Il Calderone di Severus

Alaide - Voci, Genere: Drammatico - Altro Genere: Introspettivo - Tipologia: One-shot - Rating: per tutti - Avvertimenti: AU - Epoca: Più epoche - Personaggi: Severus Piton, Albus Silente

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view post Posted on 22/3/2022, 22:16
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Autore/data: Alaide – febbraio/marzo 2022
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One-Shot
Rating: Per tutti
Genere: Drammatico, introspettivo
Personaggi: Severus Piton, Albus Silente
Pairing: nessuno
Epoca: Più epoche
Avvertimenti: AU
Riassunto: E da esso sembravano provenire delle voci indistinte.
La ferita pulsava, ma non ci fece caso, mentre cercava di distinguere qualcosa tra quei sussurri.
E gli parve di sentire il suo nome.

Nota: Storia scritta per l’iniziativa 15 anni con Severus. Sfida del mese di marzo. Scuola: Durmstrang. Ruolo: Campione
Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.

Lunghezza: 28.528 caratteri

Voci



La ferita al collo pulsava.
Lo sentiva chiaramente, mentre sedeva sulla sedia dove due Auror lo avevano lasciato da pochi minuti. Non si erano nemmeno peritati di legarlo, ma, d’altronde, dovevano essersene accorti anche loro che non sarebbe riuscito a fare molti passi.
O forse avevano capito perfettamente che non aveva alcuna volontà di fuggire.
Non sapeva nemmeno perché lo avessero confinato lì dentro.
O meglio, gli avevano dato una spiegazione, quando lo avevano trasferito dal San Mungo, dove si era svegliato alcuni giorni prima dal breve coma dovuto al morso di Nagini. Aveva sentito vagamente, mentre lo facevano alzare dal letto, qualcuno che protestava in suo nome.
Ma non gli era importato.
Aveva ascoltato gli Auror spiegargli che non avevano spazio per tutti coloro che dovevano processare, che non li avrebbero trasferiti ad Azkaban se non dopo la fine processo, che avevano dovuto addirittura chiedere agli Indicibili di utilizzare alcune stanze dell’Ufficio Misteri.
Poi lo avevano lasciato lì.
Poteva muoversi per la stanza, tentare di risalire i gradini da cui lo avevano fatto scendere a forza poco prima, andare fino al letto che avevano posizionato, come la sedia, proprio sotto ad una piattaforma di pietra.
Ma le sue forze erano poche e scarse e non aveva alcuna intenzione di inerpicarsi sulla piattaforma, né men che meno di risalire quella specie di anfiteatro che la circondava.
Al San Mungo gli avevano detto che il suo corpo aveva risposto rapidamente alle cure, che era bastata poco più di una settimana perché riprendesse i sensi.
Non potevano fare nulla di più, gli avevano comunicato, senza troppi giri di parole, qualche giorno dopo il suo risveglio, prima che gli Auror lo venissero a prendere.
La ferita pulsava di un dolore sordo e costante.
Non si sarebbe mai rimarginata del tutto, lo avevano informato, senza fornire molte spiegazioni, per quanto non sarebbe stata nemmeno mortale [1].
Forse anche in quel momento, sotto le bende, stava sanguinando leggermente.
Ma non gli importava, non in quel momento, mentre sedeva solo, sotto la piattaforma, nella vasta stanza illuminata fiocamente. Guardò per qualche breve istante verso l’alto e vide, per quanto di sghembo, un arco di pietra, che appariva bisognoso di un restauro, con un velo nero che pareva chiuderlo malamente.
Ne aveva sentito parlare da Silente, l’anno in cui Potter era caduto nella trappola ordita dall’Oscuro Signore e sapeva che Black era caduto oltre il velo e che era morto.
Si mosse sulla sedia, cercando di osservare meglio quel manufatto, ma da dove si trovava non riusciva a vedere l’arco nella sua interezza. Il velo era però ben più visibile e pareva ondeggiare appena mosso da un’aria invisibile.
E da esso sembravano provenire delle voci indistinte.
La ferita pulsava, ma non ci fece caso, mentre cercava di distinguere qualcosa tra quei sussurri.
E gli parve di sentire il suo nome.
Con ogni probabilità era unicamente un’illusione, uno scherzo giocato dalla mente e da quel posto spettrale, lugubre e nero come la morte che era stato certo di incontrare dopo che Nagini l’aveva morso.
Chiuse per un istante gli occhi, mentre le voci continuavano a sussurrare e quei sussurri gli parvero improvvisamente molto simili a quelli che aveva sentito un tempo a scuola, quando era ancora un ragazzo, quando stava già cadendo nel precipizio oscuro che l’avrebbe portato a credersi potente per poi scoprirsi null’altro che uno schiavo dell’Oscuro Signore.

