Il Calderone di Severus

2.6 - Esercitazioni sui personaggi, Lezione 2 - Personaggi: classificazione

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view post Posted on 2/10/2018, 22:35
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I ♥ Severus


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2 - Personaggi: classificazione


2.6. Esercitazioni
Consigli
Ruoli e azioni
Protagonista/antagonista





Come creare i personaggi (I consigli di Murakami[1])



- Osservate le persone attorno a voi
- Annotatene pregi e difetti
- Rendete irriconoscibili i personaggi rispetto alle persone vere
- Rendeteli imperfetti e straordinari
- Cercate conflitti significativi che valga la pena raccontare
- Create solo personaggi funzionali alla storia




Ruoli e azioni



Scegliete un libro in cui appaiono un Protagonista, un Antagonista, almeno un Protagonista o Antagonista d'appoggio, e un'Invariante, tragica o comica, a piacere.
Mettete in rilievo:
1 - quale è la situazione iniziale;
2 - quale azione mette in atto il protagonista per destabilizzarla;
3 - qual è la reazione dell'antagonista;
4 - la o le azioni dei personaggi d'appoggio;
5 - come si sviluppa il conflitto (azioni e reazioni di protagonista, antagonista e loro aiutanti);
6 - qual è l'invariante tragica o comica e quali sono le sue azioni;
7 - qual è la situazione finale e come si ricollocano, in questa situazione finale, i personaggi in questione.



[1] Haruki Murakami (1949): scrittore, traduttore e saggista giapponese.


Edited by Ida59 - 3/10/2018, 11:58
 
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Protagonista/antagonista



Nell'esercizio della prima lezione (QUI) il Dr. Verdi è l'antagonista; ha un suo progetto, godersi la colazione al bar, che viene mandato al monte dalla irruzione del protagonista, il personaggio che si mangia la sua brioche e si beve il suo cappuccino.

Tema dell'esercizio precedente
CITAZIONE
Narrare, accentuando l'aspetto che si vuole, questa situazione:
Il rag. Rossi (o il Dr. Verdi, non fa differenza), quella mattina, decise di far colazione al bar. Si accomodò a un tavolo ben illuminato, vi stese sopra il giornale e ordinò “Cappuccino e brioche con la crema.” “Col cacao o senza?” chiese il barista. “Con” rispose il rag. Rossi. Il barista preparò un vassoio con l'ordinazione e l'appoggiò sul bancone. Ma mentre si voltava per prendere lo zucchero un avventore, entrato in quel momento, prese la brioche e l'addentò. Poi bevve un sorso del cappuccino.

Tema del presente esercizio
- Identificate i racconti scomponibili in due o più situazioni;
- Identificate, se esistono, protagonisti e antagonisti situazionali


Per vostra comodità inserisco i racconti (pochi) scritti per l'esercitazione della prima lezione, nonchè quelli (tanti) scritti durante le lezioni di Mezzomatto, così c'è più materiale per questa sercitazione.

Storia di Peeves - Il profumo del peccato
CITAZIONE (*Peeves* @ 28/10/2009, 23:53) 
L’eco dei passi che si allontanavano, e poi del pesante portone che veniva chiuso, si era smorzata da poco.
L’odore del peccato aleggiava ancora persistente e pesante attorno alla persona rimasta sola in quel silenzioso luogo.
Un odore inodore, quello del peccato… ma che puo’ appestare l’aria piu’ di quello che ci si possa immaginare.
Discretamente, l'uomo, mosse un poco le tendine in velluto porpora con l’inutile intento di allontanare dalla sua persona l’immaginaria aria malefica emanata dalla confessione appena udita.
Quella del prete non era una professione facile: si aveva a che fare con vita e morte, pecorelle obbedienti e meno; ma soprattutto erano gli orari poco "cristiani" a fargli pesare la scelta presa anni fa: seguire la sua vocazione ecclesiastica.
Infatti, almeno nella parrocchia a cui era stato assegnato, doveva tutte le mattine alzarsi di buon’ora per spargere l’incenso in chiesa, ordinare le candeline votive, curare i fiori, prepararsi a leggere la Santa Messa delle 6.00… e tornando al tema iniziato, fare a meno praticamente ogni mattino di uno dei pochi piaceri terreni a cui un santo padre puo’ dedicarsi senza peccare gravemente: un cappuccino e una brioche, consumati con la calma necessaria per godersi appieno il gusto e il profumo di quelle delizie!
Purtroppo mentre stava lasciandosi andare a quei pensieri inopportuni, avverti’ l’avvicinarsi di qualcuno e l’odore acre dell’incenso (penetrato nel confessionale quando un attimo prima aveva mosso la tendina) che gli saliva impavido per le narici.
La realta’ del peccato, e con lei il suo disgustoso odore immaginario, riprese possesso di don Matteo. Fisso’ sofferente i forellini del confessionale, da dove di li’ a poco un ennesimo peccato si sarebbe intrufolato per cercare perdono e misericordia; si immagino' che la puzza del malcostume penitente lo avrebbe nuovamente infastidito fino a togliergli quasi l’ossigeno.
Il prete si senti’ meno prima ancora di essersi immaginato lo schifoso e fittizio lezzo: colpa dell’aria viziata del confessionale ma anche della colazione mancata.
Tento’ di ricomporsi pensando al cappuccino e alla brioche che lo aspettavano dopo quella sua ultima assoluzione; ancora un peccato altrui e poi avrebbe potuto peccare anche lui!
Si’… un peccato di gola… e consumato con calma e godimento… ecco, il desiderio era talmente forte che ora ne avvertiva anche l'aroma fragrante… latte macchiato... caffè… cappuccino… o forse un caffèlatte forte…
<< Padre? >>
Una voce lo aveva scrollato dai suoi pensieri: doveva trattarsi della persona appena udita entrare e che desiderava confessarsi.
<< C’è qualcuno? Sul cartello è riportato che ci si puo’ confessare gia’ dalle 7.00 del mattino. Padre? >>
Nuovamente una ventata di profumo si infilo’ fra i forellini e avvolse don Matteo: quindi prima non aveva sognato, ma semplicemente percepito l’alito al sentore di caffè del peccatore!
Fra sé e sé penso che il peccato era gia’ compiuto presentandosi, accompagnati da un profumo cosi’ delizioso, al cospetto di un uomo in preda ad una crisi di astinenza da caffè mattutino.
<< Disgraziato! >> mormoro’ impercettibile il prete; poi continuo’ con tono ironico: << Figliolo… qual buon vento ti porta? >>
<< Oh… finalmente… Ma allora c’è qualcuno! >> rispose sollevato l’altro.
Riprese agitato: << Padre… io… ho rubato! Vi prego, assolvetemi! Subito! >>
Don Matteo inspiro’ avido la fragranza e l’aroma che lo avevano nuovamente raggiunto.
Inebriato esorto’ il peccatore a raccontare esattamente cosa avesse rubato, e con dovizia di particolari, nella speranza di poter godere ancora per un attimo del profumo paradisiaco e tentatore di un buon caffè mattutino.
Il tapino racconto’ che aveva appena rubato la colazione ad uno sconosciuto: cioè dopo aver addentato la brioche e aver bevuto un sorso di cappuccino, l’aveva poi pagata; quindi il peccato non era stato quello di rubare, ma piuttosto quello di non essere stato in grado di attendere il suo turno al bar.
Dall’interno del confessionale la voce del prete tuono’ grave: << Disgraziato! Disgraziato per due volte!!! Avvicinati immediatamente alla grata! >>
Il ladro venne preso da un fremito e spaventato obbedi’; si avvicino’ implorando il perdono.
Don Matteo annuso’ nuovamente il gradevole odorino penetrato all’interno del buio confessionale. Assaporando con attenzione il profumo, ci si poteva immaginare anche la fragranza della brioche… il burro… la farina raffinata... la crema della farcitura…
Sibilo’ quindi severo: << Il cappuccino, dimmi… con il cacao? >>
<< Si’… si’… con il cacao… e senza zucchero… mi assolva! La prego! Quel pover uomo… sono un essere spregevole… pover uomo… il caffè… sono pentito… negare a qualcuno il piacere di un caffè mattutino è un crimine... ignobile reato... >>
Il sacerdote confermo' grave, con la sua voce baritonale che tanto piaceva alle devote della parrocchia: << Puoi ben dirlo! Gravissimo! >>
Poi allargo’ per l’ultima volta le narici del suo dantesco naso, accorgendosi che l’alito dell’uomo sentiva sempre meno di caffè: era ormai solo un'idea.
<< Senti, anima dannata, per questi peccati non basta recitare un rosario e baciare la statua della Santa Vergine, no! Oltre a cio’ dovrai servirmi subito un cappuccino con il cacao, senza zucchero e accompagnato da una brioche alla crema! Subito! Vedi di non fartelo rubare dal primo disgraziato che passa! >>


