesse altro per capire che i suoi genitori erano stati uccisi dai Mangiamorte. Ricordava bene la madre del signor Fairchild, che era stata Prefetto nella sua Casa. Era una ragazza tranquilla e solare, che doveva essere caduta vittima della guerra perché aveva sposato un Nato Babbano di Corvonero.
«Hai pensato a parlare con lui?»
«Più di una volta, ma non sarebbe giusto nei suoi confronti», spiegò l’uomo che iniziò a chiedersi se fosse stata una buona idea lasciarsi convincere da Minerva ad uscire quella mattina. Aveva accettato perché credeva di poter osservare in quel modo i ragazzi, soprattutto quelli del primo anno. «E non avrebbe senso farlo se diffida di me.»
«Forse con il tempo arriverà a fidarsi, Severus, e deciderà di rivolgersi a te.»
«Ritieni veramente che un noto Mangiamorte sia la persona adatta a parlare con lui?»
«Non sei più…»
«Lo sono stato, invece, Minerva. Ho scelto di essere marchiato come tale e tu lo sai perfettamente», la interruppe bruscamente. «E questo mi definisce agli occhi degli altri o non hai notato come la nostra nuova insegnante di Pozioni stia parlottando con quella di Incantesimi guardando, senza alcuna sottigliezza, verso di noi?»
«Quelle due donne sono delle sciocche pettegole.»
«Che condividono l’opinione della maggioranza del Mondo Magico. Tutti sanno che sono stato un Mangiamorte e sicuramente lo sa Edward Fairchild i cui genitori sono stati torturati e assassinati poche settimane dopo la morte di Albus.»
«Eri presente?»
«Non ha importanza, Minerva. Il ragazzo non verrà mai a parlare con me, ma potrebbe confidarsi con un altro Capocasa. È amico di una Tassorosso. Forse dovresti parlare con Pomona e chiederle di avvicinare la ragazza.»
La strega annuì, per quanto fosse certa che l’unico che potesse realmente aiutare il signor Fairchild fosse Severus.
E l’amicizia della signorina Millward e del signor Hardwick.



Soren si allontanò rapidamente dall’aula di Pozioni, senza attendere che Edward lo raggiungesse. Era una fortuna che durante quelle ore non sedessero accanto, ma che seguissero la disposizione voluta, il primo giorno di lezione, dalla professoressa Wilkins, che aveva assegnato loro dei posti fissi seguendo l’ordine alfabetico. Si era ritrovato accanto un suo compagno di Casa il cui cognome iniziava con la H e Edward era accanto ad un altro Corvonero.
Durante il tragitto, dovette chiedere l’informazione ad un Serpeverde del quinto anno che, insieme ad altri ragazzi del suo anno, stava camminando lungo il corridoio dei sotterranei che aveva imboccato. Se non avesse avuto tanta fretta, gli avrebbe chiesto se, anche con loro, l’insegnante di Pozioni stava insistendo così tanto sulla parte teorica, senza ancora aver fatto loro produrre nemmeno il composto più semplice.
Camminò rapidamente, quasi che temesse di cambiare idea e, quando arrivò davanti alla porta, si asciugò i palmi delle mani sulla divisa. Poi bussò e gli parve di essere ben più sicuro di quello che stava facendo rispetto a sabato. Gli fu detto di entrare quasi subito e dopo aver oltrepassato la porta e averla chiusa alle sue spalle, si disse che preferiva quello studio più piccolo a quello del professor Cropper.
«Posso parlarle, professor Piton, anche se non sono della sua Casa?»
«Siediti.»
Severus osservò il Corvonero avvicinarsi al tavolo e sistemarsi davanti a lui. Non si era aspettato di veder entrare Soren Hardwick, di cui aveva memorizzato le fattezze il sabato precedente, presso il lago.
«Sono preoccupato per una mia compagna di Casa, professore.»
«E non hai pensato a rivolgerti al tuo Capocasa?»
La voce del mago era aspra, ma Soren si sentiva a suo agio, ben più di quanto fosse accaduto quando era andato a parlare al professor Cropper, forse perché il tavolo non sembrava ordinato con quella precisione maniacale.
«L’ho fatto, professor Piton, ma non credo che mi sia stato ad ascoltare.»
«E cosa ti fa pensare che io lo farò, signor Hardwick?»
«Sono sicuro che lei lo farà, professore.»
La voce del ragazzo era stranamente decisa, nonostante gli si fossero arrossate le guance. Anche lo sguardo possedeva la stessa sicurezza e, per quanto Severus non volesse vedere nulla del genere negli occhi di un bambino, c’era un che di adulto nell’espressione di Soren Hardwick.
«Cosa ti preoccupa di questa tua compagna di Casa?»
Il ragazzo sembrò rilassarsi dopo che ebbe pronunciato quella banale domanda, ma nulla nell’atteggiamento del giovane Corvonero gli permetteva di capire perché si fosse rivolto proprio a lui e non a Minerva o a Pomona. Sapeva che il padre di Hardwick era stato assassinato da Avery – se n’era vantato poco dopo – e aveva notato, negli anni precedenti, che chi era stato vittima, in un modo o nell’altro, dei Mangiamorte lo aveva evitato con cura o aveva diffidato di lui per buona parte dell’anno. Di certo, non andava a parlargli dopo poco più di una settimana di scuola.
«Si tratta di Medea Koesel», iniziò il ragazzo. «Sono preoccupato per lei perché… non so come spiegarlo, ma è sempre spaventata.»
Soren si aspettò che il professor Piton facesse delle domande, ma l’uomo lo stava fissando silenzioso e al ragazzino quel silenzio piacque. Almeno, non lo stava liquidando come aveva fatto il professor Cropper.
«L’ho conosciuta durante il viaggio e sembrava spaventata», continuò, sperando di riuscire a spiegarsi bene. «Ho pensato, in un primo momento, che potesse essere una Nata Babbana che non sapeva ancora adattarsi all’idea di essere una strega, però… non aveva molto senso, quindi, mi sono chiesto se non fosse un’orfana.»
«Se hai capito questo punto, non hai pensato che la sua paura sia legata proprio a quello?»
Severus notò che il ragazzino si era fatto pensoso, ma Soren Hardwick doveva essere riflessivo di natura e sensibile – forse fin troppo – se aveva intuito che la piccola Koesel era stata privata dei genitori. D’altronde il Corvonero aveva perso il padre e poteva aver sentito una certa affinità con la compagna di Casa.
