Autore/data: Alaide –giugno/luglio 2022
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One-Shot
Rating: Per tutti
Personaggi: Severus Piton, Rubeus Hagrid
Genere: Introspettivo, drammatico
Pairing: nessuno
Epoca: Più di un’epoca
Avvertimenti: AU
Riassunto:
Forse Hagrid lo sarebbe stato ad ascoltare, ma credeva che l’anima del Mezzo-gigante fosse troppo pura per poter stare a sentire l’orrore che lui aveva portato. Nota: Storia scritta per l’iniziativa 15 anni con Severus. Sfida del mese di luglio. Scuola: Durmstrang. Ruolo: Campione
La storia è legata a Voci, Ricordi e Scelte, per quanto non ne sia un diretto seguito e non sia necessario aver letto le altre storie per poter leggere questa. Il titolo è tratto da una raccolta di tre suite per pianoforte di Liszt.
Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
Lunghezza: 33.259 caratteri, escluse le note
Années de Pèlerinage
5 luglio 1984
La pioggia cadeva insistente su Diagon Alley, bagnando il selciato e le vetrine dei negozi, che facevano bella mostra della loro merce. Soltanto poche persone camminavano per la strada, a passo svelto ed entrando rapidamente all’interno di una delle botteghe.
Severus si stava muovendo rapidamente, senza curarsi della pioggia o dello scarso affollamento dell’abitualmente animata via. Al contrario, a lui andava più che bene che Diagon Alley fosse quasi del tutto deserta.
Aveva scelto volutamente un giorno di maltempo, per compiere quella sorta di pellegrinaggio che ripeteva ossessivamente, ogni anno, da quel maledetto 31 ottobre. Forse non avrebbe dovuto farlo, né avrebbe dovuto trovarsi lì. Uno psicologo Babbano gli avrebbe, con ogni probabilità, suggerito di intraprendere il cammino opposto, di tentare di staccarsi dai ricordi dolorosi, ma Severus voleva seguire la strada della memoria, la strada della colpa.
Gli sembrava che fosse suo dovere ricordare, partendo dai momenti lieti di un tempo e uno di quelli, uno dei suoi pochi ricordi felici, uno di quelli a cui pensava quando evocava il suo Patronus, lo portava ogni anno in quella strada che preferiva di solito evitare, per quanto gli fosse possibile.
Dall’estate di due anni prima – la prima dopo la morte di Lily – trovava sempre un giorno per recarsi a Diagon Alley, per andare nello stesso piccolo caffè, verso la fine della strada, dopo tutti i negozi più noti e per quello poco frequentato, in cui si erano rifugiati lui e l’amica un giorno lontano, quando non erano ancora diventati studenti di Hogwarts, quando non erano ancora stati smistati in due case diverse, quando c’erano soltanto lui e Lily e il futuro gli sembrava luminoso. Erano andati a comprare quel che serviva per la scuola, accompagnati dai signori Evans e da sua madre, che però li aveva ben presto lasciati soli, dopo avergli messo in mano una manciata di monete, appena sufficienti per comprare la bacchetta e qualche abito di seconda mano.
Eppure, nonostante tutto, era stato felice quel giorno.
Aveva riso con Lily.
Aveva creduto che Hogwarts sarebbe stata una bellissima avventura, lontana dall’atmosfera opprimente della sua casa, dalle botte di Tobias e dall’indifferenza di Eileen.
Invece, nulla di quello che aveva creduto possibile si era realizzato.
Aveva distrutto l’amicizia con Lily.
Aveva sparso del sangue innocente.
Aveva causato, riferendo quella maledetta profezia, la morte dell’unica persona che gli aveva rivolto delle parole di amicizia.
Da allora non gli restava altro che compiere un viaggio nella memoria. Non gli era difficile trovare il luogo in cui aveva incontrato Lily per la prima volta, dato che ancora abitava nella squallida casa di Spinner’s End.
Né gli costava particolare fatica recarsi a Diagon Alley e ripercorrere la strada che aveva percorso allora accanto a Lily più di un decennio prima. Tra pochi istanti, sarebbe entrato in quel piccolo caffè e avrebbe bevuto una Burrobirra, e non importava nemmeno che la bevanda non gli piacesse affatto. Faceva unicamente parte di quel cammino, di quel suo particolare e doloroso pellegrinaggio.
Quand’era piccolo, prima di incontrare Lily, aveva trovato in soffitta, tra i libri appartenuti ai nonni, un volume che proponeva gli scritti di viaggio di uomini del Medioevo. Li aveva divorati, sperando, un giorno, magari, di scrivere qualcosa del genere, di seguire la Via della Seta per annotare i luoghi da cui provenivano alcuni importanti ingredienti e capire se i maghi li usassero in maniera diversa rispetto a come si faceva in Europa.
