Il Calderone di Severus

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view post Posted: 9/5/2023, 17:16 (News) - Fanfiction in Progress - Cosa bolle nel Calderone di Severus
Long-fic in progress di Alaide - What harbour shelters peace away from storms? - Capitolo V
view post Posted: 9/5/2023, 17:14 Alaide - What harbour shelters peace away from storms? - Storie in Progress
Ecco un nuovo capitolo.
Lascio il link all'elenco dei personaggi e al primo capitolo


Capitolo V



Hogwarts, 15 settembre 2000


Edward rimase immobile, mentre Soren e gli altri uscivano dalla stanza che improvvisamente gli parve grande e terribile. Non sapeva di cosa volesse parlare Piton e non era certo di essere in grado di rispondere come si era sempre aspettato di fare.
«Signorina Koesel», il ragazzo notò che il tono di voce dell’uomo era quasi gentile e che i suoi occhi neri apparivano colmi di desolazione, anche se il volto era incredibilmente controllato. «Ti pregherei di aspettarmi nella stanza che troverai oltre quella porta, mentre parlo con il signor Fairchild.»
Edward avrebbe preferito che Medea rimanesse con lui o che protestasse, ma la ragazzina obbedì senza dire una sola parola. Almeno non stava più piangendo, ma era ancora pallida e sembrava spaventata anche se non come pochi minuti prima.
«Le parole di Jeremy Adair sono quelle di un ignorante, signor Fairchild», affermò Piton, quasi bruscamente, ma a Edward piacque che andasse subito al punto.
E poco dopo si sentì in colpa per quell’apprezzamento.
«Lo so, ma…», si interruppe di colpo. Il professore lo osservò, senza dire nulla, in attesa che lui continuasse ed Edward si disse che non poteva tacere oltre, a meno che non volesse passare per uno stupido. «Non fanno meno male.»
«Com’è naturale che sia, signor Fairchild», commentò Piton.
«I miei genitori sono veramente in una fossa comune, dato che i suoi sim… dato che i loro assassini non… non ho nemmeno un posto dove andarli a piangere. E quello che ha detto Jeremy è stato orribile e mamma e papà non erano cattivi…»
Edward non sapeva per quale motivo avesse pronunciato quelle parole sconnesse. Aveva anche quasi incolpato Piton della morte di mamma e papà, quando sapeva che non avrebbe mai dovuto commettere un errore del genere.
D’altronde, dopo quel pomeriggio, non era nemmeno certo che l’uomo fosse l’essere crudele che si era immaginato.
«Lo so, signor Fairchild, ma ti accorgerai che esistono persone che sanno riempirsi la bocca di parole crudeli», commentò Piton, senza dire nulla in proposito alla frase che si era quasi lasciato sfuggire. E quell’affermazione lo rese ancora più confuso nei confronti di un mago che gli era stato dipinto come un mostro. «Hai agito adeguatamente oggi. Per questo ti assegno quindici punti e altrettanti alla signorina Collins.»
Severus notò che il ragazzo non riuscì a nascondere il suo stupore. L’uomo era convinto che il signor Fairchild avesse temuto che lo punisse per le parole che aveva appena accennato.
Era, d’altronde, più che naturale che non potesse fare a meno di vederlo in tutto e per tutto uguale ai Mangiamorte che gli avevano portato via i genitori.
E, in fondo, lo era.
«La ringrazio, professore.»
«Puoi andare ora, signor Fairchild.»
Forse avrebbe potuto tentare di sondare meglio i sentimenti del ragazzo per capire quanto in profondità fosse stato ferito dalle parole terribili pronunciate da un bambino che doveva aver sentito dire regolarmente frasi del genere nella sua casa. Ma doveva parlare prima con Medea Koesel, con quella ragazzina dall’espressione terrorizzata, di un terrore che aveva visto unicamente nelle vittime delle peggiori torture.
Quando entrò nella stanza dei suoi appartamenti contigua all’ufficio, dove troneggiava l’affollata libreria, notò che la piccola Corvonero si era rannicchiata su una delle poltrone, nella postura di chi desiderava scomparire. Severus andò a sedersi di fronte a lei.
«Avrebbe dovuto mettere in punizione me e non Soren», mormorò la ragazza, senza osare fissarlo in volto.
«Non mi risulta che tu abbia tentato di fare a botte con un tuo compagno di Casa.»
«Ma io… sono stata io a ferire Soren.»
Medea alzò gli occhi verso di lui e Severus trovò di nuovo espresso il senso di colpa ed era terribile vedere quel sentimento riflesso nelle iridi di un’innocente, di una bambina ferita dalla vita.
«Per un semplice incidente, signorina Koesel, come ha spiegato egregiamente il signor Hardwick.»
«Non… non è stato un incidente.»
Medea si chiese se dovesse parlare con l’uomo, spiegargli tutto. Aveva sentito la Direttrice parlare di lui e ricordava che lo aveva definito con parole molto simili a quelle che usava con lei. Forse, lui avrebbe capito.
Oppure, avrebbe scritto immediatamente all’orfanotrofio.
«Quindi hai preso in mano il coltello e invece di tagliare gli ingredienti, hai deciso di ferire il signor Hardwick?»
Medea non sapeva come rispondere a quella domanda. Era apparentemente semplice, ma a lei appariva simile ad una montagna da scalare, forse, perché nessuno l’aveva mai interrogata in quel modo.
«Non è importante», mormorò debolmente.
«Invece, signorina Koesel, la tua intenzionalità o meno a ferire il signor Hardwick è la chiave di tutto.»
Severus notò la bambina diventare nervosa e incerta. E gli occhi, cerchiati di rosso, tornarono a riempirsi di lacrime, che però non caddero lungo le guance smunte di Medea. Sembrava quasi un animale braccato e l’uomo sperò di star agendo nel miglior modo possibile, per quanto ne dubitasse.
Forse, aveva semplicemente scelto uno scopo impossibile per la sua vita.
Forse, aveva toccato troppe volte l’oscurità per poter essere un sostegno per quei bambini innocenti.
«Non volevo… ma, non importa, alla fine provoco sempre del male… è che sono cattiva, professor Piton.»
«Eppure, il signor Hardwick non sembra crederlo, e nemmeno la signorina Collins e il signor Fairchild.»
«Perché non capiscono, loro…», la voce della bambina si spezzò. Tirò su con il naso e si passò una mano sugli occhi, come se volesse impedirsi di piangere ancora. «Loro sono buoni e io… non voglio fare loro del male.»
«Un’idea più che ragionevole, signorina Koesel, e che non fa certo di te una persona cattiva.»
«Ma io lo sono. Finisco sempre con il fare del male agli altri… ho fatto molte cose malvage…»
Severus osservò il volto dilaniato dal dolore, dalla paura e dalla colpa di quella bambina e si chiese cosa le fosse accaduto, cosa la facesse credere così fermamente di essere cattiva, di non poter fare amicizia con gli altri ragazzi per quello.
«Credo che tu abbia sentito parlare di me», decise di dire. Non sapeva se quella fosse la scelta giusta, ma voleva far comprendere a quella bambina che era impossibile che lei fosse malvagia, che già il fatto che stava tenendo a distanza Soren per evitare di fargli del male la rendeva ben diversa. «E oggi hai sentito uno di quei Corvonero chiamarmi Mangiamorte.»
«La Direttrice dell’orfanotrofio era molto arrabbiata quando è stato assolto», mormorò la ragazza, scuotendo poco dopo il capo, come se si fosse appena pentita di aver pronunciato quelle parole.
«Ti posso assicurare, signorina Koesel, che ho compiuto e ho visto molte azioni malvage e nessuna di queste era un incidente come quello che è accaduto oggi.»
«Ma io ho fatto del male anche prima. Non volevo mai, ma l’ho fatto… loro…», la bambina si interruppe di colpo, reprimendo malamente un singhiozzo.
«Loro, signorina Koesel?»
«Mia madre e mio zio… io non volevo… e non volevo nemmeno uccidere Toby, ma la Direttrice…»
La voce della bambina si spense nei singhiozzi che iniziarono a scuoterne il corpo che a Severus parve troppo esile. L’uomo rimase per qualche lungo istante immobile, prima di inginocchiarsi davanti a Medea. Non aveva idea di come si potesse confortare un’innocente così ferita, che era stata circondata da adulti orribili, peggiori dei suoi genitori. Non credeva che la ragazza fosse mai stata picchiata, ma nemmeno suo padre l’aveva mai indotto a uccidere. Il sangue che gli macchiava le mani era unicamente frutto delle sue scelte atroci.
«Medea», disse, sperando di star compiendo la scelta giusta a chiamarla per nome. «Chi era Toby?»
La bambina alzò il capo e incontrò lo sguardo dell’uomo. Il professor Piton si era inginocchiato davanti a lei e le stava parlando con una voce calma che le comunicò una tranquillità che non provava da quando suo padre era morto.
«Un pipistrello», disse, decidendo di rivelargli tutto. Era certa che lui l’avrebbe capita. Aveva detto di aver fatto delle cose cattive, anche se Medea era sicura che non fosse mai stato malvagio come sua madre. «All’orfanotrofio, la Direttrice è molto attenta a separare i bambini cattivi da quelli buoni. Dormiamo da soli e… non possiamo parlare con gli altri, nemmeno durante le lezioni, per non contaminarli con il nostro sangue marcio. Io… una notte un piccolo pipistrello è entrato nella mia stanza. Era estate e c’era caldo. Aveva un’ala ferita, così ho provato a fasciarla e è diventato mio amico. L’ho chiamato Toby… ma… non avrei dovuto parlare con nessuno.»
La voce di Medea si spense in un singulto angosciato e Severus non le disse nulla, non la forzò a continuare il discorso, perché poteva immaginare fin troppo bene in che direzione andasse. La bambina era stata scoperta e i mostri che gestivano quell’orfanotrofio l’avevano costretta a ucciderlo, come suprema forma di punizione.
«Non è stata colpa tua se Toby è morto», disse, cercando di usare un tono confortante, ma non credeva nemmeno di esserne in grado. Pomona sarebbe stata ben più adatta a quel compito.
«Io non volevo… non volevo…»
«Quando ti hanno ordinato di colpirlo, ti sei sentita strana?»
«No… la Direttrice mi ha detto che ero cattiva e che avrei dovuto dimostrare la mia malvagità e… io le ho detto di no, ma lei… io non volevo…»
«Lo so», rispose soltanto, mentre nuove lacrime colavano lungo le gote della bambina. «Così come oggi non volevi ferire il signor Hardwick.»
Medea voleva disperatamente credere alle parole del professor Piton, ma sarebbe stato troppo bello scoprire di non essere così sbagliata, come aveva sempre creduto e come le era stato ripetuto tante volte nell’orfanotrofio.
L’uomo era ancora inginocchiato davanti a lei e quel gesto la fece piangere ancora di più. Erano anni che non si comportava così di fronte a un adulto. Ricordava ancora che papà la abbracciava e le diceva che tutto sarebbe andato bene, ma papà era morto e lei era rimasta da sola con la madre e da allora tutto era peggiorato.
