Il Calderone di Severus

Approfondimenti sui Licantropi

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Ale85LeoSign
view post Posted on 3/2/2010, 15:50




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Ammetto che, tra tutti i mostri che la fantasia umana è riuscita a creare, quelli che, da sempre, mi hanno ispirato e affascinato di più sono i Licantropi.

Per questo mi sembrava il caso, dopo aver trattato in maniera schematica la loro leggenda (vedi La Maledizione della Bestia, di approfondire un po' la questione, o meglio, una leggenda antichissima, che risale ai tempi più antichi, come testimonia la stessa Bibbia.


La fonte che sto per citare è un testo molto interessante,
una raccolta di racconti e di credenze storiche del mito del lupo mannaro:
"Storie di Lupi Mannari" a cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco





Credesti tu, come taluni sogliono, che certe femmine volgarmente chiamate Parche esistano e siano capaci di fare ciò che loro si attri-buisce: e cioè che possano predestinare un uomo alla nascita, acciò che questi, quando vuole, possa trasformarsi in lupo - che in tedesco vien detto werewulf - o in qualsiasi altra figura? Se ciò credesti, cre¬dendo che sia accaduto o possa accadere che ad una creatura divina sia dato di mutar forma e aspetto per opera d'altri che non Dio Onnipotente, devi per dieci giorni fare penitenza a pane e acqua.
Dai Decretali di Burcardo di Worms, sec. XI



Studiando nei loro ristretti habitat naturali i pochi lupi rimasti, gli eto-logi del secolo presente hanno scoperto - non senza sorpresa - che il pre-sunto feroce predatore è in realtà d'abitudine un animale timido e mite, monogamo, sollecito con la prole, non aggressivo nei confronti dell'uomo. Una creatura cioè ben lontana dall'immagine leggendaria che le ha cucito addosso l'uomo, dipingendola come ladra, malvagia e avida di sangue: quasi che su di essa avesse proiettato, come in un esorcismo, i peggiori di-fetti che in realtà macchiano non la stirpe lupina, ma l'umanità stessa.
Fra lupo e uomo vibrano peraltro straordinarie consonanze. Animale d'origine paleoartica, il lupo migrò con l'uomo primitivo dall'Eurasia all'America del Nord attraversando, durante le glaciazioni, lo Stretto di Behring, e seguì le stirpi indo¬arie nella loro diffusione nell'Europa e nel sub-continente indiano. Fra tutti gli animali selvaggi, è quello che mag-giormente ha segnato la civiltà occidentale, prima come animale totemico, poi come manifestazione diabolica.

