Parte terza
Le stesse lacrime
Il ragazzo si era diretto alla porta, l’aveva aperta e stava uscendo rassegnato, richiudendosela piano alle spalle.
- Potter, dove stai andando?
Harry si bloccò, la mano sulla maniglia: il minaccioso sussurro proveniva proprio dal letto dove Severus Piton giaceva senza conoscenza, almeno a detta dei Medimaghi.
- Mi hai sentito, Potter?
La voce era flebile ma decisa. Harry si girò di scatto, gli occhi spalancati come se avesse visto un fantasma.
- Non fare quella faccia, Potter, sai benissimo che sono vivo.
Il ragazzo deglutì a vuoto: il Professore allora aveva sentito tutto? Da quanto tempo era di nuovo cosciente? Perché nessuno se n’era ancora accorto?
- Chiudi la porta e siediti.
L’ordine era secco, pur se pronunciato quasi in un sussurro, e richiedeva immediata obbedienza: Harry eseguì. Perché Piton aveva deciso di parlare proprio con lui? Non riuscì a trattenersi e, prima ancora di pensare alle conseguenze, l’interrogativo era sulle sue labbra:
- Perché?
Il mago non rispose e rimase a fissarlo in silenzio con quel nero sguardo penetrante che riusciva ancora a metterlo a disagio; sapeva di avere spalancato gli occhi per lo stupore e magari il Professore ne aveva già approfittato per sondargli la mente, scoprendo le sue recondite intenzioni, eppure non riusciva a distogliere lo sguardo: sembrava incatenato a quello del mago, proprio come nel momento in cui aveva creduto stesse morendo.
Infine Piton sollevò piano la mano, con faticoso sforzo, e puntò il dito sul suo volto, sugli occhi ancora dilatati per lo stupore di quell’inatteso risveglio. Era per quello che l’aveva chiamato? Per gli occhi… di sua madre?
- Sì, gli occhi di mia madre… - formulò a voce il suo ultimo pensiero, esitante, senza distogliere lo sguardo da quelle iridi nere che lo scrutavano impietose.
Le labbra del mago si stirarono in quello che poteva vagamente somigliare a un sorriso pervaso d’amarezza; rimase in silenzio ancora per un lungo istante poi deglutì a fatica, una smorfia sofferente a cancellare il triste sorriso:
- No, Harry, i
tuoi occhi. – rispose in un doloroso sussurro.
Il ragazzo trasalì: il Professor Piton non lo aveva mai chiamato per nome, prima. Sempre e solo per cognome, calcandolo di disprezzo.
- Ho impiegato molti anni a comprenderlo, - sussurrò lentamente il mago, - ma sono i tuoi occhi, non i suoi,
solo i tuoi…
Parlare gli richiedeva un grande sforzo ed era molto doloroso a causa della profonda ferita inferta da Nagini. Il ragazzo continuava a fissarlo sconcertato: era evidente che non riusciva a capire il reale significato di quella frase all’apparenza così semplice, ma che conteneva un intero mondo, il
suo mondo. Mosse appena la mano come a significare che non era importante.
- Non avrei mai pensato di rivolgere proprio a te le prime parole di questa mia nuova vita non richiesta, - continuò sollevando un sopracciglio, scettico, - ma a quanto pare le circostanze me lo impongono.
Harry continuava a non capire: quando mai le circostanze avevano potuto imporre a Piton di rivolgergli la parola?
- Da quanto tempo sono qui?
La domanda diretta lo colse alla sprovvista:
- Ehm… due… due mesi, Professore.
Il volto del mago mostrò sconcerto:
- Dovevo essere veramente in pessime condizioni… - sussurrò, colpito dalla inaspettata rivelazione.
Harry annuì con un leggero brivido: sì, così pessime che se n’era andato dalla Stamberga Strillante credendolo morto, disteso in quel lago di sangue.