Fanfiction di Ida59 - Cappuccino e brioche
CITAZIONE (Ida59 @ 4/11/2009, 13:29) 
Premessa
Sembrava una cosa normale, vero?
Ma questa fanwriter ha molta fantasia, quando pensa al suo amato Severus (e chi cavolo sarebbe il Rag. Rossi?), cioè sempre, unica fonte d’ispirazione delle sue storie.
Così ho cominciato a elaborare folli ipotesi:
E se trasformo il rag. Rossi nel Professor Piton (che mi crucerà per aver osato tanto)?
E se l’avventore fosse il malandato Remus Lupin (che mi ringrazierà per la colazione che gli offro)?
E se il bar fosse la Testa di Porco (Aberforth Silente mi guarda scrollando la testa e si chiede cosa ha fatto di male)?
Sì, lo so che sono malata, senza speranza alcuna di guarigione, non perdete tempo a dirmelo: impiegatelo a leggere la fic!


Il Professor Piton, quella mattina, aveva deciso di ignorare la rumorosa Sala Grande e fare colazione in un posto più tranquillo. La Testa di Porco era l’ideale, certamente deserta a quell’ora mattutina di un’uggiosa domenica di novembre, proprio dopo l’ultima notte di luna piena.
I ricordi della notte, con il fuoco, i mantelli neri e i raggi della luna che si riflettevano sulle maschere d’argento facendole brillare di una luce crudele, erano tremendi, come sempre. Ma era riuscito a salvare la vittima predestinata, questa volta.
Grazie a un caso fortuito che mai avrebbe immaginato potesse accadere.
Poteva concedersi un premio.
Si accomodò a un tavolo ben illuminato, lontano dal bancone, vi stese sopra la Gazzetta del Profeta e ordinò, impassibile:
- Cappuccino e brioche con la crema.
Aberforth stava asciugando i bicchieri della sbornia serale: sollevò appena la testa, senza neppure vederlo.
- Col cacao o senza? - chiese.
- Con. - rispose il Professor Piton, secco.
Sì, anche il cacao.
La vittima era stata sua allieva, anni prima: una timida e studiosa Tassorosso. L’aveva riconosciuta alla luce delle fiamme, terrore e speranza negli occhi nocciola quando anche lei lo aveva individuato, mentre nella confusione la trascinava lontano, verso la salvezza, e, dibattendosi fra le sue braccia, gli aveva fatto scivolare via la maschera dal viso rivelandone così l’identità
Sì, anche il cacao: Leslie O’ Connel era salva. Integra nel corpo e nell’anima.
Grazie alla luna.
Sì. Anche il cacao. E perfino lo zucchero.
Aberforth preparò il vassoio con l'ordinazione e l'appoggiò sul bancone, sempre senza alzare il viso, e tornò ad asciugare i bicchieri mentre la campanella all’ingresso segnalava l’arrivo di un altro avventore mattiniero.
Mentre il mago si accingeva ad alzarsi lentamente per prendere il vassoio, il nuovo arrivato, dagli abiti logori e in alcuni punti stracciati, era giunto velocemente al bancone. Lo vide, di spalle, prendere la brioche e addentarla, poi bere un sorso del cappuccino mentre un tremito di caldo piacere gli scendeva lungo la schiena.
Si affiancò al bancone allungandogli lo zucchero:
- Grazie, Lupin. – mormorò piano, chiedendosi cosa poteva ricordare un lupo mannaro della notte appena trascorsa.
Il viso di Lupin era stanco e sofferente: vi era del sangue rappreso sulla tempia e in mezzo ai capelli arruffati, tra foglie e terriccio incrostato, spuntavano molti più fili bianchi di quanti il Professor Piton ricordasse di averne notati l’ultima volta che lo aveva visto, circa un anno e mezzo prima quando aveva insegnato a Hogwarts..
Era stata una notte dura anche per lui e, probabilmente, neppure aveva la consolazione di sapere d’aver salvato la vita di una giovane donna con la sua improvvisa comparsa nel cerchio dei Mangiamorte, che aveva creato scompiglio proprio mentre si apprestavano al notturno divertimento.
- Prego. – rispose con voce roca, quindi addentò avido il resto della brioche, deglutì il boccone e bevve ingordo il resto del cappuccino.
Piton lo osservò in silenzio: dalla fame che dimostrava, era evidente che quella notte Lupin aveva vinto la sua personale battaglia contro la bestia che albergava in lui.
Mentre con il dorso della mano si puliva la bocca con un gesto inconscio, retaggio della notte animale, il sorriso era tornato sul viso stanco di Lupin:
- Come sta? – s’informò, gentile.
Negli occhi neri di Piton vi fu un bagliore di sorpresa, subito controllato e represso:
- Bene. – rispose in un soffio.
Ora lo sapeva. Anche i lupi mannari ricordano, proprio come gli esseri umani. E comprendono, agendo di conseguenza.
No, adesso Piton lo sapeva con certezza: non era stato un caso se il lupo mannaro era comparso all’improvviso nel cerchio dandogli la possibilità di salvare la O’Connel. L’unica coincidenza fortuita era che fosse passato di lì proprio in quel momento.
Un lieve sorriso gli increspò appena le labbra sottili:
- Altri due cappuccini con brioche. – ordinò al barista appoggiando tre Falci sul bancone. – E con tanto cacao!
Aberforth aveva finalmente sollevato gli occhi dai bicchieri e stava fissando i due maghi, sconcertato.
- Tutti qui, vengono… - brontolò scrollando la testa e girandosi per preparare la nuova ordinazione.