Superior stabat lupus



Un canto funebre rumeno, recitato ancora agli inizi di questo secolo, di-ce: «Il lupo apparirà davanti a te... Prendilo come tuo fratello, perché il lupo conosce l'ordine delle foreste... Egli ti condurrà per via piana verso il Paradiso...».
L'idea che il lupo sia uno psicopompo, cioè una creatura destinata a guidare nell'Aldilà le anime dei morti, è antica quanto la cultura delle stirpi d'origine indo-europea, come testimoniano le urne funerarie in forma di testa di lupo nelle quali i primitivi popoli nomadi custodivano le ce-neri dei defunti.
Per le popolazioni non stanziali, nelle quali la cultura dominante non era anco¬ra quella agricola, ma quella della caccia, il lupo era un rivale, un competitore che, nella medesima nicchia ecologica, perseguiva le stesse prede. Ed era più abile, perché più veloce, dotato di sensi più acuti, capace di vedere di notte e «armato» dalla natura in modo terribile, con zanne e artigli. Per riuscire nella caccia, si doveva perciò ingraziarsene lo spirito: il che - nelle culture sciamaniche - avveniva per via imitativa; vale a dire, facendosi «invasare» dal Dio della Bestia sino ad assumerne i poteri, il comportamento, perfino l'aspetto.
È nei rituali sciamanici delle culture nomadi paleolitiche che gli antro-pologi rintracciano le radici di quella che, più tardi, venne chiamata - con termine estensivo - «licantropia»: ovvero la capacità, da parte di esseri umani, di trasfor¬marsi in determinate condizioni nell'animale totemico, ovverossia rappresentati¬vo e protettivo della tribù.
Per i cacciatori nomadi dell'Asia Centrale, questo animale era il lupo (per altri popoli, come vedremo, l'animale sarà diverso): lo Sciamano delle steppe, con l'aiuto dei rituali estatici e con l'assunzione del Fungo Sacro, l'Amanita Muscaria che dilata la coscienza, faceva discendere entro di sé lo Spirito del Lupo. Con indosso una pelle dell'animale totemico, ne assumeva anche l'aspetto: e così, quale Lupo-Dio, guidava le danze propi-ziatorie alla caccia, se non - come sembrerebbero dimostrare certe pitture rupestri - la caccia stessa.
Della funzione totemica del lupo presso le genti indo-arie si ha traccia nelle infinite leggende che nacquero quando le religioni virili, «solari» e d'impianto sciamanico da loro portate, vennero a scontrarsi e fondersi con le religioni fem¬minili, «lunari», e basate su riti della fertilità adottate dalle popolazioni europee autoctone che subirono l'invasione dei nomadi pro-venienti dalle steppe asiatiche, agli albori dell'Età del Bronzo.
Molte «leggende degli inizi» (quelle che narrano della nascita di Dèi ed Eroi, o della fondazione di città o luoghi sacri) vedono il lupo come prota-gonista.
Nel mito greco, Febo e Artemide, le divinità legate a Sole e Luna, cioè gli astri luminiferi, vennero partoriti da Latona trasformatasi in lupa. Licaone, il capostipite dei Pelasgi, fondatore sul Monte Liceo della prima città, Licosura, si iden¬tifica, per via del nome, col lupo (lykos, in greco); e ih lupo vero e proprio verrà trasformato, quando il mito, col mutare delle condizioni culturali, assumerà va¬lenze negative. «Figli del lupo» si pro-clamavano tanto i Celti quanto i Sabini: ed è per questo, forse, che a una lupa venne affidata la protezione dei due divini gemelli, Romolo e Remo, fondatori dell'Urbe. Secondo Diodoro Siculo, Osiride rinasce, dopo la di-visione del suo corpo, sotto forma di lupo. E persino nella cultura mongola il Lupo Celeste è genitore di Eroi, l'ultimo dei quali fu Gengis Khan.
Lykaion, territorio del lupo, era chiamato il bosco sacro che circondava il tempio di Febo ad Atene; Aristotele usava tenervi le sue lezioni, ed è questa l'origine del termine liceo. L'immagine del lupo viene così connessa a quella della sapienza, peraltro in conformità con le tradizioni che ne fa-cevano un animale iniziatico, ovvero rivelatore di conoscenze occulte. Macrobio, nei Saturnalia, descrive una statua che si trovava nel tempio di Serapide, ad Alessandria; vi era raffigurato il Tempo come mostro tricipi-te: una testa di leone fra due teste di lupo. Il leone è il presente, ovvero ciò che sappiamo; il lupo è passato e avvenire, ovvero le cose che abbiamo dimenticato e quelle che non conosciamo ancora. Flegone descrive un Oracolo nel quale a profetizzare è la testa di un uomo sbranato da un lupo. D'altronde, nel nome del lupo è insita la radice lyk-, che è la stessa da cui deriva il nome luce: la creatura che vede al buio è dunque anche quella che dissipa le tenebre.
L'antica sovrapposizione fra culti della caccia e culti della fertilità si rivela nei miti che vedono il lupo come animale propiziatore delle feconda-zioni. In Anatolia - ancora oggi - nelle campagne le donne sterili invocano il lupo per avere figli. Nella Kamchatka i contadini, per le Feste Ottobrali, realizzano con il fieno il simulacro d'un lupo, cui recano voti perché entro l'anno si maritino le vergini del villaggio. Nell'antica Roma, il Dìo Luperco era protettore delle greggi; le sue feste, i Lupercali, che si tenevano a metà febbraio, vedevano i sacerdoti correre nudi tra la folla, armati di corregge di pelle di montone: dice Ovidio nei Fasti che le donne in età fer-tile colpite dalla sferza, sarebbero state fecondate entro l'anno.
Nel corso dei Lupercali, un sacerdote, vestito d'una pelle di lupo, passa-va una lama bagnata di sangue sulla fronte di due adolescenti: riprodu-zione simbolica, evidentemente, di antichi sacrifici umani che venivano tributati al lupo totemico. Questo particolare ci pone a contatto con il lato tenebroso dei culti del lupo.