Era il crepuscolo, quando raggiunse le serre.
Non sapeva nemmeno perché fosse arrivato fin lì, perché non fosse tornato nella sala comune di Serpeverde.
Forse voleva unicamente stare lontano dal mormorio della scuola.
Era soltanto il cinque settembre e già gli sembrava che fossero trascorsi anni. Lily non lo aveva degnato di uno sguardo, né sull’Espresso, né a scuola. Non l’aveva nemmeno fissato con odio, né con disprezzo. Era come sei lui non esistesse.
Aveva sperato che avesse saputo della morte di sua madre, che questo la portasse almeno a rivolgergli una parola.
Ma nulla.
Se non un’indifferenza che era più crudele dell’odio.
Le serre erano silenziose al crepuscolo e questo le rendeva degli edifici confortevoli, un ottimo rifugio, in mezzo alle piante curate dalla Professoressa Sprite, in mezzo a quelle piante che sarebbero diventate degli ottimi ingredienti per qualsiasi pozione.
Aveva portato con sé il libro di Pozioni appartenuto a sua madre. Forse pensava di osservare una di quelle piante, sempre che fosse riuscito ad entrare in una di quelle serre. O forse l’aveva portato con sé come una specie di strana abitudine.
Una delle serre era illuminata e da dove si trovava riusciva a vedere oltre il vetro la sagoma della Professoressa Sprite e del Preside.
Si allontanò di qualche passo, sperando di non essere stato notato. Non sapeva nemmeno perché sentisse l’esigenza di allontanarsi. Non era ancora l’ora del coprifuoco e nulla gli vietava di trovarsi in quel luogo preciso, ma si sentiva intimidito, pauroso, quasi, di essere notato. Forse non voleva vedere gli occhi azzurri del Preside, forse non voleva che lo vedessero con quel libro di seconda mano tra le braccia.
Eppure, non fece nemmeno due passi, prima di fermarsi di colpo. Gli sembrò di essere osservato. Portò lo sguardo oltre il vetro della serra, ma il Preside e la Professoressa Sprite stavano ancora confabulando tra loro e nessuno dei due aveva voltato la testa.
Si guardò allora intorno e vide due occhi bianchi, privi di pupille, fissarlo. O forse non stavano nemmeno fissando lui, ma la luce fioca del crepuscolo.
Si girò del tutto verso quegli occhi e fece un mezzo passo indietro, mentre cercava di mettere meglio a fuoco quella sagoma scheletrica.
Aveva visto l’illustrazione di un Thestral su un libro, ma non aveva pensato di vederne uno, anche se avrebbe potuto immaginare che potesse accadere, considerando che aveva visto la malattia portarsi via sua madre. L’aveva trovata lui, morta, nel letto che Eileen condivideva con Tobias, fredda e pallida, ben più fredda e pallida di quanto non fosse mai stata prima.
Lo sguardo privo di pupille dell’animale lo rendeva inquieto, per quanto non provasse timore. Era uno sguardo di certo più neutro di quelli che incontrava a scuola e l’animale era, quanto meno, silenzioso.
Forse gli ispirava una certa inquietudine dovuta alla certezza che aveva già visto la morte, ma era un’inquietudine ben diversa da quella che provava abitualmente, in mezzo al continuo mormorio che attraversava la scuola e da cui si sentiva completamente lontano.


Ed i sussurri, provenienti dal velo, possedevano la voce della morte.
Severus si alzò lentamente dalla sedia e provò ad allontanarsi dalla piattaforma e da quel velo nero pieno dei mormorii che lo avevano portato con la memoria a quei momenti lontani che, per anni, aveva quasi dimenticato.
Era malfermo sulle gambe, ma se lo aspettava dopo tanto tempo trascorso in un letto, per lo più incosciente. Sperava unicamente che si sbrigassero, che il suo processo si svolgesse quanto prima e che poi lo gettassero nella cella di Azkaban a cui sarebbe appartenuto.
Non si aspettava nulla di diverso.
Non si era nemmeno aspettato di vivere, se per questo. Al contrario, era sempre stato consapevole che le spie non sopravvivono alle guerre a cui partecipano. Invece era sopravvissuto. E non sapeva cosa farsene della vita in cui si ritrovava ad esistere.
Si trovava, in quel momento, dritto di fronte al velo che ondeggiava appena al di sopra della piattaforma, con la ferita al collo che pulsava e che sanguinava appena, forse.
Continuava a sentire i mormorii e gli parve, per un istante, che fossero quanto mai invitanti.
Forse poteva seguire quelle voci.
Forse poteva farla finita, salire sulla piattaforma ed incontrare la morte che l’avrebbe aspettato oltre il velo.
Il bruciore della ferita sarebbe scomparso, allora.
L’insopportabile consapevolezza di essere sopravvissuto, quando tanti altri, migliori di lui, erano morti, sarebbe scomparsa per sempre.
Fece un passo in avanti, ma si fermò di colpo, prima ancora di provare a montare sulla piattaforma di pietra.
Gli parve, per un istante, che una delle voci prendesse forma e che gli fosse possibile distinguere alcune parole. Era come se si sentisse dire cosa stai facendo?
Erano parole così simili ad altre pronunciate anni prima nella serra quattro di Hogwarts, quando era più giovane, quando la sua anima era già macchiata dalle scelte sbagliate e dal sangue versato.

«Cosa stai facendo?»
Il giovane uomo tentò di non mostrare che il Preside l’aveva colto di sorpresa.
Era notte fonda e non si aspettava che qualcuno si recasse nelle serre, dove si era rifugiato per fuggire ai suoi incubi, per metterli a tacere in mezzo agli odori, a volte pungenti, a volte dolci, delle piante presenti in quella particolare serra.
«La Professoressa Sprite mi ha detto che posso venire in qualsiasi momento nel caso mi occorrano degli ingredienti.»
Nel parlare si era voltato verso Silente. L’uomo lo stava osservando con attenzione, come se stesse valutando cosa fare di preciso di lui, come se si stesse chiedendo se, quando fosse giunta l’ora, avrebbe fatto veramente quello che aveva promesso il giorno in cui Lily era morta.
Silente non commentò le sue parole, ma a Severus pareva chiaro che non si fidasse di lui.
Ed era forse anche naturale che non lo facesse.
E non importava se Severus fosse certo che non avrebbe più ascoltato il richiamo velenoso dell’oscurità. Quello era ciò che lui sapeva con certezza, ma ciò di cui il Preside non poteva ancora essere del tutto certo.
E lui voleva che l’uomo arrivasse a fidarsi di lui, che arrivasse persino a stimarlo, che arrivasse, forse, con il tempo a considerarlo un amico o financo un figlio.


