Ecco un nuovo capitolo (che mi è venuto incredibilmente lungo).
Lascio il link all'elenco dei personaggi e al primo capitoloCapitolo IV
Hogwarts, 12 – 15 settembre
Soren rimase fermo nel corridoio all’esterno dello studio del professor Piton, mentre ripensava a come l’uomo fosse stato realmente ad ascoltarlo, al contrario di quello che aveva fatto il suo Capocasa. Era certo che il pozionista avrebbe fatto il necessario per Medea, anche se questo non sarebbe stato facile.
Il ragazzo si riscosse e iniziò a camminare rapidamente verso l’aula di Trasfigurazione, che si trovava diversi piani sopra. Non aveva molto tempo prima dell’inizio della lezione, ma credeva che non sarebbe arrivato in ritardo. Quando giunse davanti all’aula, notò di essere uno degli ultimi. Fece passare quattro Grifondoro, prima di entrare a sua volta e andarsi a sedere accanto a Medea che, come al solito, si trovava da sola, sul fondo della stanza.
La professoressa McGranitt iniziò la lezione pochi istanti dopo e Soren ne fu felice, perché la compagna di Casa non avrebbe potuto cacciarlo. Durante il tragitto aveva riflettuto a lungo sulle parole del professor Piton e aveva deciso di essere più diretto con Medea e di farle comprendere che l’unica cosa che desiderava era esserle amico. Sapeva che alcuni avrebbero potuto trovare strana quell’insistenza, considerando che la ragazza aveva fatto capire fin troppo bene che non desiderava la loro compagnia, nonostante il poco tempo trascorso dall’inizio della scuola.
Mentre la lezione proseguiva, tentò di concentrarsi sulle parole della professoressa McGranitt, ma quando si trattò di mettere in pratica l’incantesimo di quel giorno, non riuscì a ricavarne nulla di buono, come la maggior parte della classe.
«Non ti saresti dovuto sedere di fianco a me», gli disse Medea non appena uscirono, per ultimi, dall’aula.
La voce della ragazza era tesa. Il suo sguardo era fisso su un punto alle sue spalle e Soren dovette fare uno sforzo su sé stesso per non voltarsi.
«Non c’era nemmeno nulla che mi impedisse di farlo. Inoltre, non… sei sempre sola… ed io…»
Medea non disse nulla. Non aveva idea di come rispondere alle parole di Soren, ma sapeva che avrebbe dovuto trovare il modo di cacciarlo. Rachel la stava osservando dall’altra parte del corridoio ed era certa che, per quanto non dovesse sentire una sola parola, la ragazza avrebbe scritto all’orfanotrofio. La Direttrice sarebbe venuta a sapere di come lei stesse fallendo, di come stesse rischiando di contaminare il compagno di Casa.
«Medea, voglio solo esserti amico.»
«Non pos… voglio essere amica né di te, né di nessuno.»
Medea sentiva le lacrime pungerle gli occhi, ma le ricacciò indietro. Sperava che Soren non avesse colto il modo in cui si era quasi tradita. O, forse, non si era nemmeno tradita, perché sapeva di non potere né volere essere amica del ragazzo.
«Perché? Permettimi almeno di capire… ti posso giurare che non ti farò mai del male.»
«Tu non capisci…», stava perdendo il controllo, lo sapeva. «Sono cattiva… e… ti farei del male.»
«Medea, non…»
Ma non lo lasciò finire.
Non poteva farlo. Corse via, sperando che Soren non la seguisse. Aveva detto troppo e se qualcuno lo avesse scoperto, sarebbe stato terribile. Erano stati chiari all’orfanotrofio: non doveva parlare con nessuno, se non con gli insegnanti.
Ma degli adulti in quella scuola non aveva paura. Non doveva far altro che mostrarsi interessata alle lezioni e preparata.
E non aveva di certo problemi a leggere quanto veniva chiesto e a fare i compiti.
I libri non potevano ricordarle di quanto fosse cattiva, né della sua costante paura di poter nuocere agli altri ragazzi.
Riuscì a tornare nel dormitorio di Corvonero senza che nessuno la fermasse. Erano tutti in Sala Grande a cenare e lei poté rannicchiarsi sul letto e piangere, mentre la pioggia ticchettava violenta contro i vetri e sull’intero castello.
I corridoi erano deserti, quando Severus uscì dalle sue stanze, dopo aver cenato in solitudine, come accadeva ogni sera. Si mosse rapido, fino a quando non raggiunse gli alloggi dell’insegnante di Pozioni, che un tempo erano stati suoi e in cui non metteva piede da anni. Sapeva che la Wilkins era già rientrata, abbandonando la Sala Grande prima del tempo.
La donna aprì subito e sul suo volto apparve un’espressione sorpresa, seguita da un esagerato corrugare di sopracciglia.
«Piton, hai bisogno di qualcosa?»
«Mi servono delle delucidazioni circa alcune notizie che mi sono state riferite, professoressa Wilkins», disse il mago, usando un linguaggio volutamente formale, mentre studiava con attenzione la strega, che si scostò per farlo entrare in quelle che erano state le sue stanze e che gli apparvero irriconoscibili, spoglie com’erano di libri. «Mi è giunta voce dello strano modo di disporre gli studenti nella sua classe.»
«Mi piace l’ordine», rispose seccamente la donna, che pareva non veder l’ora di levarselo dai piedi.
«Una cosa ammirevole in un’aula di Pozioni», sibilò quasi Severus. «Eppure, sembra che ci siano dei problemi nella classe di Corvonero e Serpeverde del primo anno.»
«Qualcuno dei tuoi studenti si è venuto a lamentare?»
«Si tratta soltanto di un problema di alfabeto, si potrebbe dire, professoressa», il volto della Wilkins aveva la stessa espressione di uno studente scovato nei corridoi oltre il coprifuoco. «Mi chiedo per quale motivo una studentessa il cui cognome inizia con la K non siede accanto ad un’altra il cui cognome inizia con la L.»
«Gli studenti sono dispari.»
«Una ben misera scusa, non crede? Nulla le vieta di avere una postazione a cui siedono tre studenti.»