«Però sembra spaventata da noi… quando le ho provato a parlare era come se avesse paura di me o di Isabel, una mia amica di Tassorosso. I professori le hanno fatto delle domande in classe e ha sempre risposto con sicurezza. Ha anche ottenuto alcuni punti per la nostra Casa, ma non parla con nessuno. Le ho chiesto di studiare con me ed è quasi scappata in dormitorio.»
«Gli altri tuoi compagni di Casa come si comportano con lei?»
«La ignorano. I primi giorni hanno provato a sedersi accanto a lei a lezione, ma rifiuta sempre e non è… non lo fa con rabbia, ma sempre con paura.»
Severus osservò per qualche istante il volto preoccupato del giovane Hardwick. La bambina poteva essere stata vittima degli altri ospiti dell’orfanotrofio, ma aveva la sensazione che quella non fosse la vera motivazione del terrore di cui parlava il ragazzo.
«Ed è questo che hai detto al tuo Capocasa?»
«Ho provato a spiegarglielo, ma non ha voluto starmi a sentire, ma ne ho parlato con Isabel e anche lei è preoccupata. E poi c’è dell’altro», Soren si interruppe per un istante, prima di proseguire spedito. «Ho notato che, a volte, Medea osserva degli altri ragazzi. O, forse, sono loro a osservare Medea. Quando le ho chiesto di studiare, qualche sera fa, ha guardato verso un gruppo di ragazzi del terzo anno e stamattina, in Sala Grande, avevo lo sguardo fisso sul tavolo di Grifondoro. E poi c’è quello che succede a Pozioni. La professoressa Wilkins ci ha sistemati in ordine alfabetico, però Medea siede da sola e non ha senso dato che il suo cognome inizia con la K. Dovrebbe essere seduta di fianco a Calliope, ma non è così.»
Del fiume di parole di Soren quell’ultima informazione era la più preoccupante. Era come se Artemisia Wilkins volesse isolare Medea Koesel dagli altri bambini. Non sarebbe nemmeno stato facile comprendere per quale motivo la donna stesse agendo in quel modo, considerando le scarse informazioni che gli orfanotrofi avevano dato alla scuola.
«La professoressa Wilkins ha dato spiegazioni?»
«No. Ci ha solo detto che riteneva che disporci in ordine alfabetico ci rendesse più disciplinati.»
Non aveva mai incontrato prima dell’anno scolastico precedente la donna, di una decina d’anni più vecchia di lui, e non aveva letto che due o tre pubblicazioni che si erano rivelate essere di una banalità sconcertante. Di certo quella sua spiegazione era di un’idiozia completa e si chiedeva se credesse veramente di evitare incidenti in aula con un metodo così illogico.
«Parlerò con lei della questione», decise di dire, notando che il ragazzo appariva soddisfatto della cosa. D’altronde il piccolo Soren gli aveva dato un pretesto per farlo, quando aveva nominato Calliope, una dei suoi Serpeverde.
«Cosa posso fare, professor Piton?»
«Hai due scelte, signor Hardwick. Puoi tentare di essere sottile e insinuarti nella vita della signorina Koesel oppure puoi forzarle la mano, facendole capire quali siano le tue intenzioni, in maniera decisamente più esplicita.»
«Credevo che avesse capito che voglio soltanto essere suo amico.»
«Forse», ma poteva non averlo fatto, pensò Severus. Se Medea era stata ferita profondamente dalla vita non sarebbe stata forse in grado di riconoscere un volto amico. «Immagino tu sappia che la signorina Koesel potrebbe ferirti senza volerlo.»
«Potrebbe anche averlo già fatto, ma… la verità, professor Piton, è che non vorrei vederla così sola e isolata», Soren si interruppe, chiedendosi se dovesse spiegare all’uomo da dove gli venisse quell’idea, ma preferì tacere per il momento. Mamma gli aveva detto che in pochi avrebbero capito e, per quanto fosse certo che il mago lo avrebbe fatto, preferiva concentrarsi su Medea. «Non credo che sarei un buon amico se smettessi di esserlo perché Medea mi ha fatto soffrire, senza volerlo veramente.»
Severus osservò gli occhi del bambino, che si erano fatti pensosi. Non erano neri come i suoi, ma abbastanza scuri da sembrarlo alla luce delle candele, ma era certo che fossero ben più luminosi, perché Soren Hardwick aveva un animo innocente, ben lontano dal lordume in cui aveva immerso il suo.
Ripensando alle ultime parole pronunciate dal ragazzo si rese conto che, un tempo, avrebbero potuto essere simili ad una stilettata, ma, negli anni che erano seguiti alla sua assoluzione, aveva avuto il tempo e la tranquillità di riflettere sul suo passato. Si era accorto che Albus non lo aveva mai considerato un figlio e, più lentamente e dolorosamente, era giunto alla conclusione che l’amicizia con Lily era stata distrutta da entrambi. Non rinnegava le sue responsabilità, ma aveva imparato a convivere con l’idea che la Grifondoro non aveva nemmeno tentato di porgli le poche domande necessarie affinché lui le spiegasse perché aveva pronunciato quella maledetta parola, quel giorno, né gli aveva mai chiesto cosa lo avesse portato a trascorre del tempo con Avery e Mulciber.
Nei due anni passati aveva smontato e fatto a pezzi ogni singolo ricordo di Lily e dopo quel lavoro lungo e doloroso non gli era più rimasto nulla, se non i resti di un’amicizia appena abbozzata e morta lentamente durante gli anni a Hogwarts.
«Posso suggerire a Medea se riuscissi… posso dirle di venire a parlare con lei, professor Piton?»
«Se lo ritieni necessario.»
«Grazie, davvero, professore.»
Soren Hardwick gli rivolse un sorriso, che lo fece sembrare più giovane. O, forse, dimostrava unicamente i suoi undici anni, mentre, prima, mentre parlava con lui di Medea Koesel era apparso ben più maturo della sua età.
Dopo che il ragazzino fu uscito, Severus si chiese se gli avesse dato realmente dei buoni consigli, se fosse riuscito ad aiutare almeno lui, nel suo tentativo di instaurare un rapporto di amicizia con la sua compagna di Casa. Si domandò se avesse fatto qualcosa per Soren stesso, perché aveva notato che nascondeva qualcosa nel profondo del suo animo innocente.
La guerra gli aveva portato via il padre.
Almeno il ragazzino aveva conservato la madre.
Eppure, c’era qualcosa di strano in quell’insistere del bambino a non volere che Medea Koesel fosse sola.
A Severus sembrò quasi che Soren Hardwick sapesse fin troppo bene cosa fosse la solitudine.