«Soren… mi odierà?»
«Puoi chiederglielo tu stessa.»
«Non posso… Rachel lo dirà alla Direttrice e…»
Severus notò l’angoscia negli occhi della bambina. Almeno sembrava essere scomparso quel doloroso senso di colpa e il terrore che aveva notato non appena era entrata con gli altri ragazzi. Non osò chiederle che cosa avesse dovuto fare quando sua madre era ancora viva, ma, avendo intuito di chi fosse figlia, poteva immaginare che Medea ne fosse uscita devastata. Poi, all’orfanotrofio, l’avevano plagiata a tal punto che era giunta a credere di essere cattiva.
E Severus era certo che quella breve conversazione non sarebbe bastata per disfare quello che era stato fatto e quel giorno i ricordi della morte del pipistrello che aveva adottato dovevano essere risorti e, immersa in quelle memorie dolorose, non si era resa veramente conto di quello che stava facendo.
«La signorina Honeychurch non si trova ovunque, signorina Koesel», decise di dire.
«Ma non è la sola e ricordo che Antigone è stata punita quando è tornata all’orfanotrofio dopo il suo primo anno.»
«E credi veramente che possano entrare in queste stanze senza il mio permesso?»
Non sarebbe stato facile, ma avrebbe potuto offrire un rifugio a quella bambina ferita e, nel frattempo, avrebbe lavorato per capire come sottrarla a quel maledetto orfanotrofio. Gli sarebbe servita la collaborazione di Minerva, a cui non avrebbe detto nulla di quanto Medea gli aveva confidato, a meno che la bambina non fosse stata d’accordo.
Forse, era per aiutare quella bambina che era sopravvissuto.
«Potrò… potrò tornare?»
C’era una strana luce di speranza negli occhi della ragazza, una speranza adombrata dall’angoscia, ma che riuscì a renderlo più fermo nel suo proposito.
«Evidentemente, signorina Koesel», affermò. «Devi andare però, ora. L’inizio della cena è già passato da un pezzo.»
La bambina annuì, accettando poco dopo il fazzoletto che le porse affinché si asciugasse le lacrime. Severus si alzò in piedi, imitato da Medea che sembrava più tranquilla, mentre usciva dalla stanza e, subito dopo, dall’ufficio.
L’uomo rimase a lungo fermo davanti alla porta, chiedendosi se fosse veramente lui la persona più adatta per aiutare quella ragazza, se quell’idea impulsiva di invitarla nelle sue stanze, per trovarvi un rifugio, le avrebbe veramente fatto del bene.
Eppure, voleva permettersi di sperare di poterla realmente aiutare, di poterla proteggere. Quando tornò nella parte privata dei suoi alloggi, chiamò immediatamente Ory per poter mangiare un boccone prima di supervisionare la punizione di Soren, ma non riuscì a gustare il poco cibo che consumò, cosa che gli costò un’occhiata tutt’altro che lieta dell’elfa, che borbottò qualcosa di molto simile a “Il signor Preside dovrebbe prendersi maggior cura di sé”, in un inglese sorprendentemente corretto.
Ma non importava quello che diceva Ory.
L’orrore di quello che aveva subito Medea gli aveva fatto montare in gola il sapore amaro della bile. Per quanto avesse tentato in quegli anni di fare i conti con il proprio passato, di analizzare tutto con occhio distaccato, in quel momento, non riusciva a evitarsi di provare un sordo senso di colpa di fronte al fatto che quella bambina stesse soffrendo così tanto, che vivesse in una sorta di prigione, quando lui, che aveva commesso realmente delle azioni orribili, era libero. Minerva non l’avrebbe definita una vera libertà, perché la sua vita era comunque sottomessa al controllo aleatorio di Auror zelanti, ma non stava languendo in una cella di Azkaban, dove sarebbe probabilmente già morto, considerando che il carcere era popolato da Mangiamorte e da simpatizzanti dell’Oscuro che avrebbero punito più che volentieri il traditore.
Si sentì quasi schiacciare dal peso della responsabilità nei confronti di quei bambini.
Anche i due Corvonero che avevano dato il via a quanto accaduto quel giorno non erano altro che vittime degli adulti che avevano inculcato in loro un odio che non avrebbe dovuto esistere. La stessa signorina Honeychurch era una vittima di quella stessa Direttrice che aveva torturato Medea, nella forma più subdola di tortura.
E il Ministero pareva cieco di fronte a tutto quello.
L’intero Mondo Magico era ottenebrato al punto da ignorare le conseguenze che la Guerra Magica stava avendo sui più innocenti.
Quando sentì bussare alla porta, nascose il senso di colpa e il peso della responsabilità in un recesso nascosto della sua mente. Soren Hardwick entrò con un’espressione abbattuta.
«Mi dispiace veramente, professor Piton, per come mi sono comportato oggi», esordì il ragazzo. «Non avrei dovuto perdere la pazienza a quel modo, ma Jeremy aveva insultato i genitori di Edward e di Medea e, poi, ha nominato mio padre e… non avrei dovuto reagire.»
Soren aveva riflettuto a lungo su quello che aveva quasi fatto, durante tutta la cena. Isabel era andata a parlare con lui, chiedendogli se le voci che giravano per la scuola fossero vere, anche se quanto era accaduto era stato incredibilmente ingigantito. La ragazza lo aveva rincuorato per quanto non fosse certo che avesse realmente compreso per quale motivo era scattato proprio in quel preciso istante.
«No, non avresti dovuto», disse il professore. «Voglio sperare che ciò che è accaduto ti serva da lezione. Seguimi.»
Soren non disse nulla, ma si ripromise di non deludere più l’uomo che era stato così gentile da starlo ad ascoltare. Si limitò a procedere dietro al mago, fino a quando non arrivarono in quello che era palesemente un laboratorio di pozioni.
«Questa sera dovrai preparare alcuni ingredienti e mi aspetto un lavoro preciso, signor Hardwick.»
Il ragazzo annuì, mettendosi subito davanti alla postazione che gli indicò il professore, ripromettendosi di fare tutto nel migliore dei modi.
«Spiegami adesso perché hai mentito quando ti ho chiesto, oggi pomeriggio, cosa fosse accaduto in classe.»
Soren alzò lo sguardo dai fiori di lavanda su cui stava lavorando con attenzione. L’uomo si trovava davanti a lui e stava lavorando ad una pozione, che gli parve particolarmente complessa, considerando che nel tempo che si prese per rispondere, il professor Piton aveva già aggiunto due ingredienti e mescolato sia in senso orario che in senso antiorario.
«Temevo di mettere nei guai Medea.»
«Quindi non è stato un incidente, signor Hardwick?»
Il ragazzo si chiese per un attimo come facesse l’uomo a interrogarlo e nel frattempo a seguire tutti i passaggi di quella pozione. Non era per niente certo che la professoressa Wilkins ne sarebbe stata in grado.
«No, è stato un incidente», protestò, senza nemmeno rendersi conto di aver abbandonato il suo lavoro.
«Ho bisogno di quella lavanda tra cinque minuti, signor Hardwick.»
Severus notò l’espressione stupita del ragazzo, che si mise alacremente al lavoro. Aveva riflettuto a lungo sul tipo di punizione a cui sottoporre il piccolo Soren e, alla fine, aveva deciso di fargli preparare alcuni ingredienti, approfittando del momento per porgli le domande che riteneva opportune. Lasciò che il signor Hardwick continuasse a lavorare in silenzio, fino a quando non ebbe preparato tutti i fiori di lavanda, con una cura che lo sorprese.
«E questo incidente come è accaduto?»
Il ragazzo portò più vicino a sé gli occhi di scarafaggio da ridurre in poltiglia, prima di risponde:
«La professoressa Wilkins ci ha assegnato alcuni ingredienti da preparare.»
«Per quale pozione?»
«Non lo so. Ognuno di noi aveva delle cose diverse. La professoressa non ci ha detto a cosa sarebbero servite. Io avevo della belladonna e degli scarafaggi, mentre Medea aveva dei gambi di margherita e un pipistrello.»
Severus si chiese se la professoressa Wilkins fosse stata a conoscenza di quello che era accaduto a Medea nell’orfanotrofio oppure se si fosse trattato unicamente di una malaugurata coincidenza, ma non credeva realmente a quell’ultima ipotesi, considerando che c’era già stato il precedente dell’isolamento della ragazza nella classe.
«Cos’è accaduto?»
«Medea si è come… non so nemmeno come spiegarlo, ma mi è sembrato che non fosse più realmente lì, con noi. Ha lavorato ai gambi di margherita con cura, però, subito dopo, quando ha iniziato a occuparsi del pipistrello è diventata pallida e sembrava veramente in preda al terrore. Ho provato a chiamarla, ma non mi ha risposto e poco dopo ha preso in mano il coltello e ha colpito il pipistrello. Le ho afferrato il polso, ma devo averla spaventata. Per questo sono stato ferito.»
La narrazione di Hardwick non faceva altro che confermare quello che aveva già intuito durante il suo colloquio con la ragazza.
«Come sta Medea, professore?»
Soren si chiese se non fosse stato impertinente a porre quella domanda, quando avrebbe dovuto essere in punizione, ma sapeva che il professore aveva parlato con la compagna di Casa.
«Immagino tu sappia che non ti posso dire quello che la signorina Koesel mi ha detto», il ragazzo annuì immediatamente alle parole dell’uomo. «Ma dovrai essere cauto.»
«Ma potrò parlare con lei?»
«Lontano da occhi indiscreti, signor Hardwick.»
Soren alzò lo sguardo dal suo lavoro, dove stava facendo a pezzi regolari una strana sostanza gelatinosa di cui non voleva realmente conoscere l’origine.
«Potremmo incontrarci qui? Le prometto che non saremo d’intralcio e, se necessario, posso preparare tutti gli ingredienti che vuole.»
Severus osservò il volto del ragazzo, cercando di capire come fosse giunto a quell’idea, senza che lui dicesse nulla, né che lo spingesse in quella direzione.
«Se non trovi nessun altro luogo dove andare.»
«Lei è il professore di cui mi fidi di più», ammise il ragazzo con un sorriso. «E le sono grato per tutto quello che sta facendo per Medea o per me.»
Severus spense delicatamente il fuoco sotto il calderone che aveva utilizzato per creare una pomata che avrebbe potuto, se non si fosse rivelata un altro buco nell’acqua come tutti gli altri tentativi, cicatrizzare completamente la ferita al collo.
«Dovresti tornare nella tua sala comune, signor Hardwick», decise di dire, senza osare rispondere a quella gratitudine che, con ogni probabilità, era malriposta.
Soltanto quando il ragazzo uscì dalle stanze, Severus ricordò di aver già incontrato una volta Soren. Non aveva collegato fino a quel momento il bambino di allora e il Corvonero che era diventato.