La strega rimase a lungo in silenzio, ma a Severus parve chiaro che non avesse idea di come rispondere alle sue parole, fornendo una spiegazione logica. C’era però altro, dietro a quella indecisione, ne era certo.
Artemisia Wilkins doveva aver agito spinta da motivazioni ben precise, che l’avevano portata a voler isolare la signorina Koesel.
«Ammetto di non aver pensato a questa soluzione.»
«Evidentemente», ribatté il mago. «Ha due scelte: può posizionare Medea Koesel accanto a Calliope Lowell e poi porre gli ultimi tre dell’ordine alfabetico insieme oppure creare una postazione a tre mettendo la signorina Koesel accanto a chiunque la preceda.»
Severus aveva espressamente nominato la sua Serpeverde nella speranza che la Wilkins non seguisse quel primo consiglio, ma che facesse sedere la signorina Koesel accanto al signor Hardwick. Era quasi del tutto certo che il ragazzo avrebbe tentato un approccio esplicito con la compagna di Casa, esattamente come aveva fatto nel rivolgersi a lui.
«Hai bisogno d’altro, Piton?»
«No, professoressa Wilkins. Ha risposto a tutte le mie domande.»
Il giorno dopo avrebbe parlato con Minerva, si disse, mentre si recava, a passo più lento di quanto avrebbe voluto, verso le sue stanze. La ferita aveva iniziato a pulsare dolorosamente durante il colloquio con l’insegnante di Pozioni, ma, soltanto in quel momento, lo sentì realmente. Una volta raggiunte le sue stanze, procedette a cambiare i bendaggi intorno alla ferita al collo e a trangugiare la pozione che doveva prendere ogni sera e che aveva progressivamente migliorato, con l’intento di allungarne gli effetti.
Le osservazioni di Soren Hardwick e le parole non dette dalla Wilkins lo portarono a interrogarsi su Medea Koesel, una ragazzina innocente che stava soffrendo, come troppi altri in quella scuola. Non aveva idea delle motivazioni di quella sofferenza, ma era certo che avesse un legame stretto con la guerra, come nel caso di Edward Fairchild o di Decius Mulciber.
Nessuno pensava realmente a loro.
Non il Preside della scuola, né il Ministero, né l’opinione pubblica.
Erano rimasti soltanto lui, Minerva e Pomona, che si univa soltanto di rado a loro, ma che Severus sapeva attenta al benessere dei ragazzi, come lui non aveva mai potuto né voluto essere.
Era stato necessario essere duro e crudele per mantenere la sua copertura, per avere qualcosa da presentare all’Oscuro Signore al suo ritorno. Aveva fatto leva soprattutto sul fatto che stesse diffondendo i suoi ideali malati sotto gli occhi ciechi di Albus. Era stato il momento in cui più aveva temuto di morire prima di portare a termine il suo compito, ma il suo antico padrone aveva visto unicamente ciò che lui aveva voluto mostrargli: le umiliazioni che aveva fatto subire ai suoi allievi, i favori che aveva accordato a ragazzi che non lo avevano meritato o che, se avesse fatto scelte diverse, avrebbe potuto aiutare a non cadere nel baratro in cui lui stesso era caduto. Non era uscito indenne quel giorno, ma aveva potuto continuare a lottare per veder sparire l’Oscuro Signore, per porre rimedio alle sue innumerevoli colpe, per ottenere la stima e l’affetto di Silente.
Aveva dovuto essere crudele con i ragazzi, ma aveva anche voluto esserlo, per poter leggere sui loro volti l’odio e il disprezzo che nutriva nel suo cuore. Aveva desiderato essere detestato come lui aveva detestato sé stesso.
Ma, ora che era tutto finito, si era prefissato di compiere ciò che non aveva potuto, né voluto fare. Non era facile e sapeva che aveva fallito miseramente nei due anni precedenti, se non per rare eccezioni, ma aveva Minerva al suo fianco che lo stava aiutando, in qualità di Vicepreside.
E sapeva che Pomona stava facendo la sua parte. Avrebbe anche potuto richiedere i servigi della piccola elfa domestica che gli era stata assegnata durante il suo anno da Preside e che, al pari di Minerva, continuava a considerarlo tale e che si ostinava a portargli i pasti e a guardarlo male quei giorni in cui non riusciva ad inghiottire più di qualche boccone. Se non avesse saputo che la Capocasa di Grifondoro non sapeva nulla di Ory, sarebbe stato certo che le due si fossero messe d’accordo per chiedergli a turno di prendersi maggior cura di sé.
Mentre si preparava per andare a letto, si chiese se sarebbe riuscito ad aiutare i bambini che sapeva feriti dalla guerra.
Sapeva di non essere realmente responsabile per loro, ma aveva avuto un ruolo troppo importante nella Guerra Magica per non sentirsi tale e, forse, si disse mentre si coricava, quei bambini erano l’unico modo in cui avrebbe realmente posto rimedio al male fatto. Non era stato proteggere il figlio di Lily, né essere la spia di Albus. Lo era forse stato, in parte, l’aver contribuito alla fine dell’Oscuro, ma salvare quei ragazzini dal dolore, proteggerli e aiutarli a non compiere scelte sciagurate dettate dalla paura, dalla solitudine e dalla rabbia sarebbe stato l’unico modo con cui sarebbe forse riuscito a perdonare sé stesso per tutto il male che aveva portato nel mondo.
Soren aveva dormito male quella notte.
Nella sua mente avevano rimbombato le parole di Medea e la sua solitudine forzata.
E quella solitudine aveva risvegliato in lui ricordi che aveva creduto persi in un passato che preferiva non rammentare.
Si recò presto in Sala Grande per la colazione, che non riuscì a gustare e seguì distrattamente la lezione di Incantesimi. Notò che Medea era entrata per ultima e si era seduta da sola, come sempre. Isabel, che si trovava accanto ad una sua compagna di Casa gli aveva lanciato più di uno sguardo preoccupato, ma il ragazzo non era rimasto ad aspettarla quando era finita l’ora, come faceva di solito, quando seguivano una lezione insieme.