Non ricordava altro di quella notte, se non quel desiderio di trovare nel vecchio Preside una figura paterna, quella figura paterna che non aveva mai conosciuto in vita sua.
E, forse, anche in quel momento, anche se Albus era morto, anche se doveva portare il peso di quella morte sulla coscienza già carica di altre morti e di altre colpe, gli sembrava di voler cercare l’approvazione paterna.
Era un pensiero sciocco, lo sapeva, ma che gli diede la forza di non cedere alla tentazione della facile fuga.
Avrebbe sopportato la vita che si dipanava davanti a lui, in qualsiasi direzione lo avesse portato.
Ma non avrebbe scelto il suicidio. Anche se, in altre occasioni, ne fosse stato tentato, avrebbe resistito al suo richiamo. Forse, se non fosse stato certo del suo destino di futuro galeotto, avrebbe potuto immaginarsi intanto a portare avanti delle ricerche per capire se fosse possibile trovare un unguento, forse contenente erbe d’Arabia [2], che permettesse alla ferita di rimarginarsi.
Ma – e non si faceva illusioni in proposito – sarebbe finito ad Azkaban.
Non importava nemmeno quel che Potter avrebbe potuto dire davanti al Wizengamot – sperava almeno che non mostrasse al mondo i suoi ricordi, ma non aveva alcun controllo su quello che il ragazzo avrebbe potuto fare o non fare –, rimaneva il fatto che egli aveva commesso innumerevoli ed imperdonabili delitti.
Ed era certo che il Wizengamot avrebbe voluto che lui pagasse.
Alla fine di una guerra nessuno avrebbe avuto parole di assoluzione per una spia, che era diventata tale non perché il piano era stato fin dall’inizio quello di infiltrare qualcuno tra i nemici, ma perché era stata, un tempo, uno di questi.
Il Marchio Nero era stato inciso sul suo avambraccio perché aveva desiderato diventare un Mangiamorte in cerca di un riconoscimento che era stato sommerso dal sangue che aveva versato.
E Albus aveva sempre saputo quella verità.
L’aveva avuta sicuramente ben chiara quella volta quando lo aveva scrutato nella serra, a poco meno di un anno dalla morte di Lily.
E l’aveva avuta ben chiara in altre occasioni.
Forse, durante ogni singola parola che si erano scambiati.
I sussurri provenienti dal velo si erano quasi assopiti, in quel momento, mentre si sedeva sul letto che era stato posizionato poco distante da lui, sotto la piattaforma su cui si ergeva l’arco di pietra.
Il materasso era duro, non molto dissimile da quello su cui aveva dormito da bambino a Spinner’s End, quando aveva dato il nome di padre a Tobias.
Quello di Hogwarts era ben più confortevole. E quando era stato un insegnante aveva iniziato a pensare ad Albus come ad una sorta di padre.
Come era accaduto quella notte, poco prima che l’Oscuro Signore tornasse, quando il Marchio Nero diventava sempre più scuro, sempre più attivo.

Era notte e la serra era silenziosa. Le piante magiche parevano dormire tranquille nei loro vasi, perfettamente curate da Pomona. Ma lui non dormiva.
Al di fuori una sagoma si muoveva, scheletrica e nera, come il cielo privo di stelle e di luna.
Non l’aveva notata subito, quando aveva raggiunto quel luogo solitario, in cui, a volte, quando gli incubi diventavano troppo duri da sopportare, era solito rifugiarsi.
Non sapeva nemmeno come avesse fatto a notarla, nera com’era contro le sagome nere della notte.
Non era la prima volta che vedeva un Thestral e non sarebbe stata l’ultima.
L’animale lo stava fissando, o almeno così gli sembrava facessero i suoi occhi bianchi. Alcuni lo avrebbero detto un presagio di morte.
Ma per lui era unicamente il simbolo di ciò che era diventato per sua libera scelta.
Il primo lo aveva visto dopo la morte di sua madre e lo aveva reso inquieto.
Poi, ogni anno, da che era diventato insegnante ne aveva visto uno. E non era più la prima morte che aveva sperimentato a venirgli in mente, ma quelle di coloro che aveva ucciso.
E non mancava molto al momento in cui avrebbe rivisto altre persone morire, in cui avrebbe incontrato altre morti.
E anche le piante di quella serra, normalmente portatrici di profumi a volte discordanti, ma comunque sia, gradevoli, sembravano esalare l’odore nauseabondo della morte.
«Sei qui, Severus.»
L’uomo si voltò verso Albus. Aveva sentito aprire la porta della serra. Il Preside illuminò l’ambiente con la punta della sua bacchetta e, quella luce improvvisa dovette spaventare il Thestral che volò via verso la Foresta Proibita.
«Il Marchio è ancora più pronunciato oggi.»
Il Preside non disse nulla per diverso tempo. O, forse, non ce n’era bisogno. Entrambi sapevano cosa volesse dire quel fatto, lo sapevano da molti mesi ormai.
E Severus sapeva ciò che lui avrebbe dovuto fare, ciò che avrebbe dovuto dire all’Oscuro Signore e ciò che quei fatti avrebbero significato per la sua anima.
Si era preparato per anni all’ineluttabile ritorno dell’Oscuro Signore. Eppure, non era riuscito ad impedirsi, a volte, di sperare che Albus avesse sempre avuto torto. Aveva nutrito per qualche piccolo e breve istante l’inutile e sciocca speranza che l’Oscuro Signore se ne fosse veramente andato. Ma erano momenti brevi che svanivano subito e che, da mesi, erano stati resi completamente vani.
«Quando sarà il momento, farò quello che devo.»
Non aveva bisogno di dirlo, ma sentiva il desiderio di capire se il Preside fosse giunto a fidarsi di lui, a considerarlo, forse, un figlio quanto lui lo considerava un padre.
«Di questo non dubito affatto, Severus.»