Storia di Ele Snapey
CITAZIONE (Ele Snapey @ 4/11/2009, 20:02) 
Quella mattina di febbraio, il signor Rossi era come al solito in ritardo, cosa che gli capitava abbastanza di frequente negli ultimi tempi.
La causa principale era la scarsa propensione a dormire del figlioletto di pochi mesi che aveva preso l’abitudine di svegliarsi più volte durante la notte.
Così lui e la moglie, di conseguenza, dormivano pochissimo e la mattina il suono della sveglia, a volte, veniva addirittura ignorato, costringendo poi il signor Rossi a dei recuperi incredibili per non arrivare clamorosamente fuori orario in ufficio.
Solitamente si avventurava in strada semi-addormentato, semi-vestito e di pessimo umore, perciò considerava la tappa al bar sotto l’ufficio, per consumare la colazione che non riusciva a fare a casa, una consuetudine d’obbligo, sana e corroborante.
Anche quella mattina il signor Rossi era seduto sullo sgabello di fronte al bancone, con gli occhi appesantiti dal sonno, il quotidiano appena acquistato all’edicola spalancato sotto il naso e gli immancabili cappuccino caldo con spruzzata di cacao più brioche appena sfornata a solleticargli, con il loro delizioso profumo, le narici ancora anestetizzate.
Era quello che considerava il momento forse più appagante e rilassante di tutta una giornata fatta di impegni stressanti, capoufficio esigente e pignolo, colleghi rompiscatole e rientri a casa da travaso di bile in mezzo al traffico caotico.
La vita del signor Rossi era né più né meno come quella di qualsiasi altra persona comune costretta a lavorare "tenendo" famiglia e, più di una volta, si era soffermato a pensare a come sarebbe potuto essere tutto diverso e migliore se avesse vinto tanti soldi. Il sogno ricorrente di tutti!
Perciò, ogni mattina, pagava la sua consumazione acquistando regolarmente, prima di uscire dal bar, anche il biglietto del Superenalotto che sperava fosse quello vincente.
Faceva, ogni giorno, esattamente ciò che facevano altri miliardi di persone.
Quella mattina di febbraio, dicevamo, insolitamente illuminata da un tiepido sole, sembrava una mattina come tutte le altre quando entrò un tizio apparentemente normale che si avvicinò al bancone, affiancandosi al signor Rossi e al suo cappuccino con cacao.
Il signor Rossi era troppo concentrato nella lettura delle notizie sportive per notare subito come il tizio di fianco a lui avesse allungato la mano verso la sua brioche.
Ma dopo qualche secondo vide, con la coda dell’occhio, uno strano movimento del braccio dello sconosciuto proteso verso il cappuccino... Il suo cappuccino! Ehi, e quella era la sua brioche!
Ma che cosa diavolo stava facendo quel tizio? Rimase a fissarlo, sbalordito, per qualche secondo, mentre con la massima nonchalance questi continuava imperterrito a fare scarpetta nella sua tazza e a degustare tranquillamente il cornetto.
Provò a schiarirsi la gola un paio di volte e a dire qualcosa ma niente da fare: era talmente basito che la voce si rifiutava di uscire.
Che situazione imbarazzante. Si guardò attorno guardingo e riflettè sul fatto che avrebbe dovuto far finta di niente e ordinare un altro cappuccino, mentre gli avventori sembravano non essersi assolutamente accorti della grottesca situazione che si era venuta a creare.
Ma poi si disse che era tutta la vita che faceva finta di niente, permettendo che gli altri decidessero per lui e si "consumassero" regolarmente i suoi cappuccino e brioche, perciò insorse.
In quel momento la sua colazione assunse la valenza di un Breil: toccatemi tutto, ma non il mio cappuccino con brioche!
- Senta scusi, guardi che questa era la mia consumazione! - sbottò secco, in tono abbastanza sostenuto.
Lo strano avventore, per tutta risposta, lo guardò come se fosse trasparente e continuò a masticargli in faccia.
- Mi ha capito? Giù le mani dalla mia colazione se non vuole che gliele renda inservibili! -
Quello che seguì alla sua reazione fu un esilarante battibecco tra lui e il ladro di colazioni, seguito gradualmente da tutta la gente presente al bar, dapprima con blando interesse, poi con viva curiosità e infine tra l’ilarità generale.
Ce ne sarebbe stato abbastanza per sprofondare dalla vergogna, ma il signor Rossi non mollò e arrivò a livelli di diverbio e scambi di battute spassose così alti, da ottenere più volte l’approvazione del pubblico.
Partirono, a più riprese, bordate di applausi al suo indirizzo e perfino qualche incitamento.
Il tutto proseguì per una decina di minuti tra le risate genuine della clientela fino a che, improvvisamente, gli si pararono davanti un altro strano tizio, dall’aria molto atteggiata, munito di un paio di occhiali trendy in bilico sul naso e un signore distinto incravattato che applaudendo con sorrisi larghissimi, gli comunicarono che era su "Scherzoni in TV" e aveva appena vinto il primo premio in palio come "Miglior Vittima Protagonista di scherzi in TV" dell’anno.
Gli fecero i loro più sinceri complimenti per aver regalato al programma i dieci minuti più divertenti della sua storia!
Il premio consisteva in un viaggio per due persone in Florida, un assegno da cinquecentomila euro in gettoni d’oro e la possibilità di partecipare come ospite d’Onore alle restanti, prossime puntate di "Scherzoni in TV".
La sua espressione rimase ancora a lungo sbigottita: tutto era avvenuto troppo repentinamente quella mattina.
Ma, quando capì che la lunga acclamazione della clientela del bar e l’assegno recante la cifra vinta che il regista e il notaio della trasmissione gli misero in mano non erano un sogno, si riscosse e intuì al colmo della felicità che la sua vita, finalmente, era davvero cambiata.