La sua meta era un’altra.
C’era un’unica persona con cui potesse parlare di quello che gli aveva detto Medea ed impiegò il minor tempo possibile per raggiungere la porta dell’ufficio del professor Piton. Bussò subito e trattenne a stento un sospiro di sollievo quando gli fu detto di entrare.
«Siediti.»
Severus notò immediatamente le occhiaie del piccolo Hardwick e l’espressione preoccupata. Sembrava più teso del giorno precedente.
«Ho seguito il suo consiglio e ho provato ad essere più diretto con Medea», disse il ragazzo, non appena si fu sistemato davanti a lui. «Mi sono seduto accanto a lei a Trasfigurazione e dopo, quando siamo usciti, mi ha chiesto di non farlo più. Le ho chiesto per quale motivo e poi le ho detto che voglio essere suo amico e Medea ha detto che non può essere amica di nessuno. O meglio, ha detto che non vuole, ma perché si è corretta e quando le ho chiesto la motivazione ha detto che lei è cattiva e che non vuole farmi del male, ma io non credo che… voglio dire, Medea ha solo undici anni, come me… non può essere cattiva.»
Soren Hardwick aveva parlato rapidamente, senza quasi fare pause. Severus prese mentalmente nota di indagare a fondo con Minerva a proposito della piccola Koesel. Qualcuno doveva esercitare un’influenza nefanda su di lei, se si credeva malvagia. Nemmeno lui si era ritenuto tale a undici anni. Anzi, all’epoca aveva nutrito sogni illusori e fittizi, di eterna amicizia e di un altrettanto eterno e sterile amore.
Quella mattina, dopo una notte popolata dagli abituali incubi, aveva cercato di ricordare se avesse già sentito nominare il nome Koesel, ma era certo che non ci fosse nessun Mangiamorte con quel cognome. Aveva consultato qualche libro e aveva scoperto che si trattava di una famiglia Purosangue tedesca che aveva, però, sempre mantenuto un atteggiamento neutro, se non progressista nelle questioni riguardanti la purezza di sangue.
«Oggi cos’hai fatto?»
«Credo di aver sbagliato tutto», il ragazzo si era rabbuiato. «Avrei dovuto aspettarla in sala comune, invece sono andato subito a fare colazione e, poi… avrei potuto accompagnarla a Incantesimi… e non l’ho fatto. Ieri le ho…»
«Quando è arrivata la signorina Koesel a lezione?»
«Per ultima, ma non importa. Io avrei…»
«Non sarebbe cambiato nulla, signor Hardwick», affermò Severus, interrompendo le parole quasi sussurrate del ragazzo. «La signorina Koesel ha fatto in modo di evitarti e lo avrebbe fatto anche se tu la avessi aspettata.»
«Cosa posso fare?»
«Attendi il momento opportuno, come hai fatto ieri quando ti sei seduto accanto a lei a Trasfigurazione, ma non essere pressante.»
Non era il migliore dei consigli, ma senza sapere con precisione per quale motivo la signorina Koesel si comportasse in quel modo non aveva molto altro da offrire.
«Lo farò, professor Piton, davvero.»
Soren si chiese se non avesse deluso terribilmente l’uomo, per quanto questi non desse alcun segno in proposito, ma l’espressione del mago era sempre difficile da leggere, per quanto gli trasmettesse una calma che il professor Cropper non gli aveva dato.
«Quello che dovresti chiederti è per quale motivo tu voglia diventare amico della signorina Koesel», Soren non seppe come interpretare quelle parole, ma annuì. «Devi essere certo di non essere guidato dalla pietà. Non sto parlando di compassione, signor Hardwick, ma del sentirsi semplicemente dispiaciuto per la signorina Koesel. Sarebbe un’amicizia fragile.»
Forse era su quello che si era basata la sua amicizia con Lily. Doveva averle fatto pietà. Il figlio dei Piton, la disgraziata famiglia di cui tutti parlavano in quella stramaledetta cittadina. Forse, per lei non era stato altro che un caso di carità, diventato con il tempo troppo ingombrante.
«Non voglio che sia impaurita e sola, professor Piton. È brutto esserlo.»
«E come fai a dirlo?»
«Un tempo lo sono stato, ma ora…» Soren si interruppe, osservando con attenzione l’uomo, ma il professore aveva la stessa espressione tranquilla di prima, per quanto gli sembrasse che i suoi occhi mostrassero qualcosa di diverso, che però il ragazzo non seppe interpretare. «Sono stato solo per molti anni, professor Piton, e per alcuni anni ho avuto paura. Forse avevo la stessa espressione di Medea e non voglio che lei si senta così. Non è pietà vero?»
«No, signor Hardwick, non la è», era unicamente l’empatia di un bambino che doveva aver subito le avversità della vita, un tempo, si disse Severus. «Ed ora non sei più solo e impaurito?»
«No, da qualche anno non lo sono più.»
«Da quando è morto tuo padre?»
Non era nemmeno una vera domanda, notò Soren, chiedendosi come avesse fatto a capire. Era certo di essere stato vago o, forse, gli aveva dato tutti gli indizi per arrivare all’unica soluzione possibile? Non aveva mai tentato di parlare con un adulto della vita precedente. Soltanto la mamma sapeva quello che era accaduto, ma il ragazzo era certo che lei avesse sofferto più di lui.
«Sì… tutti dicono che è un eroe, ma… non so nemmeno se ha fatto veramente quello che raccontano.»
Severus osservò con attenzione il ragazzo e, per un breve istante, rivide in lui sé stesso. Non sapeva se Simon Hardwick avesse picchiato il figlio, ma doveva averlo spaventato e fatto sentire solo, ma il piccolo Soren non era trascurato com’era stato lui e non era arrabbiato con il mondo. Aveva sofferto, ma doveva avere accanto qualcuno che lo aveva aiutato dopo la morte del padre e quel qualcuno doveva essere la madre.
«Non è detto che un uomo che compie gesti eroici sia una brava persona.»
Lui non lo era, si disse Severus.
Ma, d’altronde, non era nemmeno un eroe.
