Partecipando alle sfide dei 15 anni con Severus, ho scritto alcune storie collegate tra loro e, in particolare, una di queste (Whoin?) ha dato il la alla scrittura di questa long (di cui ho già pronti diversi capitoli. Quindi non si verificherà il problema di Winterreise), anche se il centro narrativo è qualcosa che avevo in mente da tempo, ma che non avevo ancora chiaro come sviluppare.
Buona lettura a tutti!
Autore/data: Alaide – gennaio 2023 – in corso
Beta-reader: Chiara53
Tipologia: Long Fic
Rating: Per tutti
Genere: Drammatico, introspettivo
Personaggi: Severus Piton, Minerva McGranitt, Pomona Sprite, Personaggio Originale (più di uno)
Pairing: Severus/Personaggio originale
Epoca: Post settimo anno
Avvertimenti: AU
Riassunto:
Era lo scopo che si era dato: tentare di aiutare veramente i ragazzi, come non gli era mai stato possibile prima. Era qualcosa che doveva a tutti loro ed era l’unica cosa che poteva fare per non affogare nella consapevolezza di essere sopravvissuto quando altri, più meritevoli, erano morti.Nota 1: Il titolo è tratto dal libretto del
Peter Grimes di Benjamin Britten.
Nota 2: Per quanto non ne sia un diretto seguito e non sia necessario aver letto le altre storie per poter leggere queste, il racconto è legato a
Voci,
Ricordi,
Scelte,
Années de pèlerinage,
Whoin?.
Nota 3: Prima della pubblicazione del secondo capitolo, inserirò un elenco di personaggi [troverete il link nell'indice] che verrà aggiornato man mano che prosegue la storia e entrano nuovi personaggi.
Ogni tanto verranno inseriti dei capitoli chiamati "interludi" che bloccano lo scorrere cronologico della vicenda per presentare dei flashback estesi.
Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
What harbour shelters peace away from storms?
Indice
Dramatis PersonaeCapitolo I (pubblicato qui sotto)
Capitolo IICapitolo IIICapitolo IVCapitolo VInterludio I
Capitolo VI
Capitolo VII
Capitolo VIII
Interludio II
Capitolo IX
***
Capitolo I
Hogwarts, 30 agosto 2000
I corridoi erano silenziosi, come sempre accadeva prima dell’inizio dell’anno scolastico, ma Minerva quasi non badò a quella tranquillità. Camminava decisa verso la sua meta, cercando di non pensare al fatto che il Ministero e il Consiglio della scuola avevano nominato, poche settimane dopo la fine della guerra, un incompetente come Preside, soprattutto quando la scuola già ne aveva uno. Eppure, sapeva che quella situazione non sarebbe cambiata nei prossimi giorni, né men che meno nei prossimi mesi. Ricordava ancora la conversazione che aveva avuto con Severus poco più di due anni prima, sulla Torre di Astronomia. Era stato un dialogo decisamente teso all’inizio e colmo di verità che la donna faticava ad accettare anche in quel momento.
Trasse un sospiro, quando si fermò davanti ad una porta dall’aria fin troppo modesta, a cui bussò. Non dovette nemmeno attendere troppo, prima che la porta si aprisse, rivelando l’ufficio, piccolo e angusto, che era stato assegnato a Severus in qualità di Capocasa di Serpeverde. Avrebbero dovuto restituirgli i suoi vecchi quartieri, ma il Preside aveva affermato che, secondo il regolamento della scuola, un adulto che non ricopriva nessuna cattedra non aveva diritto ad alloggi simili a quelli di un insegnante.
Forse, quel codicillo era veramente presente in qualche vecchio foglio ingiallito, ma Minerva era certa che Severus fosse il primo Capocasa a non elargire alcun insegnamento nella storia di Hogwarts.
«Ti stavo aspettando», le disse l’uomo, distogliendola dalle sue riflessioni.
