Il Calderone di Severus

Sfida n. 7 FA+FF: Severus e le Stagioni

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view post Posted on 30/5/2021, 08:08
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I ♥ Severus


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Anche questa volta non riesco a scrivere nulla per la sfida delle stagioni: sono troppo presa a portare avanti "Cornice rossa", il romanzo che sto scrivendo, ormai arrivato a quasi 500 pagine.
Vi segnalo quindi una mia brevissima e vecchia fic (del 2008!): Sogno di una notte (di mezza estate) augurandovi una piacevole lettura
 
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view post Posted on 30/5/2021, 15:07
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CITAZIONE (Anouk @ 28/5/2021, 18:01) 
Titolo: In sospeso
Autore: Anouk

Ogni parola ha il suo suono, la sua musica, ogni gesto è carico di significato, ogni pensiero, ogni sensazione scivola via silenziosa in un’atmosfera rarefatta e senza tempo.

Mille dettagli accuratamente descritti e allo stesso tempo milioni di parole non scritte si leggono tra le righe.
Quando il “non detto” dice più del “detto”.
CITAZIONE
Ma in fondo non la odiava più la solitudine, odiava solo quel dannato sentire...
 
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CITAZIONE (Ida59 @ 30/5/2021, 09:08) 
Anche questa volta non riesco a scrivere nulla per la sfida delle stagioni: sono troppo presa a portare avanti "Cornice rossa", il romanzo che sto scrivendo, ormai arrivato a quasi 500 pagine.
Vi segnalo quindi una mia brevissima e vecchia fic (del 2008!): Sogno di una notte (di mezza estate) augurandovi una piacevole lettura

Le ho sentite le onde, ho avvertito il fresco dell’acqua salata che finisce col bruciare a contatto con la pelle infiammata dalla passione che solo i baci di Severus possono regalare. :wub:
Appassionante, Ida, sono stata trascinata in un vortice di emozioni proibite, ma non per questo meno poetiche.
 
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I ♥ Severus


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CITAZIONE (Lonely_Kate @ 30/5/2021, 17:17) 
CITAZIONE (Ida59 @ 30/5/2021, 09:08) 
Anche questa volta non riesco a scrivere nulla per la sfida delle stagioni: sono troppo presa a portare avanti "Cornice rossa", il romanzo che sto scrivendo, ormai arrivato a quasi 500 pagine.
Vi segnalo quindi una mia brevissima e vecchia fic (del 2008!): Sogno di una notte (di mezza estate) augurandovi una piacevole lettura

Le ho sentite le onde, ho avvertito il fresco dell’acqua salata che finisce col bruciare a contatto con la pelle infiammata dalla passione che solo i baci di Severus possono regalare. :wub:
Appassionante, Ida, sono stata trascinata in un vortice di emozioni proibite, ma non per questo meno poetiche.

Oh ooh! Mi sa che ci hai messo più passione tu nel leggere che io nello scrivere: la tua fantasia ha reso ardenti le mie parole!
 
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view post Posted on 30/5/2021, 18:28
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CITAZIONE (Ida59 @ 30/5/2021, 19:14) 
CITAZIONE (Lonely_Kate @ 30/5/2021, 17:17) 
Le ho sentite le onde, ho avvertito il fresco dell’acqua salata che finisce col bruciare a contatto con la pelle infiammata dalla passione che solo i baci di Severus possono regalare. :wub:
Appassionante, Ida, sono stata trascinata in un vortice di emozioni proibite, ma non per questo meno poetiche.

Oh ooh! Mi sa che ci hai messo più passione tu nel leggere che io nello scrivere: la tua fantasia ha reso ardenti le mie parole!

Cara Ida, ci vogliono le giuste chiavi per aprire lo scrigno dei sogni, e tu sei un fabbro coi fiocchi ;) <3
 
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view post Posted on 30/5/2021, 19:39
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CITAZIONE (Lonely_Kate @ 30/5/2021, 19:28) 
Cara Ida, ci vogliono le giuste chiavi per aprire lo scrigno dei sogni, e tu sei un fabbro coi fiocchi ;) <3

<3 <3 <3
 
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view post Posted on 31/5/2021, 10:26
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CITAZIONE (Arwen68 @ 29/5/2021, 21:38) 
Severus e il suo dolore, le sue rinunce e la sua virile accettazione di un destino duro e ineluttabile; una scrittura limpida e cristallina che invoglia alla lettura! E poi la descrizione precisa, puntuale dei gesti! E' un piccolo e prezioso cammeo questo racconto! Bravissima Anouk!

Grazie di cuore Manu, che ti abbia invogliato alla lettura mi fa davvero piacere, è un complimento estremamente gradito!

CITAZIONE (silver doe @ 30/5/2021, 16:07) 
Quando il “non detto” dice più del “detto”.

Cosa posso aggiungere... <3
 
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Xe83
view post Posted on 4/6/2021, 06:51




CITAZIONE (Anouk @ 28/5/2021, 18:01) 
Titolo: In sospeso
Autore: Anouk

Cara Anouk, il tuo Severus compie ogni gesto con una precisione chirurgica, decidendo in anticipo ogni azione, ogni minimo movimento. Affronta un tempo che scorre lentamente, in una stagione mai amata, sempre percepita troppo lontana dal proprio essere
Si spoglia degli abiti che è destinato, obbligato ad indossare e con essi si toglie di dosso le mille incombenze alle quali sente di dover rispondere solo per senso del dovere, quelle imposte dal proprio ruolo.