view post Posted: 2/5/2023, 08:01 Appuntamento con la lirica - Musica e Musicisti
CITAZIONE (Ida59 @ 1/5/2023, 21:17) 
JDF è JDF e non si discute

Concordo! Ha fatto un Edgardo molto interessante (e la grande aria finale l'ha cesellata da par suo).
CITAZIONE
Lisette mi è piaciuta molto (anche al mio papà) ma ho un dubbio: sul verso La vita a noi sarà! mi ricordavo che la voce del soprano gorgheggia, rincorre e si fa rincorrere dal flauto (talvolta la glassarmonica), superandolo nel finale. Un effetto sublime! Possibile che io non ricordi di averlo sentito l'atro ieri sera? Oppure non c'era? E se non c'era, perchè? Esistono versioni diverse?

Effetto sublime, ma non scritto da Donizetti (la cadenza di cui parli è un'aggiunta posteriore presa, se non ricordo male, dalla Dinorah di Meyerbeer). Quindi, nella rappresentazione che abbiamo visto, si è deciso di utilizzare la scrittura originale togliendo la cadenza. Devo ammettere che senza cadenza la scena della follia, secondo me, ci guadagna, perché la rende più secca e drammatica.
La glassarmonica è anch'essa la scelta originale di Donizetti, sostituita poi dal flauto.
CITAZIONE
Mi sono piaciuti quasi tutti: il tonante Enrico, la cui voce talvolta sorpassava perfino quella degli altri, il basso Pertusi e Alisa. Normanno non mi piace mai (che tipo di voce è la sua?) mentre Arturo mi è sembrato piuttosto inutile.

Normanno è un tenore (di solito piuttosto scadente). Devo essere sincera, ma a me Enrico non è piaciuto (l'ho trovato fuori stile, troppo tonitruante). Ottimo Pertusi.
CITAZIONE
Lo spettacolo mi è piaciuto, e rivederlo dalle riprese ravvicinate lo rende ancor più godibile: grazie di tutto, Leonora, anche da parte del mio papà.

Sono felice che lo spettacolo ti sia piaciuto (a me non molto: troppo statico, la recitazione non era curata, ma io sono una perfida loggionista musicologa, quindi, probabilmente non faccio testo).
view post Posted: 30/4/2023, 17:45 Appuntamento con la lirica - Musica e Musicisti
Segnalo che è disponibile a QUESTO SITO la registrazione video della prima rappresentazione della Lucia di Lammermoor in scena in questi giorni alla Scala di Milano.

Lascio di seguito l'elenco degli interpreti:

Direttore: Riccardo Chailly
Regia, scene e costumi: Yannis Kokkos
Luci: Vinicio Cheli

Enrico: Boris Pinkhasovich
Lucia: Lisette Oropesa
Edgardo: Juan Diego Flórez
Arturo: Leonardo Cortellazzi
Raimondo: Michele Pertusi
Alisa: Valentina Pluzhnikova
Normanno: Giorgio Misseri
view post Posted: 14/4/2023, 21:32 Etimologie varie e curiosità etimologiche - Etimologia
Ho letto con interesse questo brano sul termine eonismo (che non conoscevo) e sul cavaliere d'Eon (che ho incontrato, per la prima volta, giocando ad Assassin's Creed).
Mi sono sempre ripromessa di leggere, prima o poi, la sua autobiografia. Per quanto poco attendibile, dovrebbe essere interessante, anche per il miscuglio di finzione e realtà che deve contenere.
Grazie mille, Ida, per avermi fatto incontrare nuovamente questo personaggio storico.
view post Posted: 13/4/2023, 08:00 Un'Opera per Severus - Severus e la musica
CITAZIONE (Ida59 @ 12/4/2023, 21:39) 
Lo so, lo so, lo so. Sono due mesi che questa finestra è aperta nel mio browser, ma ci vuole tempo per affrontare il discorso nel suo insieme ed è difficile trovarlo tutto in un colpo, ma spezzettare il lavoro è controproducente.
Abbi fede.

Non ti preoccupare! <3
view post Posted: 13/4/2023, 07:57 4.5. Liederistica. Die Winterreise (Il viaggio d'inverno) - -Aula di musica
CITAZIONE (Ida59 @ 12/4/2023, 21:15) 
Torna il ricordo della tua storia, e del tiglio (non so se c'era nella storia, ma io ne percepiso il sentore dolciastro), e della pace di morte.

Sì, il tiglio c'era con il sentore dolciastro (nel capitolo corrispondente lo sentiva Ygraine. Severus era impegnato a prestare un fazzoletto a Rebecca) che ogni tanto tornava nei capitoli successivi.

CITAZIONE
Grazie per tutte le spiegazione che rendono più "vissuto" l'ascolto.

Grazie <3
view post Posted: 12/4/2023, 19:18 4.5. Liederistica. Die Winterreise (Il viaggio d'inverno) - -Aula di musica

Quinto Lied

Der Lindenbaum (Il tiglio)




Prima di iniziare l’analisi di questo Lied, mi scuso per il lungo silenzio, ma sono stata letteralmente sommersa dagli impegni. Tenterò di proporre una lezione a settimana, alternando queste sulla liederistica e quelle sull’opera.

Vi ricordo brevemente quello che è accaduto nel ciclo: il viandante, dopo aver visto svanire il suo sogno d’amore, abbandona la città dell’amata per intraprendere un viaggio in un inverno freddo e senza speranza che è, soprattutto, l’inverno della sua anima oltre che della natura.

In questo quinto Lied emerge, per la prima volta, il richiamo alla morte, rappresentato dal tiglio che chiama a sé il viandante promettendogli pace.

Il Lied ha struttura AA’A’’: lo si può vedere sia come un Lied tripartito sia come un Lied strofico variato.

Sezione A: Il Lied è introdotto dal pianoforte (00:00-00:23), che impone un tono quasi ipnotico, da ninna nanna. È la voce del tiglio che chiama il viandante. Il nostro protagonista è sempre stato attratto dalla pianta, sotto i cui rami ha sognato (i sogni illusori di un amore felice) e dove ha inciso molte parole d’amore.
Le prima strofa della poesia è intonata su due motivi che si presentano piuttosto simili, sempre con quel tono quasi “ipnotico” dell’introduzione pianistica.


 


 

Am Brunnen vor dem Tore
da steht ein Lindenbaum;
ich träumt' in seinem Schatten
so manchen süssen Traum.
Ich schnitt in seine Rinde
so manches liebe Wort;
es zog in Freud' und Leide
zu ihm mich immer fort.
 

Presso il pozzo vicino alla porta
si erge un albero di tiglio;
ho sognato nella sua ombra
molti dolci sogni.
Ho inciso sulla sua corteccia
molte parole d'amore;
nella gioia e nel dolore
sono sempre stato attirato da lui.

 



Sezione A’: Al minuto 1:28 si passa alla seconda sezione, con un accompagnamento pianistico più mosso, così come più mossi appaiono i due motivi. Il viandante passa accanto al tiglio (possiamo immaginare che quando lascia la casa dell’amata vaghi intorno ai luoghi dell’illusione) e gli sembra di udirne il richiamo (siamo nella seconda parte della sezione musicale). Si tratta del richiamo della morte (Qui troverai pace), che però il viandante, in un’espansione di questa sezione del Lied (sono i primi quattro versi della terza strofa), rigetta. Questo rifiuto (2:24-2:54) spezza nettamente il tono cullante del Lied, in un moto quasi di ribellione alle parole sussurrate dai rami del tiglio.

 


 

Ich musst' auch heute wandern
vorbei in tiefer Nacht,
da hab' ich noch im Dunkeln
die Augen zugemacht.
Und seine Zweige rauschten,
als riefen sie mir zu:
Komm her zu mir, Geselle,
hier find'st du deine Ruh'!

Die kalten Winde bliesen
mir grad ins Angesicht;
der Hut flog mir vom Kopfe,
ich wendete mich nicht.
 

Anche oggi devo passare
oltre ad esso nell'oscurità della notte.
Anche nell'oscurità
ho chiuso gli occhi.
E i suoi rami mormoravano
come se mi stessero chiamando:
vieni qui da me, amico,
qui troverai la pace.

Il vento freddo mi soffiava
dritto in faccia;
il cappello è volato via dal mio capo,
non mi sono girato indietro.

 



A’’: ritorna il motivo cullante sull’ultima strofa, ripetuta due volte (con l’ultimo verso ripetuto a sua volta due volte nella seconda ripetizione). Il viandante prosegue per la sua strada, ma resta il sussurro del tiglio (Là troveresti la pace).

 


 

Nun bin ich manche Stunde
entfernt von jenem Ort,
und immer hör' ich's rauschen:
Du fändest Ruhe dort!
 

Ora mi trovo a molte ore
di distanza da quel luogo,
e ancora lo sento bisbigliare:
là troveresti la pace.

 





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view post Posted: 4/4/2023, 14:46 (News) - Fanfiction in Progress - Cosa bolle nel Calderone di Severus
Long-fic in progress di Alaide - What harbour shelters peace away from storms? - Capitolo IV
view post Posted: 4/4/2023, 14:43 Alaide - What harbour shelters peace away from storms? - Storie in Progress
Ecco un nuovo capitolo (che mi è venuto incredibilmente lungo).
Lascio il link all'elenco dei personaggi e al primo capitolo