- Ad ogni modo, giacché sono vivo, - riprese il mago con una certa difficoltà, – pur se non sono per niente sicuro d’esserne contento, credo di doverti ringraziare, Potter.
Harry spalancò di nuovo gli occhi per lo stupore: il Professore era tornato a interpellarlo per cognome, e questo era indice di normalità, ma doveva certo avere qualche rotella fuori posto se lo ringraziava.
- Ehm… perché… perché mi ringrazia, Signore?
Piton si lasciò sfuggire un lieve sospiro irritato: il ragazzo aveva imparato la buona educazione, in quei due mesi, ma erano subentrati altri spiacevoli difetti collaterali.
- Domande stupide ne hai sempre fatte, Potter, ma da quando hai cominciato a balbettare? – chiese il mago sollevando ironico un sopracciglio.
Harry represse uno sbuffo infastidito: a quanto pareva Piton non era per niente cambiato.
- Non è una domanda stupida, Signore. – ribadì piccato.
Il sopracciglio si sollevò di nuovo, beffardo e provocatorio.
- Lei non ha alcun motivo per ringraziarmi. – continuò deciso Harry, ignorandolo. – Perché lo fa, allora?
- Hai avuto la pessima idea di salvarmi la vita, Potter, o lo hai già dimenticato? – precisò Piton in un sussurro insinuante.
Harry spalancò la bocca trattenendo a stento un’esclamazione sorpresa; per un istante fu tentato di approfittare della situazione, ma il pensiero delle conseguenze, quando il Professore avrebbe scoperto la verità, lo trattenne dal cacciarsi nei guai:
- Non sono stato io, Signore. - rispose serissimo scuotendo la testa.
- La Granger? – ipotizzò il mago in un secco sibilo.
Era difficile ammetterlo, anche con se stesso, ma in fondo gli piaceva l’idea che fosse stato il ragazzo a salvarlo, avrebbe significato che Harry… No, meglio lasciar stare quegli stupidi pensieri: se col tempo si era affezionato al ragazzo, Harry non aveva alcun motivo di ricambiarlo, neppure dopo aver visto i suoi ricordi.
Harry scosse ancora il capo:
- No, Signore.
- Di grazia, Potter, vuoi finalmente dirmi a chi devo la spiacevole seccatura di essere vivo, - sibilò in un sussurro irritato, - con questa dannata gola che brucia ad ogni respiro come se inalassi le fiamme dell’inferno?
Anche gli occhi del Professore stavano fiammeggiando e all’improvviso Harry capì perché parlava quasi sussurrando: la ferita doveva fargli ancora molto male, del resto era solo da pochi giorni che la candida benda che gli avvolgeva il collo non era più macchiata di sangue.
- È stata Fanny. – rispose Harry con semplicità. – È entrata nella Stamberga dopo che ce n’eravamo andati credendo fosse morto: ha sfondato le assi che chiudevano una finestra e ha pianto le sue lacrime sulla ferita. L’aveva fatto anche con me, neutralizzando il veleno del basilisco. Le fenici possono…
- Conosco perfettamente il potere curativo delle lacrime di fenice, Potter. – lo interruppe brusco il mago.
- Il Preside diceva che Fanny interviene solo se...
- So anche che cosa diceva Silente.
Era solo un sussurro, lento e doloroso, ma così perentorio che Harry non si arrischiò più a parlare, anche perché negli occhi neri del mago sembravano ardere le stesse fiamme infernali che gli lambivano la gola.
Così era stata Fanny a salvarlo. Si morse le labbra, commosso, e al diavolo Harry Potter che lo stava osservando: il ragazzo ormai sapeva tutto e aveva capito benissimo che la fenice era intervenuta solo perché era sempre stato profondamente fedele ad Albus, al punto di obbedire anche a quel suo tremendo ordine. Fanny! Era come se Albus stesso lo avesse salvato; socchiuse gli occhi per un momento: la sua nuova vita aveva un sapore diverso, ora, e forse valeva la pena di viverla se Albus aveva voluto regalargliela.