Ma lui aveva dubitato di sé stesso.
Non della sua volontà di combattere contro l’Oscuro Signore, ma delle sue capacità di riuscire a fare il lavoro che Silente si aspettava da lui. Aveva, in quegli anni di attesa, temuto di deludere l’uomo che aveva voluto vedere come un padre.
Invece, era stato fin troppo capace di fare quello che Albus voleva.
Lo aveva servito con lealtà, fino a spezzare ulteriormente la sua anima già lacerata dalle troppe colpe commesse.
Voltò il capo verso l’arco di pietra, verso i mormorii che sembravano ripetere la parola parricida, in una specie di cantilena inquietante.
Non sapeva nemmeno più se quelle voci fossero un frutto della sua immaginazione o se fossero reali.
Non sapeva nemmeno più quanto tempo fosse passato da quando lo avevano condotto lì dentro.
Per quel che ne sapeva potevano essere trascorsi alcuni minuti oppure delle ore o, financo, dei giorni.
Forse si trattava unicamente di una forma molto creativa di tortura.
Un modo per sostituire i Dissennatori che, gli avevano detto, non sarebbero più stati ad Azkaban.
Sentire – o credere di sentire – quei sussurri che parevano incrementare unicamente le sue colpe, era soltanto un modo diverso per accrescere la disperazione di un uomo.
Si spostò leggermente sul letto, cercando di ignorare il continuo pulsare alla ferita e il mormorio proveniente dal velo, ma non riuscì ad impedirsi di guardarlo.
Il velo si muoveva. Lo poteva vedere anche da dove si trovava.
Gli sembrava quasi di vedere le ali scarnificate di un Thestral.

Il Thestral lo osservava quasi con dolcezza, quando si avvicinò alla serra nelle ore del crepuscolo. Ma forse anche quel silenzioso animale, da tanti ritenuti un presagio funesto, l’avrebbe rifuggito dopo che avrebbe fatto ciò che doveva.
O forse il Thestral era soltanto una personificazione della morte, la nera raffigurazione delle sue colpe passate e delle sue colpe future.
Aprì la porta della serra.
Un tempo quel luogo gli aveva dato una parvenza di calma, con i suoi profumi, con i suoi colori, con la consapevolezza che vi avrebbe trovato molti degli ingredienti di cui aveva bisogno nei rari momenti liberi in cui riusciva a sperimentare.
Ma in quel momento riusciva unicamente a ricordare il giorno in cui Albus gli aveva chiesto di ucciderlo.
In quel momento tutto odorava di morte e decomposizione.
Non sapeva quanto tempo lo separasse da quel giorno, ma ogni minuto lo avvicinava al momento in cui avrebbe dovuto alzare la bacchetta e porre fine alla vita dell’uomo. Sapeva che Albus sarebbe morto comunque.
Ma, nonostante se lo ripetesse a volte per dare un po’ di pace al suo animo dilaniato, non riusciva ad impedirsi di pensare al giorno in cui avrebbe aggiunto anche quel nome a quello degli altri che aveva ucciso.
«Sapevo che ti avrei trovato qui.»
Sembrava quasi che Albus fosse stato chiamato nella serra dai suoi pensieri.
Il mago appariva particolarmente stanco quel giorno, ma i suoi occhi erano ancora lucidi e vigili, come sarebbero stati fino alla fine.
«Se sei venuto a chiedermi se farò ciò che vuoi, sai già la risposta.»
«Questo lo so, Severus.»
Le parole dell’uomo gli parvero incredibilmente dure. Il tono della voce era secco, quasi non volesse ritornare sull’argomento.
Avrebbe preferito qualcos’altro, anche solo una traccia di rimpianto per quello che gli stava chiedendo.
Invece, quando Albus si rimise a parlare fu per ritornare sopra altri dettagli della guerra sotterranea che si combatteva in quel momento e di quella più feroce e palese che si sarebbe combattuta nei mesi successivi.
E, mai come in quel momento, le piante sapevano di morte.


Dal velo gli parve di distinguere una sola voce.
Ed assomigliava a quella di Silente. Pareva quasi dirgli nuovamente di ucciderlo. Pareva quasi supplicarlo nuovamente di portare a termine quel tremendo compito.
Avrebbe voluto che quella voce illusoria gli dicesse che, nonostante le difficoltà e i fallimenti del suo anno da Preside, non aveva fallito, che, alla fine, era orgoglioso di lui.
Albus si era fidato di lui, ma non riusciva a comprendere se avesse mai provato altro nei suoi confronti.
Non riusciva a comprendere se si fosse reso conto che, chiedendogli di ucciderlo, gli stava domandando di compiere quello che per il suo animo era un parricidio.
Sperava che fosse così, ma gli sembrava che i sussurri provenienti dal velo gli stessero dicendo esattamente il contrario.
Gli sembrava che la sua vita fosse stata simile ad una lunga irrisoria ricerca di un padre.
E di non averne mai trovato uno, né nell’uomo con cui aveva condiviso il sangue, né nell’uomo che aveva scelto come padre.
La stanza parve quasi diventare più oscura, come cupi erano quei pensieri che si stava sforzando di scacciare.
La ferita pulsava sorda.
Severus allungò una mano e toccò i bendaggi che la coprivano e li sentì umidi.
Forse stava sanguinando anche in quel momento.
Si chiese se Albus avrebbe avuto parole di conforto nel vederlo in quello stato, ma Severus era certo che il Preside avesse creduto, come aveva fatto lui, che non sarebbe sopravvissuto alla guerra.
Forse al Preside non era nemmeno importato della sua improbabile sopravvivenza.
Per Silente non era stato altro che una delle tante pedine che aveva sapientemente mosso su una scacchiera chiara unicamente a lui.
E intorno a lui sembrò farsi notte, per quanto sapesse che era solo un’impressione generata dalla sua anima stanca.
Una notte triste, colma della consapevolezza delle proprie colpe.