Capitolo IV



Hogwarts, 12 – 15 settembre




Soren rimase fermo nel corridoio all’esterno dello studio del professor Piton, mentre ripensava a come l’uomo fosse stato realmente ad ascoltarlo, al contrario di quello che aveva fatto il suo Capocasa. Era certo che il pozionista avrebbe fatto il necessario per Medea, anche se questo non sarebbe stato facile.
Il ragazzo si riscosse e iniziò a camminare rapidamente verso l’aula di Trasfigurazione, che si trovava diversi piani sopra. Non aveva molto tempo prima dell’inizio della lezione, ma credeva che non sarebbe arrivato in ritardo. Quando giunse davanti all’aula, notò di essere uno degli ultimi. Fece passare quattro Grifondoro, prima di entrare a sua volta e andarsi a sedere accanto a Medea che, come al solito, si trovava da sola, sul fondo della stanza.
La professoressa McGranitt iniziò la lezione pochi istanti dopo e Soren ne fu felice, perché la compagna di Casa non avrebbe potuto cacciarlo. Durante il tragitto aveva riflettuto a lungo sulle parole del professor Piton e aveva deciso di essere più diretto con Medea e di farle comprendere che l’unica cosa che desiderava era esserle amico. Sapeva che alcuni avrebbero potuto trovare strana quell’insistenza, considerando che la ragazza aveva fatto capire fin troppo bene che non desiderava la loro compagnia, nonostante il poco tempo trascorso dall’inizio della scuola.
Mentre la lezione proseguiva, tentò di concentrarsi sulle parole della professoressa McGranitt, ma quando si trattò di mettere in pratica l’incantesimo di quel giorno, non riuscì a ricavarne nulla di buono, come la maggior parte della classe.
«Non ti saresti dovuto sedere di fianco a me», gli disse Medea non appena uscirono, per ultimi, dall’aula.
La voce della ragazza era tesa. Il suo sguardo era fisso su un punto alle sue spalle e Soren dovette fare uno sforzo su sé stesso per non voltarsi.
«Non c’era nemmeno nulla che mi impedisse di farlo. Inoltre, non… sei sempre sola… ed io…»
Medea non disse nulla. Non aveva idea di come rispondere alle parole di Soren, ma sapeva che avrebbe dovuto trovare il modo di cacciarlo. Rachel la stava osservando dall’altra parte del corridoio ed era certa che, per quanto non dovesse sentire una sola parola, la ragazza avrebbe scritto all’orfanotrofio. La Direttrice sarebbe venuta a sapere di come lei stesse fallendo, di come stesse rischiando di contaminare il compagno di Casa.
«Medea, voglio solo esserti amico.»
«Non pos… voglio essere amica né di te, né di nessuno.»
Medea sentiva le lacrime pungerle gli occhi, ma le ricacciò indietro. Sperava che Soren non avesse colto il modo in cui si era quasi tradita. O, forse, non si era nemmeno tradita, perché sapeva di non potere né volere essere amica del ragazzo.
«Perché? Permettimi almeno di capire… ti posso giurare che non ti farò mai del male.»
«Tu non capisci…», stava perdendo il controllo, lo sapeva. «Sono cattiva… e… ti farei del male.»
«Medea, non…»
Ma non lo lasciò finire.
Non poteva farlo. Corse via, sperando che Soren non la seguisse. Aveva detto troppo e se qualcuno lo avesse scoperto, sarebbe stato terribile. Erano stati chiari all’orfanotrofio: non doveva parlare con nessuno, se non con gli insegnanti.
Ma degli adulti in quella scuola non aveva paura. Non doveva far altro che mostrarsi interessata alle lezioni e preparata.
E non aveva di certo problemi a leggere quanto veniva chiesto e a fare i compiti.
I libri non potevano ricordarle di quanto fosse cattiva, né della sua costante paura di poter nuocere agli altri ragazzi.
Riuscì a tornare nel dormitorio di Corvonero senza che nessuno la fermasse. Erano tutti in Sala Grande a cenare e lei poté rannicchiarsi sul letto e piangere, mentre la pioggia ticchettava violenta contro i vetri e sull’intero castello.
I corridoi erano deserti, quando Severus uscì dalle sue stanze, dopo aver cenato in solitudine, come accadeva ogni sera. Si mosse rapido, fino a quando non raggiunse gli alloggi dell’insegnante di Pozioni, che un tempo erano stati suoi e in cui non metteva piede da anni. Sapeva che la Wilkins era già rientrata, abbandonando la Sala Grande prima del tempo.
La donna aprì subito e sul suo volto apparve un’espressione sorpresa, seguita da un esagerato corrugare di sopracciglia.
«Piton, hai bisogno di qualcosa?»
«Mi servono delle delucidazioni circa alcune notizie che mi sono state riferite, professoressa Wilkins», disse il mago, usando un linguaggio volutamente formale, mentre studiava con attenzione la strega, che si scostò per farlo entrare in quelle che erano state le sue stanze e che gli apparvero irriconoscibili, spoglie com’erano di libri. «Mi è giunta voce dello strano modo di disporre gli studenti nella sua classe.»
«Mi piace l’ordine», rispose seccamente la donna, che pareva non veder l’ora di levarselo dai piedi.
«Una cosa ammirevole in un’aula di Pozioni», sibilò quasi Severus. «Eppure, sembra che ci siano dei problemi nella classe di Corvonero e Serpeverde del primo anno.»
«Qualcuno dei tuoi studenti si è venuto a lamentare?»
«Si tratta soltanto di un problema di alfabeto, si potrebbe dire, professoressa», il volto della Wilkins aveva la stessa espressione di uno studente scovato nei corridoi oltre il coprifuoco. «Mi chiedo per quale motivo una studentessa il cui cognome inizia con la K non siede accanto ad un’altra il cui cognome inizia con la L.»
«Gli studenti sono dispari.»
«Una ben misera scusa, non crede? Nulla le vieta di avere una postazione a cui siedono tre studenti.»
La strega rimase a lungo in silenzio, ma a Severus parve chiaro che non avesse idea di come rispondere alle sue parole, fornendo una spiegazione logica. C’era però altro, dietro a quella indecisione, ne era certo.
Artemisia Wilkins doveva aver agito spinta da motivazioni ben precise, che l’avevano portata a voler isolare la signorina Koesel.
«Ammetto di non aver pensato a questa soluzione.»
«Evidentemente», ribatté il mago. «Ha due scelte: può posizionare Medea Koesel accanto a Calliope Lowell e poi porre gli ultimi tre dell’ordine alfabetico insieme oppure creare una postazione a tre mettendo la signorina Koesel accanto a chiunque la preceda.»
Severus aveva espressamente nominato la sua Serpeverde nella speranza che la Wilkins non seguisse quel primo consiglio, ma che facesse sedere la signorina Koesel accanto al signor Hardwick. Era quasi del tutto certo che il ragazzo avrebbe tentato un approccio esplicito con la compagna di Casa, esattamente come aveva fatto nel rivolgersi a lui.
«Hai bisogno d’altro, Piton?»
«No, professoressa Wilkins. Ha risposto a tutte le mie domande.»
Il giorno dopo avrebbe parlato con Minerva, si disse, mentre si recava, a passo più lento di quanto avrebbe voluto, verso le sue stanze. La ferita aveva iniziato a pulsare dolorosamente durante il colloquio con l’insegnante di Pozioni, ma, soltanto in quel momento, lo sentì realmente. Una volta raggiunte le sue stanze, procedette a cambiare i bendaggi intorno alla ferita al collo e a trangugiare la pozione che doveva prendere ogni sera e che aveva progressivamente migliorato, con l’intento di allungarne gli effetti.
Le osservazioni di Soren Hardwick e le parole non dette dalla Wilkins lo portarono a interrogarsi su Medea Koesel, una ragazzina innocente che stava soffrendo, come troppi altri in quella scuola. Non aveva idea delle motivazioni di quella sofferenza, ma era certo che avesse un legame stretto con la guerra, come nel caso di Edward Fairchild o di Decius Mulciber.
Nessuno pensava realmente a loro.
Non il Preside della scuola, né il Ministero, né l’opinione pubblica.
Erano rimasti soltanto lui, Minerva e Pomona, che si univa soltanto di rado a loro, ma che Severus sapeva attenta al benessere dei ragazzi, come lui non aveva mai potuto né voluto essere.
Era stato necessario essere duro e crudele per mantenere la sua copertura, per avere qualcosa da presentare all’Oscuro Signore al suo ritorno. Aveva fatto leva soprattutto sul fatto che stesse diffondendo i suoi ideali malati sotto gli occhi ciechi di Albus. Era stato il momento in cui più aveva temuto di morire prima di portare a termine il suo compito, ma il suo antico padrone aveva visto unicamente ciò che lui aveva voluto mostrargli: le umiliazioni che aveva fatto subire ai suoi allievi, i favori che aveva accordato a ragazzi che non lo avevano meritato o che, se avesse fatto scelte diverse, avrebbe potuto aiutare a non cadere nel baratro in cui lui stesso era caduto. Non era uscito indenne quel giorno, ma aveva potuto continuare a lottare per veder sparire l’Oscuro Signore, per porre rimedio alle sue innumerevoli colpe, per ottenere la stima e l’affetto di Silente.
Aveva dovuto essere crudele con i ragazzi, ma aveva anche voluto esserlo, per poter leggere sui loro volti l’odio e il disprezzo che nutriva nel suo cuore. Aveva desiderato essere detestato come lui aveva detestato sé stesso.
Ma, ora che era tutto finito, si era prefissato di compiere ciò che non aveva potuto, né voluto fare. Non era facile e sapeva che aveva fallito miseramente nei due anni precedenti, se non per rare eccezioni, ma aveva Minerva al suo fianco che lo stava aiutando, in qualità di Vicepreside.
E sapeva che Pomona stava facendo la sua parte. Avrebbe anche potuto richiedere i servigi della piccola elfa domestica che gli era stata assegnata durante il suo anno da Preside e che, al pari di Minerva, continuava a considerarlo tale e che si ostinava a portargli i pasti e a guardarlo male quei giorni in cui non riusciva ad inghiottire più di qualche boccone. Se non avesse saputo che la Capocasa di Grifondoro non sapeva nulla di Ory, sarebbe stato certo che le due si fossero messe d’accordo per chiedergli a turno di prendersi maggior cura di sé.
Mentre si preparava per andare a letto, si chiese se sarebbe riuscito ad aiutare i bambini che sapeva feriti dalla guerra.
Sapeva di non essere realmente responsabile per loro, ma aveva avuto un ruolo troppo importante nella Guerra Magica per non sentirsi tale e, forse, si disse mentre si coricava, quei bambini erano l’unico modo in cui avrebbe realmente posto rimedio al male fatto. Non era stato proteggere il figlio di Lily, né essere la spia di Albus. Lo era forse stato, in parte, l’aver contribuito alla fine dell’Oscuro, ma salvare quei ragazzini dal dolore, proteggerli e aiutarli a non compiere scelte sciagurate dettate dalla paura, dalla solitudine e dalla rabbia sarebbe stato l’unico modo con cui sarebbe forse riuscito a perdonare sé stesso per tutto il male che aveva portato nel mondo.