Creature d'inferno



Nel passaggio dalle culture nomadi e cacciatrici a quelle stanziali e a-gricole, muta radicalmente il modo di considerare il lupo. Il cacciatore ha bisogno dello spirito dell'animale da preda che lo guidi ad uccidere; il contadino deve invece proteggere le greggi da chi vuole uccidere. Il sacri-ficio in onore del lupo, a poco a poco, da propiziatorio si trasforma in scongiuro: non si prega più perché il Gran¬de Predatore intervenga, ma perché stia lontano.
Le cerimonie sacrificali, il più delle volte con vittime umane, celebrate in onore del lupo, assumono valenze sinistre. Esemplare, in questo senso, è la leggenda di Licaone. I riti che, in origine, si tenevano sul Monte Liceo, in Arcadia, in onore del lupo erano di origine aria, e assumevano il carattere di sacrifici umani culminanti con un rito di antropofagia: parte della vittima veniva consumata dai cele¬branti. L'evoluzione culturale rende esecrabile questa modalità rituale, e la fantasia mitica elabora pronta-mente un episodio che fissi indelebilmente i nuovi para¬metri del sacro.
Giove - racconta la leggenda, riferita da Ovidio nelle Metamorfosi, - si reca, in incognito, in visita a Licaone. Questi, incerto sulla natura umana o divina del suo visitatore, decide di sottoporlo a una prova, e gli amman-nisce, a mo' di banchetto ospitale, le carni di uno schiavo (o, secondo altre versioni, di un altro ospite, o di un ostaggio, o addirittura del proprio fi-glio), e per primo ne gusta egli stesso: confida che un Dio avrebbe scoper-to la vera natura del sacrificio. Sdegnato da tanta efferatezza, Giove arde con le sue folgori la reggia di Licaone e trasforma quest'ultimo in lupo.
Il senso della leggenda è chiaro: il sacrificio cruento e cannibalesco, gradito un tempo alle divinità proprie d'un popolo nomade e cacciatore, è inviso invece agli Dèi di una società agricola e stanziale. Licaone, lupo fatto re, da re ritorna lupo.
Sono infinite, in ambito classico, le leggende che segnano un passaggio analogo. Il pugile Demeneto (racconta Plinio nelle Storie Naturali), arcade come Licao¬ne, avendo sacrificato un bimbo a Giove Attico, mangiatene le interiora, venne trasformato in lupo, e tale restò per nove anni; al decimo, ritornò uomo, e vinse la gara di pugilato a Olimpia.
Sempre degli antropofagi Arcadi si diceva che, per espiazione, dovessero ogni anno estrarre a sorte un membro della comunità; questi era immerso nelle acque di un lago e ne usciva trasformato in lupo, restando tale per nove anni, e poteva recuperare le forme umane soltanto se si fosse astenuto dall'antropofagia. Echi di questo mito si ritrovano, applicati alle più diverse popolazioni, fino al Medioevo.
A poco a poco, lo Sciamano che assume in sé lo spirito del lupo a bene-ficio della tribù, si trasforma in creatura infernale dedita a pratiche ese-crabili. I residui della primordiale religione sciamanica si trasformano già in epoca classica in culti infernali e stregoneschi.
L'antica capacità degli Sciamani di identificarsi con gli animali totemici assume connotazioni tenebrose. Nasce la figura dello Stregone, in contatto per via diabolica con le istintualità più perverse. Il sacrificio umano, con il suo corollario cannibalico, da cerimonia sacrale trascende nelle pratiche abominevoli della profa¬nazione dei cadaveri e della necrofagia, per-versioni attribuite ai recipiendari dell'antico animismo sciamanico, ormai totalmente travisato e stravolto.
Il potere della metamorfosi, ovvero la capacità di riprodurre le caratte-ristiche dell'animale totemico, già prerogativa sacerdotale, diventa segno di una punizione divina o frutto di un'alleanza con i poteri delle tenebre. Quanto al lupo, da animale propiziatorio, assume - e non le perderà più - le caratteristiche di mostro antropofago, di belva feroce vomitata dalle te-nebre e di creatura infernale. Da psicopompo, si fa guardiano del regno dei morti: Cerbero, che impedisce alle anime di uscire dal loro triste regno, è un lupo con tre teste. Ade, Re degli Inferi, porta un elmo di pelle di lupo che lo rende invisibile, e lo stesso valeva per Ajta, il Dio etrusco del mondo sotterraneo. Presso i Celti il lupo è carnivoro funebre, e lo si dipinge seduto sulle zampe posteriori, nell'atto di divorare un morto.
Nasce anche la sua fama di persecutore di bambini (come tutti i preda-tori, i lupi aggrediscono di preferenza i cuccioli delle prede, meno capaci di difendersi): la lupa Mormolice era un dèmone femminile con la quale le madri greche minac¬ciavano i loro pìccoli, corrispettivo, in qualche modo del «lupo cattivo» delle fiabe nostrane. Era stata nutrice del mostro infer-nale Acheronte, e si diceva che rendes¬se zoppi i bambini disobbedienti.
Intorno alla fiaba di Cappuccetto Rosso, Dumézil (Les Dieux des Gér-mains) traccia una serie di connessioni che riconducono agli antichi miti indo-europei, mentre Piettre fa notare che esistevano versioni del racconto molto più truci di quella nota nel testo ingentilito di Perrault. In una di es-se è presente un palese tema cannibalesco: dopo aver divorato quasi com-pletamente la nonna di Cappuccetto Rosso, il lupo pone parte della carne e un po' di sangue in un bacile, e li fa mangiare e bere alla bambina; Piet-tre ne deduce una connessione con gli antichi sacrifici umani a sfondo an-tropofago con i quali veniva onorato lo Spirito del Lupo.
Viene esaltato nel contempo il carattere di feroce combattente del lupo, che già i Greci associarono ad Ares, Dio della Guerra. Un tema che ebbe la sua diffusione più ampia soprattutto fra le genti nordiche.