Era stato un sogno sciocco anche solo a nutrire un tale sogno.
E anche qualora avesse potuto realizzarlo, aveva distrutto del tutto qualsiasi possibilità di farlo, quando aveva scelto di diventare uno dei servi dell’Oscuro Signore.
Invece di seguire le orme di un esploratore del passato, avrebbe percorso un cammino colmo del peso del rimorso. Avrebbe rivisto i luoghi dei ricordi di una felicità che avrebbe potuto essere possibile se non l’avesse distrutta con le sue stesse mani. Poi sarebbe andato sulla tomba di Lily, in una notte d’estate, e vi avrebbe deposto un fiore di amaranto, in segno della sua disperazione, un giacinto blu, in segno della sua perseveranza e della ruta, in segno del suo rimpianto [1].
E dopo avrebbe continuato il suo lento peregrinare, visitando i luoghi in cui riposavano altre sue vittime e vi avrebbe deposto un cardo, in segno della colpa e della pena che gli rodevano l’animo.
Non che servisse a molto compiere quel doloro pellegrinaggio.
Lo sapeva perfettamente da solo.
Non sarebbe mai riuscito a ripagare per il male che aveva fatto, per le sue scelte orrende, per il Marchio Nero che, in un futuro che sperava lontano, sarebbe tornato a bruciare.
In quel momento provò una rabbia profonda nei confronti del ragazzo che era stato. Alcuni avrebbero anche potuto dire che anche in quel momento era poco più di un ragazzo, ma gli pareva di aver vissuto molti più anni dei suoi ventiquattro. Aveva abbruttito la sua anima, macchiandola di colpe che gli impedivano di dormire per buona parte delle sue notti solitarie, una punizione ben misera per il male che aveva procurato a fin troppi suoi simili.
Si era sempre creduto intelligente e capace, ma quale capacità di riflessione aveva dimostrato nel farsi incidere sul braccio il Marchio Nero?
Nessuna.
Era stato unicamente uno sciocco, che si era lasciato sopraffare a tal punto dalla rabbia e dal senso di rivalsa da credere che unirsi ad un branco di estremisti assassini fosse una buona idea.
E la sua unica speranza era riuscire ad essere, quando sarebbe giunto il tempo, un’ottima spia per Silente.
Non avrebbe di certo riparato il male fatto, ma avrebbe agito sapendo di essere dalla parte giusta.
E, forse, sarebbe riuscito ad ottenere la stima e la fiducia del Preside.
«Professore», Severus si fermò davanti alla vetrina del Ghirigoro, prima di voltarsi.
«Hagrid», lo salutò brevemente, sperando che il Mezzo-gigante se ne andasse per la sua strada.
«Anche lei a far compere? Non pensavo di incontrare qualcuno. C’è nessuno, oggi.»
«Evidentemente», rispose seccamente il giovane uomo.
Rubeus non sapeva cosa pensare del professore di pozioni. Lo ricordava, certo, quand’era stato un allievo della scuola, un ragazzo magro e solitario. Non che fosse molto cambiato da allora, a dire il vero. Sembrava preferire vivere in una solitudine silenziosa e rimaneva ossuto. D’altronde non erano nemmeno passati molti anni da quando Piton aveva ricevuto i suoi M.A.G.O.
Eppure, nonostante lo avesse visto da quando era un ragazzino, non sapeva che idea farsi di lui.
Aveva sentito l’insegnante di Difesa contro le Arti Oscure dell’anno precedente lamentarsi del fatto che Silente avesse accettato da fin troppi anni fra i suoi docenti un uomo di dubbia moralità. Hagrid lo era stato a sentire, senza commentare quello che stava dicendo, il giorno dopo esser stato licenziato a causa delle lamentele di tutte e quattro le case. D’altronde lui si fidava completamente del Preside e se Silente diceva che ci si poteva fidare di Piton, allora doveva essere così.
Forse, si disse Rubeus, il professore era stato assunto perché il Preside aveva voluto dargli una possibilità, proprio come aveva fatto con lui, nonostante non avesse mai potuto finire la scuola.
«Sto andando al Paiolo Magico per bere qualcosa. Vuole venire, professore?»