La guidò verso la porta che immetteva nelle sue stanze e le sembrò che i libri sugli scaffali fossero aumentati dall’ultima volta in cui gli aveva fatto visita, soltanto due giorni prima. A volte aveva l’impressione che il collega più giovane stesse tentando di costituire una raccolta piuttosto impressionante di libri. Non che la cosa la stupisse, considerando che Severus stava, con ogni probabilità, sostituendo quelli che aveva perso quando la sua abitazione era stata incendiata pochi giorni dopo la fine della guerra.
«Quest’anno hanno tutti risposto affermativamente alla lettera della scuola», annunciò, osservando il volto fin troppo magro di Severus. «Il Preside è particolarmente orgoglioso della cosa, come se fosse merito suo.»
La donna aveva appena dovuto sorbirsi l’ennesimo discorso privo di senso dell’uomo che il Ministero e il Consiglio della scuola avevano scelto due anni prima per guidare Hogwarts. Aveva personalmente protestato con i membri dell’Ordine che avevano raggiunto le cariche politiche più importanti, ma tutti le avevano detto che quella era la scelta migliore e più saggia, per quanto Minerva fosse certa che volessero unicamente apparire rassicuranti davanti all’opinione pubblica, cercando di far letteralmente sparire qualsiasi traccia della guerra.
«E chi ti dice che non sia merito suo?»
«Non lo credi nemmeno tu, Severus», ribatté la donna, mentre si sedeva su una poltrona. Gli alloggi privati del collega più giovane le piacevano per quanto il Capocasa di Serpeverde si fosse lamentato della loro grandezza, sprecata per un uomo solo. Effettivamente erano presenti tre camere da letto – ma una era diventata fin da subito un laboratorio di pozioni – il che faceva presupporre che quelle stanze fossero state pensate per un insegnante che viveva a Hogwarts con la sua famiglia. O, forse, considerando l’esiguità dell’ufficio, era stata riservata a degli ospiti della scuola. «Quel Thwaite non ha nessuna idea di come si diriga una scuola, cosa che non mi stupisce considerando che era uno studente completamente inetto e Tassorosso per di più.»
«Sono certo che Pomona sarebbe felicissima di sentirti parlare in questo modo.»
«Nemmeno lei lo ha in simpatia, se per questo. L’ho sentita chiaramente dire che è una disgrazia per la sua Casa», affermò Minerva, voltandosi verso Severus che aveva posato teiera e tazze sul tavolino. Non aveva ancora capito perché l’uomo si ostinasse a preparare e servire la bevanda alla maniera Babbana, ma si procurava sempre dei tè di qualità, aromatizzati con spezie particolari. «Forse, Severus, è giunto il momento perché tu…»
«Ne abbiamo già parlato, Minerva», la interruppe bruscamente il mago, cercando di non badare al pulsare sordo della ferita al collo. «Sai anche tu, come so io che nessuno accetterebbe di buon grado la tua idea.»
«Non è soltanto una mia idea, ma quella della scuola stessa. Sei perfettamente cosciente che anche quest’anno il Preside non è riuscito a entrare nelle stanze della presidenza. Hogwarts continua a considerarti la sua unica guida.»
Severus non commentò le parole di Minerva, preferendo bere un sorso di tè. Era una discussione ormai ciclica, che la strega riproponeva da quando avevano parlato per la prima volta dopo la fine della guerra.
A quel tempo, era stato molto più brusco con lei.
Ma, allora, non avevano ancora iniziato a ricostruire realmente il loro rapporto. In quel momento, invece, l’amicizia che aveva creduto di aver perso per sempre dopo aver ucciso Albus si era ricomposta o, forse, si era manifestata in maniera totalmente diversa. Minerva, a volte, era stranamente materna con lui.
«Severus, so che non ti piace parlarne, ma, forse, dovresti riconsiderare la questione. Sono certa che alcuni dei ragazzi che hai aiutato gli anni scorsi abbiano parlato di te a casa e se lo hanno fatto… forse, i tempi sono maturi.»