Storia di Norrispurr
CITAZIONE (norrispurr @ 5/11/2009, 13:27) 
Il sig. Rossi, ragioniere dall’aspetto inquietantemente simile all’omino perseguitato da Cattivik nelle sue avventure (per chi non lo conoscesse, si tratta di un fumetto ove il nero protagonista escogita mille ed uno stratagemma per depredare il povero ragioniere della propria valigetta, il cui contenuto si rivela ogni volta fallimentare) dopo essere riuscito, una volta tanto, a fiondarsi nell’agognato bagno prima che le tre figlie lo occupassero per mezz’ora ciascuna (costringendolo poi al solito tour de force per non arrivare in ufficio ad ore indecenti), decise, avendo un po’ di tempo a disposizione, di concedersi un momento di tranquillità lontano dalle chiacchiere mattutine della famiglia.
Si recò dunque al bar a pochi metri da casa e, accomodatosi ad un tavolo posizionato vicino ad una finestra, ma lontano dall’ingresso del bar ("Così non mi scoccerà nessuno!" pensò) ed aperto il giornale, che avrebbe una volta tanto potuto leggere con calma e non sul bus o nei ritagli di tempo tra un fax ed un conteggio, chiamò il camerire.
"Buongiorno; un cappuccino ed una brioche con la crema!" Ordinò il Rossi.
"Il cappuccino lo gradisce col cacao o senza?" Chiese il cameriere.
"Con." Rispose il nostro avventore.
Il cameriere, dopo aver preso l’ordinazione, tornò velocemente dietro il bancone e preparò il tutto, collocando cappuccino e brioche su un vassoio.
Mentre il sig. Rossi pregustava il suo cappuccio e la pasta con crema, ecco entrare nel locale ................. uno, due, dieci CATTIVIK!
"E questi chi sono? Cos’è questa mascherata?" Pensò il Rossi, infastidito dalla improbabile incursione.
La comitiva, evidentemente piuttosto affamata, si diresse a passo svelto verso il bancone; uno dei neri figuri, notato il fumante cappuccino e, soprattutto, la brioche, non ci pensò un solo istante e ne addentò un generoso boccone; poi, afferrata fulmineamente la tazzina, bevve un sorso del cappuccio.
"Ma che fa?" Chiese il cameriere "Questa era l’ordinazione del signore seduto al tavolino sotto la finestra".
A questo punto il nostro ghignante Cattivik, voltatosi verso il Rossi, si portò con fare sornione la mano destra vicino al nero testone ed avvicinatosi nel frattempo al ragioniere, che lo guardava con un’aria sempre più perplessa, strappò con gesto deciso la parte superiore di quello che in un attimo si rivelò essere un costume carnascialesco.
"Papà!" Disse Gemma, la figlia più piccola del Rossi.
"Gemma? Ma come ti sei conciata?"
"Ma papà, non ricordi? Oggi c’è la sfilata del liceo, è giovedì grasso! Carnevale! Sono mesi che stiamo preparando i costumi!"
L’espressione basita del Rossi rivelò senza dubbio alcuno che lo stesso era totalmente all’oscuro dell’intera faccenda.
"Sai che ti dico?" Disse Gemma guardando il sempre più perplesso genitore "Mi sa che meriti una piccola lezione per avere ancora una volta trascurato le tue figlie, visto che per te esiste solo il lavoro!"
E voltatasi verso l’allegra comitiva disse: "Ragazzi! Ci attende una mattinata impegnativa, dunque colazione per tutti gentilmente offerta da mio padre!"
E si diresse svelta verso il bancone, da cui salutò il ragioniere con un cenno della mano ed un veloce "Ciao papà!", lasciando al tavolo un sig. Rossi perplesso e seriamente tentato dall’idea di infilarsi nella prima agenzia di viaggi che avesse incontrato ed acquistare un biglietto di sola andata per Timbuctù.



Storia di Starliam
CITAZIONE (Starliam @ 5/11/2009, 14:16) 
Si prospettava un'altra giornata uggiosa. Per questo, uscendo per andare al lavoro, Fabrizio Rossi aveva l'umore sotto i tacchi. Le cose non gli andavano bene ultimamente, non c'era un solo aspetto della sua vita del quale fosse soddisfatto. La sua compagna se n'era andata una settimana prima, dicendo di essersi innamorata di un altro: Fabrizio non era riuscito a capire chi fosse questo "altro", e aveva il sospetto che fosse una scusa. Probabilmente Laura semplicemente trovava troppo noiosa la sua vita con lui, ma non aveva avuto il coraggio di dirglielo apertamente. Da allora ancora non aveva portato via tutta la sua roba, e immancabilmente spuntava fuori un cd dei Rolling Stones o un libro di Salman Rushdie che gli riportava alla mente qualche bel ricordo destinato a diventare doloroso.
Negli ultimi giorni si sentiva uno straccio, e non solo per la faccenda di Laura: molto probabilmente gli stava arrivando l'influenza. Sperava che arrivasse in fretta, così avrebbe avuto un ottimo motivo per non andara al lavoro per qualche giorno.
Proprio il lavoro era l'altra sua spina nel fianco: non ne poteva più.
L'unico momento di relax che riusciva a godersi era quello della colazione: cappuccino e brioche alla crema, ogni mattina da sempre. Si alzava apposiatemente un bel po' di tempo prima proprio per fare colazione con calma. Quel giorno aveva scelto di provare un nuovo bar: entrando, vide di essere l'unico cliente a parte un paio di anziane signore a un tavolino d'angolo. Scelse un tavolo lontano a quello delle signore, prese il giornale e lo spiegò con cura, poi si volse verso il barista.
“Cappuccino e brioche con la crema”.
“Col cacao o senza?” chiese il barista.
“Con”, rispose lui.
In attesa che la colazione fosse pronta lesse un paio di titoli piuttosto deprimenti: quando il cameriere gli portò la pasta e il cappuccino andò in cerca dello zucchero, che si trovava su un altro tavolo ancora. Proprio mentre pensava a quanto fosse disorganizzato quel bar, vide un distinto signore con impermeabile e cappello entrare nel bar, avvicinarsi al suo tavolo, addentare la brioche e bere un sorso dalla tazza fumante. Questa poi.
"Mi scusi - disse Fabrizio col suo miglior sorriso, nonostante si sentisse già furioso - quella era la mia colazione".
Lo sconosciuto lo fissò, beffardo. "E adesso è la mia".
Fabrizio rimase incerto, senza sapere che dire, quando il tizio gli fece cenno di avvicinarsi. "Stavo cercando proprio lei, signor Rossi. Non è stato difficile trovarla, le sue abitudini sono così... ripetitive".
Fabrizio si impose di restare calmo. "Bene, mi ha trovato. Cosa vuole?"
"Non posso parlargliene qui. Deve seguirmi".
"Non la seguo proprio da nessuna parte, non so chi è lei!"
Lo sconosciuto sorrise. "Invece lo sa. Anche se in questo momento non le viene in mente".