Severus notò che Hagrid gli stava quasi sorridendo ed era certo che il Mezzo-gigante fosse spinto dalle migliori intenzioni, ma non aveva alcuna voglia, quel giorno, di socializzare con lui. Non che avesse qualcosa contro Rubeus. Al contrario, lo riteneva una delle poche persone sincere presenti a Hogwarts e lo aveva creduto tale anche durante i suoi giorni da studente. Per un breve periodo, durante il suo terzo anno, si era chiesto se non potesse aiutare in qualche modo quell’omone gentile, ma non aveva mai osato andargli a parlare e l’unica volta che aveva fatto qualcosa per Hagrid aveva preferito chiedere a Lily di andare al suo posto.
Non gli dispiaceva nemmeno starlo a sentire, quando lo fermava per scambiare qualche parola, ma quel giorno non era il momento più opportuno per avere a che fare con lui, per stare a sentire le sue chiacchiere, per rispondere alle sue preoccupazioni per una delle tante creature che popolavano la Foresta Proibita, di cui Hagrid amava prendersi cura.
Quello era un giorno dedicato al ricordo.
«No», disse soltanto.
Sapeva che avrebbe dovuto aggiungere qualche altra parola, ma temeva quasi che, se fosse stato troppo accomodante, Hagrid potesse comprendere qualcosa di quel giorno, che potesse intuire cosa celasse in profondità nel suo animo, dietro alla maschera di professore inavvicinabile e dalla lingua tagliente che indossava quasi incessantemente.
Per quanto molti avrebbero definito il Mezzo-gigante un sempliciotto, a Severus sembrava che ci fosse una certa saggezza nei suoi modi e forse, anche, un’acutezza celata nel suo animo. Gli faceva ritornare in mente la sua nonna paterna che, per quanto se ne fosse andata troppo presto, era dotata di quella che veniva comunemente definita saggezza popolare.
«In cerca di libri, eh, professore?»
Severus annuì soltanto, prima di entrare all’interno del Ghirigoro. Notò, pochi istanti dopo, che Hagrid si era già allontanato in direzione del Paiolo Magico, ma, nonostante non gli servisse alcun libro, andò a consultare alcune sezioni della libreria, uscendone con una nuova edizione di un raro volume di pozionistica araba del IX secolo, stampato con il testo a fronte.
Sulla via la pioggia sembrava scendere ancora più copiosa, ma a Severus non importava, anzi ne era quasi felice poiché ancora meno persone sarebbero state intente a camminare distratte lungo la strada.
Camminò rapidamente, fino a quando non raggiunse il caffè. Non era nemmeno più arredato come quando lo aveva visitato con Lily e forse nemmeno la strega che gli stava servendo una Burrobirra era quella che gestiva il locale allora. Non ricordava nemmeno se avesse già lo stesso nome, ma nulla di tutto quello era importante.
Era il significato di quella visita e il rimpianto che portava con sé a rendere fondamentale la presenza di quel piccolo locale appartato, dove, con ogni probabilità, si rifugiavano i maghi e le streghe che non apprezzavano la confusione che regnava generalmente al Paiolo Magico.
Sapeva che forse avrebbe dovuto confidarsi con qualcuno, parlare del peso che lo sovrastava e che, a volte, sembrava volerlo schiacciare, ma non aveva nessuno con cui farlo realmente.
Forse, con Silente, un giorno, se l’uomo fosse arrivato a fidarsi realmente di lui.
Se avesse fatto scelte diverse, sarebbe riuscito a parlare con Minerva, ma non aveva idea di come rapportarsi con la donna, che era stata una sua insegnante e che ora era una sua collega.
Forse Hagrid lo sarebbe stato ad ascoltare, ma credeva che l’anima del Mezzo-gigante fosse troppo pura per poter stare a sentire l’orrore che lui aveva portato.
Bevve un sorso di Burrobirra, senza nemmeno assaporare realmente la bevanda.
D’altronde, non era per quello che era andato in quella caffetteria, ma unicamente per ricordare e per rendersi sempre più amaramente conto che era solo al mondo, simile a un naufrago perso tra le onde di un oceano tempestoso.
17 luglio 1995
Diagon Alley sembrava incredibilmente luminoso, quel giorno, nonostante la pioggia cadesse fitta, ma dopo essersi recato a Nocturn Alley per acquistare un ingrediente di dubbia legalità, la via principale appariva colma di luce.
O, forse, era il motivo per cui era andato nella parte più sordida di quella parte della Londra magica a dargli quella sensazione.
L’ultima cosa che avrebbe voluto fare quell’estate era distillare una pozione per l’Oscuro Signore, piegare l’arte che padroneggiava fin da ragazzo al volere di quello che un tempo era stato il suo padrone.
Ma non poteva fare diversamente.
Era già un mezzo miracolo che fosse ancora vivo, che fosse riuscito a convincere l’Oscuro Signore della sua fedeltà. Aveva temuto di morire quando era giunto al suo cospetto, ma ne era uscito ancora in grado di respirare.