«Ci ha abbandonati. Quando… quando tutto è andato per il peggio, mamma gli ha chiesto di portarci al sicuro, perché lei era in pericolo, essendo una Nata Babbana, ma lui non ha fatto nulla. Non ci ha nemmeno... è andato via…»
«Per questo dubiti che possa aver distrutto quei documenti?»
Soren annuì soltanto.
Quei suoi dubbi non li aveva mai espressi nemmeno con la mamma e a lei diceva sempre tutto, ma era certo che il professor Piton avrebbe capito. Aveva già intuito tantissimo senza che lui dicesse molto.
«Non avrebbe dovuto essere certo che io e mamma fossimo lontani dall’Inghilterra prima di andarsene? Sapeva che il nonno si trovava in Svezia in quel periodo.»
«Non posso dare una risposta, signor Hardwick, alla tua domanda, ma posso quietare i tuoi dubbi. Se tuo padre non fosse stato intento a distruggere quei documenti, non lo avrebbero ucciso. La maggior parte dei funzionari del Ministero è rimasto ai loro posti e non è stato toccato perché hanno preferito adeguarsi al nuovo corso.»
Non ebbe però cuore di rivelare al ragazzino che, pur avendone avuto il tempo, Simon Hardwick non aveva distrutto l’indirizzo della sua famiglia. Non ci aveva nemmeno fatto caso fino a quel momento, ma ricordava di essere stato parte del gruppo di Mangiamorte che era andato fino alla casa dell’uomo e di averla trovata vuota.
«Grazie, professor Piton», il ragazzino sembrava incerto, ma il volto era più tranquillo rispetto a pochi istanti prima. «Potrò tornare a parlarle? Anche se tutto dovesse risolversi con Medea?»
«Se lo desideri.»
Severus notò il sorriso sulle labbra del ragazzo, quando si congedò. Forse sarebbe riuscito ad aiutare Soren a superare del tutto il peso di quel passato che doveva essere diventato improvvisamente fin troppo tangibile a scuola. Immaginava che gli altri ragazzi potessero avergli nominato il padre morto eroicamente, mentre per lui quell’uomo era stato unicamente un aguzzino.
Si alzò in piedi, con l’intento di tornare nella parte privata dei suoi alloggi, ma qualcuno bussò nuovamente alla porta. Questa volta, però, ad entrare fu Minerva.
«Severus», lo salutò, avvicinandosi a lui, che la guidò nelle sue stanze. «Ho incrociato il signor Hardwick davanti alla porta del tuo ufficio.»
«Non mi sorprende.»
La donna, mentre seguiva il mago oltre la porta che immetteva nei suoi alloggi, si disse lieta che un ragazzo di una casa diversa da Serpeverde fosse andato a parlare con Severus già a inizio anno.
«Hai notato qualcosa di strano in Medea Koesel?»
Minerva non si era aspettata quella domanda, troppo intenta a pensare al volto sorridente del piccolo Corvonero che aveva incrociato davanti alla porta dell'ufficio del collega più giovane.
«Mi sembra una ragazza timida, credo anche con i suoi compagni, considerando che siede sempre da sola, anche se ieri il signor Hardwick si è sistemato al suo fianco. È studiosa e, se chiamata, risponde bene alle domande.»
«C’è qualcosa di più della timidezza. Osservala meglio, mentre interagisce con gli altri studenti.»
«Credi che abbia gli stessi problemi del signor Fairchild?»
«Non ne ho idea. Da quel che mi è stato riferito, la signorina Koesel ha paura di fare del male agli altri ragazzi. Sai chi è la madre?»
Minerva scosse il capo.
«Sui registri accanto al nome degli orfani che vivono in orfanotrofio campeggia la scritta nessun parente prossimo in vita.», affermò la strega, promettendogli di provare a cercare altre informazioni, ma dovettero rimandare il discorso a quella sera e non ne ricavarono altro, nemmeno da Pomona, che si era unita a loro.
«La signorina Honeychurch», disse, mentre parlavano in maniera più approfondita dei piccoli orfani di quell'anno. «Proviene dallo stesso orfanotrofio della signorina Koesel ed è stata smistata a Grifondoro, non è vero Minerva?»
La strega annuì, mentre osservava il volto di Severus farsi pensoso. Era felice che quella sera, con loro, ci fosse anche Pomona, che aveva aggiunto le sue osservazioni sulla signorina Koesel, e la donna dovette ammettere che più particolari emergevano più diventava evidente che quella ragazzina avesse bisogno d’aiuto.
«Credo che possa stare spiando la signorina Koesel per conto di qualcuno nell’orfanotrofio di York.»
«Non le ho mai viste interagire.»
«Di questo sono certo, ma il signor Hardwick ha notato che la sua compagna di Casa osserva spesso il tavolo di Grifondoro ed io credo che stia fissando Rachel Honeychurch», Severus fece una pausa, riordinando le idee. «Osservatele durante i pasti. Pomona credo che dovresti parlare con Isabel Millward, che mi è stato riferito essere preoccupata per la signorina Koesel. Provate anche a parlare con la Wilkins.»
Minerva lasciò che fosse Pomona a intervenire e a chiedere informazioni sull’insegnante di Pozioni. Non avrebbe detto nulla, perché sapeva che Severus avrebbe negato, ma, in quel momento, mentre dava indicazioni affinché aiutassero la signorina Koesel, alla strega parve che l’uomo stesse agendo come il Preside che era e che non poteva essere, perché era certa che Severus avesse perfettamente ragione su come avrebbe reagito il Mondo Magico se avesse ricoperto il ruolo che gli spettava.
«Artemisia Wilkins era una Corvonero, ma non la ricordo bene. Era piuttosto anonima», disse, intervenendo nella conversazione. «Non sono nemmeno certa che abbia proseguito con Trasfigurazione dopo i suoi G.U.F.O.»
Severus annuì, prima di congedare le due streghe.
Dopo aver cambiato la fasciatura e assunto la pozione, tornò a sedersi su una delle poltrone. C’era qualcosa di grave che stava accadendo a quei bambini, soprattutto se i suoi sospetti erano giusti e Rachel Honeychurch stava effettivamente spiando Medea Koesel, che doveva aver vissuto degli eventi traumatici – forse più di altri – se poteva essere manovrata e indotta a credere di essere malvagia.