L’uomo scosse il capo alle parole accorate della donna, chiedendosi come avrebbe fatto a cercare gli studenti più bisognosi di aiuto, dopo che, durante l’estate, Mrs Purr era morta. Nei due anni precedenti, infatti, la gatta aveva ripreso a pattugliare i corridoi, in cerca non più di ragazzi che infrangevano il coprifuoco, ma di studenti in difficoltà, di vittime della guerra che stavano soffrendo più di altre.
Era lo scopo che le aveva dato dopo che la gatta aveva deciso di seguirlo ovunque.
Era lo scopo che si era dato: tentare di aiutare veramente i ragazzi, come non gli era mai stato possibile prima. Era qualcosa che doveva a tutti loro ed era l’unica cosa che poteva fare per non affogare nella consapevolezza di essere sopravvissuto quando altri, più meritevoli, erano morti.
Forse, era riuscito ad aiutare quei pochi che, appartenenti o meno alla sua Casa, avevano bussato alla porta delle sue stanze, ma altri non avevano nemmeno voluto parlare con lui.
E non se ne stupiva affatto.
Il tempo trascorso da quel giorno di giugno, in cui Minerva gli aveva detto per la prima volta che la scuola lo considerava ancora il Preside, non aveva modificato la realtà dei fatti.
Quelle rare volte in cui si trovava a dover andare a Diagon Alley o in qualche altro luogo magico della Gran Bretagna, aveva notato lo sguardo sospettoso delle persone e aveva sentito i mormorii. Nessuno gli aveva più sputato addosso, com’era accaduto nei mesi immediatamente successivi alla fine della guerra, ma ciclicamente la Gazzetta del Profeta pubblicava un articolo in cui ci si chiedeva per quale motivo un Mangiamorte assolto malamente vagasse ancora tra le mura di Hogwarts e altrettanto ciclicamente un gruppo di Auror faceva irruzione nelle sue stanze per cercare manufatti e pozioni oscure.
«Severus…»
«Sai che ho ragione, Minerva», la interruppe. «Il Ministero non ha avvallato la soppressione della mia Casa, soltanto per motivi puramente storici e, forse, perché spera che il Cappello Parlante smetta di smistarvi alunni, ma l’opinione pubblica non ne è stata particolarmente felice e i primi a spingere per porre fine a Serpeverde sono stati proprio coloro che ne hanno fatto parte, in passato. Non mi stupisco nemmeno di questo. Si tratta soltanto di un modo di preservarsi, di far dimenticare a vicini e amici quella macchia, nonostante queste persone non abbiano avuto nulla a che fare con l’Oscuro Signore, così come ci sono studenti di Serpeverde che non hanno nemmeno un parente che è stato un Mangiamorte o un simpatizzante di quella causa malata. Il Mondo Magico è in cerca di un capro espiatorio, di un modo per avere la coscienza tranquilla, senza più realmente pensare a quello che è accaduto. So, Minerva, che tu credi realmente in quello che dici, che pensi veramente che se io salissi i gradini che portano fino allo studio che ho usurpato un tempo, la scuola sarebbe gestita meglio. Ma anche se così fosse, ritieni veramente che, tra tutti i Serpeverde, il Mondo Magico accetterebbe proprio me come guida di Hogwarts?»
Minerva notò che la voce di Severus non era nemmeno tagliente, ma unicamente sconfitta. D’altronde, gli anni precedenti erano stati particolarmente difficili ed era certa che quello che sarebbe cominciato tra due giorni non sarebbe stato da meno.