Albus era stato molto soddisfatto del modo in cui aveva saputo destreggiarsi ed era anche stato incredibilmente chiaro circa quello che avrebbe dovuto fare anche di fronte alle richieste peggiori dell’Oscuro Signore. Qualcosa che sapeva già da solo, anche se questo avrebbe significato creare una pozione per il serpente che il suo antico padrone si portava sempre appresso. A quanto pareva desiderava renderlo più potente e per quello gli serviva un intruglio che aveva trovato in un antico libro di Magia Oscura.
E lui avrebbe eseguito, per quanto sarebbe stato ben più propenso ad avvelenare Nagini.
Ma sapeva perfettamente che non poteva farlo, perché, in quel modo, non sarebbe più stato in grado di portare le informazioni che sarebbero potute servire per sconfiggere – definitivamente quella volta – l’Oscuro Signore.
Non importava quanto quel compito lo riempisse di disgusto.
Avrebbe fatto il suo dovere, anche se questo avrebbe voluto dire cadere ancora di più nel baratro della colpa, anche se questo avrebbe significato spargere altro sangue o non impedire che altri uomini e donne morissero vittime dei Mangiamorte e del loro maledetto padrone.
Mentre camminava, accolse la pioggia sul volto, quasi che l’acqua potesse lavare le sue colpe, per quanto fosse più che cosciente che nulla avrebbe potuto farlo.
«Professore», la voce di Rubeus quasi non lo stupì. Sembrava che, di tanto in tanto si incontrassero a Diagon Alley.
«Hagrid», lo salutò, mentre sentiva quasi bruciare l’ingrediente che teneva ben celato in tasca.
«Un tempaccio, oggi», affermò il Mezzo-gigante. Severus ebbe l’impressione che Hagrid volesse a tutti i costi scambiare qualche parola con lui. «Thor ha preso un malanno. Sto andando a prendere un tonico.»
E di certo gli avrebbero venduto qualcosa di infimo. A Diagon Alley si potevano trovare dei buoni ingredienti, ma nessuno pareva commercializzare delle buone pozioni e quelle per gli animali erano più simili a dei veleni che a delle cure.
Se non fosse stato tanto sciocco nella sua gioventù, avrebbe potuto, forse, ovviare a quel problema, ma aveva scelto di macchiarsi dei peggiori crimini e doveva pagarne le conseguenze e la meno grave era di certo insegnare.
«E credi veramente che ti daranno quello che ti serve?»
Hagrid osservò per qualche istante il professor Piton. Aveva usato un tono tagliente, ma era una buona domanda. L’ultima volta che aveva comprato un tonico canino a Diagon Alley, Thor era stato peggio di prima. Però, non poteva di certo chiedere aiuto all’uomo che gli stava davanti, non durante le vacanze.
«Non c’ho un’altra soluzione.»
Durante l’anno era decisamente più facile, considerando che era proprio Piton a preparare ogni pozione servisse alla scuola, comprese quelle che potevano tornare utili a lui. Ma il professore doveva avere delle cose da fare durante le vacanze, magari anche incarichi da parte di Silente e Hagrid non voleva interferire nei progetti del Preside, soprattutto dopo quello che era accaduto alla fine del Torneo Tremaghi.
«Forse il tuo cane starà meglio da solo e tra uno o due giorni non avrà più alcun malanno. Sarebbe un peccato se morisse a causa degli incompetenti che hanno bottega su questa strada.»
Hagrid rifletté sulle parole dell’uomo. Thor sembrava particolarmente abbattuto da quel malanno estivo, ma con ogni probabilità quel vecchio fifone si sarebbe rimesso in poco tempo. D’altronde si fidava del professore. Era sempre stato attento quando gli forniva dei tonici per i Thestral o delle poltiglie per curare le ferite di qualche Creatura che viveva nella Foresta e a cui lui non esitava ad offrire un aiuto. Non aveva mai fatto storie, al contrario di Lumacorno, che si era sempre rifiutato di preparare alcunché per lui, adducendo tutta una serie di scuse complicate per nascondere che non aveva voglia di sprecare parte del suo tempo per dedicarsi a quel particolare compito.
Invece Piton si era sempre occupato di quell’impegno, senza nemmeno che lui glielo dovesse chiedere. Non sapeva nemmeno come fosse venuto a sapere, durante la prima o la seconda settimana della sua carriera di insegnante, che una delle Acramantule era rimasta ferita ad una zampa, ma Hagrid aveva trovato una poltiglia e le istruzioni per utilizzarla sul tavolo della sua capanna.