I guerrieri dalla pelle di lupo



Nell'ottavo capitolo della Volsunga Saga è riferita la storia di Sigmundr e Sinfjotli che, attraversando una foresta, giungono a una casa nella quale giacciono addormentati due figli di re. Alla parete, sulle loro teste, sono appese due pelli di lupo: i due dormienti sono vittime di un incantesimo in seguito al quale soltanto una notte ogni dieci possono liberarsi della pelle di lupo e riprendere l'apparenza umana. Ma quella notte, sfiniti, non pos-sono trascorrerla che dormendo. Sigmundr e Sinfjotli indossano, incauta-mente, le pelli, e il maleficio ricade su di loro. Non possono più liberarsene, e non parlano più con voce umana, ma con voce di lupo, anche se fra di loro continuano ad intendersi. Travolti dall'istinto delle belve, si gettano nella foresta, dove vagano per nove giorni, conducendo la vita dei lupi. Al decimo, recuperato l'aspetto umano, danno le pelli alle fiamme, perché non possano più nuocere ad alcuno.
Dalla leggenda, una delle molte che nei miti nordici trattano di fiere e di trasfor¬mazioni in fiere (nella stessa Volsunga Saga, al capitolo quinto, è raccontato di come la madre del Re Siggeir abbia dilaniato, in forma di lupa, i figli di Volsung caduti prigionieri), traspare una concezione sini-stra del lupo, considerato l'incar¬nazione del dolore e della lacerazione.
Della diffusione delle credenze sulla trasformazione di uomini in lupi presso i popoli nordici, fa fede Olaus Magnus che, nella Historia de genti-bus septentrionalibus, racconta di come la notte di Natale si radunino in un certo luogo molti uomini mutati in lupi, «li quali la notte medesima, con meravigliosa feroci¬tà incrudeliscono, e contro la generazione humana, e contro gl'altri animali, che non son di feroce natura, che gl'habitatori di quelle regioni patiscono molto più danno da costoro, che da quei che naturali Lupi sono, non fanno. Percioché, come s'è trovato impugnato con meravigliosa ferocità a le case de gl'huomini, che stanno nelle selve, e sforzami di romperle le porte, per poter consumare gl'huomini, e le bestie che vi son dentro».
Dice ancora Olaus che questi uomini-lupo entrano nelle cantine ove è custodita la birra, e «quivi si bevono molte botti, e di quella e d'altre be-vande, e poi lascia¬no le botti vote, l'una sopra l'altra, in mezzo della can-tina. E in questa parte sono disformi dai naturali, e veri Lupi».
Questi guerrieri così feroci e di così triste fama, venivano chiamati Ul-fhedhnir, cioè guerrieri «dalla casacca di pelle di lupo». Così se ne dice nello Hràfnsmal: «Si chiamano pelli di lupo, / li si vede scuotere / gli scudi macchiati dal sangue dei caduti / arrossano le spade / quando giungono alla battaglia». Il carattere di questi guerrieri vi è descritto in modo scar-no ma efficace, e ci porta alla mente l'immagine del combattente esaltato dal «furore» che, invaso dallo Spirito del Lupo, combatte al di là dei limiti umani.