Edited by Alaide - 26/9/2023, 18:58
view post Posted: 26/3/2023, 10:17 Nuovo Sabbah: Milano o Roma - Sabba e incontri vari
Alaide: arrivo venerdì, partenza domenica
Mi va benissimo un B&B o quello che si trova
Non ho esigenze particolari (quindi va benissimo una doppia/bagno da condividere). Mi adatto alla tipologia di struttura trovata.
view post Posted: 17/3/2023, 17:32 Nuovo Sabbah: Milano o Roma - Sabba e incontri vari
La data è perfetta (scuola finita e pagelle non ancora arrivate, quindi dovrei avere meno allievi in quei giorni). Per me vanno bene sia Milano che Roma (in entrambi i casi prenderei il treno a Reggio Emilia AV).
view post Posted: 12/3/2023, 10:55 (News) - Fanfiction in Progress - Cosa bolle nel Calderone di Severus
Long-fic in progress di Alaide - What harbour shelters peace away from storms? - Dramatis personae; Capitolo II
view post Posted: 12/3/2023, 10:43 Alaide - What harbour shelters peace away from storms? - Storie in Progress
Come promesso, troverete l'elenco dei personaggi QUI. Verrà aggiornato, ogni volta che introdurrò nuovi personaggi

Capitolo II




Hogwarts, 4-8 settembre 2000




La Sala Comune di Serpeverde era silenziosa, lunedì mattina, quando Severus fece il suo ingresso. Avrebbe voluto parlare con i ragazzi del primo anno durante il fine settimana, ma la ferita al collo aveva pulsato in maniera più dolorosa del solito e la pozione che aveva ideato per bloccare il tremore alle mani, frutto del morso di Nagini, lo aveva lasciato spossato, come accadeva ogni volta che trangugiava l’intruglio. In tali condizioni non era stato in grado di fare il suo dovere, come lo era, invece, quella mattina, in cui riusciva a celare accuratamente la stanchezza.
D’altronde, non si permise di riflettere su null’altro se non il compito che lo attendeva. La sua priorità erano i suoi Serpeverde, si disse, mentre si avvicinava ai ragazzi del primo anno che sembravano quasi persi in una stanza immaginata per un numero decisamente maggiore di studenti. Sapeva che i Prefetti – i pochi che gli erano rimasti – li avevano avvisati che avrebbe parlato con loro quella mattina. I cinque ragazzini si trovavano uno accanto all’altro, come se avessero paura di rimanere soli troppo a lungo. Severus ne osservò i volti e notò che tre di loro avevano un’espressione quasi serena, mentre una ragazzina teneva il capo chino e un altro aveva gli occhi azzurri colmi di paura e di rabbia.
«Non vi tratterrò a lungo», disse, dopo essersi seduto davanti a loro. La notte scorsa aveva dormito poco e male – come gli accadeva fin troppo spesso – e sentiva la ferita al collo pulsare, ma, nonostante tutto, avrebbe compiuto il suo dovere nei confronti di quei bambini, senza rimandare oltre. «So che potreste essere rimasti delusi a non avermi visto tra i vostri insegnanti in Sala Grande, venerdì, ma, considerando che sono qui unicamente come Capocasa, è stato ritenuto opportuno che così fosse.»
Era una decisione del Preside e Severus non aveva opposto nessuna obiezione perché era fin troppo cosciente della tensione che avrebbe generato la sua presenza alla tavola alta, accanto a Minerva o a Pomona. Era perfettamente cosciente che non era altro che un reietto del Mondo Magico, un rimasuglio di una guerra che tutti si ostinavano a voler dimenticare.
«Professore», la voce era timida, ma la ragazza, una delle tre di quell’anno, sembrava fiduciosa. «Possiamo venirle a parlare in ogni momento?»
Edward Fairchild avrebbe voluto che Iphigenia non avesse posto quella domanda, che potessero uscire quanto prima dalla Sala Comune.
Era certo che Piton avesse riconosciuto la sua paura e la sua rabbia, ma non aveva alcuna idea di come celarle.
Nessuno sarebbe stato felice di ciò che era accaduto la sera precedente e lui era decisamente preoccupato per la cosa. Non aveva nemmeno idea di come iniziare a scrivere che era stato smistato proprio in Serpeverde.
Sentì gli occhi del suo Capocasa su di sé, ma non disse nulla, al contrario di Iphigenia e Timothy. Anche Calliope fece una domanda. Soltanto Rosalinde e lui stesso continuavano a rimanere in silenzio. D’altronde, era certo che non sarebbe riuscito a pronunciare nemmeno una parola davanti all’uomo, che pareva così incredibilmente tranquillo. Aveva letto di Severus Piton sulla Gazzetta del Profeta e gliene avevano parlato più di una volta.
Il mago non avrebbe dovuto trovarsi lì.
Il suo posto era ad Azkaban, ma non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, non in sala comune di Serpeverde. Non aveva nessuna idea di ciò che passava per la mente degli altri quattro ragazzi, né men che meno di quelli più grandi.
Quando furono congedati, uscì rapidamente dall’ampia stanza, ma, quando si trovò in Sala Grande, quasi non riuscì a gustare la colazione. Guardò con nostalgia le tavole di Corvonero e Grifondoro, le Case dei suoi genitori, di cui non avrebbe mai potuto fare parte.
Gli avevano detto che il Ministero era stato tentato di rendere fuorilegge la Casa di Serpeverde, ma non ne aveva fatto nulla, preferendo affidarsi al Cappello Parlante che, però, si disse Edward, era palesemente difettoso.
Quando dovette andare alla prima lezione del giorno, si mantenne distante dagli altri quattro ragazzi, con il chiaro intento di sedersi da solo nell’aula di Difesa Contro le Arti Oscure e si sentì sollevato quando un Corvonero gli chiese se potesse sistemarsi accanto a lui.
Il professor Cropper sembrava una persona gentile e si domandò se non avrebbe potuto provare a parlare con lui, a chiedergli se ci fosse un precedente nella storia della scuola in cui uno studente era stato tolto dalla Casa in cui era stato smistato per essere assegnato ad un’altra. Non gli importava nemmeno quando fosse accaduto, ma doveva esistere anche un solo caso.
Se fosse riuscito a trovare una soluzione, nessuno sarebbe rimasto deluso da lui.
«Che lezione hai adesso?»
La voce del Corvonero lo colse quasi di sorpresa, mentre stava sistemando la borsa. L’altro ragazzino sembrava sereno, ma, d’altronde lui non era stato smistato in quel luogo orrendo.
«Ho un’ora di buco fino a pranzo e poi Erbologia con i Tassorosso», rispose, prima di presentarsi. Forse era inutile e l’altro conosceva già il suo nome, ma Edward non era stato per nulla attento dopo che il Cappello Parlante lo aveva smistato a Serpeverde. Il compagno d’anno non parve farci caso e, quando ne sentì il nome, si disse che forse era stato fortunato. «Com’è Corvonero, Soren?»
«Non lo so ancora», rispose l’altro, osservando per qualche istante Edward Fairchild, non appena si trovarono fuori dall’aula. «La sala comune è bellissima, ma lo deve essere anche la tua.»
Soren era piuttosto orgoglioso della sua risposta. Mamma gli aveva detto di essere il più diplomatico possibile e credeva di esserlo stato.
«Non lo è», sbottò l’altro. «Non c’è nulla di bello in Serpeverde.»
«Però, se il Cappello ha deciso di metterti…»
«Speravo… tuo padre è morto ucciso dai Mangiamorte, proprio come i miei genitori, e faccio loro un torto a stare nella Casa dei loro assassini.»
Edward si chiese se non avesse parlato troppo, ma sentiva la necessità di confidarsi con qualcuno e nessuno dei suoi quattro compagni di Casa gli sembrava adatto; invece, credeva che Soren Hardwick potesse essere un buon candidato.
«Non è detto che chi ha ucciso i tuoi genitori sia stato un Serpeverde.»
«Invece, deve esserlo», Edward cercò di capire da dove venisse quell’idea al Corvonero. Tutti sapevano quanto marcia fosse la Casa in cui era stato smistato.
«Forse, ma non tutti i Serpeverde sono malvagi», insisté Soren. «Di certo non lo è il tuo Capocasa.»
«Come fai a dirlo? È un Mangiamorte…»
«Mamma ha detto che hanno fatto bene ad assolverlo», spiegò Soren, chiedendosi se stesse facendo bene.
«Era una Serpeverde?»
«No, mamma era in Tassorosso, ma mi ha sempre detto che il professor Piton era il suo insegnante preferito», Soren si accorse che, nel corridoio davanti all’aula di Difesa contro le Arti Oscure, erano rimasti soltanto loro. Aveva sperato di poter parlare nuovamente con Medea, per capire perché la compagna di Casa avesse deciso di seguire la lezione da sola, quasi nascosta in un angolo.
«Sai, quando sono finito sotto il Cappello, ho quasi sperato di finire in Serpeverde per poter avere come Capocasa il professor Piton.»
«Ma non ha senso», sbottò Edward. Forse aveva sbagliato tutti i suoi calcoli, quando aveva deciso di parlare delle sue sensazioni con l’altro ragazzo. Era stato certo che Soren Hardwick, il figlio orfano di un eroe di guerra, sarebbe stato della sua stessa opinione. «Piton è un Mangiamorte che è stato assolto soltanto perché i giudici del Wizengamot sono stati ciechi e frettolosi. Non tutti, certo, dato che una parte di loro, per quanto non sufficiente, era a favore di una condanna.»
Sapeva di star ripetendo quanto gli era stato detto più volte, ma, in fin dei conti, dovevano aver ragione.
Così come era ovvio che avessero ragione riguardo a quello che era accaduto il giorno in cui i suoi genitori erano morti, non importava ciò che credeva di aver sentito.
«Chi ti ha detto queste cose?»
«Le ho capite da solo», affermò Edward, ma era certo di aver mentito malissimo, considerando il volto perplesso di Soren. «Ho letto… gli articoli sulla Gazzetta del Profeta, anche quello su tuo padre… è stato un eroe.»
«Forse», la voce di Soren si era fatta improvvisamente tesa, come non era stata prima e a Edward parve, per un istante, che il ragazzo non considerasse suo padre un eroe. «Ma credo che il professor Piton sia stato ben più eroico in questa guerra. So che credi il contrario, ma forse, dovresti provare a rivolgerti a lui… è il tuo Capocasa. Immagino che abbia già parlato con voi.»
«L’ha fatto stamattina.»
«E che impressione ti ha fatto?»
Edward si rese conto di non saper come rispondere alla domanda di Soren, considerando che non aveva quasi ascoltato le parole di Piton. Era stato troppo terrorizzato al pensiero di doverli informare della Casa in cui era stato smistato per farlo. Era stato troppo arrabbiato con il Cappello Parlante.
Ma non poteva dire nessuna di quelle cose a Soren che sembrava avere un’idea così strana dell’uomo.
«Nessuna.»
«Almeno vi ha parlato. Il professor Cropper non l’ha ancora fatto.»