Doveva trovare un modo per aiutare quella bambina. Soren Hardwick aveva scelto di confidarsi con lui, quando il suo Capocasa si era rivelato sordo. Non era andato da Pomona o da Minerva, ma da lui, perché, anche se non lo aveva detto ad alta voce, appariva certo che potesse ricevere un aiuto.
Anche per sé stesso, considerando che gli aveva esplicitamente chiesto se poteva tornare a parlare con lui, anche se fosse riuscito a risalire all’origine delle paure di Medea.
Quando si coricò agli abituali incubi si aggiunsero i volti di quei bambini che lo rimproveravano perché non era riuscito a fare ciò che si era ripromesso e quando si svegliò sperò di trovare una soluzione che non si palesò né il soleggiato giovedì, né la mattina piovosa del venerdì.
La pioggia scendeva torrenziale sul castello, al punto da far temere agli studenti il tragitto fino alle Serre. Soren non si era mai sentito così bagnato, come quando rientrò gocciolante insieme ai suoi compagni di corso.
«Ti ho visto parlare con Medea martedì», disse improvvisamente una ragazzina di Grifondoro. «Non dovresti farlo.»
«Perché?», domandò, notando che non era rimasto nessun altro nei pressi dell’ingresso.
«Non è una buona compagnia. Tu non lo noti adesso, ma è pericolosa.»
Soren scosse soltanto il capo, prima di allontanarsi a grandi passi da lei, ripromettendosi di tornare a parlare con il professor Piton dopo Pozioni, l’ultima lezione del giorno. Durante il pranzo immaginò quello che avrebbe potuto dirgli e si chiese se non dovesse parlare più a lungo con lui di suo padre o se non potesse nominare quell’unica volta in cui l’aveva incontrato quando era stato ancora un bambino. E quando andò in biblioteca per studiare, non riuscì a leggere nemmeno una riga, mentre cercava di raccogliere le idee.
Era ancora immerso nei suoi pensieri, quando raggiunse l’aula di Pozioni. Si sedette alla postazione che divideva con John Hackett, quando notò che era diventata per tre. Sentì lo sguardo della professoressa Wilkins su di sé e si accorse che la donna appariva contrariata, anche se non credeva che ce l’avesse con lui, perché scrutò tutti allo stesso modo, in particolare i Serpeverde. Quando Medea, poco prima dell’inizio della lezione, si sedette alla sua sinistra, Soren ebbe la certezza che quella fosse opera del professor Piton. Non sapeva quali parole avesse usato, ma era felice che l’avesse convinta a non isolare in quel modo la sua compagna di Casa.
«Oggi inizieremo a mettere in pratica la teoria imparata finora», annunciò la donna, ma Soren si chiese come intendesse farlo, dato che non c’era un solo calderone in aula. «Davanti ad ognuno di voi troverete un foglio con sopra indicati due ingredienti e quello che dovrete fare con loro.»
Soren lesse il piccolo rettangolo di pergamena che prevedeva che dovesse sminuzzare dei petali di belladonna e sezionare degli scarafaggi. Non c’era scritto nient’altro e si sentì deluso. Mamma gli aveva spiegato che durante le ore di Pozioni era necessario prestare la massima attenzione a ogni particolare, per poter riuscire bene. Gli aveva anche detto di quanto duro potesse essere il professor Piton, ma che non aveva mai visto verificarsi un solo incidente veramente grave in aula. Aveva sperato di poter iniziare a lavorare fin da subito, ma avevano trascorso la prima settimana e mezzo a trascrivere alcune definizioni e ad ascoltare una lunghissima introduzione alla materia.
Cercando di non mostrare la propria delusione di fronte a quel primo esercizio pratico, iniziò a lavorare sui petali di belladonna. Lanciò un’occhiata alla postazione di Medea, che si era posizionata il più lontano possibile da lui e la vide alle prese con dei gambi di margherita.
Mentre lavorava al suo primo scarabeo, si chiese se non dovesse provare a parlare nuovamente con Medea quel pomeriggio. Credeva che non facendolo, avrebbe deluso il professor Piton che gliene aveva dato l’opportunità e che gli aveva consigliato di sfruttare le occasioni più propizie. Era certo di non risultare nemmeno troppo pressante, dato che non aveva più insistito a parlare con lei da martedì. Si voltò verso la compagna, dopo aver sistemato le zampette in un barattolo e le ali in un altro.
Medea era immobile, pallidissima, mentre osservava il pipistrello che doveva, con ogni probabilità, sezionare. Non aveva il volto schifato dall’ingrediente, ma appariva terrorizzata, più di quanto non l’avesse mai vista.
«Ti serve una mano?», sussurrò, ma la ragazza parve non averla nemmeno sentito. «Se vuoi posso chiedere alla professore Wilkins se possiamo scambiare gli ingredienti.»
A Medea parve di sentire una voce ovattata da qualche parte, ma non sapeva nemmeno chi le stesse parlando. Riusciva unicamente a vedere il pipistrello davanti a sé. Quando aveva letto il foglio, aveva saputo che sarebbe stato difficile, ma era stata certa di riuscirci.
Invece, non era in grado nemmeno di muovere un dito.
Le sembrava di vivere in un incubo.
Da qualche parte, una voce femminile tranquilla stava dicendo delle parole, delle parole crudeli.
Medea non riusciva nemmeno a capire dove fosse.
Si sentiva soffocare.
Riusciva unicamente a vedere il pipistrello davanti a lei.
Le sembrò che la stesse osservando, quasi supplicandola.
La Direttrice era stata chiara, però. Tentò di ignorare tutti gli altri rumori presenti intorno a lei. Sapeva che gli altri bambini la stava fissando. Prese in mano il coltello, chiuse gli occhi e colpì il pipistrello che si stava dibatteva sul tavolo.