Era notte fonda, quando uscì dal castello. Pomona non avrebbe di certo apprezzato di vederlo andare nelle sue serre. Un tempo gli aveva detto con un sorriso sulle labbra di raccogliere qualsiasi pianta gli servisse. Ma in quei giorni Pomona lo odiava, come Minerva, come tutti i suoi ex colleghi.
Come doveva essere.
Come Albus aveva, in fondo, voluto.
Gli aveva affidato l’impossibile missione di tenere al sicuro i ragazzi, senza che nessuno potesse realmente aiutarlo, senza che potesse, anche solo per un breve istante, condividere con qualcun altro il peso che gravava sulle sue spalle.
Sapeva che sarebbe stato gravoso, ma mai come in quei giorni si sentiva circondato dal velo opprimente della solitudine.
Le serre erano, come al solito, pacifiche, immerse nella luce della luna crescente.
Si avvicinò ad una di esse, quella che conteneva alcune piante esotiche, che Pomona non aveva mai fatto toccare nemmeno agli studenti che preparavano i M.A.G.O.
Forse avrebbe potuto perdersi tra i profumi di alcune piante balsamiche provenienti dall’Arabia e far riposare per qualche istante la mente.
Un tempo aveva parlato con Albus tra quelle piante.
Ma lui aveva ucciso Albus.
E non sapeva nemmeno se avrebbe veramente potuto riposare la mente tra quelle piante, se, anche in quell’occasione avrebbero avuto il profumo orribile della morte.
Prese in mano la bacchetta, pronto ad aprire la porta che, lo sapeva bene, Pomona teneva ben sigillata. Ma non lo fece.
Accanto a lui c’era un Thestral.
Si chiese per un istante se fosse sempre lo stesso. Quello che aveva visto anche da ragazzo.
L’animale lo stava fissando e Severus non poté impedirsi di cercare anche nel suo muso cadaverico i segni dell’odio che vedeva sul volto di quelli che erano stati, se non degli amici, quanto meno dei buoni colleghi.
Invece il Thestral non sembrava giudicarlo. Era semplicemente lì, solitario, con il suo muso dall’espressione triste, le sue ali nere e il suo corpo ossuto.
Era da anni che riusciva a vedere i Thestral che vivevano nella Foresta Proibita e che trainavano le carrozze della scuola e per anni si era limitato ad osservarli, a leggere in loro le sue colpe, le morti che aveva provocato.
Ma in quel momento, quando sulle sue mani era impresso il sangue di Albus, quando era diventato un parricida, gli parve che quel Thestral gli portasse in dono uno strano senso di comprensione. Forse, era quello il motivo per cui soltanto chi aveva vissuto la morte poteva vederli. Non erano una maledizione, quanto piuttosto un aiuto, una silenziosa compagnia dal volto triste, che partecipava del lutto che aveva colpito l’animo di chi li osservava. Un essere che condivideva il peso della morte con chi l’aveva toccata.
Si chiese se lo stesso valesse anche con chi aveva portato la morte.
Ma il Thestral non lo stava giudicando. Lo stava unicamente fissando con i suoi occhi bianchi e miti.
Allungò cauto una mano e sfiorò per un attimo il muso ossuto dell’animale.
Per ringraziarlo, forse, della sua muta presenza, della sua assenza d’odio e di pregiudizio.
Poi entrò nella serra.
E cercò quella stessa comprensione tra i profumi di quelle piante rare, ma non la trovò.
C’era unicamente l’odore della morte.
E la presenza ingombrante del vecchio Preside.
Gli pareva quasi di veder entrare Albus.
Gli parve quasi di sentirlo parlare, mentre gli spiegava perché dovesse ucciderlo, mentre ripercorreva con lui alcuni dei suoi piani per l’inevitabile guerra.
Ma sapeva che era unicamente un fantasma della sua immaginazione.
Quando uscì, pochi minuti dopo essere entrato, il Thestral era ancora lì e lo stava fissando con i suoi occhi tristi.
Non lo toccò di nuovo, ma si mosse verso il castello. Sentì alle sue spalle il rumore delle ali dell’animale e ne invidiò la libertà.