Emise un lungo sospiro, gli occhi socchiusi: doveva recuperare la situazione con il ragazzo che aveva di sicuro notato la sua inconsueta e fin troppo umana reazione. Doveva sfruttare la facile scusa della propria debole salute: la gola bruciava atrocemente, certo, era solo per questo che era rimasto in silenzio e si era morso le labbra solo per trattenere un gemito di dolore. Sì, una facile scusa per chi sapeva mentire con maestria tale da ingannare anche l’Oscuro Signore.
Riaprì gli occhi incrociando lo sguardo di Harry che lo stava fissando preoccupato.
- La gola. Arde come un rogo a parlare. Dammi dell’acqua. – ordinò con un burbero sussurro.
Harry versò veloce dell’acqua dalla bottiglia sul comodino, quindi si avvicinò per portargli il bicchiere alle labbra ma Piton lo scostò bruscamente:
- Faccio da me!
Le loro mani si sfiorarono mentre il bicchiere passava dall’una all’altra, il tocco delicato di Harry con quello ruvido di Piton che si sostituiva attorno al vetro con una presa decisa, un contatto durato solo per una frazione di secondo che si riflesse però nell’intensità dei loro sguardi.
Mentre il mago beveva e leniva il bruciore della ferita, Harry decise di sferrare il proprio attacco, augurandosi che l’acqua non gli andasse di traverso.
- Mi piacerebbe se lei si occupasse della mia istruzione magica, Professor Piton.
Il mago deglutì senza problemi, guardando fisso davanti a sé, come se fosse stata la richiesta più normale del mondo. Harry gli invidiò l’eccezionale autocontrollo perché, apparenza o meno, era assolutamente certo di averlo sbalordito.
Piton appoggiò con calma il bicchiere vuoto sul comodino:
- E perché proprio io, Potter? – chiese scettico, ricordando le lunghe ore di inutili lezioni. – Non mi sembrava di essere riuscito ad insegnarti granché finora!
Harry abbassò gli occhi: si era atteso quell’ovvio rifiuto, ma sapeva come ribattere.
- Tutte le persone a me care, che potevano aiutarmi a crescere, sono morte. – rispose con voce affranta. – È rimasto solo Hagrid, ma temo non abbia molto da insegnarmi in campo magico.
- Suppongo che i Signori Weasley siano già impegnati con la loro numerosa nidiata, giusto?
Harry non si lasciò toccare dall’acidità del mago e continuò a sostenerne lo sguardo inquisitore:
- Fred è morto.
Una breve esitazione.
- E il caro, affettuoso Lupin?
- È morto.
Piton deglutì amaro.
- Tonks?
- Morta.
Il mago rimase in silenzio, immobile, lo sguardo fisso davanti a sé, a dibattersi dietro la maschera, troppo a lungo indossata; era intrappolato nella sua detestabile recita, che ancora lo spingeva a trattare in malo modo il ragazzo, con la sgradevole arroganza con la quale aveva sempre cercato di tenerlo lontano da sé, con il disgustoso atteggiamento con cui aveva cercato di farsi odiare, riuscendoci benissimo. Non aveva più alcun senso continuare, però, adesso che Harry aveva visto i suoi ricordi e sapeva,
tutto. Eppure, sembrava proprio non riuscire a liberarsi del passato, quel tremendo passato che, con tutte le sue colpe e i tormentosi rimorsi, gli aveva sempre impedito di vivere. Era ancora quella la sua condanna? Anche nella nuova vita che Albus gli aveva regalato tramite le lacrime di Fanny?