Sentì qualcuno afferrarle il polso quando alzò nuovamente il coltello per dare un nuovo colpo. Si svincolò e le parve di sentire una voce. Aprì gli occhi e vide del sangue colare sul pipistrello morto.
«Medea…»
La ragazzina si voltò di scatto e vide il volto preoccupato di Soren.
E dolorante.
Solo in quel momento si rese conto di essere in classe. La mano l’aveva lasciata andare e stava sanguinando.
«Io…»
«Non è niente, Medea», affermò Soren, cercando di ignorare il dolore della ferita. Aveva notato che la compagna di Casa sembrava essere totalmente persa. Aveva tentato di richiamarla, poi l’aveva afferrata e non era stata la migliore delle idee.
«Professoressa Wilkins», disse John che li stava fissando con attenzione. «Medea ha ferito Soren.»
Il ragazzo avrebbe voluto rimbrottare il compagno di postazione, ma non sarebbe stata una buona mossa. Accanto a lui, Medea era diventata, se possibile, ancora più pallida e più terrorizzata. La professoressa, che aveva passato l’intera lezione dietro la cattedra, si alzò in piedi e Soren sapeva che doveva agire rapidamente.
Non voleva che la donna se la prendesse con Medea.
Spostò rapidamente la mano, sperando di coprire di sangue il suo piano di lavoro e lo scarafaggio su cui aveva iniziato a lavorare.
«Cos’è accaduto, signor Hackett?»
«Ho visto Medea ferire la mano di Soren con il suo coltello da lavoro, dopo aver colpito con violenza il pipistrello.»
A Soren sembrò che John avesse pronunciato il nome della compagna di Casa quasi con odio, ma sperò di essersi sbagliato.
«Non è vero, professoressa», decise di dire. «Stavo sezionando l’ultimo scarafaggio, quando mi sono tagliato e Medea stava cercando di aiutarmi.»
La menzogna non era credibile, se ne accorse, quando osservò la punta del suo coltello che era immacolata. Però, forse, la professoressa Wilkins non aveva un grande spirito di osservazione e non se ne sarebbe accorta. Sicuramente non aveva visto quello che era accaduto, si rincuorò, quando la donna iniziò ad ispezionare i loro tavoli.
«Professoressa», Soren si voltò verso Edward che si trovava nella postazione alla loro destra. «Ho visto, per caso, quello che è accaduto ed è andata esattamente come dice Soren.»
Il ragazzo non era certo di aver fatto bene a parlare, ma non voleva che l’amico andasse nei guai. Non aveva idea di cosa fosse accaduto, ma non gli era piaciuto il modo in cui il Corvonero di fianco a Soren aveva parlato. Avrebbe dovuto chiedere di poter accompagnare il compagno di Casa in Infermeria, invece di accusare la Koesel di averlo ferito.
«Eppure, signor Fairchild, sei troppo lontano per aver visto tutto e il signor Hackett è più vicino», commentò la professoressa, il cui sguardo si era fissato su Medea. Edward notò che la ragazzina, per cui Soren sembrava essere tanto preoccupato, stava tremando. «Siete fortunati, signor Hardwick, signor Fairchild, che sono dotata di buon cuore. Mi vedo costretta a togliervi cinque punti a testa per la vostra palese menzogna, così come la signorina Koesel ne perderà venti, ma nessuno di voi verrà messo in punizione per questo.»
Medea non ascoltò quasi le parole della donna. Riusciva soltanto a vedere il sangue di Soren davanti a sé. Avrebbe voluto piangere, ma nessuna lacrima corse lungo le sue guance. Aveva cercato di metterlo in guardia, gli aveva detto che avrebbe finito col fargli del male, perché era cattiva e quel giorno l’aveva dimostrato davanti a tutti.
Quando la professoressa, pochi minuti dopo, li congedò, Medea si affrettò a uscire dalla stanza.
«Aspetta», si bloccò non appena udì la voce di Soren. Non avrebbe dovuto fermarsi, lo sapeva, ma voleva capire quanto male gli avesse fatto. «Mi dispiace di averti spaventata prima, ma…»
«È colpa mia… io…»
«Non è vero… non avrei dovuto afferrarti in quel modo.»
Medea sentì le lacrime pungerle gli occhi e scorrerle lungo le guance. Non sapeva nemmeno perché stesse piangendo, in quel momento.
Forse era solo perché Soren era sempre così gentile.
«Dovremmo andare in Infermeria», la ragazza alzò il capo verso un Serpeverde che si era avvicinato al compagno di Casa.
«Vuoi venire anche tu, Medea?»
«Proprio non ti capisco, Soren», Edward si voltò verso il nuovo venuto. Era quell’Hackett che aveva richiamato l’attenzione della professoressa Wilkins, che pareva essersi rintanata dietro la porta chiusa dell’aula. «Avresti dovuto essere felice di veder arrivare la professoressa, in modo da poterle spiegare tutto, invece ti ostini a prendere in considerazione quella piccola Mangiamorte.»
Edward quasi sobbalzò alle parole di Hackett e si voltò ad osservare Medea che stava piangendo e che sembrava essere sconvolta per il taglio che forse aveva procurato a Soren. Non sapeva nemmeno come fosse andata, ma era certo che l’amico non si sarebbe mai preoccupato così tanto per la ragazza se questa lo avesse ferito volutamente.
«Non avresti dovuto nemmeno parlare. Medea è una nostra compagna di Casa e…»
«E, cosa?», disse un altro Corvonero, di cui Edward non ricordava il nome. Medea pareva voler scomparire nel muro. A lei si era avvicinata Rosalinde che stava tentando di consolarla. «Non dovrebbe nemmeno essere a Hogwarts, esattamente come voi due Serpeverde. Spero che i vostri genitori stiano marcendo in una fossa comune.»
A Edward sembrò di aver appena ricevuto una pugnalata, ma non riuscì a dire una parola, mentre alcuni dei ragazzi che si erano fermati intorno a loro si dicevano d’accordo con quello che aveva parlato.
«Stai parlando di cose che non conosci, Jeremy», ribatté Soren con voce tesa.
«Invece le capisco bene. Sei tu che sembri non capire nulla. Eppure, tuo padre era un eroe.»