L'assunzione della veste ferina riproduce il gesto ancestrale dello Scia-mano che, all'alba dell'uomo, in questo modo gettava un ponte tra natura umana e natura bestiale, quando ancora non era ben chiara, ma comin-ciava a delinearsi, la di¬stinzione fra le due identità.
Non era, peraltro, soltanto il lupo l'animale totemico con il quale si i-dentificava¬no i guerrieri nordici. Affini agli Ulfhedhnir, i berserkr indos-savano - come dice il loro nome - vesti di pelle d'orso: «Goditori di sangue / che si precipitano in battaglia, / schiera che combatte con giubilo», dice di loro ancora lo Hràfnsmal.
Lupo e orso, nel mondo germanico, sono legati da una medesima aura di terrore. Nella Saga di Odd-della-Freccia, Gudmund narra che in sogno gli pareva di aver visto dalla nave un orso polare dall'aspetto pauroso, col pelo ritto, in atto di scagliarsi sui vascelli di passaggio per farli affondare. Sigurdhr interpreta il sogno come presagio di venti sfavorevoli, «perché l'orso pareva essere così lupesco». I guerrieri che venivano invasati dai due animali totemici, spesso combattevano a fianco a fianco, come è con-fermato sempre dallo Ulfhedhnir: «I Berserkr urlava¬no / ardevano della battaglia, / gridavano gli Ulfhedhnir / e scuotevano il ferro».
La paura che il lupo e l'orso incarnano, è legata alla magia e alle forze occulte, risvegliate dai riti sciamanici. I guerrieri invasi dallo Spirito della Bestia hanno forza e resistenza sovrumane, non avvertono il dolore, non conoscono la paura, compiono atti prodigiosi: passano indenni tra le fiamme, sopravvivono alle ferite più atroci. Sono i poteri dello Sciamano, riconoscibili attraverso tutte le culture. Gli antropologi, per esempio, han-no tracciato un parallelo fra i berserkr e gli Hirpi Sorani, i sacerdoti-lupo del Monte Soratte, eredi nell'antica Roma di un culto ancestrale: nelle feste di Apollo, entrati in estasi, camminavano sulle braci ardenti ululando come lupi.
Come i loro animali totemici, i guerrieri-bestia sono sfuggiti e temuti. Chi li affronta e riesce a scampare la vita, soffre comunque qualche perdi-ta, come av¬viene a chiunque venga a contatto con le manifestazioni di forze infere e tenebro¬se. Loro caratteristica è la furia cieca, incontrollabile, ri-volta contro chiunque, anche i parenti e gli amici. Nella Saga di Odd-la-Freccia, dodici fratelli ber¬serkr, avendo trovato insoddisfacente un com-battimento contro nemici troppo deboli, decidono di sfogare la furia che li travolge tornando a casa per uccidere il proprio padre. Nella Egilssaga, Skall-Grimr, berserkr e figlio di berserkr, preso da furia cieca, attacca il figlio; per impedirgli di sbranarlo, si sacrifica la sua nutrice. Dumézil, an-che sulla base di considerazioni filologiche, fa risalire questo invasamento al furore dei Marut, i compagni di Indra, e del loro padre, il terribile Ru-dra, mettendo in luce una precisa eredità indoeuropea in questa classe di tra¬dizioni germaniche.