Soren aveva dormito male quella notte.
Nella sua mente avevano rimbombato le parole di Medea e la sua solitudine forzata.
E quella solitudine aveva risvegliato in lui ricordi che aveva creduto persi in un passato che preferiva non rammentare.
Si recò presto in Sala Grande per la colazione, che non riuscì a gustare e seguì distrattamente la lezione di Incantesimi. Notò che Medea era entrata per ultima e si era seduta da sola, come sempre. Isabel, che si trovava accanto ad una sua compagna di Casa gli aveva lanciato più di uno sguardo preoccupato, ma il ragazzo non era rimasto ad aspettarla quando era finita l’ora, come faceva di solito, quando seguivano una lezione insieme.
La sua meta era un’altra.
C’era un’unica persona con cui potesse parlare di quello che gli aveva detto Medea ed impiegò il minor tempo possibile per raggiungere la porta dell’ufficio del professor Piton. Bussò subito e trattenne a stento un sospiro di sollievo quando gli fu detto di entrare.
«Siediti.»
Severus notò immediatamente le occhiaie del piccolo Hardwick e l’espressione preoccupata. Sembrava più teso del giorno precedente.
«Ho seguito il suo consiglio e ho provato ad essere più diretto con Medea», disse il ragazzo, non appena si fu sistemato davanti a lui. «Mi sono seduto accanto a lei a Trasfigurazione e dopo, quando siamo usciti, mi ha chiesto di non farlo più. Le ho chiesto per quale motivo e poi le ho detto che voglio essere suo amico e Medea ha detto che non può essere amica di nessuno. O meglio, ha detto che non vuole, ma perché si è corretta e quando le ho chiesto la motivazione ha detto che lei è cattiva e che non vuole farmi del male, ma io non credo che… voglio dire, Medea ha solo undici anni, come me… non può essere cattiva.»
Soren Hardwick aveva parlato rapidamente, senza quasi fare pause. Severus prese mentalmente nota di indagare a fondo con Minerva a proposito della piccola Koesel. Qualcuno doveva esercitare un’influenza nefanda su di lei, se si credeva malvagia. Nemmeno lui si era ritenuto tale a undici anni. Anzi, all’epoca aveva nutrito sogni illusori e fittizi, di eterna amicizia e di un altrettanto eterno e sterile amore.
Quella mattina, dopo una notte popolata dagli abituali incubi, aveva cercato di ricordare se avesse già sentito nominare il nome Koesel, ma era certo che non ci fosse nessun Mangiamorte con quel cognome. Aveva consultato qualche libro e aveva scoperto che si trattava di una famiglia Purosangue tedesca che aveva, però, sempre mantenuto un atteggiamento neutro, se non progressista nelle questioni riguardanti la purezza di sangue.
«Oggi cos’hai fatto?»
«Credo di aver sbagliato tutto», il ragazzo si era rabbuiato. «Avrei dovuto aspettarla in sala comune, invece sono andato subito a fare colazione e, poi… avrei potuto accompagnarla a Incantesimi… e non l’ho fatto. Ieri le ho…»
«Quando è arrivata la signorina Koesel a lezione?»
«Per ultima, ma non importa. Io avrei…»
«Non sarebbe cambiato nulla, signor Hardwick», affermò Severus, interrompendo le parole quasi sussurrate del ragazzo. «La signorina Koesel ha fatto in modo di evitarti e lo avrebbe fatto anche se tu la avessi aspettata.»
«Cosa posso fare?»
«Attendi il momento opportuno, come hai fatto ieri quando ti sei seduto accanto a lei a Trasfigurazione, ma non essere pressante.»
Non era il migliore dei consigli, ma senza sapere con precisione per quale motivo la signorina Koesel si comportasse in quel modo non aveva molto altro da offrire.
«Lo farò, professor Piton, davvero.»
Soren si chiese se non avesse deluso terribilmente l’uomo, per quanto questi non desse alcun segno in proposito, ma l’espressione del mago era sempre difficile da leggere, per quanto gli trasmettesse una calma che il professor Cropper non gli aveva dato.
«Quello che dovresti chiederti è per quale motivo tu voglia diventare amico della signorina Koesel», Soren non seppe come interpretare quelle parole, ma annuì. «Devi essere certo di non essere guidato dalla pietà. Non sto parlando di compassione, signor Hardwick, ma del sentirsi semplicemente dispiaciuto per la signorina Koesel. Sarebbe un’amicizia fragile.»
Forse era su quello che si era basata la sua amicizia con Lily. Doveva averle fatto pietà. Il figlio dei Piton, la disgraziata famiglia di cui tutti parlavano in quella stramaledetta cittadina. Forse, per lei non era stato altro che un caso di carità, diventato con il tempo troppo ingombrante.
«Non voglio che sia impaurita e sola, professor Piton. È brutto esserlo.»
«E come fai a dirlo?»
«Un tempo lo sono stato, ma ora…» Soren si interruppe, osservando con attenzione l’uomo, ma il professore aveva la stessa espressione tranquilla di prima, per quanto gli sembrasse che i suoi occhi mostrassero qualcosa di diverso, che però il ragazzo non seppe interpretare. «Sono stato solo per molti anni, professor Piton, e per alcuni anni ho avuto paura. Forse avevo la stessa espressione di Medea e non voglio che lei si senta così. Non è pietà vero?»
«No, signor Hardwick, non la è», era unicamente l’empatia di un bambino che doveva aver subito le avversità della vita, un tempo, si disse Severus. «Ed ora non sei più solo e impaurito?»
«No, da qualche anno non lo sono più.»
«Da quando è morto tuo padre?»
Non era nemmeno una vera domanda, notò Soren, chiedendosi come avesse fatto a capire. Era certo di essere stato vago o, forse, gli aveva dato tutti gli indizi per arrivare all’unica soluzione possibile? Non aveva mai tentato di parlare con un adulto della vita precedente. Soltanto la mamma sapeva quello che era accaduto, ma il ragazzo era certo che lei avesse sofferto più di lui.
«Sì… tutti dicono che è un eroe, ma… non so nemmeno se ha fatto veramente quello che raccontano.»
Severus osservò con attenzione il ragazzo e, per un breve istante, rivide in lui sé stesso. Non sapeva se Simon Hardwick avesse picchiato il figlio, ma doveva averlo spaventato e fatto sentire solo, ma il piccolo Soren non era trascurato com’era stato lui e non era arrabbiato con il mondo. Aveva sofferto, ma doveva avere accanto qualcuno che lo aveva aiutato dopo la morte del padre e quel qualcuno doveva essere la madre.
«Non è detto che un uomo che compie gesti eroici sia una brava persona.»
Lui non lo era, si disse Severus.
Ma, d’altronde, non era nemmeno un eroe.
«Ci ha abbandonati. Quando… quando tutto è andato per il peggio, mamma gli ha chiesto di portarci al sicuro, perché lei era in pericolo, essendo una Nata Babbana, ma lui non ha fatto nulla. Non ci ha nemmeno... è andato via…»
«Per questo dubiti che possa aver distrutto quei documenti?»
Soren annuì soltanto.
Quei suoi dubbi non li aveva mai espressi nemmeno con la mamma e a lei diceva sempre tutto, ma era certo che il professor Piton avrebbe capito. Aveva già intuito tantissimo senza che lui dicesse molto.
«Non avrebbe dovuto essere certo che io e mamma fossimo lontani dall’Inghilterra prima di andarsene? Sapeva che il nonno si trovava in Svezia in quel periodo.»
«Non posso dare una risposta, signor Hardwick, alla tua domanda, ma posso quietare i tuoi dubbi. Se tuo padre non fosse stato intento a distruggere quei documenti, non lo avrebbero ucciso. La maggior parte dei funzionari del Ministero è rimasto ai loro posti e non è stato toccato perché hanno preferito adeguarsi al nuovo corso.»
Non ebbe però cuore di rivelare al ragazzino che, pur avendone avuto il tempo, Simon Hardwick non aveva distrutto l’indirizzo della sua famiglia. Non ci aveva nemmeno fatto caso fino a quel momento, ma ricordava di essere stato parte del gruppo di Mangiamorte che era andato fino alla casa dell’uomo e di averla trovata vuota.
«Grazie, professor Piton», il ragazzino sembrava incerto, ma il volto era più tranquillo rispetto a pochi istanti prima. «Potrò tornare a parlarle? Anche se tutto dovesse risolversi con Medea?»
«Se lo desideri.»
Severus notò il sorriso sulle labbra del ragazzo, quando si congedò. Forse sarebbe riuscito ad aiutare Soren a superare del tutto il peso di quel passato che doveva essere diventato improvvisamente fin troppo tangibile a scuola. Immaginava che gli altri ragazzi potessero avergli nominato il padre morto eroicamente, mentre per lui quell’uomo era stato unicamente un aguzzino.
Si alzò in piedi, con l’intento di tornare nella parte privata dei suoi alloggi, ma qualcuno bussò nuovamente alla porta. Questa volta, però, ad entrare fu Minerva.
«Severus», lo salutò, avvicinandosi a lui, che la guidò nelle sue stanze. «Ho incrociato il signor Hardwick davanti alla porta del tuo ufficio.»
«Non mi sorprende.»
La donna, mentre seguiva il mago oltre la porta che immetteva nei suoi alloggi, si disse lieta che un ragazzo di una casa diversa da Serpeverde fosse andato a parlare con Severus già a inizio anno.
«Hai notato qualcosa di strano in Medea Koesel?»
Minerva non si era aspettata quella domanda, troppo intenta a pensare al volto sorridente del piccolo Corvonero che aveva incrociato davanti alla porta dell'ufficio del collega più giovane.
«Mi sembra una ragazza timida, credo anche con i suoi compagni, considerando che siede sempre da sola, anche se ieri il signor Hardwick si è sistemato al suo fianco. È studiosa e, se chiamata, risponde bene alle domande.»
«C’è qualcosa di più della timidezza. Osservala meglio, mentre interagisce con gli altri studenti.»
«Credi che abbia gli stessi problemi del signor Fairchild?»
«Non ne ho idea. Da quel che mi è stato riferito, la signorina Koesel ha paura di fare del male agli altri ragazzi. Sai chi è la madre?»
Minerva scosse il capo.
«Sui registri accanto al nome degli orfani che vivono in orfanotrofio campeggia la scritta nessun parente prossimo in vita.», affermò la strega, promettendogli di provare a cercare altre informazioni, ma dovettero rimandare il discorso a quella sera e non ne ricavarono altro, nemmeno da Pomona, che si era unita a loro.
«La signorina Honeychurch», disse, mentre parlavano in maniera più approfondita dei piccoli orfani di quell'anno. «Proviene dallo stesso orfanotrofio della signorina Koesel ed è stata smistata a Grifondoro, non è vero Minerva?»
La strega annuì, mentre osservava il volto di Severus farsi pensoso. Era felice che quella sera, con loro, ci fosse anche Pomona, che aveva aggiunto le sue osservazioni sulla signorina Koesel, e la donna dovette ammettere che più particolari emergevano più diventava evidente che quella ragazzina avesse bisogno d’aiuto.
«Credo che possa stare spiando la signorina Koesel per conto di qualcuno nell’orfanotrofio di York.»
«Non le ho mai viste interagire.»
«Di questo sono certo, ma il signor Hardwick ha notato che la sua compagna di Casa osserva spesso il tavolo di Grifondoro ed io credo che stia fissando Rachel Honeychurch», Severus fece una pausa, riordinando le idee. «Osservatele durante i pasti. Pomona credo che dovresti parlare con Isabel Millward, che mi è stato riferito essere preoccupata per la signorina Koesel. Provate anche a parlare con la Wilkins.»
Minerva lasciò che fosse Pomona a intervenire e a chiedere informazioni sull’insegnante di Pozioni. Non avrebbe detto nulla, perché sapeva che Severus avrebbe negato, ma, in quel momento, mentre dava indicazioni affinché aiutassero la signorina Koesel, alla strega parve che l’uomo stesse agendo come il Preside che era e che non poteva essere, perché era certa che Severus avesse perfettamente ragione su come avrebbe reagito il Mondo Magico se avesse ricoperto il ruolo che gli spettava.