Per un istante a Severus parve che i sussurri provenienti dal velo lo irridessero.
Non sapeva nemmeno da dove nascesse quell’impressione, né per quale motivo avesse pensato a quella sera.
La ferita pulsava sorda e i sussurri provenienti dal velo parevano crescere di intensità.
Gli parve quasi che ripetessero il suo nome.
Ma sapeva che non aveva senso.
Era unicamente il suo passato a ripetere il suo nome. Gli pareva di sentire con chiarezza ogni singola parola pronunciata da Silente.
Gli pareva di poterne analizzare ogni minima sfumatura.
E gli ultimi brandelli di illusione si frantumarono.
Per tutto quel tempo si era attaccato all’idea che la fiducia di Albus equivalesse all’affetto di un padre.
Aveva creduto che il mago lo avesse visto come un amico.
Ma più ripensava, cullato dai sussurri lievi provenienti dal velo, a tutto quello che l’uomo gli aveva detto, più si rendeva conto di aver nutrito unicamente un’illusione.
Forse se n’era anche reso conto, ma non aveva voluto confessarlo a sé stesso.
Forse lo aveva capito quando gli aveva chiesto di ucciderlo, quando non gli era sembrato quasi importargli dell’ulteriore ferita che avrebbe inferto alla sua anima.
Eppure, aveva continuato a cullare quell’illusione, anche dopo aver ucciso Silente, anche quando aveva sfiorato il muso scheletrico di quel Thestral.
«Severus», la voce di Minerva lo colse di sorpresa. Era a tal punto immerso nei suoi fantasmi e nelle parole del passato che aveva perso il contatto con il presente. Non aveva nemmeno sentito i suoi passi sulle scale. «Il processo è finito.»
Si voltò verso la strega, che lo stava fissando con qualcosa di molto simile al rimorso.
«Non avrebbero dovuto convocare l’imputato?»
«Siamo riusciti a convincere il Wizengamot a portare avanti un processo in absentia, a causa delle tue condizioni fisiche.»
Severus non commentò le parole di Minerva. Poteva quasi immaginare ciò che la strega non aveva affermato, il fatto che non si fidasse di quello che lui avrebbe potuto dire al processo. O forse credeva veramente che fosse troppo debilitato per reggere un interrogatorio.
La ferita pulsava, era vero, e si sentiva debole, ma era certo che sarebbe riuscito a rispondere delle sue colpe.
«Ti hanno assolto.»
«Da tutte le colpe?»
Non aveva creduto possibile un’assoluzione. Aveva sempre dato per scontato di morire e, nel vago e improbabile caso di una sua sopravvivenza, aveva sempre creduto che sarebbe stato condannato, magari con delle attenuanti, almeno per l’omicidio di Albus.
«Sì. Hanno solo posto la condizione che tu risieda in un luogo in cui possano, se necessario, monitorarti, ma non sei nemmeno obbligato a rimanerci ogni singolo istante.»
Severus annuì, senza dire nulla.
Quando Minerva gli aveva annunciato la sua assoluzione, aveva ritenuto probabile che il Wizengamot imponesse una possibilità del genere, se non altro per quietare quella parte di opinione pubblica che non avrebbe visto di buon grado quella sentenza.
Notò che la strega sembrava voler aggiungere qualcosa, ma lui scosse il capo.
Per parlare ci sarebbe stato tempo, in un’altra occasione.
In quel momento avrebbe unicamente voluto ritrovarsi da solo per poter riflettere sulla vita che si trovava davanti.
Mentre seguiva Minerva, arrancando fino a che il velo e la piattaforma che si trovava sul fondo della sala non erano lontani, con i loro sussurri, si rese conto di quale fosse la sua vera condanna.
Il Wizengamot lo assolveva.
E lo condannava, al contempo, a vivere.
O, forse, quando avrebbe afferrato realmente la realtà della sua nuova situazione, sarebbe riuscito a fare qualcosa della sua vita.
Forse, alla fine, vivere non sarebbe stato realmente una condanna.
Per un istante, si chiese se Albus sarebbe stato soddisfatto di quell’idea appena ventilata, ma si rese conto che, in fondo, non gli importava più.
Lo aveva capito chiaramente durante quel tempo che non era riuscito nemmeno a quantificare: aveva creduto per anni di avere trovato se non un padre, almeno un amico in Albus, ma, alla fine, aveva unicamente incontrato un generale disposto a tutto pur di vincere la sua guerra.
Anche a sacrificare un’anima già spezzata.



---
[1] L’idea di una ferita che non si rimargina è ispirata al personaggio di Amfortas del Parsifal di Wagner.
[2] Anche l’unguento a base di erbe d’Arabia è stato ispirato dal Parsifal di Wagner. Viene proposto da uno dei personaggi per poter curare la ferita di Amfortas
 
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view post Posted on 28/3/2022, 20:51
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Leonora, le tue Voci sono gli intensi momenti della vita di Severus rivissuti attraverso le opache vetrate delle Serre di Hogwarts. Piton non riesce a vedere sempre al di là dei vetri, non riesce a comprendere appieno l’animo di chi lo circonda e gli eventi che è costretto a vivere, ma è in grado di sondare alla perfezione il suo cuore e vede solo sofferenza. Severus combatte e sembra perdere la lotta contro la memoria, sembra rassegnarsi per sempre all’idea di meritare oblio e condanna eterna. La sua indomabile convinzione di non meritare il perdono non viene scalfita neppure dall’evidenza dei fatti: essere sopravvissuto, venire assolto in pieno, aver recuperato la stima degli altri sopravvissuti alla guerra. La sua ferita sanguina, le sue ultime forze sembrano abbandonarlo sospinte via dall’alito di morte che solleva il Velo. Perdonami se non commento sul personaggio spalla della sfida (il tuo Albus è perfetto, non devo aggiungere altro) ma su Minerva: ti confesso che avrei voluto che la Capocasa di Grifondoro fosse più coraggiosa, che, attraverso te, avesse trovato la forza di donare a Severus il perdono, l’affetto di una madre capace di scaldare il cuore di un uomo che immaginava, sperava di aver avuto accanto a sé un padre, ma che ha ricevuto solo odio e solitudine. Scrivi un seguito! <3
 
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view post Posted on 29/3/2022, 12:19
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CITAZIONE (Lonely_Kate @ 28/3/2022, 21:51) 
Leonora, le tue Voci sono gli intensi momenti della vita di Severus rivissuti attraverso le opache vetrate delle Serre di Hogwarts. Piton non riesce a vedere sempre al di là dei vetri, non riesce a comprendere appieno l’animo di chi lo circonda e gli eventi che è costretto a vivere, ma è in grado di sondare alla perfezione il suo cuore e vede solo sofferenza. Severus combatte e sembra perdere la lotta contro la memoria, sembra rassegnarsi per sempre all’idea di meritare oblio e condanna eterna. La sua indomabile convinzione di non meritare il perdono non viene scalfita neppure dall’evidenza dei fatti: essere sopravvissuto, venire assolto in pieno, aver recuperato la stima degli altri sopravvissuti alla guerra. La sua ferita sanguina, le sue ultime forze sembrano abbandonarlo sospinte via dall’alito di morte che solleva il Velo.

Grazie mille per le tue bellissime parole!!

CITAZIONE
Perdonami se non commento sul personaggio spalla della sfida (il tuo Albus è perfetto, non devo aggiungere altro) ma su Minerva: ti confesso che avrei voluto che la Capocasa di Grifondoro fosse più coraggiosa, che, attraverso te, avesse trovato la forza di donare a Severus il perdono, l’affetto di una madre capace di scaldare il cuore di un uomo che immaginava, sperava di aver avuto accanto a sé un padre, ma che ha ricevuto solo odio e solitudine. Scrivi un seguito!

Avevo pensato di far parlare di più Minerva, ma le sue parole non funziovano nel contesto. Ed in effetti, un seguito ce l'ho in mente e dovrebbe coincidere (se riesco a far combaciare tutte le richieste) con il mese che ha come personaggio Minerva.
 