La veste stregata



Non sappiamo se le invasioni da parte delle genti nordiche abbiamo a-vuto una qualche parte nella diffusione del mito degli uomini-lupo in tutta l'Europa. Con la conversione dei Vichinghi al cristianesimo, peraltro, la figura del berserkr per¬de l'aura di orrore sacrale, per assumere sempre più il carattere della maledizione diabolica, o del frutto di una mercificazione con le Potenze Infernali. In pratica, entra nella casistica della stregonerìa.
La vestizione con la pelle ferina, da atto simbolico diventa strumento di un incantesimo: la pelle, si dice, è affatturata e trasforma in belva chi la indossa. La bevanda sacra (eredità forse del Soma vedico), a base di so-stanze allucinogene, che secondo alcune tradizioni i berserkr assumevano insieme con la birra e l'i¬dromele, diviene un filtro magico, un beveraggio da strega che determina la mo¬struosa metamorfosi. Si ricorre alle Sacre Scritture per tracciare l'equazione lupo = diavolo, equiparando agli eretici Streghe e Stregoni che - si diceva - mutavano forma per recarsi al Sabba infernale.
A quanti opponevano che sarebbe stato sacrilego attribuire al Diavolo il potere di cambiare una forma stabilita da Dio, si obiettava che la meta-morfosi, in real¬tà, era illusoria, frutto di inganno diabolico. Al princeps huius mundi infatti - sempre secondo le autorità scritturali - era concessa la facoltà di confondere i sensi degli uomini.
Sovvenivano in questo, ancora una volta, reminiscenze ancestrali. L'in-ganno del Diavolo - asserirono molti demonologi - non si esercitava diret-tamente sul corpo fisico, ma sul suo substrato psichico, su quella che gli occultisti chiamarono in seguito «proiezione fluidica». Una specie di «doppio» estroflesso dall'individuo, fatto di sostanza plasmabile tanto da poter assumere qualsivoglia forma, ma in qualche modo legato ancora al corpo fisico: infatti, una ferita inferta al «doppio» si riproduceva identica nel corpo materiale.
Innumerevoli sono le storie di Streghe che, cosparsesi di fronte agli in-quisitori il corpo di un qualche unguento soporifero, caddero addormenta-te e, al risveglio, riferirono d'aver partecipato al Sabba in veste di capro, di lupo, di gatto nero o di qualche altro animale selvatico. Se, in tale for-ma, avevano compiuto un atto esecrabile, ad esempio menato strage in un gregge, prontamente si riscontravano le prove dell'effettuato delitto. Se avevano subito ingiuria, sul loro corpo materiale si producevano i segni della ferita.
Ancora una volta, di fronte a queste fole, si ripresenta l'immagine atavi-ca dello Sciamano che, nelle antiche steppe, remota culla della civiltà at-tuale, entrato nell'estasi procurata dai riti e dalle sostanze magiche, spe-rimentava la regressione a uno stato pre-umano e pre-evolutivo, e l'«uscita da sé» caratteristica del sogno lucido. Gli stimmatizzati, gli isterici, gli allucinati, per secoli hanno dimostrato quanto potenti possano essere, sulla carne, gli effetti della suggestione psichica.
All'epoca della «caccia alle streghe», nell'Europa cinquecentesca, la fi-gura dell'Uomo-Lupo era ormai inestricabilmente legata con quella dello stregone, schia¬vo del demonio. Giunge così al punto più basso la parabola del lupo: da spirito tutelare, procacciatore di prede in questo mondo e guida delle anime nell'altro, a dèmone da esorcizzare o da evocare solo per assumerne l'avidità di sangue, infine a trastullo di Satana, camuffa-mento animalesco atto a coprire le azioni più ese¬crabili e nefande. Cede il sacro, per dar luogo al bestiale.