«Artemisia Wilkins era una Corvonero, ma non la ricordo bene. Era piuttosto anonima», disse, intervenendo nella conversazione. «Non sono nemmeno certa che abbia proseguito con Trasfigurazione dopo i suoi G.U.F.O.»
Severus annuì, prima di congedare le due streghe.
Dopo aver cambiato la fasciatura e assunto la pozione, tornò a sedersi su una delle poltrone. C’era qualcosa di grave che stava accadendo a quei bambini, soprattutto se i suoi sospetti erano giusti e Rachel Honeychurch stava effettivamente spiando Medea Koesel, che doveva aver vissuto degli eventi traumatici – forse più di altri – se poteva essere manovrata e indotta a credere di essere malvagia.
Doveva trovare un modo per aiutare quella bambina. Soren Hardwick aveva scelto di confidarsi con lui, quando il suo Capocasa si era rivelato sordo. Non era andato da Pomona o da Minerva, ma da lui, perché, anche se non lo aveva detto ad alta voce, appariva certo che potesse ricevere un aiuto.
Anche per sé stesso, considerando che gli aveva esplicitamente chiesto se poteva tornare a parlare con lui, anche se fosse riuscito a risalire all’origine delle paure di Medea.
Quando si coricò agli abituali incubi si aggiunsero i volti di quei bambini che lo rimproveravano perché non era riuscito a fare ciò che si era ripromesso e quando si svegliò sperò di trovare una soluzione che non si palesò né il soleggiato giovedì, né la mattina piovosa del venerdì.
La pioggia scendeva torrenziale sul castello, al punto da far temere agli studenti il tragitto fino alle Serre. Soren non si era mai sentito così bagnato, come quando rientrò gocciolante insieme ai suoi compagni di corso.
«Ti ho visto parlare con Medea martedì», disse improvvisamente una ragazzina di Grifondoro. «Non dovresti farlo.»
«Perché?», domandò, notando che non era rimasto nessun altro nei pressi dell’ingresso.
«Non è una buona compagnia. Tu non lo noti adesso, ma è pericolosa.»
Soren scosse soltanto il capo, prima di allontanarsi a grandi passi da lei, ripromettendosi di tornare a parlare con il professor Piton dopo Pozioni, l’ultima lezione del giorno. Durante il pranzo immaginò quello che avrebbe potuto dirgli e si chiese se non dovesse parlare più a lungo con lui di suo padre o se non potesse nominare quell’unica volta in cui l’aveva incontrato quando era stato ancora un bambino. E quando andò in biblioteca per studiare, non riuscì a leggere nemmeno una riga, mentre cercava di raccogliere le idee.
Era ancora immerso nei suoi pensieri, quando raggiunse l’aula di Pozioni. Si sedette alla postazione che divideva con John Hackett, quando notò che era diventata per tre. Sentì lo sguardo della professoressa Wilkins su di sé e si accorse che la donna appariva contrariata, anche se non credeva che ce l’avesse con lui, perché scrutò tutti allo stesso modo, in particolare i Serpeverde. Quando Medea, poco prima dell’inizio della lezione, si sedette alla sua sinistra, Soren ebbe la certezza che quella fosse opera del professor Piton. Non sapeva quali parole avesse usato, ma era felice che l’avesse convinta a non isolare in quel modo la sua compagna di Casa.
«Oggi inizieremo a mettere in pratica la teoria imparata finora», annunciò la donna, ma Soren si chiese come intendesse farlo, dato che non c’era un solo calderone in aula. «Davanti ad ognuno di voi troverete un foglio con sopra indicati due ingredienti e quello che dovrete fare con loro.»
Soren lesse il piccolo rettangolo di pergamena che prevedeva che dovesse sminuzzare dei petali di belladonna e sezionare degli scarafaggi. Non c’era scritto nient’altro e si sentì deluso. Mamma gli aveva spiegato che durante le ore di Pozioni era necessario prestare la massima attenzione a ogni particolare, per poter riuscire bene. Gli aveva anche detto di quanto duro potesse essere il professor Piton, ma che non aveva mai visto verificarsi un solo incidente veramente grave in aula. Aveva sperato di poter iniziare a lavorare fin da subito, ma avevano trascorso la prima settimana e mezzo a trascrivere alcune definizioni e ad ascoltare una lunghissima introduzione alla materia.
Cercando di non mostrare la propria delusione di fronte a quel primo esercizio pratico, iniziò a lavorare sui petali di belladonna. Lanciò un’occhiata alla postazione di Medea, che si era posizionata il più lontano possibile da lui e la vide alle prese con dei gambi di margherita.
Mentre lavorava al suo primo scarabeo, si chiese se non dovesse provare a parlare nuovamente con Medea quel pomeriggio. Credeva che non facendolo, avrebbe deluso il professor Piton che gliene aveva dato l’opportunità e che gli aveva consigliato di sfruttare le occasioni più propizie. Era certo di non risultare nemmeno troppo pressante, dato che non aveva più insistito a parlare con lei da martedì. Si voltò verso la compagna, dopo aver sistemato le zampette in un barattolo e le ali in un altro.
Medea era immobile, pallidissima, mentre osservava il pipistrello che doveva, con ogni probabilità, sezionare. Non aveva il volto schifato dall’ingrediente, ma appariva terrorizzata, più di quanto non l’avesse mai vista.
«Ti serve una mano?», sussurrò, ma la ragazza parve non averla nemmeno sentito. «Se vuoi posso chiedere alla professore Wilkins se possiamo scambiare gli ingredienti.»
A Medea parve di sentire una voce ovattata da qualche parte, ma non sapeva nemmeno chi le stesse parlando. Riusciva unicamente a vedere il pipistrello davanti a sé. Quando aveva letto il foglio, aveva saputo che sarebbe stato difficile, ma era stata certa di riuscirci.
Invece, non era in grado nemmeno di muovere un dito.
Le sembrava di vivere in un incubo.
Da qualche parte, una voce femminile tranquilla stava dicendo delle parole, delle parole crudeli.
Medea non riusciva nemmeno a capire dove fosse.
Si sentiva soffocare.
Riusciva unicamente a vedere il pipistrello davanti a lei.
Le sembrò che la stesse osservando, quasi supplicandola.
La Direttrice era stata chiara, però. Tentò di ignorare tutti gli altri rumori presenti intorno a lei. Sapeva che gli altri bambini la stava fissando. Prese in mano il coltello, chiuse gli occhi e colpì il pipistrello che si stava dibatteva sul tavolo.
Sentì qualcuno afferrarle il polso quando alzò nuovamente il coltello per dare un nuovo colpo. Si svincolò e le parve di sentire una voce. Aprì gli occhi e vide del sangue colare sul pipistrello morto.
«Medea…»
La ragazzina si voltò di scatto e vide il volto preoccupato di Soren.
E dolorante.
Solo in quel momento si rese conto di essere in classe. La mano l’aveva lasciata andare e stava sanguinando.
«Io…»
«Non è niente, Medea», affermò Soren, cercando di ignorare il dolore della ferita. Aveva notato che la compagna di Casa sembrava essere totalmente persa. Aveva tentato di richiamarla, poi l’aveva afferrata e non era stata la migliore delle idee.
«Professoressa Wilkins», disse John che li stava fissando con attenzione. «Medea ha ferito Soren.»
Il ragazzo avrebbe voluto rimbrottare il compagno di postazione, ma non sarebbe stata una buona mossa. Accanto a lui, Medea era diventata, se possibile, ancora più pallida e più terrorizzata. La professoressa, che aveva passato l’intera lezione dietro la cattedra, si alzò in piedi e Soren sapeva che doveva agire rapidamente.
Non voleva che la donna se la prendesse con Medea.
Spostò rapidamente la mano, sperando di coprire di sangue il suo piano di lavoro e lo scarafaggio su cui aveva iniziato a lavorare.
«Cos’è accaduto, signor Hackett?»
«Ho visto Medea ferire la mano di Soren con il suo coltello da lavoro, dopo aver colpito con violenza il pipistrello.»
A Soren sembrò che John avesse pronunciato il nome della compagna di Casa quasi con odio, ma sperò di essersi sbagliato.
«Non è vero, professoressa», decise di dire. «Stavo sezionando l’ultimo scarafaggio, quando mi sono tagliato e Medea stava cercando di aiutarmi.»
La menzogna non era credibile, se ne accorse, quando osservò la punta del suo coltello che era immacolata. Però, forse, la professoressa Wilkins non aveva un grande spirito di osservazione e non se ne sarebbe accorta. Sicuramente non aveva visto quello che era accaduto, si rincuorò, quando la donna iniziò ad ispezionare i loro tavoli.
«Professoressa», Soren si voltò verso Edward che si trovava nella postazione alla loro destra. «Ho visto, per caso, quello che è accaduto ed è andata esattamente come dice Soren.»
Il ragazzo non era certo di aver fatto bene a parlare, ma non voleva che l’amico andasse nei guai. Non aveva idea di cosa fosse accaduto, ma non gli era piaciuto il modo in cui il Corvonero di fianco a Soren aveva parlato. Avrebbe dovuto chiedere di poter accompagnare il compagno di Casa in Infermeria, invece di accusare la Koesel di averlo ferito.
«Eppure, signor Fairchild, sei troppo lontano per aver visto tutto e il signor Hackett è più vicino», commentò la professoressa, il cui sguardo si era fissato su Medea. Edward notò che la ragazzina, per cui Soren sembrava essere tanto preoccupato, stava tremando. «Siete fortunati, signor Hardwick, signor Fairchild, che sono dotata di buon cuore. Mi vedo costretta a togliervi cinque punti a testa per la vostra palese menzogna, così come la signorina Koesel ne perderà venti, ma nessuno di voi verrà messo in punizione per questo.»
Medea non ascoltò quasi le parole della donna. Riusciva soltanto a vedere il sangue di Soren davanti a sé. Avrebbe voluto piangere, ma nessuna lacrima corse lungo le sue guance. Aveva cercato di metterlo in guardia, gli aveva detto che avrebbe finito col fargli del male, perché era cattiva e quel giorno l’aveva dimostrato davanti a tutti.
Quando la professoressa, pochi minuti dopo, li congedò, Medea si affrettò a uscire dalla stanza.
«Aspetta», si bloccò non appena udì la voce di Soren. Non avrebbe dovuto fermarsi, lo sapeva, ma voleva capire quanto male gli avesse fatto. «Mi dispiace di averti spaventata prima, ma…»
«È colpa mia… io…»
«Non è vero… non avrei dovuto afferrarti in quel modo.»
Medea sentì le lacrime pungerle gli occhi e scorrerle lungo le guance. Non sapeva nemmeno perché stesse piangendo, in quel momento.
Forse era solo perché Soren era sempre così gentile.
«Dovremmo andare in Infermeria», la ragazza alzò il capo verso un Serpeverde che si era avvicinato al compagno di Casa.
«Vuoi venire anche tu, Medea?»
«Proprio non ti capisco, Soren», Edward si voltò verso il nuovo venuto. Era quell’Hackett che aveva richiamato l’attenzione della professoressa Wilkins, che pareva essersi rintanata dietro la porta chiusa dell’aula. «Avresti dovuto essere felice di veder arrivare la professoressa, in modo da poterle spiegare tutto, invece ti ostini a prendere in considerazione quella piccola Mangiamorte.»
Edward quasi sobbalzò alle parole di Hackett e si voltò ad osservare Medea che stava piangendo e che sembrava essere sconvolta per il taglio che forse aveva procurato a Soren. Non sapeva nemmeno come fosse andata, ma era certo che l’amico non si sarebbe mai preoccupato così tanto per la ragazza se questa lo avesse ferito volutamente.
«Non avresti dovuto nemmeno parlare. Medea è una nostra compagna di Casa e…»
«E, cosa?», disse un altro Corvonero, di cui Edward non ricordava il nome. Medea pareva voler scomparire nel muro. A lei si era avvicinata Rosalinde che stava tentando di consolarla. «Non dovrebbe nemmeno essere a Hogwarts, esattamente come voi due Serpeverde. Spero che i vostri genitori stiano marcendo in una fossa comune.»