Ricordava ancora quanto fosse ristretto il numero di Serpeverde durante l’anno scolastico 1998-1999. Anche le altre Case erano più striminzite del solito, ma quella di Severus era ben più ridotta. Molti dei ragazzi più grandi, che erano sopravvissuti alla Battaglia di Hogwarts, non erano tornati a scuola. Sapeva che alcuni erano andati a studiare all’estero o avevano, col tempo, sostenuto gli esami da privatisti. Soltanto due erano stati i nuovi smistati e l’anno scolastico successivo non era stato di certo migliore: con l’uscita dell’ultimo anno e l’ingresso di quattro nuovi primi anni, il numero di Serpeverde era ulteriormente diminuito.
Sapeva che Severus aveva parlato con ogni nuovo entrato entrambi gli anni e che aveva fatto il possibile per aiutare i più grandi, soprattutto in considerazione del modo in cui gli appartenenti delle altre Case parevano voler emarginare chiunque indossasse le insegne verde-argento.
Ed era anche cosciente che l’uomo aveva usato Mrs Purr per scovare i ragazzi più in difficoltà in modo tale da offrire loro un aiuto in maniera diretta – raramente, considerando che molti diffidavano di lui – o indiretta.
Ma la gatta era morta quell’estate e Minerva si era ripromessa di fare il possibile per essere utile al collega in quella nuova missione solitaria che si era attribuito. Aveva provato a fare la sua parte, gli anni precedenti, ma si sentiva troppo vecchia per quello. O, forse, non conosceva la sofferenza tanto quanto il mago che le stava di fronte, intento a sorseggiare il suo tè.
«Quanti orfani di guerra ci sono quest’anno?»
La voce di Severus la riscosse bruscamente da quei pensieri e Minerva avrebbe voluto dirgli che il Preside scelto da Ministero e Consiglio non le aveva posto quella domanda, ma era cosciente che le parole che l’uomo aveva pronunciato pochi istanti prima erano purtroppo fin troppo veritiere. Aveva dovuto litigare personalmente con la nuova professoressa di Incantesimi, nominata l’anno prima, dopo che Filius aveva deciso di abbandonare l’insegnamento, per difendere il mago. Era come se a nessuno importasse di quanto Severus aveva sofferto per permettere a tutti loro di essere liberi.
«C’è un ragazzino, Soren Hardwick che è orfano di padre. Immagino tu ne abbia sentito parlare.»
Severus annuì soltanto. La Gazzetta del Profeta, nei mesi successivi alla guerra aveva dedicato alcune pagine giornaliere agli eroi comuni e, tra questi, c’era anche Simon Hardwick, un ex Tassorosso, impiegato nell’anagrafe magica che era stato ucciso, poco dopo la caduta del Ministero, perché aveva tentato di distruggere alcuni documenti che indicavano i nomi di una manciata di Nati Babbani.
«Altri?»
«Ne ho contati sei. Di questi quattro vivono negli orfanotrofi, mentre gli altri due sono stati affidati a dei parenti.»
Quell’anno il numero di orfani di guerra era più elevato rispetto ai due precedenti e quello era un pensiero che gli faceva salire la bile in gola. Quanti di quei bambini aveva privato dei genitori? Quanti avrebbe potuto sottrarre a quel destino se i piani di Albus fossero stati diversi?
«Dei bambini in orfanotrofio, non so molto se non i loro nomi. Quello che mi preoccupa di più è Decius Mulciber. Temo che possa ripetersi quel che è accaduto con Antigone Avery l’anno scorso.»
Minerva ricordava perfettamente quella bambina dal volto preoccupato e triste. L’aveva notata subito quando aveva chiamato i nomi per lo Smistamento: una ragazzina bionda con lo sguardo perso. Almeno il Cappello l’aveva piazzata a Tassorosso, ma i primi mesi erano stati difficili. Alcuni ragazzi l’avevano presa di mira, ma, almeno, un gruppo di suoi compagni di Casa era stato ospitale e, nell’ultimo periodo, gli altri, anche quelli più ostili, avevano iniziato ad ignorarla.