Storia di Helèna Velena
CITAZIONE (Helèna Velena @ 8/11/2009, 16:04) 
Le monete calarono nella mano del barista, e il Ragionier Rossi poté finalmente fare la sua ordinazione, a pieno petto.
Rossi era un misero travet pieno di debiti, che risparmiava ogni giorno a partire dalla colazione.
Era veramente un esperto in fatto di biscotti secchi e di confezioni tre-chili-mille-lire, ma quel mattino non si era fatto il solito the in casa, con la bustina già utilizzata, sempre moscia come il suo umore; la sua rigida educazione di ragioniere, figlio di ragioniere, con trascorsi familiari di mutui inesauribili sulle spalle, finalmente gli permetteva un’eccezione.
"Oggi faccio il signore!" aveva pensato eccitato, con la porta di casa alle spalle e i liberi territori del pianerottolo davanti a sé, pregustando il momento agognato con la tortuosa soddisfazione di avere rotto ogni regola.
Anche i colleghi l’avrebbero visto al bar, e per una volta lui non si sarebbe sentito come il solito ragioniere pidocchioso, almeno per quei dieci minuti di gloria.
Era uscito all’alba, digiuno, per fare il prelievo del sangue, e la voluttà di brioche e cappuccino, consumati al caffè presso l’angolo della via, gli avevano rischiarato la giornata con lo splendore senza macchia di un diritto sacrosanto.
Fin da bambino la famiglia gli aveva concesso quel preciso rituale, per consolarlo da medici e punture, e ora, da adulto, la colazione al bar gli sembrava l’unico lusso moralmente consentito, ciò che potesse strappare un brivido di rivalsa orgogliosa alla sua vita sempre uguale in ogni gesto.
Ma per giustificare alla vecchia madre gli esborsi imbarazzanti a favore di quella sua voglia avventata, il Ragionier Rossi aveva preso l’abitudine di andare spesso dal medico, lamentando sempre nuovi e strani sintomi che potessero richiedere, volta a volta, nuove analisi approfondite: il conteggio delle piastrine, la curva glicemica, il valore del colesterolo, dei leucociti... Purché ci fosse di mezzo il sangue.
"Mamma, domattina non farmi il the" diceva alla vigilia del prelievo, con aria seria e anche un po’ grave.
Lei lo guardava con indulgenza e gli preparava con lentezza i soldi necessari, misurati.
Così si era preso un tavolo in bella vista, e dal suo vassoio già pronto la brioche alla crema lo invitava; sul cappuccino aveva voluto anche il cacao, per non perdersi proprio nulla di ciò che gli era dovuto.
Ma mentre si voltava per cercare lo zucchero, un uomo distinto entrato da poco gli mangiò la brioche e si prese il cappuccino, guardandolo divertito con una specie di biasimo dipinto a mezza altezza, tra la fronte e i baffi.
"Rossi, Rossi... Con tutti i suoi problemi di salute lei non deve avvicinarsi a questa roba" stava dicendo l’usurpatore, facendo di no col dito. "Grassi, uovo, caffeina, proprio no! Le faccio un favore io, per questa volta."
"Anche oggi mi ha fregato" pensò il Ragionier Rossi, frustrato, con lo zucchero inutile in mano.
Il medico, lui, faceva sempre colazione in quello stesso bar, come poteva dimenticarselo tutte le volte?



Storia di Ellyson - Giornata storta
CITAZIONE (ellyson @ 9/11/2009, 11:06) 
La mattinata era già iniziata male.
Per prima cosa pioveva; e lui odiava la pioggia. Gli dava un senso di tristezza infinita. Le gocce d’acqua sui vetri delle finestre dell’ufficio gli ricordavano le lacrime di una donna appena lasciata dal suo amante. Oppure quelle di un bambino che ha appena scoperto di aver perso il suo giocattolo preferito. Gli dava l’impressione che la Terra stesse piangendo utilizzando gli umani come un kleenex.
Senza contare che il traffico di Milano si intensificava non appena il cielo mostrava una sfumatura di grigio più cupo del solito; rendendo così i mezzi pubblici più lenti e i passeggeri, già irritati per i fatti loro, ancora più scorbutici e maleducati.
Aveva festeggiato il suo decimo anno come pendolare il mese scorso e stava iniziando a provare un’autentica repulsione per i mezzi pubblici della città.
Già immaginava gli spintoni per accaparrarsi un seggiolino di plastica arancione che ti congelava le chiappe non appena provavi a sedertici sopra, o l’odore d’acqua piovana combinato alla puzza di chiuso del tram e a quello di decine di persone stipate in un piccolo vagone, ovviamente con tutti i finestrini sigillati.
Sapeva già che in ufficio, o forse era meglio definirlo lo sgabuzzino che “i piani alti” gli avevano affibbiato facendoglielo passare per un ufficio, sarebbe stato ingombro di pratiche assurde. Con enormi problemi che nessuno avrebbe mai voluto risolvere e con date di consegna improponibili; che gli sarebbero costati i soliti straordinari non pagati.
E poi era Lunedì.
E questo, secondo il rag. Gianfanco Rossi - Franco per gli amici – ragioniere poco più che quarantenne, abitante di un piccolo quartiere periferico di Milano, era già un motivo sufficiente per alzarsi di pessimo umore. Secondo il suo punto di vista ogni lavoratore che si rispetti dovrebbe odiare il Lunedì a prescindere dal lavoro che egli faccia.
Uscì dal portone del palazzo in cui viveva con la moglie e due figli adolescenti e si fermò al chiosco/edicola all’angolo della strada. Con un umore ancora più nero del suo, l’edicolante, imbacuccato con una pesante giacca a vento, gli consegnò il giornale e i pochi spiccioli di resto.
Coprendosi con un ombrellino nero, acquistato da un uomo di colore in una delle tante stazioni della metropolitana milanese, si avviò verso la fermata dal tram.
Routine. Solita, noiosa, faticosa, routine.
La fermata era ancora una di quelle vecchie, con un traballante palo di metallo mezzo arrugginito affossato in una poltiglia marrone, in mezzo ad un marciapiede rovinato dal tempo e dalla mancata manutenzione da parte dell’amministrazione comunale che lui, ci teneva a sottolinearlo ogni volta nei suoi pensieri e coni suoi colleghi, non aveva votato. Il cartello con gli orari del tram era quasi illeggibile.
Gianfranco si posizionò al suo posto abituale, accanto alla pensilina. Osservò con una punta di invidia gli altri pendolari che, arrivati prima di lui, si erano aggiudicati un posticino al riparo dalla pioggia.
- C’é un solo modo per raddrizzare questa giornata. – pensò osservando distrattamente il traffico scorrere davanti ai suoi occhi – Cappuccino e brioche.
Era così preso dal quel primo pensiero confortante della giornata che non si accorse del taxi che stava percorrendo la corsia preferenziale a grande velocità.
Notò la sua presenza solo quando la ruota anteriore destra prese in pieno la grande pozzanghera accanto al marciapiede.
Franco riuscì appena ad abbassare l’ombrello per sporcarsi il meno possibile, ma gli schizzi gli imbrattarono i pantaloni neri e il giornale non ancora sfogliato.
- Ma brutto cazzone! – urlò furioso contro il lunotto posteriore della macchina bianca.
Le altre persone lo guardarono stupite; come se la colpa fosse stata sua.
Aveva voglia di gridare; avrebbe voluto piazzarsi in mezzo alla strada e sfidare la sorte con le automobili. Aveva voglia di andare da quelli sotto la pensilina e riempirli di schiaffi.
Pensò alla moglie. Ai figli. Al cappuccino con la brioche. Riuscì, in qualche modo, a mantenere la calma. Emise solo uno sbuffo contrariato mentre cercava di sistemarsi i pantaloni come meglio poteva.
Il viaggio in tram non fu un’esperienza piacevole. Una vecchietta gli aveva piantato il manico dell’ombrello tra le costole e, quando le aveva chiesto cortesemente di spostarlo, si era preso una bella ramanzina sul rispetto verso le persone più anziane.
Il ragioniere sospirò di sollievo uscendo dal mezzo, nonostante la pioggia ancora più battente e la misera copertura che offriva l’ombrellino.
Entrò nel bar accanto all’ufficio. Aveva un discreto anticipo e poteva starsene seduto al tavolo il tempo necessario per godersi la sua colazione.
Pregustava già la crema bianca e la fragranza della sfoglia della brioche sulle labbra.
- Buongiorno rag. Rossi. – lo salutò il barista mentre toglieva il cesto con le stoviglie pulite dalla piccola lavastoviglie posta sotto il bancone – Il solito macchiato?
- No, un cappuccino e una brioche alla crema. – rispose prendendo posto al tavolo.
- Le aspetta una giornata pesante, eh?
- Molto.
- Benissimo, con o senza cacao?
Franco rimase zitto qualche istante, ripensò velocemente a quella interminabile mattinata iniziata solo da qualche ora.
- Con. – rispose solamente, stendendo il giornale sul tavolino rotondo.
Mentre sentiva il vapore che lentamente montava il latte lesse velocemente il primo articolo.
Con la coda dell’occhio vide il barista posizionare il cappuccino sul vassoio rotondo, prendere con le pinze una brioche e metterla sul tovagliolo di carta. Riuscì quasi a vedere ogni singolo granello di cacao che si posizionava sulla schiuma. Era già pronto a divorarla. Mangiare quella brioche e bere quel cappuccino era il solo modo che conosceva per rallegrarlo in quell’uggioso Lunedì mattina.
Mentre il barista era voltato per mettere al suo posto il cacao un nuovo cliente entrò nel bar, si avvicinò al bancone e afferrò la brioche.
Franco aprì la bocca per urlargli che quello era il suo rituale per raddrizzare una giornata storta ma quando la voce trovò il modo per uscire quello che si udì fu solo un sibilo indistinto. Lo vide morderla, vide la delicata sfoglia frantumarsi a contatto con le labbra dell’uomo che stava mangiando la sua brioche.
Quando il barista si voltò aveva anche iniziato a bere il cappuccino.
Il gestore rimase spiazzato poi si voltò verso il ragioniere.
- Mi dispiace,- gli disse con rammarico – era l’ultima.
Gianfranco sospirò osservando il suo giornale sporco di fango.
- Sarà una lunga giornata.