Harry stava fissando con attenzione l’uomo da cui voleva delle risposte. Era dispiacere quello che forse trapelava dal suo volto marmoreo? Gli parve di intuire che delle crepe stessero cominciando ad infrangere quella memorabile impassibilità e si trovò ad osservare con attenzione gli occhi, la profondità di quello sguardo nero in qui risplendeva un oscuro bagliore. Come aveva fatto a non accorgersene, a pensare che quello sguardo, adesso così profondo e intenso, fosse invece gelido e vuoto? Non riusciva più a ricordare se prima era realmente stato diverso, o se era stato solo l’odio con cui lo aveva sempre guardato che glielo aveva fatto apparire tale. Prima o poi avrebbero dovuto parlare anche di quello… se mai ne avesse trovato il coraggio!
- Professore?
No, questa volta niente scuse: non voleva più ingannare Harry. Del resto, acconsentire alla richiesta gli avrebbe permesso di continuare a mantenere la promessa fatta ad Albus alla morte di Lily. E rimanergli accanto, visto che non aveva più alcun dovere da compiere.
Piton annuì rigidamente.
Harry sorrise, soddisfatto di aver raggiunto il primo obiettivo di quel tanto atteso colloquio.
- Ho cercato di far tesoro dei suoi ultimi insegnamenti, Signore.
Il mago lo fissò interrogativamente.
- Quella notte, davanti alla capanna in fiamme di Hagrid, quando ancora non avevo capito nulla e l’accusavo ingiustamente d’essere un vigliacco, - spiegò con attenta circospezione, valutando le reazioni del Professore che lo ascoltava immobile, quasi senza respirare, - lei mi insegnò come vincere nei duelli, con il suo esempio e le parole. Ricorda?
Piton annuì, un velo cupo ad adombrare gli occhi neri.
- Deviava con estrema facilità ogni mia maledizione, finché mi ha rivelato il trucco. – riprese Harry con rispettoso entusiasmo. – “
Bloccato ancora, e ancora e ancora, finché non imparerai a tenere la bocca sigillata e la mente chiusa, Potter!”
Piton lo trafisse con sguardo e parole:
- Mi sembrava di averti già spiegato chiaramente il “trucco” durante le mie lezioni. – obiettò, lo scetticismo ancora evidente nel sopracciglio alzato, ma il tono via, via più disteso, quasi compiaciuto che il ragazzo ricordasse così bene l’ultimo insegnamento che aveva cercato di dargli in quella penosa situazione.
- Io…l’ho compreso solo quella notte, Signore. – ammise Harry con sincerità, un’espressione contrita sul volto.
Piton annuì piano, un lieve sospiro a dischiudergli appena le labbra sottili, dissimulando quella strana sensazione di calore che le parole del ragazzo gli avevano procurato.
- E anche l’
Expelliarmus… è stato proprio lei ad insegnarmelo, - continuò Harry serissimo, - mi ha salvato la vita la notte in cui Voldemort è risorto, ed è con quello che l’ho sconfitto, alla fine!
Si rese conto che il mago lo stava fissando in silenzio, senza respirare, gli occhi neri scintillanti d’orgoglio nel volto pallido, proprio come anche suo padre avrebbe fatto. Quel pensiero gli aveva attraversato la mente senza alcuna reale coscienza e quasi lo sconvolse, tante erano le implicazioni che potevano derivarne. Possibile mai che potesse pensare al Professor Piton con affetto? Doveva essere impazzito!
- Come l’hai sconfitto, esattamente?
- È una questione lunga e complessa, Professore, - mormorò Harry arruffandosi i capelli in un gesto inconscio, - ha a che fare con la magia di protezione che mia madre lasciò su di me…
S’interruppe esitante, lo sguardo nero del mago, sempre più penetrante, fisso nel suo, quasi volesse leggergli l’anima.
- Glielo… glielo racconterò in un altro momento, Signore. – tagliò corto spostandolo sguardo, terribilmente a disagio.
- È un ricatto, Potter?