Iphigenia Whitegood era stata la prima dei più piccoli tra i Serpeverde ad andare a parlare con lui, quella mattina. Era una ragazzina tranquilla, figlia di un mago e di una Babbana, che non si era trovata in Gran Bretagna durante il fin troppo lungo dominio dell’Oscuro Signore. Sapeva cos’era accaduto durante la guerra, ma non ne era rimasta ferita e questo la rendeva un’eccezione all’interno della sua Casa e forse dell’intera scuola.
Degli altri quattro non si era ancora visto nessuno, e di tutti loro era certo che Edward Fairchild non si sarebbe mai presentato. Aveva notato la sua paura e la sua rabbia lunedì mattina ed era sicuro che non avesse ascoltato una sola parola di ciò che aveva detto. Iphigenia gli aveva confidato che sembrava evitarli e Severus poteva comprenderne perfettamente bene le motivazioni.
La guerra aveva lasciato fin troppi orfani.
E non poteva fare a meno di sentirsi responsabile per loro.
Per quanto sapesse di non aver partecipato attivamente, nella maggior parte dei casi, alla loro tragedia, non era in grado di lasciar andare il senso di colpa che provava nei loro confronti.
Quei bambini erano unicamente degli innocenti, vittime della violenza degli adulti che avrebbero dovuto proteggerli.
Decius Mulciber, Medea Koesel, Edward Fairchild, Rachel Honeychurch, Dorothy O’Connor, Rosemary Terfel.
Aveva imparato i nomi degli orfani entrati a Hogwarts quell’anno. Di alcuni di loro conosceva perfettamente la storia. Sapeva, naturalmente, il destino dei genitori del piccolo Decius e quello dei Fairchild e degli Honeychurch. Non aveva idea di cosa fosse accaduto alla famiglia Koesel o agli O’Connor, mentre aveva sentito parlare della morte dei coniugi Terfel, al San Mungo, poco dopo la fine della guerra.
«Severus», la voce di Minerva lo colse di sorpresa. «Ho bussato, ma non hai risposto.»
Il volto della strega era preoccupato, come accadeva, a volte, quando si rivolgeva a lui. Si chiese se, nella solitudine delle sue stanze, avesse lasciato che il senso di colpa apparisse sul suo volto. Con Iphigenia Whitegood aveva mostrato un’espressione calma, una maschera ben diversa da quella che aveva indossato quando era stato l’odiato professore di Pozioni, ma pur sempre una maschera. Non avrebbe giovato a nessuno se avesse mostrato quali sentimenti provocavano in lui quei bambini feriti da una guerra che avrebbe dovuto essere combattuta unicamente dagli adulti, ma che li aveva coinvolti fin troppo direttamente. La piccola Serpeverde ne era rimasta lontana, ma gli aveva confessato, timidamente, che credeva che le sue due compagne di dormitorio dovessero aver sofferto durante quel periodo perché si erano svegliate due volte in preda a degli incubi.
«Immagino che tu sia venuta a condividere le tue impressioni prima di andare a parlare con gli altri Capocasa e gli insegnanti.»
«Sono preoccupata per il piccolo Mulciber», gli disse, poco dopo. «Ho parlato espressamente con i miei Prefetti per sottolineare come sia indispensabile farlo sentire accettato in Grifondoro e di spiegarlo con attenzione anche agli altri. L’ho avuto stamattina a lezione e mi è apparso molto timido. Sai, per un istante mi ha ricordato la signorina Seabrook, non so se te la ricordi», Severus annuì. Era sta una Tassorosso del terzo anno quando era morta Lily. «Gli tremava la mano prima di fare il suo primo incantesimo. Almeno sembra trovarsi bene con la signorina Honeychurch, un’altra dei nostri orfani.»
«Cosa mi dici di Fairchild?»
«Mi è sembrato un ragazzino tranquillo, per quanto un po’ timido. Considerando che i tuoi Serpeverde sono dispari, si è seduto accanto ad una Tassorosso durante le mie ore.»
«La prossima volta osservalo con più attenzione. Lunedì era pieno di paura e rabbia.»
Minerva annuì, chiedendosi se ci fosse qualcosa di più che lei potesse fare in qualità di Vicepreside, ma, senza l’appoggio dell’attuale Preside, non aveva molte possibilità di agire in maniera efficace. Gli aveva accennato del problema dei molti orfani di quell’anno scolastico, ma l’imbecille aveva affermato di essere certo che negli orfanotrofi magici avessero fatto un ottimo lavoro.
«Qualcuno è già venuto a parlare con te?»
La donna quasi sorrise quando Severus le parlò della piccola Iphigenia Whitegood. Era stata l’ultima ad essere smistata, una ragazzina dall’aria tranquilla con i capelli neri raccolti in una spessa treccia.
Non dissero molto altro, prima di uscire insieme dalle stanze dell’uomo. Era una delle rare occasioni in cui il mago partecipava ad una riunione di insegnanti. Mentre camminavano, Minerva si voltò diverse volte verso Severus, chiedendosi se non dovesse parlare con Poppy. Le pareva più sofferente del solito, nonostante avesse trovato un modo per fermare il tremore alle mani conseguenza della ferita di quell’orrendo serpente. Sapeva che Madama Chips non era stata per nulla contenta del modo in cui Severus aveva portato avanti la sua sperimentazione e che i due avevano litigato furiosamente l’estate del 1999, quando il mago aveva trovato un intruglio dall’aspetto rivoltante che assumeva, ormai, ogni tre mesi e che lo lasciava spossato, per quanto fosse certa che Severus non lo avrebbe mai realmente ammesso con nessuno.
«Dovresti prenderti maggiore cura di te», gli disse, quando furono lontani da un gruppo di ragazzi del terzo anno.
«Sono perfettamente in grado di…»
«Sai che è inutile usare questo tono con me, Severus», lo interruppe. «So che hai ripreso a distillare le pozioni per l’Infermeria e che stai portando avanti le tue ricerche. Sono anche cosciente che sei preoccupato per i ragazzi, ma sembra che tu non abbia dormito da anni.»
«Dormo quel che serve, Minerva.»
La voce di Severus era stanca, notò la donna, chiedendosi se ci fosse anche solo la possibilità di aiutarlo o di convincerlo a delegare alcuni dei suoi doveri, ma era certa che su quel punto sarebbe stato completamente sordo.
«E la ferita…»
«Ci ho fatto l’abitudine», la interruppe più bruscamente di quanto non avrebbe voluto. Sapeva che la strega era preoccupata per lui, ma l’uomo si sentiva unicamente a disagio di fronte a quelle attenzioni materne. D’altronde non aveva nemmeno idea se le poteva definire tali, considerando che non aveva mai conosciuto l’amore di una madre. «Ho anche trovato un interessante manoscritto della scuola pozionistica di Granada che potrebbe essermi d’aiuto.»
Mentre camminavano la luce del sole al tramonto penetrò dalle finestre del corridoio illuminandolo per un istante di rosso.
Soren, dalle finestre della Sala Comune di Corvonero osservava quegli stessi colori, mentre si chiedeva se non dovesse fare un nuovo tentativo con Medea. La mamma gli aveva suggerito di non essere troppo insistente, nella risposta alla lettera che le aveva inviato il secondo giorno di scuola. Aveva notato che gli altri compagni di Casa avevano iniziato ad ignorarla, come se non potessero fare nulla per lei, ma, forse, loro non avevano mai sperimentato la solitudine e lui non voleva che Medea fosse così sola e spaventata.
Si allontanò dalla finestra e si avvicinò alla poltrona su cui la ragazzina era rannicchiata, con in mano uno dei loro libri di scuola.
«Posso sedermi?»
Medea fece forza su sé stessa per non alzare il capo verso Soren. Non aveva nemmeno bisogno di guardare chi fosse, perché era l’unico che ancora tentava di parlare con lei. Avrebbe voluto rispondere, ma non disse una parola. Rachel non era lì, ma sentiva su di sé lo sguardo di Christian ed era certa che avrebbe riferito ogni sua mossa.
«Cosa stai studiando?»
Soren era persistente e Medea non sapeva cosa fare. All’orfanotrofio era abituata ad essere evitata da tutti, esattamente come gli altri bambini come lei e si era aspettata che lo stesso avvenisse a Hogwarts. Aveva fatto di tutto perché i suoi compagni di Casa la ignorassero. Chiuse con cura il libro di Pozioni e alzò il capo verso il ragazzo.
«Non voglio studiare con te.»
Erano le parole migliori che potesse dire.
Le uniche che volesse dire.
Ma sapeva da sola che non era vero. Avrebbe voluto fare i compiti insieme a Soren, potersi sedere con lui e Isabel in biblioteca, ma non poteva.
Era cattiva.
E non voleva fare del male a Soren.
«Perché, Medea?»
Il ragazzo non riusciva a staccare lo sguardo dagli occhi spaventati della compagna di Casa. Aveva notato che aveva guardato in direzione di un gruppo di studenti del terzo anno, ma non riusciva a capirne il motivo, considerando che Medea era sempre da sola, com’era stato lui quando aveva iniziato a frequentare la scuola elementare.
«Io…», la voce della ragazzina si spezzò e Soren sperò che fosse sul punto di dargli una spiegazione sensata. «Mi piace studiare da sola.»
«Ma domani…»
Soren non riuscì a finire la frase. Medea si era alzata in piedi velocemente e, prima che potesse dire o fare altro, era quasi fuggita nel dormitorio delle ragazze.
Rimase a lungo immobile, chiedendosi cosa potesse fare. La paura della compagna di Casa, la sua solitudine lo preoccupavano. Avrebbe inviato nuovamente una lettera a mamma, ma non credeva che bastasse. Forse avrebbe dovuto rivolgersi ai Prefetti o alla Caposcuola, ma non era certo che fosse una buona idea.
Scosse appena il capo e si avvicinò ad alcuni dei suoi compagni di dormitorio che stavano giocando agli scacchi magici, limitandosi però ad essere uno spettatore, anche quando gli fu chiesto di unirsi a loro in un torneo improvvisato.
Quando fu sotto le coperte, si chiese se non dovesse rivolgersi al professor Piton, per chiedergli un consiglio. Aveva sentito un ragazzo dell’ultimo anno dire che l’uomo gli aveva offerto più di un valido aiuto in precedenza. Eppure, temeva di offendere il suo Capocasa se fosse andato a parlare con quello di Serpeverde.