Storia di Kijoka - Una strana colazione
CITAZIONE (kijoka @ 10/11/2009, 13:36) 
La mattinata era cominciata male per il Rag. Rossi.
La sveglia aveva rifiutato di suonare e sua moglie aveva scelto proprio quella mattina per addormentarsi.
Si era alzato in ritardo e aveva dovuto fare tutto di fretta: cosa che odiava.
Si era appena reso conto che non avrebbe avuto tempo per prepararsi neanche un caffè!
Decise, allora, che avrebbe fatto colazione nel bar sotto l’ufficio, prima di entrare.
La metropolitana era stracolma e non aveva neanche trovato un posto a sedere per le tredici fermate che lo dividevano dal posto di lavoro.
Era sceso alla sua stazione e aveva quasi rovesciato la cartella dei documenti per un ragazzino che l’aveva urtato per prendere il treno che stava partendo.
Ora era arrivato sotto il suo ufficio ed entrò nel bar, quasi sospirando sollevato: cosa avrebbe dovuto capitargli lì dentro?
Finalmente poteva concedersi dieci minuti di tranquillità per godersi la colazione.
Era goloso e da molto tempo non si concedeva una piccola coccola mattutina.
Si sedette ad un bel tavolo, che dava sulla grande vetrina, pieno di luce ma un pochino defilato e tranquillo.
Aveva acquistato anche il giornale per rendere ancora più speciale la sua colazione.
E ordinò.
- Cappuccino e brioche con la crema.
Il barista era di buon umore, evidentemente, e lo apostrofò con voce squillante e divertita:
- Col cacao o senza?
Ci pensò solo un attimo. Tanto valeva fare tutto come si deve:
- Con.
Il barista si allontanò con la sua ordinazione e il rag. Rossi prese a seguirlo con gli occhi.
Il quel bar era tutto sempre così ben organizzato!
Gli piaceva molto fermarsi lì. L’atmosfera era sempre estremamente efficiente e lui si sentiva a suo agio, come dentro un meccanismo ben oliato.
I gesti del barista erano estremamente precisi e veloci, e già il Rag. Rossi pregustava la sua brioche, quasi ne sentiva in bocca il gusto dolce, morbido e appagante.
Il barista si voltò per prendere lo zucchero da mettere sul piattino del suo cappuccino e proprio in quel momento la giornata del Rag. Rossi virò dalla sfortunata alla disastrosa.
Cosa stava facendo quell’individuo? Ma… ma stava addentando la sua brioche!
L’ultima brioche alla crema! Quella che il barista aveva già poggiato sul piattino nel vassoio per portargliela!
Ed ora? Che stava facendo d’altro? Anche un sorso al suo cappuccino?!
Il Rag. Rossi si ritrovò demoralizzato e un pensiero gli attraversò in un lampo la mente.
Si mise la mano in tasca e si ritrovò a pensare che forse era vero che non c’era mai fine alla sfortuna:
non aveva più il portafoglio!
Forse l’unica fortuna del mattino era stata che quell’uomo gli avesse mangiato una colazione che non avrebbe potuto pagare!