«Avrebbero dovuto cambiare loro il cognome», commentò Severus. «Laius Avery si lamentava spesso della figlia. Diceva che non era ancora riuscita a capire come andassero le cose. L’avevo incontrata, in due occasioni, prima dell’anno scorso, ed era terrorizzata dai suoi genitori. Decius Mulciber è stato allontanato da casa dalla nonna materna, dopo la morte della madre e sono certo che la donna non l’abbia cresciuto nell’idolatria dell’Oscuro Signore. È stata assassinata dal genero pochi giorni prima della fine della guerra.»
«Il Ministero avrebbe dovuto lavorare per dare in adozione quei bambini», commentò Minerva. «Invece, hanno preferito riempire gli orfanotrofi. Nessuno dei ragazzini entrati a scuola a partire da due anni fa ha trovato una famiglia adottiva.»
«Non credo che interessi», affermò Severus, versandosi nuovamente del tè. «Sulla Gazzetta del Profeta non si parla più della guerra e non si sta facendo nulla per ricordare quello che è accaduto», non disse che le poche volte che si parlava dei fatti di pochi anni prima era per esprimere lo scandalo circa la sua mancata condanna. «Credevo che si decidessero a porre una stele qui a scuola per onorare i ragazzi caduti vittime della battaglia, ma nessuno ne ha mai fatto cenno. Tutto è stato ricostruito senza lasciare un solo segno. Non so cosa sperino di ottenere, ma rischiano di creare linfa vitale per il primo mago con manie di grandezze che nascerà in Inghilterra e non occupandosi di quei bambini orfani, come dovrebbero fare, stanno soltanto aumentando il rischio che ciò avvenga. Antigone ha rifiutato di parlare con me e so che Pomona ha avuto difficoltà a farlo, ma mi ha detto che la ragazzina sembra essere colma di rabbia repressa.»
Non disse che rivedeva in quei bambini dallo sguardo terrorizzato e perso sé stesso. Anche lui, da piccolo, era stato colmo di paura e, poi, di rabbia e, guidato da quei sentimenti e da una malriposta sete di rivalsa, era caduto fin troppo facilmente nel baratro offerto dal Marchio Nero. Aveva cercato un gruppo a cui appartenere e, sapendo perfettamente a cosa sarebbe andato incontro, aveva segnato la sua condanna. Era stato cosciente che avrebbe dovuto torturare e uccidere se avesse accettato di servire l’Oscuro Signore, ma lo aveva fatto con gioia perché aveva creduto di trovare lì le risposte alla paura e alla rabbia che ancora, a diciott’anni, lo attraversavano.
«Severus…»
«Gli orfanotrofi hanno inviato delle note su questi bambini?»
Minerva osservò il volto pallido e scarno del mago. Sapeva che l’aveva interrotta prima che potesse tentare di scusarsi per la sua cecità. Durante quei due anni aveva riflettuto a lungo sulle ragioni che avevano portato un ragazzo brillante come Severus a diventare Mangiamorte e si era chiesta se parte della responsabilità non fosse da imputare al modo in cui la scuola aveva chiuso più di un occhio di fronte alle azioni di James e Sirius. Aveva cercato di parlarne con il collega, ma il mago era stato categorico nel dirle che non aveva bisogno che lei cercasse delle scusanti per le sue azioni. Eppure, a Minerva sembrava di aver fallito come insegnante con Severus e di non aver fatto abbastanza per altri ragazzi, anche della sua Casa, che era stati attratti da Tu-Sai-Chi.
«Poche righe, tutte inerenti al loro andamento scolastico, ma nessuna che ci possa dire qualcosa sui traumi che hanno vissuto.»
Severus bevve un sorso di tè, ormai tiepido, chiedendosi se il Mondo Magico sarebbe mai stato realmente abbastanza maturo da occuparsi della salute psicologica dei suoi membri. Gli orfani dell’anno precedente avevano tutti gli occhi vuoti e terrorizzati, ma nessuno – nemmeno lui, per quanto avesse provato ad aiutare l’unico di loro smistato a Serpeverde – aveva fatto realmente qualcosa di utile per loro.