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view post Posted on 4/4/2022, 11:16
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Mi sono trovata insieme a Severus in un gorgo fatto di dolore, rimpianti ed episodi del passato, in cui ho rischiato di affogare. Le immagini sembravano scorrere in circolo e attirare nel fondo del baratro e benché, nel finale, su tutto s'imponga la mano tesa di Minerva che, con l'assoluzione, lo fa riemergere con la promessa di una nuova vita, ciò che è prevalso è il tormento per un rapporto mancato: per quel sentimento a senso unico che non trova corrispondenza.
Hai creato un racconto cupo, molto ben costruito, che si alimenta dall'immagine stessa di quell'anfiteatro, inghiottito nelle viscere del nono livello dell'Ufficio Misteri, che è la "Stanza della Morte" in cui Severus attende il verdetto.
Complimenti.

Edited by Gabrix1967 - 4/4/2022, 14:57
 
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view post Posted on 4/4/2022, 20:30
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CITAZIONE (Gabrix1967 @ 4/4/2022, 12:16) 
Mi sono trovata insieme a Severus in un gorgo fatto di dolore, rimpianti ed episodi del passato, in cui ho rischiato di affogare. Le immagini sembravano scorrere in circolo e attirare nel fondo del baratro e benché, nel finale, su tutto s'imponga la mano tesa di Minerva che, con l'assoluzione, lo fa riemergere con la promessa di una nuova vita, ciò che è prevalso è il tormento per un rapporto mancato: per quel sentimento a senso unico che non trova corrispondenza.

Le tue parole mi fanno veramente piacere.

CITAZIONE
Hai creato un racconto cupo, molto ben costruito, che si alimenta dall'immagine stessa di quell'anfiteatro, inghiottito nelle viscere del nono livello dell'Ufficio Misteri, che è la "Stanza della Morte" in cui Severus attende il verdetto.

Sono in effetti partita da quest'immagine per la costruzione della storia.

CITAZIONE
Complimenti.

Grazie mille <3
 
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view post Posted on 5/4/2022, 17:44
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Voci di Leonora


Una storia in cui si alternano momenti e ricordi guidati dalla malinconia e dall’ossessivo ripetersi di un dolore fisico che sottende un dolore dell’anima.
Un brano costruito alla perfezione con scelta volutamente ripetitiva di vocaboli ed emozioni, l’uso della creatura come una specie di oscuro fil rouge mi ha affascinato.
Sei stata molto brava a comporre un artistico mosaico in cui tutti gli elementi sono presenti e ben armonizzati.

La tua prosa è semplicemente perfetta ed entra in risonanza con il tema e l’oppressiva sensazione di affanno e oscura presa di coscienza da parte di Severus che vive, come in un asfittica realtà, i ricordi che lo straziano.
Una chiusura triste che corrisponde alla consapevolezza raggiunta da un’anima spezzata e dolente.
Molto, molto bella la storia e maliconicamente tristissimo il sentimento che la conclude e la pervade.
Bravissima Leonora.
 
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view post Posted on 5/4/2022, 18:32
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CITAZIONE (chiara53 @ 5/4/2022, 18:44) 
Una storia in cui si alternano momenti e ricordi guidati dalla malinconia e dall’ossessivo ripetersi di un dolore fisico che sottende un dolore dell’anima.

Per questo parallelismo devi ringraziare Wagner e il suo Parsifal (prima o poi mi deciderò a scrivere una storia su Severus ascoltando Rossini...)

CITAZIONE
Un brano costruito alla perfezione con scelta volutamente ripetitiva di vocaboli ed emozioni, l’uso della creatura come una specie di oscuro fil rouge mi ha affascinato.
Sei stata molto brava a comporre un artistico mosaico in cui tutti gli elementi sono presenti e ben armonizzati.

Grazie mille, Chiara (soprattutto per quel che riguarda gli elementi)

CITAZIONE
Molto, molto bella la storia e maliconicamente tristissimo il sentimento che la conclude e la pervade.
Bravissima Leonora.

Grazie, Chiara <3
 
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view post Posted on 6/4/2022, 23:46
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Quanta sofferenza tradotta in emozione, Leonora, che la tua capacità narrativa è riuscita a restituirci in modo realistico e concreto.
L’apertura, in cui si evince come Severus sia stato condannato ad attendere il verdetto finale nella Stanza della Morte, è raccapricciante, oserei dire, ma rende la scena straordinariamente efficace, perchè offre in modo perfetto il rimando in termini di dolore a cui è costretto Severus, torturato dalla ferita e dai sussurri provenienti dal Velo.

Sei riuscita con estrema bravura a far percepire la dimensione tragica della sua condizione colpevole e disperata, e l’alternarsi del presente con i ricordi di un passato che trascorre inesorabile, fino al momento terribile dell’omicidio di Silente, scandisce magnificamente il ritmo di una storia di rilevante effetto drammatico.

Pura e consolante la presenza del Thestral che compare in ogni salto temporale a rappresentare quasi uno spirito benefico, a differenza invece di quella di un Silente, delineato in modo eccellente, che si defila dal ruolo di quel padre tanto anelato (e qui è davvero straziante la ricerca continua di conferma da parte di Severus) per essere calato ancora una volta nei panni di personaggio abbastanza ambiguo.

Infine l’apparente risoluzione finale, che sembra aprire uno spiraglio di speranza, ma che in realtà siglerà una condanna forse ancor peggiore, perché per lui significherà continuare a vivere attanagliato dal rimorso. Un finale sottilmente crudele che regala un'ultima, potente nota a chiusura della tua bellissima opera lirica trasposta in prosa: bravissima! <3
 
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view post Posted on 8/4/2022, 17:47
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CITAZIONE (Ele Snapey @ 7/4/2022, 00:46) 
Quanta sofferenza tradotta in emozione, Leonora, che la tua capacità narrativa è riuscita a restituirci in modo realistico e concreto.
L’apertura, in cui si evince come Severus sia stato condannato ad attendere il verdetto finale nella Stanza della Morte, è raccapricciante, oserei dire, ma rende la scena straordinariamente efficace, perchè offre in modo perfetto il rimando in termini di dolore a cui è costretto Severus, torturato dalla ferita e dai sussurri provenienti dal Velo.