Edited by Alaide - 26/9/2023, 18:47
view post Posted: 12/3/2023, 10:02 Alaide - What harbour shelters peace away from storms? - Storie in Progress

Dramatis personae

A Hogwarts



Studenti

Soren Hardwick, Corvonero del I anno, orfano di padre
Medea Koesel, Corvonero del I anno, orfana
John Hackett e Jeremy Adair, Corvonero del I anno

Edward Fairchild, Serpeverde del I anno, orfano
Iphigenia Whitegood, Serpeverde del I anno
Rosalinde Collins, Serpeverde del I anno
Timothy e Calliope, Serpeverde del I anno

Isabel Millward, Tassorosso del I anno
Antigone Avery, Tassorosso del II anno

Rachel Honeychurch, Grifondoro del I anno
Decius Mulciber, Grifondoro del I anno

Corpo docenti

Arminius Thwaite, Preside nominato dal Ministero e dal Consiglio della scuola da giugno 1998
Severus Piton, Capocasa di Serpeverde
Minerva McGranitt, Capocasa di Grifondoro e insegnante di Trasfigurazioni
Pomona Sprite, Capocasa di Tassorosso e insegnante di Erbologia
Bernard Cropper, Capocasa di Corvonero e insegnante di Difesa contro le Arti Oscure
Artemisia Wilkins, insegnante di Pozioni

Edited by Alaide - 4/4/2023, 14:40
view post Posted: 3/3/2023, 15:56 Alaide - What harbour shelters peace away from storms? - Storie in Progress
Partecipando alle sfide dei 15 anni con Severus, ho scritto alcune storie collegate tra loro e, in particolare, una di queste (Whoin?) ha dato il la alla scrittura di questa long (di cui ho già pronti diversi capitoli. Quindi non si verificherà il problema di Winterreise), anche se il centro narrativo è qualcosa che avevo in mente da tempo, ma che non avevo ancora chiaro come sviluppare.

Buona lettura a tutti!

Autore/data: Alaide – gennaio 2023 – in corso
Beta-reader: Chiara53
Tipologia: Long Fic
Rating: Per tutti
Genere: Drammatico, introspettivo
Personaggi: Severus Piton, Minerva McGranitt, Pomona Sprite, Personaggio Originale (più di uno)
Pairing: Severus/Personaggio originale
Epoca: Post settimo anno
Avvertimenti: AU
Riassunto: Era lo scopo che si era dato: tentare di aiutare veramente i ragazzi, come non gli era mai stato possibile prima. Era qualcosa che doveva a tutti loro ed era l’unica cosa che poteva fare per non affogare nella consapevolezza di essere sopravvissuto quando altri, più meritevoli, erano morti.

Nota 1: Il titolo è tratto dal libretto del Peter Grimes di Benjamin Britten.

Nota 2: Per quanto non ne sia un diretto seguito e non sia necessario aver letto le altre storie per poter leggere queste, il racconto è legato a Voci, Ricordi, Scelte, Années de pèlerinage, Whoin?.

Nota 3: Prima della pubblicazione del secondo capitolo, inserirò un elenco di personaggi [troverete il link nell'indice] che verrà aggiornato man mano che prosegue la storia e entrano nuovi personaggi.
Ogni tanto verranno inseriti dei capitoli chiamati "interludi" che bloccano lo scorrere cronologico della vicenda per presentare dei flashback estesi.

Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.


What harbour shelters peace away from storms?



Indice



Dramatis Personae
Capitolo I (pubblicato qui sotto)
Capitolo II
Capitolo III
Capitolo IV
Capitolo V
Interludio I
Capitolo VI
Capitolo VII
Capitolo VIII
Interludio II
Capitolo IX