Il sopracciglio era di nuovo minacciosamente alzato, ma nella voce, sempre un sussurro dall’aria dolorosa, a Harry sembrava di riconoscere un tono affabile, quasi divertito. Sì, doveva proprio essere impazzito se quei pensieri si facevano largo nella sua mente! Imbaldanzito dalla favorevole impressione, decise di giocare il tutto per tutto:
- No, Signore, solo un equo scambio. – rispose accennando un sorriso.
Piton, incredibilmente, inclinò un poco il capo da un lato, stirò le labbra in un sorriso sghembo e fece un silenzioso cenno d’assenso, gli occhi neri che scintillavano nel volto pallido incorniciato dai lunghi capelli corvini.
- E cosa vorresti, in cambio? – chiese infine.
Il cuore di Harry prese a battere all’impazzata, ma ancora non ebbe il coraggio di chiedere ciò per cui da tre settimane veniva a visitare il mago.
- I suoi insegnamenti… - mentì abbassando di nuovo lo sguardo.
Il mago era curioso, ma sapeva essere molto paziente,
voleva esserlo, quel giorno, con il ragazzo, anche se era sicuro che mentisse, ancora. Ma questa volta la ragione della menzogna lo stuzzicava invece di irritarlo.
- Il libro del Principe! - azzardò Harry cercando di sviare l’attenzione, sicuro che il Professore sapesse perfettamente che era in sua mano.
- Qual è il problema?
- È andato perduto! – confessò.
- Ricordo a memoria ogni singola variazione ai procedimenti di distillazione delle pozioni. - rispose il mago con assoluta tranquillità, come se la perdita di quel libro, che conteneva l’orgoglio e l’umiliazione della sua adolescenza, non avesse alcuna importanza. – E ogni incanto inventato.
- Sapeva che lo avevo io, vero Signore?
Piton annuì:
- Sono stati i complimenti di Lumacorno a smascherarti e il fatto che considerasse tu avessi ereditato la tua abilità in pozioni da…
Piton esitò per un breve istante, il fugace tempo di un lieve sospiro, poi riprese, un’incredibile dolcezza nelle sillabe sussurrate a fior di labbra:
- … Lily.
I loro sguardi s’incontrarono ancora, sempre più intensi, ma nessuno parlò per un lungo, rispettoso momento.
Fu il mago a riprendere, con voce ferma:
- Alla fine Silente ammise di aver architettato tutto affinché il mio libro di Pozioni Avanzate finisse nelle tue mani. Sembrava convinto che ti sarebbe stato molto d’aiuto. - concluse scettico.
- Ma è stato proprio così! – esclamò Harry entusiasta. – Ho imparato moltissimo da quel libro!
- Già! Sicuramente più di quanto sia riuscito ad insegnarti io! – borbottò Piton ironico, ma intimamente soddisfatto dalla conferma che il suo libro l’avesse aiutato tanto.
- Quel libro è stato come un amico prezioso, per me…
Si fissarono di nuovo, in un lungo silenzio carico di sottintesi, alla fine infranto da Harry:
- Vuole continuare a… fare come quel libro, Professore? – domandò con rispetto.
Solo quando le parole gli erano ormai uscite di bocca, Harry si rese conto dell’enormità della domanda: in pratica aveva chiesto a Piton se voleva essere suo amico! Sì, era impazzito, senza alcun dubbio. E ora, cosa sarebbe accaduto?
Il mago rimase a guardarlo, incredulo della richiesta, eppure lusingato nel suo intimo: per le proprie strane e talvolta imprevedibili reazioni aveva la scusante della salute, la ferita che gli bruciava sempre più in gola rendendo ogni parola una vera tortura, ma il ragazzo? Non sapeva proprio come rispondere alla domanda, per altro formulata, ne era certo, con sincerità e rispetto. No, non era vero. Sapeva benissimo come avrebbe voluto rispondere, ma ne sarebbe stato capace? Harry stava letteralmente scardinando la sua vita, ma forse era proprio ciò che aveva sempre desiderato.