Uomini e lupi



Il termine «Lupo Mannaro» deriva dal basso latino lupus homenarius, vale a dire (e in questo c'è un tocco di ancestrale ironia) «lupo che si comporta come un uomo». Più incerta l'etimologia del francese loup-garou: i più rintracciano nel termine garou una radice che significa «uo-mo», ma ci sembra più plausibile - certo più sottile - l'interpretazione di Collin de Plancy: loups dont il faut se garer, ossia «lupo dal quale occorre guardarsi», ovvero quello che, avendo assun¬to le abitudini feroci e ag-gressive dell'uomo, non si comporta con la timidezza tipica della sua natu-rale specie.
Palesi invece le derivazioni dei termini inglese e tedesco (werewolf, werwulf): la radice indoeuropea wer- è la stessa da cui deriva il latino vir, «uomo». Altrettan¬to chiare le derivazioni nelle lingue slave: il polacco wilkolak, il russo volklak, il bulgaro vulkolak, lo sloveno volkodlak e così via.
In tutte queste aree linguistiche e geografiche, il termine indica un essere umano che, per diversi motivi, assume forma e comportamento ferini, dandosi a stragi sanguinose e abbandonandosi ad atteggiamenti canniba-lici. Le sue vittime prefe¬rite essendo - come per i Lupi Mannari delle fiabe - i bambini e i cuccioli delle greggi. In qualche raro caso, peraltro, il Lupo Mannaro recupera parte del suo antico retaggio di spirito-guida dell'uma-nità primeva errante nelle steppe, e divie¬ne creatura depositaria di antiche saggezze, o soccorrevole, o testimone della po¬tenza di Dio (si vedano, a questo riguardo, le narrazioni leggendarie riportate in Appendice).
Negli anni dal Quattrocento al Seicento, l'Europa fu soggetta a vere e proprie epidemie di licantropismo (analoghe alle infezioni vampiriche che si verificarono durante il secolo successivo). Colpite in particolare furono regioni della Francia e della Germania, negli anni in cui più feroce si ma-nifestò la caccia alle Streghe. Che i Lupi Mannari fossero creature del Diavolo era dato per certo: l'unica di¬stinzione che si faceva era se la me-tamorfosi fosse effettiva o soltanto illusoria.
Si tracciò (come poi per il vampirismo) un'eziologia, una diagnostica e una profilassi dell'infezione licantropica. Si può divenire Lupi Mannari per diversi motivi. In primo luogo, per una maledizione, scagliata diretta-mente da Dio, o per suo tramite da un sant'uomo, in seguito a comporta-menti di particolare efferatez¬za. Il modello è, ovviamente, la trasformazio-ne operata da Giove di Licaone in lupo, a punirne le tendenze cannibali-che. San Natale e San Patrizio sono accredi¬tati di analoga impresa, a sca-pito di intere popolazioni. Diviene licantropo anche chi nasce la notte di Natale (o in occasione di altre festività importanti, come il Capodanno o l'Epifania), in quanto il suo venire al mondo in un tempus sacro può appa-rire come un atto di profanazione. In molti casi, sono le donne adultere ad essere punite con la trasformazione in belve, per aver violato la santità del sacramento.
Dormire a volto scoperto sotto la luna piena è anche, secondo molte tradizioni popolari, fonte di licantropismo. Si può diventare Uomini-Lupo anche per inciden¬te: per esempio, venendo infettati dall'«acqua licantropi-ca» che - a detta di alcune leggende - si raccoglie nelle orme lasciate da un Lupo Mannaro. L'idea che l'infezione possa essere trasmessa dal morso di un altro Uomo-Lupo è invece soltanto di origine cinematografica, mutuata probabilmente dalle modalità di tra¬smissione dell'infezione vampirica: nelle narrazioni tradizionali non ve ne è traccia.
La causa di gran lunga più importante del licantropismo è peraltro di natura diabolico-stregonesca. Si diventa Lupi Mannari per intervento di-retto del Diavo¬lo, che dà origine così a una coorte di schiavi per il Sabba, scegliendoli fra perso¬ne dalla condotta particolarmente esecrabile. Oppu-re, si stringe un patto col De¬monio, che in cambio dell'anima consegna una veste o una cintura di pelle di lupo, indossando la quale si subisce la mostruosa trasformazione. Grazie a filtri e unguenti speciali, Streghe e Stregoni erano in grado di mutare se stessi e gli altri in lupi; spesso si ser-vivano dei tramutati come di cavalcature per recarsi al Sabba: in tal caso, le montavano al contrario, con la faccia rivolta verso la coda.
La persona suscettibile di trasformarsi in Lupo Mannaro si può ricono-scere (come il Vampiro) da una serie di tratti caratteristici: il corpo ecce-zionalmente peloso, gli occhi iniettati di sangue, la dentatura ferina, il temperamento irascibile.
Scarse le difese. Il Lupo Mannaro sopporta (come i berserkr) le ferite più atro¬ci, e la sua forza e agilità immense ne rendono difficile la cattura. Si dice (ma è tradizione più letteraria che effettiva) che sia sensibile all'argento: per cui si im¬piegavano per ucciderlo lame di quel metallo, o pallottole argentee benedette da un prete. Colpirlo in fronte con un forco-ne può costringerlo a riprendere l'aspetto umano e se, giunti in possesso della veste stregata, la si brucia, si impediscono ulteriori metamorfosi.
I sistemi preventivi variano peraltro a seconda delle latitudini. In Euro-pa, si può impedire il triste destino cui sono condannati i bimbi nati a Na-tale incidendo ogni anno, per tre anni, una croce sul loro piede sinistro con un ferro rovente. Ad Haiti, si ricorre ad un sistema diverso: si fanno mangiare loro scarafaggi fritti con aglio e olio di ricino. Nel nostro Meri-dione, per sfuggire al suo inseguimento, basta gettargli addosso un man-tello, o accecarlo con una forte luce, o salire una rampa di scale (al lican-tropo sono vietate). In certe regioni della Francia, si usa¬va una terapia «robusta»: il presunto Lupo Mannaro in forma umana deve essere staffila-to da fanciulle vergini con sottili bastoni di frassino, fino a ricoprirlo di sangue; quindi, gli si gettano addosso diverse mestolate di zolfo, olio di ri-cino, aceto e pece bollenti. Chi sopravvive, è guarito.