«Aspetterò, allora. Se sta ancora male tra due giorni, allora verrò a cercare un tonico canino», disse, infine. «Viene a bere qualcosa?»
Severus rimase in silenzio per diversi istanti, chiedendosi cosa potesse fare. Era quasi tentato di accettare, dicendosi che non gli avrebbe fatto male parlare per qualche minuto con Rubeus. O anche star solo ad ascoltarlo, mentre blaterava di qualche nuova creatura o di come trovasse interessanti tutte le creature magiche più pericolose. Per un istante si chiese cosa avrebbe pensato Hagrid di Nagini. Con ogni probabilità il Mezzo-gigante avrebbe potuto aver pietà di quel rettile che obbediva ad ogni orrendo ordine dell’Oscuro Signore. Forse, un tempo, il serpente aveva avuto una volontà propria, forse, un tempo, era stato libero dalle grinfie del suo padrone. Hagrid lo avrebbe sicuramente pensato – e forse avrebbe anche avuto ragione – ma a Severus, il più delle volte, quel rettile faceva venire i brividi.
D’altronde, Rubeus aveva un buon cuore e un’anima pura, per quanto ci sarebbe stato chi lo avrebbe definito un ingenuo.
E fu quel particolare a portarlo a rifiutare.
Non era degno di stare in sua compagnia, così come non era degno di stare in compagnia degli altri suoi colleghi. Portava con sé troppa oscurità, si disse, mentre declinava l’invito e si congedava da Hagrid.
Si incamminò verso il caffè in cui lui e Lily avevano bevuto la loro prima Burrobirra. Non aveva ancora iniziato, quell’estate, il suo abituale pellegrinaggio, e quello era un buon giorno per farlo. Non era probabilmente il momento migliore, ma, con ogni probabilità, voleva unicamente ritardare il momento in cui avrebbe dovuto preparare la pozione che l’Oscuro Signore gli aveva ordinato di portargli.
Oppure, più semplicemente, voleva ricordare per quale motivo stesse facendo quella vita da spia, per quale motivo sarebbe precipitato ancora più a fondo nel baratro delle sue colpe.
Bevve, come al solito, un solo sorso di Burrobirra, che quell’anno pareva avere un sapore stranamente amaro, ma sapeva perfettamente che quello era il sapore del sangue che aveva voluto e che avrebbe dovuto versare.
Si alzò dopo pochi minuti, in cui non era riuscito a ripensare realmente a quel giorno di tanti anni prima, ma unicamente a ciò che avrebbe dovuto fare una volta rincasato.
Quando fu fuori dalla caffetteria camminò rapidamente, senza nemmeno accorgersi che Hagrid lo stava osservando, mentre teneva in mano alcuni pacchetti. Non aveva comprato nessun tonico, ma aveva deciso di andare ad acquistare uno o due libri che forse gli sarebbero serviti per tentare di migliorare le lezioni di Cura delle Creature Magiche.
Aveva visto per caso il professore camminare rapido, per quanto non si fosse accorto da che negozio fosse uscito. Avrebbe voluto provare a chiedergli di nuovo se volesse bere qualcosa con lui. L’uomo era troppo solitario. Lo era stato da ragazzo e lo era anche in quel momento da adulto, per quanto gli sembrasse che avesse almeno un po’ legato con la professoressa McGranitt.
Lo perse però subito di vista. Rimase per qualche istante immobile, poi andò da solo verso il Paiolo Magico.
Quando tornò a Hogwarts era più tardi di quanto non avesse pensato, ma aveva trovato qualcuno con cui chiacchierare a Diagon Alley e poi si era fermato per un po’ a Hogsmeade. Non pioveva nemmeno più quando aveva lasciato Londra e in Scozia il clima era incredibilmente sereno, mentre il sole stava iniziando a calare all’orizzonte, in una di quelle lunghe notti estive che Rubeus amava particolarmente. Quando entrò nella sua capanna, notò subito una fiala trasparente sul tavolo.
Non dovette nemmeno chiedersi cosa fosse, né chi la mandasse. C’erano ovviamente le istruzioni – quelle il professor Piton le metteva sempre – e Hagrid fu certo che Thor si sarebbe rimesso subito.
Avrebbe dovuto unicamente aspettare il nuovo anno scolastico per ringraziare come di dovere l’uomo o forse avrebbe potuto mandargli alcuni dei suoi biscotti via gufo.
Di certo aveva appena compiuto un gesto gentile, per quanto silenzioso e discreto.
Ecco, forse erano quelle le vere caratteristiche di Piton, si disse il Mezzo-gigante, mentre, seguendo con cura le istruzioni del professore, somministrava il tonico a Thor.