Storia di Ernil
CITAZIONE (Ernil @ 10/11/2009, 14:27) 
Che magnifica mattinata.
Il ragionier Angelo Rossi strinse più forte il manico del suo ombrello, restituì lo spintone al passante che stava cercando di superarlo sulla destra, evitò una pozzanghera e indirizzò un ringhio a una signora che sembrava sul punto di chiedergli informazioni.
Che. Magnifica. Mattinata.
Strinse le labbra e, dribblando il solito gruppetto di immigrati che sostava con le mani in tasca sotto i portici, entrò nel primo bar che trovò.
Tempo due secondi, e si pentì di averlo fatto. Luci moderne, tavoli rossi e blu ed orribili poltroncine di pelle sintetica fecero capire a Rossi che non era entrato in un bar qualsiasi.
Era un bar new age. Un happy hour. Un dannato qualcosa di metallo e plastica che faceva gridare agli occhi vendetta al cospetto di dio.
Era un girone infernale.
Doveva uscire da quel locale, ora e subito. Hic et nunc.
E lo avrebbe fatto, se solo non avesse visto quel gruppetto di ragazzini che, seduti a uno dei tavoli più in fondo, lo squadravano con sorrisetti.
Il ragionier Rossi si immobilizzò nell’atto di girarsi e fuggire da quel rifiuto di arte postmoderna. Lentamente, tornò a fronteggiare i ragazzini.
Erano comodamente stravaccati su quelle orribili sedie, e i loro capelli subivano ogni variazione consentita dalla scala cromatica. Un paio di loro avevano un’orribile cresta, e sembrava che qualcuno li avesse usati come puntaspilli, almeno a giudicare da tutta la ferraglia che avevano appesa alle orecchie.
Dio santissimo, era una spilla da balia, quella?
Avevano sorrisi pigri e lo guardavano come se lo stessero sfidando a restare. I denti del ragionier Rossi si chiusero con un rumore di trappola per topi.
Lentamente, senza staccare lo sguardo da quella banda di senza dio che andavano in giro in canottiera il ventiquattro di Dicembre, si sedette.
Non si era mai tirato indietro di fronte a una sfida.
La sedia era scomoda come sembrava. Si sistemò meglio, cercando di non stropicciarsi la giacca, e posò per terra la valigetta.
« ‘Giorno » gli masticò qualcuno nell’orecchio. Il ragionier Rossi alzò lo sguardo di scatto. Era probabilmente la ragazza più scosciata che lui avesse mai visto, ma, a giudicare dal blocchetto che teneva in mano, doveva essere anche la cameriera.
« Buongiorno » replicò rigido Rossi, squadrandola dagli anfibi torchiati fino ai capelli rosa. « Cappuccino e brioche con la crema, se non le spiace ».
La ragazza fece una smorfia, masticò un po’ la cicca – come diavolo si fa ad avere in bocca una cicca alle otto di mattina? disapprovò Rossi – e poi strascicò: « Con o senza cacao? »
« Con » disse Rossi a denti stretti, sperando che quella sciagurata e il suo mezzo chilo di ferramenta che portava alle orecchie sparissero dalla sua vista in fretta. « Con ».
La cameriera fece un sorriso scialbo che Rossi identificò come dovuto a troppe canne e si allontanò trascinando i piedi. Rossi la guardò disgustato ancheggiare fino al bancone, poi tornò a guardare la banda di ragazzini, che però sembrava all’improvviso tutta presa dalla cameriera.
Storcendo il naso, il ragionier Rossi aprì la sua valigetta e ne tirò fuori il giornale.
Aprì alle pagine di economia e il suo umore subì un tracollo. Dow Jones era sceso ancora di un paio di punti.
Quando si dice un idillio, pensò sarcastico, mentre la cameriera tornava verso di lui, sempre con la sua andatura strascicata, e gli metteva davanti il suo cappuccino e la sua brioche.
Rossi la degnò a stento di un’occhiata, troppo impegnato sui titoli di borsa, ma alzò gli occhi quando vide qualcuno fermarsi accanto a lui e prendere la sua brioche.
E ficcarsela in bocca.
Il ragionier Rossi sgranò gli occhi mentre il tizio – vestito in un modo indefinibilmente sciatto – afferrava il suo cappuccino e se lo scolava, poggiando poi la tazza e asciugandosi le labbra con il dorso della mano.
E poi lo guardò e sorrise.
Il ragionier Rossi vide rosso.
« Spero che se lo sia goduto » disse freddamente, alzandosi a fronteggiarlo. Lo sconosciuto mangiatore a sbafo era più alto di lui di almeno di dieci centimetri, ma Rossi aveva dalla sua parte una mattinata orribile e una ventiquattr’ore piuttosto pesante.
« Ma come » lo sconosciuto sgranò gli occhi, « non mi riconosci? »
Il ragionier Rossi lo squadrò.
« No » sibilò.
« Sono Piero! Piero! » ripeté il tizio, spalancando le braccia. « Il tuo compagno di banco delle superiori, Angelo! »
Il ragionier Rossi sbiancò.
Oh. Quel Piero.
« Che cosa fai qui? » biascicò. « Pensavo che vivessi dall’altra parte della città... »
Piero sorrise giovale, divorando anche l’ultimo pezzo di brioche.
« Oh, sono solo passato a prendere mio figlio » disse, e indicò alle spalle di Rossi. Rossi si girò, con un indefinibile senso di nausea. Come temeva.
Uno di quei ragazzacci si era alzato e si stava dirigendo verso di loro, con un gran sorriso strafottente stampato in faccia.
« Eccolo lì, il mio ragazzo! » gioì Piero, evidentemente padre orgoglioso. « Te lo presento, sono sicuro che ti piacerà ».
Rossi strinse le labbra e guardò quel che rimaneva del suo cappuccino.
Decisamente, una magnifica mattinata.