- Professore?
Piton si riscosse dai pensieri, ancora senza aver preso alcuna decisione.
- Ho visto tutti i suoi ricordi, Professor Piton, più e più volte, - spiegò Harry con gentile decisione, - e credo di sapere che uomo sia, per davvero, dietro ogni falsa apparenza che ha voluto dare per tanti anni.
Esitò un attimo prima di continuare, ma ormai non poteva più tirarsi indietro.
- Un uomo che sa amare, e anche piangere. – disse con sentita commozione.
Negli occhi del mago, nere fiamme vorticavano impetuose, fuori d’ogni controllo, davanti all’inoppugnabile verità, la dolorosa realtà della sua vita.
- Non crede che sia finalmente venuto il momento di togliere la maschera, Professor Piton, e di smettere di recitare, almeno con me?
Gli occhi del ragazzo erano così simili a quelli della sua Lily, eppure così enormemente diversi. Ed anche il suo sorriso, gliela ricordava e, allo stesso tempo, la negava.
Sì, Harry aveva ragione: fingere era ormai del tutto inutile. Ma aveva pur sempre una reputazione da difendere!
Gli lanciò una lunga occhiata, seria e penetrante, che man mano si addolcì appena, quasi senza la sua volontà; infine sibilò, il sopracciglio di nuovo sollevato alla ricerca di un rigoroso contegno cui aggrapparsi:
- Lo farò. Ti insegnerò, se tu adesso vorrai imparare
anche da me.
Gli occhi di Harry brillavano mentre assaporava il sapore della vittoria e segnava il primo, importante punto a suo favore: certo che scongelare Piton era impresa ben difficile! Ma doveva riuscire a farlo, se voleva ottenere ciò che realmente gli importava, ciò per cui era sicuro che valesse la pena di portare a termine quell’ardua conversazione che a tratti si rivelava molto pericolosa.
- Ma dovrai applicarti duramente, senza mai risparmiarti. Pretendo il meglio, da te! – continuò con finta durezza. – E non ti aspettare smancerie o trattamenti di favore, sia chiaro…
Le iridi nere del Professore scintillavano come non mai, colme di quell’oscuro bagliore che Harry non aveva mai visto, ma che emanava uno strano calore, proprio come l’accenno di sorriso che era apparso sulle labbra sottili del mago:
- … neppure per i
tuoi occhi!
L’enfasi sulle parole era evidente e finalmente Harry capì: erano solo i
suoi occhi che il professore scrutava e cercava, ora, non più quelli di sua madre. Sì, questo dimostrava che aveva proprio ragione: Piton alla fine si era affezionato a lui, che intendesse o no ammetterlo.
- Tra le altre, credo che mi servirà anche qualche lezione di Occlumanzia, Professore, almeno per imparare a reggere il suo sguardo senza imbarazzo! – disse ridendo, cercando di alleggerire la tensione che si era creata, ancora incapace di lanciare l’affondo finale per realizzare il suo più importante desiderio.
Piton annuì concedendosi appena un accenno di sorriso, ormai disposto a levarsi quasi del tutto la maschera, almeno per un momento. A dire il vero, non desiderava altro che smettere la tremenda finzione messa in atto con Harry, che a lungo aveva odiato solo perché non si riteneva degno di potergli volere bene. Ma, forse, era arrivato il momento in cui le cose potevano cambiare: il ragazzo avrebbe un giorno potuto accettare il suo affetto? In fin dei conti, gli aveva quasi chiesto d’essergli amico...
Aveva però una strana sensazione, come se Harry avesse ancora qualcosa da dirgli, ma non trovasse il coraggio per farlo. Poi ricordò: prima di accomiatarsi aveva detto che c’era una cosa molto importante che voleva chiedergli; per qualche strana sensazione il mago era sicuro che non si trattasse dell’insegnamento.
Sincerità per sincerità, tanto valeva andare a fondo della questione.