Edward sobbalzò quando Soren tentò di colpire quel Jeremy con un pugno, ma questi fu rapido a schivarlo. Il giovane Fairchild si lanciò in avanti e afferrò l’amico prima che, sbilanciato, cadesse a terra. La mano destra di Soren, stretta a pugno, era ricoperta del sangue del taglio di cui tutti, lui incluso, parevano essersi scordati.
«Cosa sta succedendo?»
Intorno a lui risuonò un’improvvisa cacofonia di suoni e parole, prima che la professoressa McGranitt imponesse a tutti il silenzio. Edward notò che la donna li stava scrutando con attenzione.
«Soren ha tentato di colpire Jeremy con un pugno», disse uno dei Corvonero che si erano fermati ad osservare.
«Stavano litigando», intervenne un altro.
«John aveva appena detto delle parole orribili, professoressa», mormorò Rosalinde che si trovava ancora accanto a Medea.
Minerva osservò con attenzione gli studenti al centro del semicerchio che aveva trovato nel corridoio davanti all’aula di Pozioni. Una Corvonero era arrivata di corsa nel suo ufficio, probabilmente non pensando che avrebbe potuto rivolgersi alla professoressa Wilkins o a Severus. La signorina Koesel stava singhiozzando sconvolta accanto alla signorina Collins, mentre il signor Hardwick era quasi sostenuto – o trattenuto – dal signor Fairchild. Il signor Hackett e il signor Adair erano di fronte al piccolo gruppetto di Serpeverde e Corvonero.
E l’atmosfera era terribilmente tesa, notò la donna.
«Andate via tutti, tranne le signorine Koesel e Collins e i signori Hardwick, Fairchild, Hackett e Adair», disse, infine, prendendo una decisione forse azzardata, che però credeva la migliore da percorrere. «Voi cinque seguitemi.»
«Professoressa», Minerva si voltò verso il signor Fairchild. «Soren si è ferito durante la lezione.»
«Un motivo in più per seguirmi. Appena saremo arrivati ci occuperemo di lui.»
Soren sorrise grato a Edward prima di iniziare a muoversi, ma quando la professoressa McGranitt si fermò davanti alla porta dell’ufficio del professor Piton si sentì sprofondare. Era certo che avrebbe letto la delusione sul volto dell’uomo perché si era comportato in un modo che non sarebbe piaciuto né a lui né, men che meno, alla mamma.
Sperò quasi che il mago non aprisse la porta, ma invano. Entrò a capo chino, seguendo la Capocasa di Grifondoro e, non appena l’uscio si chiuse alle loro spalle si sentì quasi soffocare ed era certo che non fosse dovuto alla piccolezza della stanza.
«Minerva, che cosa posso fare per te?»
Severus non si era aspettato di vedere entrare la donna, che gli aveva detto, quella mattina, che avrebbe cenato con lui per poter parlare con calma dei ragazzi, insieme a sei studenti. Il suo sguardo cadde subito su Soren Hardwick che teneva il capo chino, quasi si vergognasse di trovarsi lì, in quel momento.
«Questi ragazzi stavano quasi venendo alla mani fuori dall’aula di Pozioni e tu sei il Capocasa di alcuni di loro, ma prima dobbiamo occuparci della mano del signori Hardwick.»
Severus fece cenno al ragazzo di avvicinarsi e notò che Soren evitava accuratamente di incontrare il suo sguardo, come aveva invece sempre fatto quando si era confidato con lui le due volte precedenti.
«Come ti sei tagliato?», chiese, mentre gli esaminava la mano.
«È stato durante l’ora di Pozioni, professore», mormorò il ragazzo. «Dovevamo preparare alcuni ingredienti.»
Severus decise di non commentare quell’informazione, né di dire alcunché sull’incompetenza della Wilkins che non aveva mandato immediatamente il giovane Soren in Infermeria. Si limitò a curare la ferita, fortunatamente superficiale, certo che le parole del ragazzo nascondessero altro, soprattutto considerando che la Corvonero del gruppo aveva il viso terrorizzato e colpevole.
«Signor Hardwick come ti sei ferito? Mi sembra improbabile che tu l’abbia fatto da solo.»
«È stata Medea», interloquì uno dei ragazzi di Corvonero.
«L’ho forse chiesto a te?»
Edward non sapeva cosa pensare. Avrebbe voluto trovarsi in qualsiasi altro posto. O, forse, non voleva riflettere realmente su quello che stava accadendo. Gli era stato detto che Piton era un uomo crudele, ma aveva curato la ferita di Soren con attenzione e aveva messo a tacere rapidamente Hackett.
«Si è tratta di un incidente. Medea stava avendo difficoltà a sezionare un pipistrello e io l’ho aiutata, ma, senza volere, Medea, che teneva il coltello, mi ha ferito.»
Severus osservò per qualche istante il volto di Soren Hardwick. Gli era chiaro che le cose non fossero andate esattamente in quel modo. Il ragazzino aveva parlato in maniera fin troppo misurata, quasi avesse ripetuto più volte quelle frasi nella sua mente e la signorina Koesel aveva lo sguardo colmo di un senso di colpa che riconobbe come fin troppo simile al suo.
«Cosa ha fatto la professoressa Wilkins, signorina Collins?»
«John ha richiamato la sua attenzione dicendo che Medea aveva ferito Soren», iniziò a spiegare Rosalinde timidamente. «La professoressa ha chiesto cosa fosse accaduto e Soren ha detto di essersi ferito da solo e Edward ha confermato, ma la professoressa non ci ha creduto e ha sottratto dei punti a Soren, Edward e Medea.»
«La professoressa Wilkins era forse intenta ad osservare una delle vostre preparazioni, quando il signor Hardwick è stato ferito?»
«No, professore», mormorò la ragazza. «Era seduta dietro la cattedra.»
Soren lanciò un’occhiata verso il professor Piton che gli era parso quanto meno sarcastico nella sua ultima domanda, ma riabbassò subito lo sguardo. Era ancora vicino all’uomo e non voleva osservarlo in volto quando avrebbe dovuto rivelargli come si era comportato.