15 giugno 1998
La luce mattutina era stranamente biancastra, quel giorno di giugno, mentre Severus avanzava lentamente lungo la strada.
Forse sarebbe potuto rimanere nel castello, senza sottoporsi ad inutili sforzi.
Non credeva nemmeno che una parte di lui avesse intenzione di punirsi per essere sopravvissuto. A quello aveva già pensato il morso di Nagini che non si rimarginava e che gli induceva degli improvvisi tremori alle mani che, a volte, gli impedivano di lavorare.
Forse voleva unicamente fuggire Hogwarts e la possibilità di incontrare Minerva. Sapeva che presto o tardi non sarebbe più riuscito a sfuggirle, che avrebbero dovuto parlare, ma temeva di vedere anche negli occhi della strega l’odiosa pietà degli altri suoi ex colleghi.
Doveva andarsene dalla scuola, si disse, ma ormai non credeva nemmeno che lo avrebbe mai fatto, a meno che non lo cacciassero, cosa che non sarebbe nemmeno stata del tutto illogica considerando quello che era accaduto sotto la sua presidenza.
La triste verità era che non aveva nessun luogo in cui andare.
Spinner’s End era stata distrutta e, con essa, tutti i libri che aveva collezionato per anni, l’unica cosa della casa a cui tenesse realmente.
Avrebbe potuto comprarsi un’abitazione isolata, dove non avrebbe corso il rischio di incontrare Minerva o chiunque altro, ma non era nemmeno certo che qualcuno nel Mondo Magico gliela volesse vendere. Forse si sarebbe rivolto ad un’agenzia Babbana, non appena fosse riuscito a risolvere il problema alle mani. La ferita al collo la poteva celare bene, ma quei tremori improvvisi sicuramente no e un agente immobiliare avrebbe potuto porgli domande a cui lui non voleva e non poteva rispondere.
Continuò a camminare lentamente, ignorando i pochi altri maghi o streghe che incontrava. La maggior parte dei negozi aveva già riaperto e sperava che così avesse fatto anche il caffè in fondo alla via.
Per quanto avesse già sbrigato l’incombenza per cui era andato fino a Londra quella mattina, sentiva la necessità di compiere il suo abituale pellegrinaggio, per quanto non fosse certo di poterlo portare a termine quell’anno, considerando le sue condizioni di salute e il modo di cui aveva parlato di lui la Gazzetta del Profeta dopo la sua assoluzione che, aveva scoperto, era stata possibile per una manciata di voti di scarto tra i giudici del Wizengamot.
D’altronde, si rese conto, mentre si avvicinava maggiormente alla sua meta, che non sapeva nemmeno più che cosa provasse realmente per Lily,
Era sempre stato così certo dell’amore che aveva provato per lei da non metterlo mai in discussione. Invece, da quando si era ritrovato vivo, iniziava a dubitare di essere ancora innamorato di una donna morta da più di un decennio e con cui, prima della sua morte, non aveva più parlato da anni, da quella sera davanti alla sala comune di Grifondoro.
Gli sembrava quasi che sopravvivendo avesse perso tutti i suoi punti di riferimento.
Aveva compreso che ad Albus non era mai realmente importato di lui o, almeno, non gli era importato come lui aveva sperato.
Aveva ricordato quanto sua madre non l’avesse mai amato.
Ed ora si rendeva che, con ogni probabilità, non amava più Lily.
Accelerò di poco il passo, mentre notava come la via sembrasse non aver attraversato una guerra e il dominio dell’Oscuro Signore.
Tutto era stato riparato rapidamente – la magia possedeva quel donno e quella maledizione – e riportato a quello che era. Non c’era nulla, nemmeno una lapide – come quelle che i Babbani ponevano a ricordo dei loro caduti – che ricordasse quello che era accaduto. Era come se il Mondo Magico avesse deciso di cancellare qualsiasi memoria della guerra che l’aveva insanguinato e Severus era certo che fosse la scelta più stolta che si potesse fare.
Si fermò un attimo a riprendere fiato.
La via era quasi deserta, ma una coppia stava passando accanto a lui. Il marito sputò a terra non appena gli fu accanto. La donna lo fissò semplicemente con odio e sospetto. Il gesto del mago sembrò attirare l’attenzione delle poche persone presenti nella strada a giudicare dal mormorio che si stava levando intorno a lui.