- Tu non vuoi solo insegnamenti da me, vero Harry? È qualcos’altro che ti preme, in realtà...
Sentirsi chiamare per nome da Piton lo metteva ancora terribilmente a disagio; doveva abituarsi alla svelta, però, perché suonava molto più dolce e disponibile a confronto di quel secco
Potter che gli ricordava sempre il crepitio sibilante di qualche pericolosa maledizione da scansare. Ma le vecchie abitudini erano dure a morire; si trovò ancora a mentire, invece di chiedere ciò che realmente bramava:
- No… no, Signore, null’altro!
- Non mentirmi! – sibilò il mago, quasi divertito dal timore che ancora riusciva a incutergli, anche involontariamente, al punto che Harry aveva ancora una volta distolto lo sguardo timoroso che volesse frugargli nella mente.
Trattenne a fatica una risatina e, per la prima volta, fu del tutto sincero:
- Puoi guardarmi negli occhi senza alcun timore, Harry: sono troppo debole per curiosare tra i tuoi pensieri, soprattutto senza bacchetta.
Il ragazzo tirò un sospiro di sollievo e tornò a guardarlo con i limpidi occhi verdi, ancora indeciso se fosse arrivato il momento di porre la sua essenziale domanda. Intanto, però, poteva provare a piazzarne un’altra, giacché il Professore sembrava così ben disposto alla sincerità, e risolvere un dubbio che spesso lo aveva angustiato quando Piton lo fissava con quel suo sguardo penetrante che sembrava perforargli la fronte.
- Significa che di solito può leggere nella mia mente, senza bacchetta e senza pronunciare l’incantesimo?
Il mago lo fissò, di nuovo come se volesse trapassarlo e sibilò:
- Potter!
Quindi si morse le labbra e sospirò alzando gli occhi al soffitto:
- Harry, per Merlino, vuoi ricordarti una buona volta che esistono anche gli incantesimi
non verbali? – rispose spazientito, la voce che gli graffiava dolorosamente la gola.
Sì, insegnargli tutto ciò che sapeva sulla magia avrebbe richiesto un notevole sforzo e molta pazienza, ma poteva farcela. Era solo questione di volontà e di non perdere mai il controllo. Chiamarlo Harry era già d’aiuto…
- Ad ogni modo, sì, posso penetrare con facilità nella tua mente anche senza la bacchetta.
Harry per un istante si trovò a faccia a faccia con tutti i suoi peggiori timori.
- E l’ho fatto, più di una volta. – ammise Piton.
Harry scrollò il capo davanti al disastro.
- Ma di cosa ti preoccupi, adesso? – chiese il mago stupito, sottilmente divertito dall’espressione di panico del ragazzo. - Sono giorni che mi confessi ogni tuo pensiero e fai ammenda dei tuoi errori!
Sì, adesso Harry non aveva più alcun dubbio: il Professore aveva ascoltato tutto il suo sconclusionato discorso, e più di una volta. Be’, perché il cuore gli batteva in quel modo? Non era quello che voleva? Non glielo aveva forse detto perché sapesse che gli dispiaceva averlo tanto ingiustamente odiato?
- Errori di cui non hai alcuna colpa. – sussurrò Piton con inconsueta dolcezza. – Sono io che ho voluto farmi odiare…
Gli occhi neri del mago erano colmi di un antico, inestinguibile dolore:
- Solo io sono colpevole, Harry, solo io dovrei chiedere perdono, non tu. – riconobbe in un tormentato sussurro, colmo di rimpianti e rimorsi.
- Ha sofferto così tanto… - mormorò Harry turbato.
- Era solo quello che meritavo, insieme al tuo odio. – spiegò il mago con voce incrinata abbassando il capo. - Sì, l’odio che in ogni modo ho cercato di ottenere da te, affinché gli occhi di Lily ogni giorno condannassero senza pietà le mie colpe.