A Edward sembrò di aver appena ricevuto una pugnalata, ma non riuscì a dire una parola, mentre alcuni dei ragazzi che si erano fermati intorno a loro si dicevano d’accordo con quello che aveva parlato.
«Stai parlando di cose che non conosci, Jeremy», ribatté Soren con voce tesa.
«Invece le capisco bene. Sei tu che sembri non capire nulla. Eppure, tuo padre era un eroe.»
Edward sobbalzò quando Soren tentò di colpire quel Jeremy con un pugno, ma questi fu rapido a schivarlo. Il giovane Fairchild si lanciò in avanti e afferrò l’amico prima che, sbilanciato, cadesse a terra. La mano destra di Soren, stretta a pugno, era ricoperta del sangue del taglio di cui tutti, lui incluso, parevano essersi scordati.
«Cosa sta succedendo?»
Intorno a lui risuonò un’improvvisa cacofonia di suoni e parole, prima che la professoressa McGranitt imponesse a tutti il silenzio. Edward notò che la donna li stava scrutando con attenzione.
«Soren ha tentato di colpire Jeremy con un pugno», disse uno dei Corvonero che si erano fermati ad osservare.
«Stavano litigando», intervenne un altro.
«John aveva appena detto delle parole orribili, professoressa», mormorò Rosalinde che si trovava ancora accanto a Medea.
Minerva osservò con attenzione gli studenti al centro del semicerchio che aveva trovato nel corridoio davanti all’aula di Pozioni. Una Corvonero era arrivata di corsa nel suo ufficio, probabilmente non pensando che avrebbe potuto rivolgersi alla professoressa Wilkins o a Severus. La signorina Koesel stava singhiozzando sconvolta accanto alla signorina Collins, mentre il signor Hardwick era quasi sostenuto – o trattenuto – dal signor Fairchild. Il signor Hackett e il signor Adair erano di fronte al piccolo gruppetto di Serpeverde e Corvonero.
E l’atmosfera era terribilmente tesa, notò la donna.
«Andate via tutti, tranne le signorine Koesel e Collins e i signori Hardwick, Fairchild, Hackett e Adair», disse, infine, prendendo una decisione forse azzardata, che però credeva la migliore da percorrere. «Voi cinque seguitemi.»
«Professoressa», Minerva si voltò verso il signor Fairchild. «Soren si è ferito durante la lezione.»
«Un motivo in più per seguirmi. Appena saremo arrivati ci occuperemo di lui.»
Soren sorrise grato a Edward prima di iniziare a muoversi, ma quando la professoressa McGranitt si fermò davanti alla porta dell’ufficio del professor Piton si sentì sprofondare. Era certo che avrebbe letto la delusione sul volto dell’uomo perché si era comportato in un modo che non sarebbe piaciuto né a lui né, men che meno, alla mamma.
Sperò quasi che il mago non aprisse la porta, ma invano. Entrò a capo chino, seguendo la Capocasa di Grifondoro e, non appena l’uscio si chiuse alle loro spalle si sentì quasi soffocare ed era certo che non fosse dovuto alla piccolezza della stanza.
«Minerva, che cosa posso fare per te?»
Severus non si era aspettato di vedere entrare la donna, che gli aveva detto, quella mattina, che avrebbe cenato con lui per poter parlare con calma dei ragazzi, insieme a sei studenti. Il suo sguardo cadde subito su Soren Hardwick che teneva il capo chino, quasi si vergognasse di trovarsi lì, in quel momento.
«Questi ragazzi stavano quasi venendo alla mani fuori dall’aula di Pozioni e tu sei il Capocasa di alcuni di loro, ma prima dobbiamo occuparci della mano del signori Hardwick.»
Severus fece cenno al ragazzo di avvicinarsi e notò che Soren evitava accuratamente di incontrare il suo sguardo, come aveva invece sempre fatto quando si era confidato con lui le due volte precedenti.
«Come ti sei tagliato?», chiese, mentre gli esaminava la mano.
«È stato durante l’ora di Pozioni, professore», mormorò il ragazzo. «Dovevamo preparare alcuni ingredienti.»
Severus decise di non commentare quell’informazione, né di dire alcunché sull’incompetenza della Wilkins che non aveva mandato immediatamente il giovane Soren in Infermeria. Si limitò a curare la ferita, fortunatamente superficiale, certo che le parole del ragazzo nascondessero altro, soprattutto considerando che la Corvonero del gruppo aveva il viso terrorizzato e colpevole.
«Signor Hardwick come ti sei ferito? Mi sembra improbabile che tu l’abbia fatto da solo.»
«È stata Medea», interloquì uno dei ragazzi di Corvonero.
«L’ho forse chiesto a te?»
Edward non sapeva cosa pensare. Avrebbe voluto trovarsi in qualsiasi altro posto. O, forse, non voleva riflettere realmente su quello che stava accadendo. Gli era stato detto che Piton era un uomo crudele, ma aveva curato la ferita di Soren con attenzione e aveva messo a tacere rapidamente Hackett.
«Si è tratta di un incidente. Medea stava avendo difficoltà a sezionare un pipistrello e io l’ho aiutata, ma, senza volere, Medea, che teneva il coltello, mi ha ferito.»
Severus osservò per qualche istante il volto di Soren Hardwick. Gli era chiaro che le cose non fossero andate esattamente in quel modo. Il ragazzino aveva parlato in maniera fin troppo misurata, quasi avesse ripetuto più volte quelle frasi nella sua mente e la signorina Koesel aveva lo sguardo colmo di un senso di colpa che riconobbe come fin troppo simile al suo.
«Cosa ha fatto la professoressa Wilkins, signorina Collins?»
«John ha richiamato la sua attenzione dicendo che Medea aveva ferito Soren», iniziò a spiegare Rosalinde timidamente. «La professoressa ha chiesto cosa fosse accaduto e Soren ha detto di essersi ferito da solo e Edward ha confermato, ma la professoressa non ci ha creduto e ha sottratto dei punti a Soren, Edward e Medea.»
«La professoressa Wilkins era forse intenta ad osservare una delle vostre preparazioni, quando il signor Hardwick è stato ferito?»
«No, professore», mormorò la ragazza. «Era seduta dietro la cattedra.»
Soren lanciò un’occhiata verso il professor Piton che gli era parso quanto meno sarcastico nella sua ultima domanda, ma riabbassò subito lo sguardo. Era ancora vicino all’uomo e non voleva osservarlo in volto quando avrebbe dovuto rivelargli come si era comportato.
«Quando siete usciti cosa è accaduto, signor Hardwick?»
«Medea sembrava essere molto preoccupata e mi sono avvicinato a lei per dirle di non farlo perché sapevo che era stato soltanto un incidente. Edward mi ha ricordato che sarei dovuto andare in Infermeria e dato che Medea mi sembrava molto scossa, le ho chiesto se volesse venire con noi. A quel punto, John è intervenuto.»
«E per quale motivo, hai ritenuto opportuno intervenire in una semplice conversazione?», chiese Severus, focalizzando lo sguardo sul ragazzo di Corvonero che Rosalinde Collins aveva chiamato John.
«Ero preoccupato per Soren perché si stava comportando in maniera strana con la Koesel», rispose il ragazzo, lanciando un’occhiata alla compagna di Casa con malcelato sospetto. «Le posso assicurare che Soren è diventato aggressivo e si è lanciato contro Jeremy per dargli un pugno, senza riuscirci.»
Severus notò che il giovane Hardwick teneva, se possibile, lo sguardo ancora più verso il suolo. Non ci voleva un genio per capire che si vergognava per le sue azioni. Nell’angolo in cui si era rifugiata, Medea Koesel appariva ancora più logorata dalla colpa e Edward Fairchild stava osservando il Corvonero chiamato Jeremy con qualcosa di molto simile al dolore.
«E volete veramente farmi credermi che il signor Hardwick ha tentato di darvi un pugno, con la mano ferita, senza nessun motivo?»
«Immagino che non gli sia piaciuto sentirsi dire la verità», affermò Jeremy con sicurezza.
«E quale verità vi siete sentiti in dovere di svelargli?»
«Professoressa McGranitt», disse il ragazzo, voltandosi verso Minerva che aveva assistito in silenzio a tutta la scena, ma che si era posizionata dal lato della stanza dove si trovava la signorina Koesel. «Non credo che dovremmo rispondere a lui. Non è nemmeno un insegnante.»
«Ti sbagli, signor Adair», affermò la donna con voce tagliente. «Un Capocasa vi ha appena posto una domanda ed è vostro dovere rispondere.»
«Io non parlo con un Mangiamorte.»
Minerva invidiò la calma con cui Severus incassò quell’insulto, ma il signor Hardwick apparì incredibilmente irritato, mentre il signor Fairchild lanciava occhiate incerte ora a Piton ora agli altri ragazzi.
«Se non vuoi parlare, signor Adair, qualcun altro lo farà. Magari il tuo compagno.», la strega non si stupì nemmeno quando il signor Hackett non disse una parola. «O, forse, il signor Fairchild?»
Edward deglutì a vuoto, non appena sentì gli occhi neri e impenetrabili di Piton su di lui. L’uomo continuava a comportarsi in maniera totalmente diversa da quella che si era aspettato. Era stato certo che avrebbe agito con crudeltà, che avrebbe mostrato che razza di mostro fosse; invece, stava unicamente ricostruendo la verità e il ragazzo si sentì in colpa per averlo ammirato per come aveva gestito le parole dei due Corvonero.
«Hackett era arrabbiato con Soren. Non so per quale motivo, ma ha chiamato Medea piccola Mangiamorte», disse, cercando di attenersi unicamente ai fatti. «Voleva che Soren lo ingraziasse per aver richiamato l’attenzione della professoressa Wilkins e non era soddisfatto quando Soren gli ha fatto presente che Medea è una loro compagna di Casa. Poi Adair è intervenuto e… ha detto a Soren che Medea non dovrebbe essere a scuola, né… noi Serpeverde e ha detto che… si è augurato che i nostri genitori si…»
Edward si interruppe ricacciando indietro un singulto. Le parole Jeremy facevano quasi più male in quel momento.
«Signorina Collins…»
«Jeremy Adair ha detto che sperava che i nostri genitori stessero marcendo in una fossa comune», rispose la ragazzina con voce tremante. «Poi, Soren ha chiesto loro di non parlare di cose che non capivano e Adair ha detto che era Soren a non capire e ha nominato il padre di Soren chiamandolo eroe. È stato allora che Soren ha tentato di dare un pugno a Adair e, subito dopo, è arrivata la professoressa McGranitt.»
Severus osservò con attenzione il signor Hardwick e poté caprie perfettamente cosa lo avesse fatto scattare. Il ragazzo sapeva che Medea era un’orfana e doveva essere anche a conoscenza della sorte dei genitori di Fairchild. Era quasi del tutto certo che si fosse trattenuto, in un primo momento, ma quando era stato nominato suo padre, l’uomo di cui aveva avuto paura, era scattato.
Ed in quel momento, aveva paura del suo giudizio.
«Signor Hardwick», Soren alzò lentamente il capo, dicendosi che avrebbe tentato di sopportare con coraggio la delusione nel volto del professor Piton, ma gli occhi neri dell’uomo non mostravano quel sentimento. Il viso del mago era impenetrabile, ma quell’espressione gli trasmise uno strano senso di calma. «Immagino che tu sappia che è proibito assalire un altro studente. Servirai una punizione, stasera, alle 19 con me. Mentre non sono per niente certo che il signor Adair e il signor Hackett siano consapevoli che anche provocare una rissa è proibito in questa scuola, così come insultare gli altri studenti e i loro genitori, ma credo che potrebbero acquisire questa consapevolezza. Ognuno di voi perderà trenta punti e servirete tre sere di punizione con me a partire da domani. Mi aspetto di vedere Adair alle 17 e Hackett alle 19.»
«Non può farlo.»
«Posso benissimo o non avete ascoltato le parole della professoressa McGranitt?», i due Corvonero si guardarono l’un l’altro, ma non aprirono bocca. «Potete andare ora, tutti, tranne la signorina Koesel e il signor Fairchild. Sono certo che la professoressa McGranitt vi scorterà più che volentieri in Sala Grande.»
Severus sentì su di sé lo sguardo di Soren, quando il ragazzo raggiunse la porta, e fu stupito di leggervi l’accenno di un sorriso.