Severus riprese a camminare, ignorando le parole sussurrate e l’umiliazione di un altro sputo che gli arrivò addosso, quella volta. Almeno, poco prima, era riuscito ad entrare in uno dei pochi negozi rimasti di Nocturn Alley, dove aveva comprato un ingrediente di dubbia legalità, che, secondo alcuni libri che aveva consultato nella biblioteca di Hogwarts, avrebbe potuto rivelarsi utile dopo averlo opportunamente trattato. Mentre le male parole continuavano a seguirlo, preferì concentrarsi sull’ironia che voleva che quell’ingrediente fosse lo stesso che era andato a cercare anni prima per distillare una pozione proprio per il serpente che l’aveva ridotto in quello stato pietoso.
«Professore», la voce di Hagrid sembrò sovrastare i mormorii e le parole di odio che stavano montando tra i, fortunatamente, pochi maghi e streghe.
Sapeva che la situazione sarebbe potuta diventare più grave, al punto che era stato pronto a Smaterializzarsi, ma, a quanto pareva la presenza del Mezzo-gigante, che si era avvicinato a lui, era stata sufficiente a far desistere quella manciata di persone dal passare dagli sputi e dalle male parole a ben altro.
«Non credevo di trovarla qui.»
Rubeus aspettò che il Professor Piton rispondesse, ma l’uomo continuava a camminare. Hagrid gli si mise accanto, adattando i suoi passi a quelli lenti di qualcuno che aveva odiato con tutto sé stesso fino a poco tempo prima, per poi scoprire che era stato il Preside a progettare tutto, a ordinargli di ucciderlo.
Eppure, avrebbe dovuto capire che Piton non era il traditore che tutti credevano.
Rubeus si era sempre fidato di Silente e se Silente aveva sempre detto che Piton era un uomo degno della massima fiducia, allora non avrebbe dovuto dubitare.
Li aveva anche sentiti discutere e, se avesse riflettuto meglio, avrebbe dovuto capire di cosa stessero parlando, da quale compito Piton sembrava voler tirarsi indietro.
Inoltre, avrebbe dovuto capire che un uomo che non si faceva problemi a offrirgli tutte le pozioni di cui aveva bisogno, anche quando lui non gli chiedeva nulla, non poteva essere veramente malvagio.
Invece, si era lasciato influenzare dai fatti e dall’opinione degli altri insegnanti.
D’altronde, Piton non aveva fatto nulla per fare dubitare lui o gli altri che il suo tradimento non era affatto tale, per quanto, lui avrebbe dovuto intuire qualcosa, quando l’uomo gli aveva affidato alcune punizioni nel corso del suo mandato di preside.
Era stato, invece, decisamente cieco.
«Vuole venire a bere qualcosa?»
Mentre avanzavano erano arrivati davanti ad un piccolo caffè che Hagrid non aveva mai notato prima, nonostante lui fosse andato più volte di quante riuscisse a contare a Diagon Alley. Sperava che il professore dicesse qualcosa, ma l’uomo era taciturno e quasi più pallido del solito.
«Ti ha mandato Minerva?»
«No. Dovevo fare compere per alcuni animali.»
Un tempo era Piton a creare tutte le pozioni di cui la scuola avesse bisogno ed alcune le faceva ancora, ma la Professoressa McGranitt gli aveva detto che l’uomo era rimasto molto indebolito dalla ferita del serpente, un animale orrendo e che metteva i brividi ed era la prima volta che pensava qualcosa del genere di una creatura. Aveva quasi ammazzato quello che era, a tutti gli effetti, un eroe e lo aveva incredibilmente indebolito.
Hagrid lo poteva vedere con i suoi occhi.
Le altre volte in cui aveva incontrato l’uomo a Diagon Alley aveva sempre camminato velocemente, ma poco prima i suoi passi erano stati lenti e al Mezzo-gigante parve che le mani del professore tremassero.
«Feriti durante la battaglia?»
Severus si era fermato con Hagrid davanti al caffè in cui aveva bevuto una Burrobirra con Lily tanti anni prima.
All’epoca era un ragazzino ingenuo colmo di sogni e di speranze che aveva distrutto lentamente una dopo l’altra man mano che cresceva.
C’era stato anche un momento in cui si era detto che forse avrebbe potuto aiutare Hagrid con i suoi animali. Faceva il terzo anno, allora, e aveva visto che l’omone stava curando il cucciolo di un unicorno, con la gamba spezzata. Gli aveva fatto avere una pozione che aveva distillato e migliorato da solo in segreto, ma aveva chiesto a Lily di portagliela perché temeva che anche il Mezzo-gigante nutrisse dei pregiudizi nei confronti di un Serpeverde e soltanto in quel momento si rese conto di non aver mai ricevuto nessun ringraziamento.