***




Capitolo I



Hogwarts, 30 agosto 2000



I corridoi erano silenziosi, come sempre accadeva prima dell’inizio dell’anno scolastico, ma Minerva quasi non badò a quella tranquillità. Camminava decisa verso la sua meta, cercando di non pensare al fatto che il Ministero e il Consiglio della scuola avevano nominato, poche settimane dopo la fine della guerra, un incompetente come Preside, soprattutto quando la scuola già ne aveva uno. Eppure, sapeva che quella situazione non sarebbe cambiata nei prossimi giorni, né men che meno nei prossimi mesi. Ricordava ancora la conversazione che aveva avuto con Severus poco più di due anni prima, sulla Torre di Astronomia. Era stato un dialogo decisamente teso all’inizio e colmo di verità che la donna faticava ad accettare anche in quel momento.
Trasse un sospiro, quando si fermò davanti ad una porta dall’aria fin troppo modesta, a cui bussò. Non dovette nemmeno attendere troppo, prima che la porta si aprisse, rivelando l’ufficio, piccolo e angusto, che era stato assegnato a Severus in qualità di Capocasa di Serpeverde. Avrebbero dovuto restituirgli i suoi vecchi quartieri, ma il Preside aveva affermato che, secondo il regolamento della scuola, un adulto che non ricopriva nessuna cattedra non aveva diritto ad alloggi simili a quelli di un insegnante.
Forse, quel codicillo era veramente presente in qualche vecchio foglio ingiallito, ma Minerva era certa che Severus fosse il primo Capocasa a non elargire alcun insegnamento nella storia di Hogwarts.
«Ti stavo aspettando», le disse l’uomo, distogliendola dalle sue riflessioni.
La guidò verso la porta che immetteva nelle sue stanze e le sembrò che i libri sugli scaffali fossero aumentati dall’ultima volta in cui gli aveva fatto visita, soltanto due giorni prima. A volte aveva l’impressione che il collega più giovane stesse tentando di costituire una raccolta piuttosto impressionante di libri. Non che la cosa la stupisse, considerando che Severus stava, con ogni probabilità, sostituendo quelli che aveva perso quando la sua abitazione era stata incendiata pochi giorni dopo la fine della guerra.
«Quest’anno hanno tutti risposto affermativamente alla lettera della scuola», annunciò, osservando il volto fin troppo magro di Severus. «Il Preside è particolarmente orgoglioso della cosa, come se fosse merito suo.»
La donna aveva appena dovuto sorbirsi l’ennesimo discorso privo di senso dell’uomo che il Ministero e il Consiglio della scuola avevano scelto due anni prima per guidare Hogwarts. Aveva personalmente protestato con i membri dell’Ordine che avevano raggiunto le cariche politiche più importanti, ma tutti le avevano detto che quella era la scelta migliore e più saggia, per quanto Minerva fosse certa che volessero unicamente apparire rassicuranti davanti all’opinione pubblica, cercando di far letteralmente sparire qualsiasi traccia della guerra.
«E chi ti dice che non sia merito suo?»
«Non lo credi nemmeno tu, Severus», ribatté la donna, mentre si sedeva su una poltrona. Gli alloggi privati del collega più giovane le piacevano per quanto il Capocasa di Serpeverde si fosse lamentato della loro grandezza, sprecata per un uomo solo. Effettivamente erano presenti tre camere da letto – ma una era diventata fin da subito un laboratorio di pozioni – il che faceva presupporre che quelle stanze fossero state pensate per un insegnante che viveva a Hogwarts con la sua famiglia. O, forse, considerando l’esiguità dell’ufficio, era stata riservata a degli ospiti della scuola. «Quel Thwaite non ha nessuna idea di come si diriga una scuola, cosa che non mi stupisce considerando che era uno studente completamente inetto e Tassorosso per di più.»
«Sono certo che Pomona sarebbe felicissima di sentirti parlare in questo modo.»
«Nemmeno lei lo ha in simpatia, se per questo. L’ho sentita chiaramente dire che è una disgrazia per la sua Casa», affermò Minerva, voltandosi verso Severus che aveva posato teiera e tazze sul tavolino. Non aveva ancora capito perché l’uomo si ostinasse a preparare e servire la bevanda alla maniera Babbana, ma si procurava sempre dei tè di qualità, aromatizzati con spezie particolari. «Forse, Severus, è giunto il momento perché tu…»
«Ne abbiamo già parlato, Minerva», la interruppe bruscamente il mago, cercando di non badare al pulsare sordo della ferita al collo. «Sai anche tu, come so io che nessuno accetterebbe di buon grado la tua idea.»
«Non è soltanto una mia idea, ma quella della scuola stessa. Sei perfettamente cosciente che anche quest’anno il Preside non è riuscito a entrare nelle stanze della presidenza. Hogwarts continua a considerarti la sua unica guida.»
Severus non commentò le parole di Minerva, preferendo bere un sorso di tè. Era una discussione ormai ciclica, che la strega riproponeva da quando avevano parlato per la prima volta dopo la fine della guerra.
A quel tempo, era stato molto più brusco con lei.
Ma, allora, non avevano ancora iniziato a ricostruire realmente il loro rapporto. In quel momento, invece, l’amicizia che aveva creduto di aver perso per sempre dopo aver ucciso Albus si era ricomposta o, forse, si era manifestata in maniera totalmente diversa. Minerva, a volte, era stranamente materna con lui.
«Severus, so che non ti piace parlarne, ma, forse, dovresti riconsiderare la questione. Sono certa che alcuni dei ragazzi che hai aiutato gli anni scorsi abbiano parlato di te a casa e se lo hanno fatto… forse, i tempi sono maturi.»
L’uomo scosse il capo alle parole accorate della donna, chiedendosi come avrebbe fatto a cercare gli studenti più bisognosi di aiuto, dopo che, durante l’estate, Mrs Purr era morta. Nei due anni precedenti, infatti, la gatta aveva ripreso a pattugliare i corridoi, in cerca non più di ragazzi che infrangevano il coprifuoco, ma di studenti in difficoltà, di vittime della guerra che stavano soffrendo più di altre.
Era lo scopo che le aveva dato dopo che la gatta aveva deciso di seguirlo ovunque.
Era lo scopo che si era dato: tentare di aiutare veramente i ragazzi, come non gli era mai stato possibile prima. Era qualcosa che doveva a tutti loro ed era l’unica cosa che poteva fare per non affogare nella consapevolezza di essere sopravvissuto quando altri, più meritevoli, erano morti.
Forse, era riuscito ad aiutare quei pochi che, appartenenti o meno alla sua Casa, avevano bussato alla porta delle sue stanze, ma altri non avevano nemmeno voluto parlare con lui.
E non se ne stupiva affatto.
Il tempo trascorso da quel giorno di giugno, in cui Minerva gli aveva detto per la prima volta che la scuola lo considerava ancora il Preside, non aveva modificato la realtà dei fatti.
Quelle rare volte in cui si trovava a dover andare a Diagon Alley o in qualche altro luogo magico della Gran Bretagna, aveva notato lo sguardo sospettoso delle persone e aveva sentito i mormorii. Nessuno gli aveva più sputato addosso, com’era accaduto nei mesi immediatamente successivi alla fine della guerra, ma ciclicamente la Gazzetta del Profeta pubblicava un articolo in cui ci si chiedeva per quale motivo un Mangiamorte assolto malamente vagasse ancora tra le mura di Hogwarts e altrettanto ciclicamente un gruppo di Auror faceva irruzione nelle sue stanze per cercare manufatti e pozioni oscure.
«Severus…»
«Sai che ho ragione, Minerva», la interruppe. «Il Ministero non ha avvallato la soppressione della mia Casa, soltanto per motivi puramente storici e, forse, perché spera che il Cappello Parlante smetta di smistarvi alunni, ma l’opinione pubblica non ne è stata particolarmente felice e i primi a spingere per porre fine a Serpeverde sono stati proprio coloro che ne hanno fatto parte, in passato. Non mi stupisco nemmeno di questo. Si tratta soltanto di un modo di preservarsi, di far dimenticare a vicini e amici quella macchia, nonostante queste persone non abbiano avuto nulla a che fare con l’Oscuro Signore, così come ci sono studenti di Serpeverde che non hanno nemmeno un parente che è stato un Mangiamorte o un simpatizzante di quella causa malata. Il Mondo Magico è in cerca di un capro espiatorio, di un modo per avere la coscienza tranquilla, senza più realmente pensare a quello che è accaduto. So, Minerva, che tu credi realmente in quello che dici, che pensi veramente che se io salissi i gradini che portano fino allo studio che ho usurpato un tempo, la scuola sarebbe gestita meglio. Ma anche se così fosse, ritieni veramente che, tra tutti i Serpeverde, il Mondo Magico accetterebbe proprio me come guida di Hogwarts?»