In effetti, la scelta della Stanza della Morte come luogo di attesa del verdetto è stato uno dei punti di partenza per scrivere la storia.

CITAZIONE
Pura e consolante la presenza del Thestral che compare in ogni salto temporale a rappresentare quasi uno spirito benefico, a differenza invece di quella di un Silente, delineato in modo eccellente, che si defila dal ruolo di quel padre tanto anelato (e qui è davvero straziante la ricerca continua di conferma da parte di Severus) per essere calato ancora una volta nei panni di personaggio abbastanza ambiguo.

Sono felice che sia arrivato la divergenza tra il Thestral e Albus.

CITAZIONE
Infine l’apparente risoluzione finale, che sembra aprire uno spiraglio di speranza, ma che in realtà siglerà una condanna forse ancor peggiore, perché per lui significherà continuare a vivere attanagliato dal rimorso. Un finale sottilmente crudele che regala un'ultima, potente nota a chiusura della tua bellissima opera lirica trasposta in prosa: bravissima!

Grazie mille, Ele! <3
 
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view post Posted on 22/4/2022, 15:10
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Una storia molto bella, intensa e coinvolgente, estremamente introspettiva e lenta, come piace a me. Tutti gli elementi sono molto ben amalgamati e la loro importanza evolve nel proseguo della lettura sia per le serre sia per i Thestral, laddove Severus continua impietosamnete a giudicarsi, dagli occhi degli animali al sentore di morte delle serre.
L'importanza di Albus è più nei pensieri di Severus che non nella sua reale presenza. Ma questo non lo rende meno importante nella trama, fino a diventare qualificante.
Ottima l'mbientazione nella stanza dell'Arco di pietra per una storia che è agonia di pensiero e di attesa.
Inaspettato, ma gradito, il lampo di speranza finale.
 
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view post Posted on 22/4/2022, 19:00
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CITAZIONE (Ida59 @ 22/4/2022, 16:10) 
Una storia molto bella, intensa e coinvolgente, estremamente introspettiva e lenta, come piace a me. Tutti gli elementi sono molto ben amalgamati e la loro importanza evolve nel proseguo della lettura sia per le serre sia per i Thestral, laddove Severus continua impietosamnete a giudicarsi, dagli occhi degli animali al sentore di morte delle serre. L'importanza di Albus è più nei pensieri di Severus che non nella sua reale presenza. Ma questo non lo rende meno importante nella trama, fino a diventare qualificante.

Sono felice di essere riuscita ad amalgamare i vari elementi.
CITAZIONE
Ottima l'mbientazione nella stanza dell'arco di pietra per una storia che è agonia di pensiero e di attesa.

La stanza dell’Arco, come luogo in cui Severus attende il verdetto, è stata la prima immagine che mi è venuta in mente mentre progettavo la storia.
CITAZIONE
Inaspettato, ma gradito, il lampo di speranza finale.

Grazie mille, Ida <3
 
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view post Posted on 26/4/2022, 21:27
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Buonasera! A questo giro cerco di commentare tutte le storie :)
Allora, ho amato la tua. Drumstrang secondo me a marzo ha fatto faville.
Unica perplessità è il motivo per cui Severus si trovi sotto al velo. La scusa dello spazio regge poco, quando i maghi possono far entrare un appartamento in una tenda... Però ho trovato un minimo di giustificazione nel sadismo di chi l'ha spostato, nel fatto che volesse torturarlo con il Velo. So che era un pensiero passeggero di Severus, ma mi sembra l'unico motivo "valido".
Per il resto, la storia è meravigliosa. Molto apprezzata la scelta di far "parlare" Albus da oltre il Velo, e non la classica Lily. Come ho scritto anche nella valutazione nella mia casa, qui Albus simboleggia la vita - colui che lo ancorava alla vita dopo che ha perso tutto, che gli ha dato uno scopo anche solo nel cercare di farsi amare da lui come un figlio - mentre Lily, ormai, era un simbolo delle sue promesse, e qualcuno che l'avrebbe solo che attirato verso la morte.
Bello, bello, bello. Complimenti :)
 
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view post Posted on 26/4/2022, 22:30
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CITAZIONE (Mitsuki91 @ 26/4/2022, 22:27) 
Unica perplessità è il motivo per cui Severus si trovi sotto al velo. La scusa dello spazio regge poco, quando i maghi possono far entrare un appartamento in una tenda... Però ho trovato un minimo di giustificazione nel sadismo di chi l'ha spostato, nel fatto che volesse torturarlo con il Velo. So che era un pensiero passeggero di Severus, ma mi sembra l'unico motivo "valido".

Il motivo è effettivamente tirato per i capelli - e molto Babbano ;) -, ma non sono riuscita a trovare nessun altro motivo per cui Severus dovesse essere lì in quel particolare momento (in pratica mi sono incasinata da sola, quando ho costruito il resto della storia).

CITAZIONE
Per il resto, la storia è meravigliosa.

Grazie, mille!

CITAZIONE
Molto apprezzata la scelta di far "parlare" Albus da oltre il Velo, e non la classica Lily. Come ho scritto anche nella valutazione nella mia casa, qui Albus simboleggia la vita - colui che lo ancorava alla vita dopo che ha perso tutto, che gli ha dato uno scopo anche solo nel cercare di farsi amare da lui come un figlio - mentre Lily, ormai, era un simbolo delle sue promesse, e qualcuno che l'avrebbe solo che attirato verso la morte.

Sono felicissima che ti sia piaciuta la scelta di far “parlare” Albus dal Velo.
CITAZIONE
Bello, bello, bello. Complimenti

Grazie ancora.
 
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