Harry rimase per un attimo senza fiato: la rivelazione era così semplice, eppure impossibile da comprendere senza conoscere l’imperituro amore del mago per sua madre. Questo significava però che era giunto il momento; prese un lungo respiro e, finalmente, lo disse:
- Professore… vuole… vorrei tanto che mi parlasse di mia madre, la prego!
Il mago sollevò di scatto il volto, gli occhi neri dilatati che spiccavano nel niveo pallore: la mano di Harry aveva sfiorato la sua ed ora giaceva lì, in attesa della sua risposta. Ecco qual era il suo desiderio più grande! Come aveva fatto a non capirlo prima?
- Solo lei… lei è l’unica persona che può raccontarmi chi era mia madre, per favore! – lo implorò ancora, gli occhi lucidi.
- Non ho mai parlato con nessuno di Lily… - sussurrò a fatica il mago.
- Io non sono nessuno! – si ribellò Harry. – Sono suo figlio!
- Lo so, lo so... - mormorò Piton con voce spezzata dall’emozione mentre con la mano stringeva infine quella del ragazzo e lo guardava negli occhi. – Nessuno lo sa meglio di me, Harry.
Il mago emise un lungo sospiro mentre amore e dolore ardevano incatenati negli oscuri bagliori dei profondi occhi neri:
- Ti parlerò di Lily, te lo prometto, ti racconterò tutto di tua madre…
Il sussurro del mago era sempre più flebile e accorato, inframmezzato da sospiri:
- Non posso renderti l’infanzia felice che ti ho rubato, Harry, mi dispiace, ma se me lo permetterai, cercherò di…
Com’era difficile dire ciò che più d’ogni altra cosa aveva sempre desiderato, quando invece aveva attuato di tutto per farsi odiare dal figlio che avrebbe voluto fosse suo!
- … di restare al tuo fianco come il padre che non hai mai avuto per colpa mia!
Harry rispose alla stretta della mano del mago: no, non avrebbe mai immaginato che dietro quella maschera di gelida impassibilità, quella finzione di odio assoluto e intransigente, ci fosse invece un uomo che solo voleva amare, anche il figlio dell’uomo che gli aveva portato via la donna che amava. Sì, ora era sicuro: col tempo, conoscendolo meglio, non gli sarebbe stato difficile affezionarsi a questo nuovo Severus Piton, imparare a volergli bene dimenticando il vecchio Piton che per tanti anni aveva odiato.
I loro sguardi tornarono ad incontrasi e il nero di nuovo si fuse col verde, proprio come in quella notte che sembrava ormai appartenere ad un’altra vita. Harry sorrise all’uomo che aveva infine tolto ogni maschera e cessato tutte le finzioni; quando il mago ricambiò quel sorriso che tracciava un nuovo futuro, anche i suoi occhi neri erano lucidi di lacrime, proprio come quelli del ragazzo.
Le stesse lacrime d’amore per la donna il cui ricordo li univa.
La lacrima scese, sul giovane volto di Harry, rotolò piano sulla guancia, e cadde sulle lenzuola, vicino alle mani ancora strette tra loro.
La lacrima del mago restò impigliata tra le ciglia nere, piccolo cristallo liquido, tremolante e luminoso, mentre Severus Piton con lo sguardo seguiva la delicata perla del ragazzo, invidiandogli la capacità di saper piangere davanti ad altre persone.
Harry tirò su col naso, imbarazzato; sciolse la stretta delle loro mani e cercò qualcosa nella tasca posteriore dei jeans: la estrasse con cura e la porse al mago che la prese tra le dita tremanti, le labbra dischiuse nella muta esclamazione di un nome.
- Era in una tasca segreta della sua veste; l’hanno consegnata a me, ma le appartiene…
E la lacrima d’amore di Severus Piton una volta ancora scese sulla fotografia della donna che non avrebbe mai cessato di amare.