Erano degli innocenti che avevano subito più di tutti quella maledetta guerra, ma il Ministero e l’intero Mondo Magico sembrava averli dimenticati relegandoli nei due orfanotrofi che si trovavano nel Regno Unito, nascondendoli, quasi.
Severus non era nemmeno certo di essere la persona migliore per aiutare quei bambini, ma non sarebbe mai riuscito ad andare avanti, in quella vita che si era ritrovato inaspettatamente a vivere, se avesse deciso di abbandonarli al loro destino.
Espresso per Hogwarts, 1° settembre 2000
Soren Hardwick salutò un’ultima volta la mamma, prima di iniziare a cercare uno scompartimento vuoto o occupato da altri ragazzi che sembrassero del primo anno. Non dovette nemmeno cercare a lungo. In uno c’era soltanto una ragazzina che stava rannicchiata contro il finestrino, quasi volesse scomparire.
Forse era intimidita.
Forse era una Nata Babbana e non sapeva come adattarsi a quel nuovo mondo.
«Posso sedermi?»
La ragazza annuì soltanto, prima di raggomitolarsi, se possibile, ancora di più. Soren si sistemò di fronte a lei, poi guardò fuori dal finestrino e salutò con un gesto della mano la mamma. Sapeva che sarebbe tornata presto ad Aldeburgh e ne conosceva le motivazioni per quanto la donna non gliele avesse mai dette esplicitamente.
Si voltò verso la ragazzina, ma non lo stava guardando.
E non stava nemmeno osservando il viavai fuori sulla banchina. Si chiese se non dovesse chiederle qualcosa, ma la mamma l’aveva avvisato di non essere troppo insistente. Non poteva sapere quanto la guerra avesse toccato la vita dei suoi futuri compagni di scuola.
Forse era un’orfana, si disse, reprimendo a stento un brivido.
Non riusciva ad immaginare una vita senza la mamma, ma sapeva che esistevano suoi coetanei non altrettanto fortunati.
«Sei anche tu al primo anno?» domandò, dopo aver lasciato trascorrere qualche altro minuto di silenzio.
La bambina annuì rigidamente.
Soren incontrò per un istante gli occhi marroni della compagna di scompartimento e notò che erano spaventati, proprio come dovevano essere stati i suoi, un tempo.
«Forse saremo nella stessa Casa», decise di dirle, abbozzando un sorriso, ma la ragazzina sembrò ancora più spaventata. «Mi chiamo Soren.»
«Medea», mormorò l’altra con un filo di voce.
Forse non avrebbe dovuto parlare, si disse, ma il ragazzo era stato solamente cortese e non poteva rifiutare di rispondergli, per quanto avrebbe preferito che tacesse. Erano stati chiari, quando l’avevano accompagnata all’Espresso quella mattina e lei era certa che avessero ragione. Tornò a guardare fuori dal finestrino, chiedendosi se sarebbe riuscita a non far capire agli altri studenti quanto marcio fosse il suo sangue.
Non appena udì la porta dello scompartimento aprirsi, si rannicchiò maggiormente quasi sperasse di non essere vista. Non alzò nemmeno il capo quando una voce femminile chiese se poteva sedersi, né prestò attenzione alle parole degli altri due ragazzi, preferendo guardare fuori dal finestrino, dove il sole illuminava i genitori degli altri.
Lei non aveva più un madre o un padre.
Non aveva più nessuno, se non gli inservienti dell’orfanotrofio e loro avevano unicamente ribadito qualcosa che sapeva già perfettamente da sola.
Rabbrividì, mentre il treno iniziava a mettersi in moto.
«In che casa pensi di essere smistato?»
«Non lo so», disse Soren, rispondendo alla domanda di Isabel, la ragazza dalla carnagione scura che era entrata nello scompartimento poco prima che il treno partisse. Sembrava l’esatto opposto di Medea, sorridente, con i capelli neri raccolti ordinatamente in due folte trecce e gli occhi marroni grandi e luminosi. «Mamma era una Tassorosso, ma mi ha detto di non preoccuparmi, se dovessi finire in un’altra Casa.»