«Quando siete usciti cosa è accaduto, signor Hardwick?»
«Medea sembrava essere molto preoccupata e mi sono avvicinato a lei per dirle di non farlo perché sapevo che era stato soltanto un incidente. Edward mi ha ricordato che sarei dovuto andare in Infermeria e dato che Medea mi sembrava molto scossa, le ho chiesto se volesse venire con noi. A quel punto, John è intervenuto.»
«E per quale motivo, hai ritenuto opportuno intervenire in una semplice conversazione?», chiese Severus, focalizzando lo sguardo sul ragazzo di Corvonero che Rosalinde Collins aveva chiamato John.
«Ero preoccupato per Soren perché si stava comportando in maniera strana con la Koesel», rispose il ragazzo, lanciando un’occhiata alla compagna di Casa con malcelato sospetto. «Le posso assicurare che Soren è diventato aggressivo e si è lanciato contro Jeremy per dargli un pugno, senza riuscirci.»
Severus notò che il giovane Hardwick teneva, se possibile, lo sguardo ancora più verso il suolo. Non ci voleva un genio per capire che si vergognava per le sue azioni. Nell’angolo in cui si era rifugiata, Medea Koesel appariva ancora più logorata dalla colpa e Edward Fairchild stava osservando il Corvonero chiamato Jeremy con qualcosa di molto simile al dolore.
«E volete veramente farmi credermi che il signor Hardwick ha tentato di darvi un pugno, con la mano ferita, senza nessun motivo?»
«Immagino che non gli sia piaciuto sentirsi dire la verità», affermò Jeremy con sicurezza.
«E quale verità vi siete sentiti in dovere di svelargli?»
«Professoressa McGranitt», disse il ragazzo, voltandosi verso Minerva che aveva assistito in silenzio a tutta la scena, ma che si era posizionata dal lato della stanza dove si trovava la signorina Koesel. «Non credo che dovremmo rispondere a lui. Non è nemmeno un insegnante.»
«Ti sbagli, signor Adair», affermò la donna con voce tagliente. «Un Capocasa vi ha appena posto una domanda ed è vostro dovere rispondere.»
«Io non parlo con un Mangiamorte.»
Minerva invidiò la calma con cui Severus incassò quell’insulto, ma il signor Hardwick apparì incredibilmente irritato, mentre il signor Fairchild lanciava occhiate incerte ora a Piton ora agli altri ragazzi.
«Se non vuoi parlare, signor Adair, qualcun altro lo farà. Magari il tuo compagno.», la strega non si stupì nemmeno quando il signor Hackett non disse una parola. «O, forse, il signor Fairchild?»
Edward deglutì a vuoto, non appena sentì gli occhi neri e impenetrabili di Piton su di lui. L’uomo continuava a comportarsi in maniera totalmente diversa da quella che si era aspettato. Era stato certo che avrebbe agito con crudeltà, che avrebbe mostrato che razza di mostro fosse; invece, stava unicamente ricostruendo la verità e il ragazzo si sentì in colpa per averlo ammirato per come aveva gestito le parole dei due Corvonero.
«Hackett era arrabbiato con Soren. Non so per quale motivo, ma ha chiamato Medea piccola Mangiamorte», disse, cercando di attenersi unicamente ai fatti. «Voleva che Soren lo ingraziasse per aver richiamato l’attenzione della professoressa Wilkins e non era soddisfatto quando Soren gli ha fatto presente che Medea è una loro compagna di Casa. Poi Adair è intervenuto e… ha detto a Soren che Medea non dovrebbe essere a scuola, né… noi Serpeverde e ha detto che… si è augurato che i nostri genitori si…»
Edward si interruppe ricacciando indietro un singulto. Le parole Jeremy facevano quasi più male in quel momento.
«Signorina Collins…»
«Jeremy Adair ha detto che sperava che i nostri genitori stessero marcendo in una fossa comune», rispose la ragazzina con voce tremante. «Poi, Soren ha chiesto loro di non parlare di cose che non capivano e Adair ha detto che era Soren a non capire e ha nominato il padre di Soren chiamandolo eroe. È stato allora che Soren ha tentato di dare un pugno a Adair e, subito dopo, è arrivata la professoressa McGranitt.»
Severus osservò con attenzione il signor Hardwick e poté caprie perfettamente cosa lo avesse fatto scattare. Il ragazzo sapeva che Medea era un’orfana e doveva essere anche a conoscenza della sorte dei genitori di Fairchild. Era quasi del tutto certo che si fosse trattenuto, in un primo momento, ma quando era stato nominato suo padre, l’uomo di cui aveva avuto paura, era scattato.
Ed in quel momento, aveva paura del suo giudizio.
«Signor Hardwick», Soren alzò lentamente il capo, dicendosi che avrebbe tentato di sopportare con coraggio la delusione nel volto del professor Piton, ma gli occhi neri dell’uomo non mostravano quel sentimento. Il viso del mago era impenetrabile, ma quell’espressione gli trasmise uno strano senso di calma. «Immagino che tu sappia che è proibito assalire un altro studente. Servirai una punizione, stasera, alle 19 con me. Mentre non sono per niente certo che il signor Adair e il signor Hackett siano consapevoli che anche provocare una rissa è proibito in questa scuola, così come insultare gli altri studenti e i loro genitori, ma credo che potrebbero acquisire questa consapevolezza. Ognuno di voi perderà trenta punti e servirete tre sere di punizione con me a partire da domani. Mi aspetto di vedere Adair alle 17 e Hackett alle 19.»
«Non può farlo.»
«Posso benissimo o non avete ascoltato le parole della professoressa McGranitt?», i due Corvonero si guardarono l’un l’altro, ma non aprirono bocca. «Potete andare ora, tutti, tranne la signorina Koesel e il signor Fairchild. Sono certo che la professoressa McGranitt vi scorterà più che volentieri in Sala Grande.»
Severus sentì su di sé lo sguardo di Soren, quando il ragazzo raggiunse la porta, e fu stupito di leggervi l’accenno di un sorriso.
Edited by Alaide - 26/9/2023, 22:52