Minerva notò che la voce di Severus non era nemmeno tagliente, ma unicamente sconfitta. D’altronde, gli anni precedenti erano stati particolarmente difficili ed era certa che quello che sarebbe cominciato tra due giorni non sarebbe stato da meno.
Ricordava ancora quanto fosse ristretto il numero di Serpeverde durante l’anno scolastico 1998-1999. Anche le altre Case erano più striminzite del solito, ma quella di Severus era ben più ridotta. Molti dei ragazzi più grandi, che erano sopravvissuti alla Battaglia di Hogwarts, non erano tornati a scuola. Sapeva che alcuni erano andati a studiare all’estero o avevano, col tempo, sostenuto gli esami da privatisti. Soltanto due erano stati i nuovi smistati e l’anno scolastico successivo non era stato di certo migliore: con l’uscita dell’ultimo anno e l’ingresso di quattro nuovi primi anni, il numero di Serpeverde era ulteriormente diminuito.
Sapeva che Severus aveva parlato con ogni nuovo entrato entrambi gli anni e che aveva fatto il possibile per aiutare i più grandi, soprattutto in considerazione del modo in cui gli appartenenti delle altre Case parevano voler emarginare chiunque indossasse le insegne verde-argento.
Ed era anche cosciente che l’uomo aveva usato Mrs Purr per scovare i ragazzi più in difficoltà in modo tale da offrire loro un aiuto in maniera diretta – raramente, considerando che molti diffidavano di lui – o indiretta.
Ma la gatta era morta quell’estate e Minerva si era ripromessa di fare il possibile per essere utile al collega in quella nuova missione solitaria che si era attribuito. Aveva provato a fare la sua parte, gli anni precedenti, ma si sentiva troppo vecchia per quello. O, forse, non conosceva la sofferenza tanto quanto il mago che le stava di fronte, intento a sorseggiare il suo tè.
«Quanti orfani di guerra ci sono quest’anno?»
La voce di Severus la riscosse bruscamente da quei pensieri e Minerva avrebbe voluto dirgli che il Preside scelto da Ministero e Consiglio non le aveva posto quella domanda, ma era cosciente che le parole che l’uomo aveva pronunciato pochi istanti prima erano purtroppo fin troppo veritiere. Aveva dovuto litigare personalmente con la nuova professoressa di Incantesimi, nominata l’anno prima, dopo che Filius aveva deciso di abbandonare l’insegnamento, per difendere il mago. Era come se a nessuno importasse di quanto Severus aveva sofferto per permettere a tutti loro di essere liberi.
«C’è un ragazzino, Soren Hardwick che è orfano di padre. Immagino tu ne abbia sentito parlare.»
Severus annuì soltanto. La Gazzetta del Profeta, nei mesi successivi alla guerra aveva dedicato alcune pagine giornaliere agli eroi comuni e, tra questi, c’era anche Simon Hardwick, un ex Tassorosso, impiegato nell’anagrafe magica che era stato ucciso, poco dopo la caduta del Ministero, perché aveva tentato di distruggere alcuni documenti che indicavano i nomi di una manciata di Nati Babbani.
«Altri?»
«Ne ho contati sei. Di questi quattro vivono negli orfanotrofi, mentre gli altri due sono stati affidati a dei parenti.»
Quell’anno il numero di orfani di guerra era più elevato rispetto ai due precedenti e quello era un pensiero che gli faceva salire la bile in gola. Quanti di quei bambini aveva privato dei genitori? Quanti avrebbe potuto sottrarre a quel destino se i piani di Albus fossero stati diversi?
«Dei bambini in orfanotrofio, non so molto se non i loro nomi. Quello che mi preoccupa di più è Decius Mulciber. Temo che possa ripetersi quel che è accaduto con Antigone Avery l’anno scorso.»
Minerva ricordava perfettamente quella bambina dal volto preoccupato e triste. L’aveva notata subito quando aveva chiamato i nomi per lo Smistamento: una ragazzina bionda con lo sguardo perso. Almeno il Cappello l’aveva piazzata a Tassorosso, ma i primi mesi erano stati difficili. Alcuni ragazzi l’avevano presa di mira, ma, almeno, un gruppo di suoi compagni di Casa era stato ospitale e, nell’ultimo periodo, gli altri, anche quelli più ostili, avevano iniziato ad ignorarla.
«Avrebbero dovuto cambiare loro il cognome», commentò Severus. «Laius Avery si lamentava spesso della figlia. Diceva che non era ancora riuscita a capire come andassero le cose. L’avevo incontrata, in due occasioni, prima dell’anno scorso, ed era terrorizzata dai suoi genitori. Decius Mulciber è stato allontanato da casa dalla nonna materna, dopo la morte della madre e sono certo che la donna non l’abbia cresciuto nell’idolatria dell’Oscuro Signore. È stata assassinata dal genero pochi giorni prima della fine della guerra.»
«Il Ministero avrebbe dovuto lavorare per dare in adozione quei bambini», commentò Minerva. «Invece, hanno preferito riempire gli orfanotrofi. Nessuno dei ragazzini entrati a scuola a partire da due anni fa ha trovato una famiglia adottiva.»
«Non credo che interessi», affermò Severus, versandosi nuovamente del tè. «Sulla Gazzetta del Profeta non si parla più della guerra e non si sta facendo nulla per ricordare quello che è accaduto», non disse che le poche volte che si parlava dei fatti di pochi anni prima era per esprimere lo scandalo circa la sua mancata condanna. «Credevo che si decidessero a porre una stele qui a scuola per onorare i ragazzi caduti vittime della battaglia, ma nessuno ne ha mai fatto cenno. Tutto è stato ricostruito senza lasciare un solo segno. Non so cosa sperino di ottenere, ma rischiano di creare linfa vitale per il primo mago con manie di grandezze che nascerà in Inghilterra e non occupandosi di quei bambini orfani, come dovrebbero fare, stanno soltanto aumentando il rischio che ciò avvenga. Antigone ha rifiutato di parlare con me e so che Pomona ha avuto difficoltà a farlo, ma mi ha detto che la ragazzina sembra essere colma di rabbia repressa.»
Non disse che rivedeva in quei bambini dallo sguardo terrorizzato e perso sé stesso. Anche lui, da piccolo, era stato colmo di paura e, poi, di rabbia e, guidato da quei sentimenti e da una malriposta sete di rivalsa, era caduto fin troppo facilmente nel baratro offerto dal Marchio Nero. Aveva cercato un gruppo a cui appartenere e, sapendo perfettamente a cosa sarebbe andato incontro, aveva segnato la sua condanna. Era stato cosciente che avrebbe dovuto torturare e uccidere se avesse accettato di servire l’Oscuro Signore, ma lo aveva fatto con gioia perché aveva creduto di trovare lì le risposte alla paura e alla rabbia che ancora, a diciott’anni, lo attraversavano.
«Severus…»
«Gli orfanotrofi hanno inviato delle note su questi bambini?»
Minerva osservò il volto pallido e scarno del mago. Sapeva che l’aveva interrotta prima che potesse tentare di scusarsi per la sua cecità. Durante quei due anni aveva riflettuto a lungo sulle ragioni che avevano portato un ragazzo brillante come Severus a diventare Mangiamorte e si era chiesta se parte della responsabilità non fosse da imputare al modo in cui la scuola aveva chiuso più di un occhio di fronte alle azioni di James e Sirius. Aveva cercato di parlarne con il collega, ma il mago era stato categorico nel dirle che non aveva bisogno che lei cercasse delle scusanti per le sue azioni. Eppure, a Minerva sembrava di aver fallito come insegnante con Severus e di non aver fatto abbastanza per altri ragazzi, anche della sua Casa, che era stati attratti da Tu-Sai-Chi.
«Poche righe, tutte inerenti al loro andamento scolastico, ma nessuna che ci possa dire qualcosa sui traumi che hanno vissuto.»
Severus bevve un sorso di tè, ormai tiepido, chiedendosi se il Mondo Magico sarebbe mai stato realmente abbastanza maturo da occuparsi della salute psicologica dei suoi membri. Gli orfani dell’anno precedente avevano tutti gli occhi vuoti e terrorizzati, ma nessuno – nemmeno lui, per quanto avesse provato ad aiutare l’unico di loro smistato a Serpeverde – aveva fatto realmente qualcosa di utile per loro.
Erano degli innocenti che avevano subito più di tutti quella maledetta guerra, ma il Ministero e l’intero Mondo Magico sembrava averli dimenticati relegandoli nei due orfanotrofi che si trovavano nel Regno Unito, nascondendoli, quasi.
Severus non era nemmeno certo di essere la persona migliore per aiutare quei bambini, ma non sarebbe mai riuscito ad andare avanti, in quella vita che si era ritrovato inaspettatamente a vivere, se avesse deciso di abbandonarli al loro destino.





