Ho finalmente un attimo di tempo per mettermi in pari con le lezioni.
CITAZIONE (Ida59 @ 3/1/2018, 18:42)
Se si possiede solo la tecnica, e si tralascia la passione, il lavoro sarà senz'anima; ma se ci si avvale solo dell'istinto e della passione, lo scritto potrà essere troppo sciatto o troppo intimo e personale.
Trovo che questo sia un discorso che vale per tutte le forme d'arte: ognuna ha una sua tecnica e forse è preferibile un lavoro - o un'interpretazione, se parliamo di teatro, musica o cinema - non perfetta tecnicamente (e per non perfetto non implico di certo priva di tecnica), ma che trasmette qualcosa al fruitore, piuttosto che un lavoro perfetto tecnicamente, ma sterile.
CITAZIONE
Le tecniche illustrate nel corso sono solo "strumenti": dovete saggiarle ai vostri fini e decidere quali fanno al caso vostro; magari potete usarle per un romanzo e non per il successivo; o usarle in modo diverso da una volta all'altra affinché siano più efficienti per il vostro scopo.
D'accordissimo! Si potrebbe quasi dire che le tecniche, nelle arti, esistono per essere manipolate e cambiate. Ricordo ancora le lezioni universitarie sulla forma-sonata (il modo in cui è strutturato il primo movimento di una sinfonia) e la regola dei temi composti da 8 battute o da un multiplo di 8... nessun compositore - o quasi - l'ha mai rispettata
Ho trovato molto interessante la parte sull'extratesto, una parte che alle volte dà non pochi grattacapi nell'interpretazione di testi molto distanti da noi nel tempo (penso a certe commedie di Aristofane che facevano riferimenti precisi a uomini pubblici della sua epoca, riferimenti che, a parte il caso di Socrate - anche perché citato espressamente - si sono inevitabilmente persi) o in altri campi dell'arte, come ad esempio la pittura, dove certi simboli sono diventati ormai illeggibili (penso a certi quadri del Giorgione che hanno dato adito alle ipotesi più fantasiose). In questo, direi che gli autori del medioevo ci hanno fatto un grande regalo per la comprensione dell'extratesto compilando per esempio i bestiari che ci permettono di comprendere anche oggi il valoro simbolico di un determinato animale, che per loro era naturalmente chiarissimo, ma per noi diventa inevitabilmente oscuro.
CITAZIONE (Ida59 @ 16/1/2018, 14:04)
Cominciamo da semplice regolette che gli anglosassoni spacciano per proprie ma che invece arrivano dai latini.
Una delle più note è quella delle 5 W, che scommetto che anche voi conoscete; in un'opera narrativa non possono mancare:
Chi (Who)
Cosa (What)
Dove (Where)
Quando (When)
Perchè (Why)
Una volta inserite le cinque W, non avete dimenticato nulla e il vostro racconto è completo.
In effetti, questa regola deriva dal De inventione di Cicerone (intorno all'85 a.C. ) e pare risalga addirittura al greco Ermagora di Temno (II secolo a.c.); è stata poi codificata dalla precettistica retorica medievale che non limitava a cinque gli ingredienti della narrazione, ma ne codificava sette:
persona (Quis?) = chi
factum (Quid?) = cosa
causa (Cur?) = perché
locus (Ubi?) = dove
tempus (Quod?) = quando
modus (Quemadmodum?) = in che modo?
facultas (Quibus adminiculis?) = con quali mezzi?
Il giudice Albertano da Brescia (prima metà del '200) aggiungeva anche il 'cui dicas' cioè il destinatario del discorso, che è un concetto modernissimo (le attuali dottrine della comunicazione).
Credo che le aggiunte medievali (tra l'altro molto interessanti se si vuole scrivere un giallo... in che modo e con quali mezzi sono due domande che un giallista non può evitare di porsi) siano strettamente legate alla nascita dell'università e quindi alla struttura dei dibattiti universitari che dovevano reggersi su solide basi.
Non mi sorprende nemmeno che Albertano da Brescia abbia pensato di aggiungere il cui dicas: dalle fonti che ci sono pervenute molti discorsi - per esempio le predicazioni - durante il medioevo erano scritte e pensate per un uditorio ben preciso (per esempio prediche rivolte ai bambini, alle donne o agli anziani, a persone colte o illetterate).
Sta parlando ovviamente la Corvonero medievista che è in me
CITAZIONE
- le epifanie – annunci, rivelazioni di fatti significativi, manifestazioni di pensieri, enunciazione di temi. Devono essere imprevedibili, ma logiche e naturali nel contesto della storia;
Come lettrice vorrei sottolineare le parole "logiche" e "naturali". Detesto quei racconti in cui si produce una rivelazione inattesa soltanto per il gusto di stupire il lettore.
CITAZIONE
La revisione del testo scritto è la prova del nove della formula della scrittura.
Un errore di battitura può capitare a chiunque, anche a chi rilegge cento volte. Ma non si può, e non si deve, giustificare scrittori - ed editori – che pubblicano opere piene di errori, ascrivibili sia alla disattenzione sia all’ignoranza.
Una bella storia, originale e avvincente, ma piena di errori grammaticali e refusi è difficile da leggere; fatico a immedesimarmi nei personaggi e a entrare nel mondo immaginario perché ogni volta che noto un errore vengo sbalzata fuori dalla magia che la lettura crea.
Una brutta storia, scopiazzata ma scritta in modo impeccabile e senza errori, non lascia nulla al lettore, tranne un senso di già visto e la percezione di aver letto un’opera commerciale.
Se ti interessa potrei ricercare i miei appunti di filologia italiana dove erano elencati gli errori tipici commessi dagli autori, che questi faticano a reperire al momento della rilettura, perché si legge la parola incriminata in maniera automaticamente corretta. Per questo credo sia sempre utile far leggere il proprio lavoro da un'altra persona, che può trovare ciò che è sfuggito a prima vista.
Certo, poi, si trovano pubblicati testi zeppi di refusi... ma questo è il segno dello stato in cui versa la nostra editoria.