Edited by Alaide - 26/9/2023, 22:52
view post Posted: 2/4/2023, 19:01 L'affascinante e misterioso giardino di Severus! - Sognando con Severus
CITAZIONE (Ida59 @ 2/4/2023, 16:44) 
Ma che bello, due gemellini!

Volendo dare due figli a Severus e Ygraine ho optato per due gemelli (comparivano anche nell'epilogo di Winterreise).

CITAZIONE
Sì, doveva farlo, visto i gemellini in arrivo.

Felice che la questione dei bucaneve sia logica.

CITAZIONE
Già, nessuno lo ha mai amato, o aiutato. Ma Severus è riuscito lo stesso a imparare ad amare. Con tutto se stesso, fino al sacrificio della propria vita. E tutte abbiamo le stesse granitiche certezze di Ygraine su di lui.

Felicissima che questo breve capitoletto ti sia piaciuto <3
view post Posted: 2/4/2023, 15:16 L'affascinante e misterioso giardino di Severus! - Sognando con Severus

Speranza



Villandry, 21 gennaio 2003



L’aria era fredda quel mattino di gennaio, ma a Severus non importava, mentre dissodava la terra intorpidita dalla brina. Il vento era particolarmente violento e il cielo sembrava minacciare una tempesta di neve.
Eppure, l’uomo non interruppe il suo lavoro.
Avrebbe dovuto utilizzare alcuni incantesimi per poter ottenere l’effetto desiderato, ma sentiva il bisogno di compiere quel gesto.
Era una parte di giardino ancora intonsa, poco distante dal bacino circolare in cui avrebbe potuto porre, in primavera, delle ninfee, utili per alcuni distillati. Nei mesi in cui erano vissuti a Villandry si erano occupati soprattutto della parte di giardino in cui piantare alcuni ingredienti per pozioni che si ottenevano da piante non magiche. Rebecca lo aveva aiutato con la lavanda, la menta, le margherite e i papaveri e la bambina era stata particolarmente orgogliosa, quando Françoise, la madre di Renaud, le aveva fatto i complimenti.
Aveva già piantato una serenella, la melissa e alcuni crisantemi rosa e sapeva perfettamente per quale motivo avesse scelto proprio quelle piante.
Erano un modo discreto per dimostrare costantemente il suo amore per Ygraine, per la giovane donna che aveva sempre avuto fiducia in lui, anche quando non aveva idea degli orrori che aveva commesso.
Erano un modo discreto per ringraziarla.
Sapeva che se non avesse incontrato il soprano e Rebecca, in quel momento sarebbe stato ancora immerso nell’inverno del suo animo, immerso nel suo passato, incapace di vivere il futuro.
In quel momento, però, non stava lavorando alla parte di giardino con cui onorava Ygraine, ma a quella che aveva immaginato di dedicare alla bambina che considerava come una figlia.
Non stava nemmeno sistemando i fragili bucaneve per lei.
D’altronde, era perfettamente cosciente delle motivazioni che lo spingevano a lavorare in giardino quel giorno.
«Severus» la voce di Ygraine lo colse di sorpresa, mentre ricopriva di terra le radici delle piantine di bucaneve che era riuscito a procurarsi tramite i vicini, per quanto Françoise si fosse dimostrata stupita alla sua richiesta. «Non credevo di trovarti qui.»
«Non dovresti essere fuori al freddo», disse l’uomo, mentre si alzava in piedi e osservava il suo lavoro. Aveva usato alcuni incantesimi piuttosto diffusi in Erbologia per adattare il terreno ai delicati fiori bianchi, che facevano capolino in mezzo all’erba brinata.
«Ero convinta che fossi partito per Tours, quando non ti ho trovato in casa», affermò la donna, senza commentare le parole del marito. «Però non mi avevi detto nulla.»
«Non volevo che ti preoccupassi», la voce di Severus era quieta, ma a Ygraine sembrò che qualcosa lo turbasse e che quell’inquietudine l’avesse portato a lavorare in giardino quel freddo giorno d’inverno, così simile a quelli in cui si erano conosciuti.
«Cosa ti preoccupa?»
Severus sentì la mano di Ygraine stringere una delle sue, ancora sporche di terra. Quando era uscito in giardino era stato certo che sarebbe riuscito a finire di piantare i bucaneve prima che la donna tornasse dal paese dove aveva accompagnato Rebecca a scuola.
Di solito scambiava qualche parola con le mamme degli altri piccoli, per quanto la bambina avesse realmente legato unicamente con Renaud. Andava d’accordo con i compagni di classe, ma il suo amico più caro era il figlio maggiore dei vicini di casa. Quella mattina Ygraine era invece stata più rapida del solito o, forse, lui era stato troppo lento.
«Credo che sia meglio rientrare in casa.»
Ygraine annuì. Non riusciva a comprendere cosa preoccupasse Severus, considerando anche che gli incubi parevano avergli dato tregua da qualche giorno a quella parte, da quando avevano scoperto che avrebbero avuto due gemelli. Le era sembrato che la consapevolezza di diventare padre avesse in qualche modo quietato le sue notti e sperava che gli incubi si facessero sempre più radi con il passare del tempo.
Quando furono all’interno, si separano il tempo di togliersi il cappotto per lei e di lavarsi le mani dalla terra per il marito.
«Vuoi del tè?»
Severus annuì alle parole di Ygraine, ma sapeva che la moglie aveva compreso che le sue azioni avevano un motivo ed era anche perfettamente cosciente che non le avrebbe nascosto le sue ragioni.
D’altronde, era in grado di leggerlo come nessuno aveva mai fatto, forse perché soltanto a lei aveva confessato tutto, aveva esposto ogni più piccolo brandello del suo animo.
«Cos’hai piantato?», domandò la giovane donna, sedendosi accanto a lui.
Era una giornata tempestosa, come quella in cui le aveva confessato ogni sua singola colpa poco più di un anno prima, quando era stato convinto che Ygraine lo avrebbe odiato e disprezzato.
«Dei bucaneve», disse, dopo aver bevuto un sorso di tè.
«Sono bellissimi», affermò la donna con un lieve sorriso sulle labbra. «Però avresti potuto scegliere un giorno meno tempestoso.»
«Lo so», ammise Severus, la voce sorda. «Ma dovevo farlo.»
«Perché?»
Il mago rimase per qualche istante in silenzio.
Non era la prima volta che la moglie gli poneva una domanda simile, che si interessava alle sue ragioni profonde.
E rammentava perfettamente il giorno in cui le aveva confessato ogni cosa e che Ygraine era stata l’unica a chiedergli per quale motivo si fosse unito ai Mangiamorte.
D’altronde, la sua sposa, insieme a Rebecca, erano state le uniche persone che avesse conosciuto che non lo avevano già giudicato e condannato prima di parargli.
«Rappresentano una speranza» affermò l’uomo, posando la tazza da tè. A Ygraine, Severus appariva improvvisamente vulnerabile, come lo era stato quando le aveva confessato la sua paura di essere felice, che si era, fortunatamente, dissipata.
«Quale speranza?»
«Di non diventare mai come l’uomo che mi ha messo al mondo» Ygraine non commentò le parole di Severus. «So di non averti mai parlato della mia famiglia e forse avrei dovuto farlo.»
«Qualsiasi cosa abbia fatto tuo padre, sono certa che tu non potresti mai diventare come lui» mormorò la giovane donna, posando una mano su quella di Severus.
«Tobias Piton era un uomo violento» affermò il mago, osservando il volto della moglie e gli occhi nocciola che tanto amava. «Il mio primo ricordo sono le sue mani che mi picchiano, in maniera ben più crudele di quanto non abbia fatto tuo fratello con Rebecca. Non ho avuto altri modelli paterni se non un uomo che sapeva unicamente picchiare e un altro che, pur con uno scopo nobile, sapeva manipolare le sue pedine. Sono felice di diventare padre, Ygraine… da piccolo sognavo di farlo e, poi, per anni ho creduto di non poter mai realizzare quel sogno, di non esserne degno, di aver portato troppo male nel mondo per poter confrontarmi con l’innocenza di un bambino. Ma sono consapevole che esiste il rischio che io possa essere come Tobias. Sono già stato un uomo violento e…»
«Non sarai mai come tuo padre, Severus», lo interruppe la donna. «Sei già un ottimo genitore per Rebecca.»
Il marito non rispose, limitandosi a chinare il capo, quasi che volesse osservare con attenzione la tazza di tè, ancora semipiena, posta davanti a lui. Ygraine gli strinse maggiormente la mano. Voleva unicamente fargli sentire la sua vicinanza, fargli comprendere che era lì con lui, che qualsiasi cosa dicesse non lo avrebbe mai abbandonato.
«Forse», la voce di Severus era simile ad un sussurro soffocato. «So di voler bene a Rebecca, di considerarla come una figlia e sono felice dei bambini che avremo, ma non riesco a impedirmi di osservare le mie mani e di pensare a quanta violenza abbiano portato.»
«Quando osservo le tue mani, non vedo violenza. Vedo la cura con cui distilli ogni pozione e sono certa che tu abbia aiutato con la tua arte i maghi e le streghe che combattevano contro l’Oscuro. Vedo l’affetto con cui abbracci Rebecca e l’amore con cui mi stringi a te. Vedo i sacrifici che hai fatto per permettere a Harry di trionfare, alla fine. So che, un tempo, hai voluto portare violenza, ma quei giorni sono passati e tu hai pagato per questo. Ma questa che stringo è una mano amorevole.»
Severus alzò il capo e si voltò verso Ygraine che lo stava osservando con lo sguardo colmo di amore e fiducia. Ed osservò la mano più piccola e delicata di lei posta sulla sua.
E si rese conto che la moglie aveva ragione su quel punto.
E si rese conto che aveva fatto un altro passo sulla strada che stava faticosamente seguendo nel tentativo di riuscirsi a perdonare per il male che aveva fatto.
E si rese conto che non vi sarebbe mai riuscito se Ygraine non gli avesse donato il suo perdono e il suo amore.
«Eppure, non posso nemmeno ignorare il modello paterno che ho avuto durante la mia infanzia e la mia adolescenza. Tobias mi odiava.»
«Perché sei un mago?»
«Non credo fosse veramente quello il problema. I miei genitori litigavano spesso e Tobias perdeva un lavoro dopo l’altro. Quanto a mia madre… non so nemmeno cosa provasse per me. Forse mi odiava tanto quanto mio padre; forse non le importava nulla. Ed ora non riesco a non pensare alla mia infanzia e voglio sperare di non essere come loro, di non fallire miseramente come ho fatto troppe volte nella mia vita.»
«Non accadrà, Severus», affermò la donna con sicurezza. «Se fossi come tuo padre, non avresti mai sottratto Rebecca a Gawain quel giorno nell’appartamento di mio fratello. Non saresti nemmeno riuscito a consolarla e portarla dai miei genitori. Se fossi come tua madre, non la staresti ad ascoltare quando ti pone delle domande o quando ti racconta quello che ha fatto a scuola. E lo stesso sarà con i nostri bambini, perché tu sei una brava persona.»
Severus avrebbe voluto ribattere, ma non ne sentì la forza.
O, forse, sentire quelle parole era tutto quello che gli bastava per allontanare anche quella paura, nata da un passato in cui aveva conosciuto unicamente un padre violento e una madre indifferente.
«Non avrei dovuto preoccuparti, Ygraine.»
La donna lo baciò lieve sulle labbra, prima di posare il capo contro il suo petto. Anche se aveva intuito che Severus avesse avuto un’infanzia difficile, aveva sperato che almeno uno dei suoi genitori lo avesse amato.
Invece, nessuno lo aveva fatto.
Né i suoi genitori, né il preside che gli aveva chiesto di ucciderlo, né la sua presunta migliore amica.
Eppure, nonostante tutto, suo marito era stato in grado di trovare la forza di comprendere il suo errore ed aveva conservato la capacità di amare.
«Non l’hai fatto», mormorò staccandosi leggermente da lui. «E sono certa che quei bucaneve saranno bellissimi ogni anno, così come sono sicura che tu sarai un ottimo padre.»

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