Storia di Alaide
CITAZIONE (Alaide @ 24/1/2018, 11:13) 
Quando si ritrovò davanti alla porta a vetri, da cui si intravedevano i tavolini, il bancone e qualche sporadico avventore, l’uomo si disse che avrebbe fatto meglio a tornare sui suoi passi. Non era sua abitudine fare colazione al bar.
Anzi non l’aveva proprio mai fatto.
Eppure quella mattina gli era venuta quella strana idea.
E non ne conosceva nemmeno il motivo. La sua scorta di caffé non si era di certo esaurita nottetempo, le fette biscottate erano ben in vista nella dispensa e la confettura di ciliegie – la sua preferita – pareva troneggiare in frigorifero.
Non gli ci sarebbe voluto molto a preparare tutto, a mangiare e poi ad uscire per prendere il giornale prima di recarsi al lavoro.
Invece, eccolo lì, davanti alla porta a vetri di un bar in cui non aveva mai messo piede.
L’uomo trasse un sospiro ed aprì l’uscio, chiedendosi distrattamente che cosa avrebbe pensato quell’impicciona dell’appartamento del secondo piano, se avesse visto che il Dottor Verdi faceva colazione al bar di fronte a casa. Come minimo si sarebbe immaginata una qualche torbida storia, che avrebbe condiviso con le sue amiche.
Non che gli importasse veramente, si disse, mentre osservava con attenzione i tavoli liberi, fino a quando non ne vide uno che faceva proprio al caso suo.
Era perfettamente illuminato e non troppo lontano dal bancone.
Mentre si sedeva, si chiese per un attimo perché avesse scelto proprio un tavolo ben illuminato, ma non seppe darsi risposta.
A quanto pareva, quella mattina non era in grado di comprendersi.
Il che era di certo ironico, considerando che si vantava sempre di avere un perfetto controllo di se stesso e delle sue scelte.
Lasciò partire uno sbuffo, mentre distendeva davanti a sé il giornale locale [1]. Il suo sguardo fu attirato dal titolo che annunciava in maniera aulica che il sindaco aveva deciso di cambiare aspetto alle fioriere del centro storico, creando, a quel che pareva, un acceso dibattito.
Scuotendo leggermente il capo, alzò lo sguardo giusto in tempo per incontrare quello del barista, che lo fissava in attesa.
«Cappuccino e brioche con la crema», disse.
In fondo non poteva di certo ordinare delle fette biscottate con confettura di ciliegie. Forse sarebbe stato meglio ordinare una brioche con la marmellata, ma dubitava che ne avrebbe avuta una con quella di ciliegie. In più lo irritava il fatto che tutti confondessero la marmellata con la confettura ed era certo che non sarebbe riuscito ad impedirsi di farlo notare al barista.
«Col cacao o senza?», chiese il barista, dopo qualche istante.
«Con», rispose il dottor Verdi, quasi senza pensare ed un po’ scocciato nel vedere interrotti i suoi pensieri linguistici.
Non che il barista potesse saperlo, ovviamente.
L’uomo riportò la sua attenzione sul quotidiano, cercando la pagina in cui sarebbe stato sviscerato il dibattito sulle nuove fioriere, che, a dire il vero, non gli interessava affatto, ma era sempre meglio dell’articolo su una signora che aveva compiuto 104 anni o di quello su un improbabile caimano avvistato in un canale nella bassa.
Non era nemmeno entrato nel vivo dell’articolo, quando udì il tipico rumore di una tazza posata su un piattino. Alzò lo sguardo verso il bancone e notò che il barista aveva dispoto la sua colazione su un vassoio. In quel momento il dottor Verdi si rese conto di avere una certa fame. D'altronde stava facendo colazione più tardi del solito, si disse, mentre notò che il barista si stava voltando.
Poi tutto precipitò.
Una mano si avventò vorace sulla sua brioche alla crema. Il dottore ne seguì la traiettoria: uno sconosciuto addentò con gusto - perché un ladro di brioche doveva per forza addentarle con gusto - la sua colazione. Non pago, proseguì la sua opera, bevendo un sorso generoso del suo cappuccino.
Il dottor Verdi non gettò nemmeno un'occhiata al barista, né fulminò con lo sguardo il nuovo venuto.
Gli venne unicamente in mente che era proprio per quella ragione che non aveva mai fatto prima d'allora colazione al bar.
Poteva sempre capitare che qualcuno la rubasse da sotto il naso del barista.
O forse con la complicità del barista stesso, che si era voltato proprio quando era arrivato il ladro.
Forse, si disse, ignorando le parole piuttosto tese che provenivano dal bancone, sarebbe stato un ottimo spunto per una lettera da scrivere al giornale: qualcuno doveva pur essere messo al corrente di quel fatto increscioso.

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[1] Il quotidiano locale che legge il Dottor Verdi è liberamente ispirato alla Gazzetta di Parma. L'accenno al caimano avvistato in una canale della bassa parmense è l'unica notizia veramente pubblicata dal giornale in questione.


Storia di Chiara53
CITAZIONE (chiara53 @ 29/1/2018, 19:14) 
Una giornata nebbiosa, noiosa, fredda.
Ecco quello che mi tocca in sorte oggi! Pensò il dottor Verdi, mentre a passo veloce percorreva la strada per raggiungere l’ufficio.

Ma ecco apparire un’oasi di piacere in cui tuffarsi e riaversi da tutto quel grigio che gli entrava nelle ossa.
Il bar illuminato, caldo, profumato di dolcezza lo accolse come una donna affettuosa e innamorata.

Verdi si sedette al tavolo per gustare fino in fondo i pochi e rari minuti che dedicava a se stesso: quelli al bar a gustare una prima colazione piacevolmente calda e dolce.

Il barista lo accolse con un sorriso.
- Il solito, dottore? - chiese – Cappuccino, con cioccolato o senza?
- Metti tanto cacao – rispose Verdi – ne ho bisogno - aggiunse con un sorriso.
Il quotidiano locale era lì vicino e Verdi lo prese per scorrere velocemente le notizie sempre uguali della cronaca di provincia: furto in una villa; campo Rom fatto evacuare… no, questa non era la solita notizia.
Verdi si fermò a pensare a quanti preconcetti e odio aveva subito nel tempo la popolazione Rom: da sempre, perfino nei campi di sterminio quella gente era considerata peggio del peggio… eppure che male facevano? La loro colpa era quella di non uniformarsi alle regole dei benpensanti.
Verdi scosse il capo deluso.

Il barista aveva intanto disposto su di un vassoio una stupenda e fragrante brioche con la crema e un cappuccino schiumoso, mentre si girava per prendere il cioccolato, entrò velocissimo un ragazzino: addentò la brioche e bevve un sorso dalla tazza, poi cercò di fuggire.
Verdi lo vide e si alzò veloce dal tavolo; lo prese per una manica e lo trattenne.
Era un bambino dal visetto sporco, gli abiti erano più adatti ad una donna che ad un ragazzino: maglie colorate sovrapposte e larghi pantaloni sdruciti.
Il bambino si mise a piangere e cercò ancora di scappare.
- Non voglio farti del male, - gli disse Verdi cercando di essere il più gentile possibile - vieni, siediti qui, hai fame?
Il ragazzino rispose con un cenno affermativo.
- E’ uno dei Rom scacciati dal campo qui vicino. - Disse il barista - lo avranno mandato a rubare… - aggiunse duro, poi sottovoce sussurrò – è gentaglia.
Verdi guardò l’uomo dietro il bancone con disgusto.
- E’ solo un bambino affamato! - Affermò con fermezza – portaci due cappuccini e tre paste. Adesso!
Il bambino si era seduto intanto su un angolo della sedia pronto a fuggire.
- E questa roba adesso chi la paga? - Chiese l’uomo con malagrazia, guardando il vassoio con la pasta sbocconcellata e il cappuccino mezzo versato.
Il signor Verdi si alzò e fissò negli occhi il barista, estraendo dal portafoglio un biglietto da cinquanta Euro.
- La pago io. Non preoccuparti. Ti pago anche il servizio al tavolo per quel bambino e per me. Considerala una mancia di addio: tu qui dentro non mi rivedrai più.
Il barista chinò la testa, mentre gli avventori che avevano assistito alla scena cercavano di uscire velocemente in imbarazzo.
Una donna si avvicinò al piccolo e con un fazzoletto gli pulì le lacrime e lo sporco dal viso, guardò Verdi e con un sorriso dolce bisbigliò.
- Grazie, a nome di tutti. - poi, rivolta al bambino sussurrò - perdonaci.
 
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view post Posted on 13/10/2018, 18:28
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I ♥ Severus


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