Eppure, Hagrid aveva sempre avuto una parola grata negli anni in cui gli aveva fornito alcune lozioni per gli animali di cui si prendeva cura ai margini della Foresta Proibita.
C’era solo una spiegazione per quella mancanza di riconoscenza, si rendeva conto, ma non voleva pensarci realmente. Già sapeva che Lily non l’avrebbe mai perdonato, nemmeno se fosse strisciato ai suoi piedi, nemmeno se le avesse offerto tutto il sangue che aveva perso per la ferita infertagli da Nagini, nemmeno se fosse riuscito nell’impossibile impresa di riportare in vita Nagini e di farsi ferire di nuovo. Non voleva pensare al motivo che poteva averla spinta a non dire nulla a Hagrid o, forse, a prendersene il merito. Non voleva pensare – non quel giorno, per lo meno – che la Grifondoro l’aveva usato e, se così era stato, voleva sperare che lo avesse fatto senza rendersene realmente conto.
«Alcuni, professore. Altri sono spaesati.»
Hagrid osservò il volto di Piton. La professoressa McGranitt gli aveva detto che la ferita al collo non si sarebbe mai rimarginata completamente e si chiese quanto stesse soffrendo, in quel momento, per quanto il suo volto fosse perfettamente calmo, nonostante il modo in cui la gente aveva reagito alla sua presenza poco prima.
Per qualche istante, gli parve simile ad uno dei piccoli Thestral che avevano ferito le ali, mentre scappavano dalla battaglia. A Rubeus sembrò quasi sperduto, come se avesse perso qualsiasi punto di riferimento, per quanto nulla nel suo atteggiamento lo desse a vedere. Appariva, piuttosto, nonostante il volto emaciato e gli occhi segnati da occhiaie profonde, impossibile da spezzare. Era quello che aveva pensato poco prima, quando aveva visto un mago sputargli addosso. Un’altra persona avrebbe potuto voltarsi, reagire con rabbia, invece il professore si era soltanto rimesso a camminare e aveva continuato ad avanzare quando i mormorii erano aumentati.
Hagrid gli si era avvicinato perché aveva provato non poca rabbia per quei maghi e quelle streghe che non parevano voler credere a quello che Harry aveva detto al Wizengamot.
«Quando finiranno i lavori al castello, prima che ricominci la scuola, sono certo che gli animali riusciranno a ritrovare la calma.»
Il professore aveva parlato con calma. Non c’era nemmeno il tono tagliente che aveva utilizzato altre volte. Non che avesse parlato con gentilezza, ma Rubeus trovò quelle parole confortanti.
«Vuole entrare a bere qualcosa?»
Severus osservò con attenzione Hagrid, cercando di comprendere cosa dovesse rispondergli, ma non credeva che fosse una buona idea. Non era nemmeno certo dell’accoglienza della proprietaria della caffetteria e non sapeva nemmeno se valesse veramente la pena continuare con il pellegrinaggio nel ricordo che aveva caratterizzato le sue estati passate, con l’eccezione di quella precedente. Forse, quegli anni di pellegrinaggio, ormai appartenevano al passato, per quanto i ricordi non se ne sarebbero mai andati.
«Bevi una Burrobirra anche per me. Dicono che in quel caffè ne servano la migliore.»
Rubeus rimase fermo dov’era, seguendo con lo sguardo l’uomo allontanarsi e poi Smaterializzarsi. Si chiese se avesse le forze per arrivare da Hogsmeade fino alla scuola. Ora che non l’aveva più davanti, si rese conto che era incredibilmente magro e che il volto era più scavato di quanto non fosse stato durante gli anni precedenti.
Prima di aprire la porta del caffè, si voltò verso la gente che aveva visto sputargli contro poco prima.
Degli stupidi ingrati, si disse, mentre ordinava da bere. Il professore aveva ragione. La Burrobirra era ottima e particolarmente schiumosa, migliore di quella che veniva servita a Hogsmeade. mentre stava seduto su una sedia che sembrava sempre sul punto di rompersi sotto il suo peso, si chiese come l’uomo conoscesse quel posto, ma sapeva che era una domanda che sarebbe rimasta senza risposta.
Nonostante tutto, Piton era rimasto un solitario, proprio com’era a scuola e com’era stato prima della guerra.
Eppure, Hagrid era giunto a stimarlo e si vergognava per quello che aveva pensato di lui dopo la morte di Silente.
Bevve un altro sorso di Burrobirra e brindò al professore, sperando che la prossima volta in cui lo avrebbe incontrato non gli sembrasse più così sperduto.
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[1] Il significato dei fiori è stato dedotto da vari libri di araldica medievale che portano anche il significato dei fiori