Animali mannari



Il lupo, e talvolta l'orso, sono gli animali più feroci dell'area europea. In altri continenti, il fenomeno dello zoo-antropismo assume diverse morfo-logie.
In certe zone dell'Africa - Abissinia, Sudan, Nubia - l'animale mannaro è la iena. Gli Abissini pensavano che predisposti alla metamorfosi fossero coloro che esercitavano il mestiere di fabbro. Le iene mannare avevano un re, cui ogni notte doveva essere presentato come offerta un cadavere. I Nubiani credevano che a trasformarsi in iene, estromettendo durante il sonno il loro «corpo fluidico», fos¬sero le suocere degli uomini sposati.
Nell'Africa Centrale, gli Stregoni si trasformano in leoni e leopardi. Gli Uomini-Leopardo agiscono tuttora, e sono frequenti anche oggi i processi intentati per atti di cannibalismo rituale praticati da adepti di sette segrete che - a imitazione degli antichi Sciamani - si vestono di una pelle di belva, e armano le loro mani con unghie di leopardo per straziare le vittime.
Si impiegano anche bevande eccitanti: negli anni Sessanta, era famoso il «tè di Lumumba», fatto bere ai ribelli congolesi per eccitare in loro la furia del berserkr: gli ossessi si gettavano contro le mitragliatrici, e sem-bravano insensibili ai proiettili che ne dilaniavano il corpo. A lungo gli Inglesi lottarono contro i Mau-Mau uomini-leone e si ha notizia anche di uomini-pantera, uomini-caimano, uomini-scimpanzé. Di molte di queste sette fanno parte anche donne.
Nell'America Settentrionale la belva scelta per la trasformazione è an-cora il lupo. Una tribù pellerossa, i Pawnee, si auto-definiva «stirpe di lu-po» e, caccian¬do i bisonti, ne indossava la pelle e ne imitava la tecnica. I giovani erano condotti a spiare i lupi, per impararne il modus vivendi. Al Centro e al Sud, invece, ci si rivolgeva al giaguaro.
L'Asia è il regno della tigre. Uomini-tigre si trovavano (e forse si trova-no anco¬ra) in Malesia, a Burma, in India. Gli Stregoni invasi dallo spirito della tigre si comportano con inaudita ferocia; per recuperare la natura umana, occorre che passino attraverso una porta.
Anche in Cina appaiono le trasformazioni in tigre, pur se non mancano, secon¬do le regioni, altri animali, fra cui il topo e la scolopendra. La volpe è presente soprattutto in Giappone, e non sempre peraltro agisce in senso malefico. Nella regione di Ninko, si dice che donne-volpi possano entrare in famiglie umane, sposarsi, e portare fortuna a chi le ha accolte.



Edited by chiara53 - 4/7/2017, 15:31
 
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Ale85LeoSign
view post Posted on 11/2/2010, 12:43




Vi segnalo inoltre, in concomitanza con l'uscita del film "The Wolfman", questo sito con approfondimenti sulla

Licantropia

E' molto ben costruito e tratta con immagini e spiegazioni in inglese, il fenomeno e le sue manifestazioni nella storia.

Buttateci un occhio ;)

senzatitolo2copia


Edited by chiara53 - 4/7/2017, 15:30
 
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Ale85LeoSign
view post Posted on 6/10/2012, 11:23




Un caso reale di licantropia?


werewolf


Nel 16esimo secolo si ricorda l'esistenza di uno dei più famosi licantropi d'Europa, che per circa 25 anni seminò il terrore coi suoi crimini.

Peter Stubbe fu protagonista del più famoso caso di licantropia avvenuto nel XVI secolo in Germania, dove viveva a Bedburg, nei pressi di Colonia. È stato uno dei primi serial killer/licantropi conosciuti della storia.

L'uomo fu accusato di aver ucciso, nel corso di venticinque anni (1564-1589), due donne incinte e tredici bambini, compresi i suoi figli: in totale fece 17 vittime. Li uccideva tagliandogli la gola o mordendogli il collo e, portato il cadavere in un posto isolato, gli beveva il sangue e con un coltello gli apriva il torace e ne estraeva le viscere, tra cui il cuore, la sua parte preferita. Al figlio arrivò addirittura ad estrargli il cervello spaccandogli la testa con un'ascia. Di notte si aggirava nelle stalle sventrando e mangiando sul posto alcuni capi di bestiame. Era stato arrestato nell'ottobre 1559 a seguito di un tentato omicidio. Era conosciuto come una persona normale. Nella sua deposizione, ottenuta mediante la tortura, raccontò di aver ricevuto dal diavolo una cintura magica, con la quale poteva trasformarsi in lupo ogni volta che la indossava.

Condannato dal tribunale di Bedburg il 28 ottobre, morì il 31 ottobre 1589: venne inizialmente sottoposto alla ruota della tortura, poi il boia con una tenaglia incandescente gli asportò alcune parti del corpo; infine con un'ascia gli furono tagliate le mani e i piedi, fu decapitato e il suo corpo bruciato sul rogo, mentre la testa fu infilzata su un palo come monito. Anche la compagna di Stubbe, Katherine Tropin, e la figlia Beel furono riconosciute colpevoli di complicità, condannate al rogo e bruciate lo stesso giorno dell'esecuzione di Stubbe. Apparentemente avevano consumato insieme a lui i feti delle due vittime incinte e la carne di altri cadaveri.

La famigerata cintura non fu mai ritrovata, né sembra che i giudici si siano affannati molto a cercarla, limitandosi a dichiarare che era ormai stata ripresa dal diavolo.

Edited by chiara53 - 25/4/2015, 19:04
 
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view post Posted on 12/7/2015, 17:57
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Edited by chiara53 - 4/7/2017, 15:31
 
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