Espresso per Hogwarts, 1° settembre 2000


Soren Hardwick salutò un’ultima volta la mamma, prima di iniziare a cercare uno scompartimento vuoto o occupato da altri ragazzi che sembrassero del primo anno. Non dovette nemmeno cercare a lungo. In uno c’era soltanto una ragazzina che stava rannicchiata contro il finestrino, quasi volesse scomparire.
Forse era intimidita.
Forse era una Nata Babbana e non sapeva come adattarsi a quel nuovo mondo.
«Posso sedermi?»
La ragazza annuì soltanto, prima di raggomitolarsi, se possibile, ancora di più. Soren si sistemò di fronte a lei, poi guardò fuori dal finestrino e salutò con un gesto della mano la mamma. Sapeva che sarebbe tornata presto ad Aldeburgh e ne conosceva le motivazioni per quanto la donna non gliele avesse mai dette esplicitamente.
Si voltò verso la ragazzina, ma non lo stava guardando.
E non stava nemmeno osservando il viavai fuori sulla banchina. Si chiese se non dovesse chiederle qualcosa, ma la mamma l’aveva avvisato di non essere troppo insistente. Non poteva sapere quanto la guerra avesse toccato la vita dei suoi futuri compagni di scuola.
Forse era un’orfana, si disse, reprimendo a stento un brivido.
Non riusciva ad immaginare una vita senza la mamma, ma sapeva che esistevano suoi coetanei non altrettanto fortunati.
«Sei anche tu al primo anno?» domandò, dopo aver lasciato trascorrere qualche altro minuto di silenzio.
La bambina annuì rigidamente.
Soren incontrò per un istante gli occhi marroni della compagna di scompartimento e notò che erano spaventati, proprio come dovevano essere stati i suoi, un tempo.
«Forse saremo nella stessa Casa», decise di dirle, abbozzando un sorriso, ma la ragazzina sembrò ancora più spaventata. «Mi chiamo Soren.»
«Medea», mormorò l’altra con un filo di voce.
Forse non avrebbe dovuto parlare, si disse, ma il ragazzo era stato solamente cortese e non poteva rifiutare di rispondergli, per quanto avrebbe preferito che tacesse. Erano stati chiari, quando l’avevano accompagnata all’Espresso quella mattina e lei era certa che avessero ragione. Tornò a guardare fuori dal finestrino, chiedendosi se sarebbe riuscita a non far capire agli altri studenti quanto marcio fosse il suo sangue.
Non appena udì la porta dello scompartimento aprirsi, si rannicchiò maggiormente quasi sperasse di non essere vista. Non alzò nemmeno il capo quando una voce femminile chiese se poteva sedersi, né prestò attenzione alle parole degli altri due ragazzi, preferendo guardare fuori dal finestrino, dove il sole illuminava i genitori degli altri.
Lei non aveva più un madre o un padre.
Non aveva più nessuno, se non gli inservienti dell’orfanotrofio e loro avevano unicamente ribadito qualcosa che sapeva già perfettamente da sola.
Rabbrividì, mentre il treno iniziava a mettersi in moto.
«In che casa pensi di essere smistato?»
«Non lo so», disse Soren, rispondendo alla domanda di Isabel, la ragazza dalla carnagione scura che era entrata nello scompartimento poco prima che il treno partisse. Sembrava l’esatto opposto di Medea, sorridente, con i capelli neri raccolti ordinatamente in due folte trecce e gli occhi marroni grandi e luminosi. «Mamma era una Tassorosso, ma mi ha detto di non preoccuparmi, se dovessi finire in un’altra Casa.»
Il ragazzo non aggiunse che sperava di finire in Serpeverde, per quanto credesse di non possedere nessuna delle caratteristiche proprie di quella casa. Aveva letto sulla Gazzetta del Profeta che molti abitanti del Mondo Magico volevano vedere scomparire quella Casa e non aveva idea di come la pensassero in proposito Isabel e Medea.
«Ma non hai nemmeno una preferenza?»
«Ho provato a fare ipotesi, ma non so a quale possa essere più adatto.»
«Nemmeno io, per quanto papà sarebbe felice se capitassi in Tassorosso come lui», affermò Isabel, con un sorriso. «Mamma era una Corvonero e mi ha detto di non dare a retta a papà.»
«E tu, Medea?»
Soren osservò la ragazza sobbalzare, come se quella domanda la terrorizzasse.
«Non lo so», mormorò solamente.
«In che casa erano i tuoi genitori?»
Medea non rispose a quella domanda, preferendo rannicchiarsi ancora di più. Soren si voltò verso Isabel, ma l’altra ragazza pareva incerta, esattamente come era lui. Non riusciva a comprendere cosa spaventasse tanto Medea. Era come se fosse terrorizzata da loro, ma il ragazzo era certo di non avere un aspetto spaventoso e Isabel sembrava una persona tranquilla e sorridente.
Era certo di poter diventare amico di quest’ultima, probabilmente anche se sarebbero stati in due Case diverse, ma voleva provare ad aiutare Medea che sembrava volersi fare ancora più piccola, ogni volta che si sentivano dei passi nel corridoio del treno.
«Non vedo l’ora di iniziare a studiare Trasfigurazione. Mamma me ne ha parlato come di una materia affascinante», affermò Isabel, rompendo il silenzio. «Anche Incantesimi deve essere interessante.»
«Io aspetto con curiosità Pozioni. E Incantesimi, ma credo che anche Erbologia possa essere bella. E tu, Medea?»
Quella era una domanda neutra, si disse Soren, non come quella relativa alla Casa o ai genitori. Forse era veramente un’orfana, come aveva ipotizzato prima dell’arrivo di Isabel, e parlare di suo padre e sua madre la faceva star male.
«Astronomia», mormorò la ragazzina con un filo di voce, senza guardarli.
Però, almeno aveva risposto e a Soren quello bastava.
Forse, era solo timida e non era mai stata abituata a stare insieme ad altri bambini, proprio com’era stato lui un tempo.





Hogwarts, 1° settembre 2000


Medea Koesel non riusciva a prendere sonno nel nuovo dormitorio, ma, in fondo, non era mai riuscita a dormire bene nemmeno nell’orfanotrofio nei pressi di York, anche se lì aveva una camera solo per lei.
Le sue nuove compagne di Casa dovevano essersi addormentate da un pezzo, ma erano sorridenti, esattamente come Soren, il ragazzino che aveva incontrato in treno e che era diventato un Corvonero, proprio come lei.
Erano buoni e lei non lo era.
Aveva capito, durante la cena, che Soren voleva diventare suo amico, che era forse preoccupato per lei, ma lei non poteva avere amici.
Non voleva avere amici.
Si rigirò nel letto.
Non poté impedirsi di rabbrividire.
Aveva paura di quello che sarebbe accaduto il giorno dopo.
Era terrorizzata all’idea di poter fare del male agli altri ragazzi e, anche se non avesse nutrito quel terrore, sarebbe stata, comunque, impaurita da quello che avrebbero fatto o detto all’orfanotrofio. Aveva visto Rachel osservarla con attenzione ed era certa che avrebbe riferito ogni sua mossa alla Direttrice.



Edited by Alaide - 13/5/2023, 15:07
view post Posted: 1/3/2023, 22:53 Un'Opera per Severus - Severus e la musica
CITAZIONE (chiara53 @ 1/3/2023, 18:49) 
Chissà che duetti ci squaderni: ho l'acquolina in bocca...

Su questo punto occorre decidere insieme.

CITAZIONE
Grande idea, altrimenti Alagna che lo paghiamo a fare??

Esatto!

CITAZIONE
Si potrebbe soprassedere al pensatoio e amen

Però verrebbe fuori un bel duetto tra JDF e JK. Si potrebbe anche fare un'aria di JDF che vede il ricordo e lo commenta e poi duetto tra i due.

CITAZIONE
Il voto sicuramente è un duetto tra Severus e Narcissa senza Bellatrix, mi piace l'idea!

Logica operistica vorrebbe Lucius al posto di Narcissa (per non presentare nuovi personaggi che sbucano dal nulla), però abbiamo veramente pochissime voci femminili, quindi Narcissa ci sta --> possiamo sempre presentarla a inizio opera con un escamotage.

CITAZIONE
Se per Charity hai in mente un brano particolarmente avvincente... altrimenti non si può levarla di mezzo e amen? Tanto muore alla fine e non ha un grande rilievo.

La sua morte sta molto bene a livello drammaturgico (è anche una buona scena di massa). L'idea di presentare il personaggio prima era per impattare meglio sul pubblico. Tra l'altro post mortem Charity ci starebbe benissimo un'aria di Severus.

CITAZIONE
Neville uccide il serpente alla fine e forse merita un po' di spazio, fai tu: non ho in mente niente di grandioso per Neville

Neville serve per mostrare come Severus fa di tutto per proteggere gli studenti. Quello che accade fuori dalla Stamberga non viene messo in scena.
2616 replies since 20/3/2009