Il ragazzo non aggiunse che sperava di finire in Serpeverde, per quanto credesse di non possedere nessuna delle caratteristiche proprie di quella casa. Aveva letto sulla Gazzetta del Profeta che molti abitanti del Mondo Magico volevano vedere scomparire quella Casa e non aveva idea di come la pensassero in proposito Isabel e Medea.
«Ma non hai nemmeno una preferenza?»
«Ho provato a fare ipotesi, ma non so a quale possa essere più adatto.»
«Nemmeno io, per quanto papà sarebbe felice se capitassi in Tassorosso come lui», affermò Isabel, con un sorriso. «Mamma era una Corvonero e mi ha detto di non dare a retta a papà.»
«E tu, Medea?»
Soren osservò la ragazza sobbalzare, come se quella domanda la terrorizzasse.
«Non lo so», mormorò solamente.
«In che casa erano i tuoi genitori?»
Medea non rispose a quella domanda, preferendo rannicchiarsi ancora di più. Soren si voltò verso Isabel, ma l’altra ragazza pareva incerta, esattamente come era lui. Non riusciva a comprendere cosa spaventasse tanto Medea. Era come se fosse terrorizzata da loro, ma il ragazzo era certo di non avere un aspetto spaventoso e Isabel sembrava una persona tranquilla e sorridente.
Era certo di poter diventare amico di quest’ultima, probabilmente anche se sarebbero stati in due Case diverse, ma voleva provare ad aiutare Medea che sembrava volersi fare ancora più piccola, ogni volta che si sentivano dei passi nel corridoio del treno.
«Non vedo l’ora di iniziare a studiare Trasfigurazione. Mamma me ne ha parlato come di una materia affascinante», affermò Isabel, rompendo il silenzio. «Anche Incantesimi deve essere interessante.»
«Io aspetto con curiosità Pozioni. E Incantesimi, ma credo che anche Erbologia possa essere bella. E tu, Medea?»
Quella era una domanda neutra, si disse Soren, non come quella relativa alla Casa o ai genitori. Forse era veramente un’orfana, come aveva ipotizzato prima dell’arrivo di Isabel, e parlare di suo padre e sua madre la faceva star male.
«Astronomia», mormorò la ragazzina con un filo di voce, senza guardarli.
Però, almeno aveva risposto e a Soren quello bastava.
Forse, era solo timida e non era mai stata abituata a stare insieme ad altri bambini, proprio com’era stato lui un tempo.
Hogwarts, 1° settembre 2000
Medea Koesel non riusciva a prendere sonno nel nuovo dormitorio, ma, in fondo, non era mai riuscita a dormire bene nemmeno nell’orfanotrofio nei pressi di York, anche se lì aveva una camera solo per lei.
Le sue nuove compagne di Casa dovevano essersi addormentate da un pezzo, ma erano sorridenti, esattamente come Soren, il ragazzino che aveva incontrato in treno e che era diventato un Corvonero, proprio come lei.
Erano buoni e lei non lo era.
Aveva capito, durante la cena, che Soren voleva diventare suo amico, che era forse preoccupato per lei, ma lei non poteva avere amici.
Non voleva avere amici.
Si rigirò nel letto.
Non poté impedirsi di rabbrividire.
Aveva paura di quello che sarebbe accaduto il giorno dopo.
Era terrorizzata all’idea di poter fare del male agli altri ragazzi e, anche se non avesse nutrito quel terrore, sarebbe stata, comunque, impaurita da quello che avrebbero fatto o detto all’orfanotrofio. Aveva visto Rachel osservarla con attenzione ed era certa che avrebbe riferito ogni sua mossa alla Direttrice.
Edited by Alaide - 13/5/2023, 15:07