Si allontana da tutto e da tutti: dalle presenze inutili ed entra in vasca, in una dimensione sospesa, quasi atemporale. Fuori, lontano, troppo distante c'è il mondo brulicante di persone, di fretta, di chiacchiericcio, dove tutto corre ad una velocità innaturale, dove ognuno coglie solo una minuscola parte distorta di reale.

Togliersi gli abiti ed entrare in acqua sono un rituale liberatorio che però ha poco, nulla di davvero rilassante. C'è uno iato grande e incolmabile tra il ritmo dei gesti e quello dei pensieri: se il primo scorre lentamemte, con estrema precisione, senza sciupare energie in movimenti non necessari, e può essere indirizzato, modificato, il secondo no. I pensieri, volano e si accatastano alla rinfusa nella mente creando pressione alle pareti del cervello. I pensieri sono liberi e non si fanno limitare, la loro presenza disturbante richiede attenzione e la solitudine ne amplifica a dismisura la presenza.

Severus rimane in una situazione di stallo, di complesso ascolto, di solitudine voluta, cercata e non avrebbe potuto essere diversamente. Vive un presente sordo, incolore, opprimente, dove il caldo appiccicoso, tenacemente viscoso, prevarica senza portare conforto.
Un Severus che si rifugia nelle pieghe di una solitudine cercata, mai accettata totalmente ma con la quale torna periodicamente a confrontarsi, a farci i conti con onestà e franchezza.

Cara Anouk, questa tua lirica è assolutamente sublime. Sì, una sublime e paradigmatica ode al male di vivere: raffinata, precisa, disturbante, terribile e violenta. Una violenza muta, che si esprime con studiata misura, che non sfocia in disperazione; una violenza voluta che non si scioglie, ma rimane gelida, che resta freddo e intenso dolore.
Un carme crudo, duro ma elegante, quasi sussurrato, a sottolineare un destino ineluttabile, amaro, inaccettabile.
Eppure quanto vorrei abbracciare questo Severus che hai delineato senza pietà, con premurosa spietatezza. Lo abbraccerei con delicatezza, lo terrei stretto a me, sussurrandogli che amo tutto di lui e che non lo vorrei diverso.
❤️

Edited by Xe83 - 4/6/2021, 11:15
 
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view post Posted on 4/6/2021, 19:16
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Come sempre hai la capacità di leggere oltre le parole, oltre la storia.
Grazie per il tuo bellissimo commento, cara Xenia, sono sicura che Severus ricambierebbe l'abbraccio, di più non riesco ad aggiungere ❤
 
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view post Posted on 8/6/2021, 00:43
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In sospeso - Anouk

Come dipingere con accuratezza e attenzione semplici passaggi di un'azione quotidiana, fino a rendere il tutto un brano mirabile di delicata bellezza e profondità... Potrebbe essere anche il sottotitolo di questo tuo incantevole, piccolo frammento di vita di un Severus messo a nudo, in ogni senso, e così piacevole da leggere e rileggere: perchè è proprio ciò che sei riuscita a fare tu, Anouk, di rendere speciale quanto altrimenti sarebbe stato banale se non fosse narrato in modo perfetto grazie alla tua splendida abilità descrittiva.
Ogni termine è al posto giusto, ha il suo ruolo preciso nel conferire a gesti e riflessioni un valore assoluto; ogni considerazione ha il suo peso nel rendere squisitamente credibile una splendida introspezione che scorre via fluida, quasi pigra, così come l'acqua scivola sul suo corpo e si assorbe con fresca naturalezza durante la lettura.
Un vero gioiello, l'ennesimo: bravissima! :]
 
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view post Posted on 9/6/2021, 21:35
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Titolo: Il blu è il nuovo nero
Autore: Lonely_Kate
Epoca: maggio-giugno 2021, scritto per la sfida “FA+FF n7 Severus e le stagioni: estate”
Beta reader: Xe83
Tipologia: racconto (3547 parole)
Genere: fluff/commedia
Rating: per tutti
Personaggi: Severus Snape, Sibilla Cooman, Minerva McGonagall, altri personaggi
Pairing: nessuno
Epoca: HP ad Hogwarts
Avvertimenti: AU
Note: piccolo OOC per Severus alla fine del racconto, non sono riuscita a farne a meno.
Riassunto: Non ricordava un’estate così calda negli ultimi dieci anni.

Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling ed a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.

A Xenia: “Una sola parola, forse logora, ma che brilla come una vecchia moneta: Grazie!”
(Pablo Neruda
)



Prologo
Si fa presto a dire blu…



L’afa era terribile.
Non ricordava un’estate così calda negli ultimi dieci anni.
La caligine, l’immobilità dell’aria, e un tasso d’umidità straordinario per quelle latitudini, conferivano al mondo che lo circondava un aspetto diafano, come ricoperto da uno strato di vapore che ne faceva disperdere i contorni.
Era innegabile che, col suo carattere e stile d’abbigliamento, l’uomo fosse agli antipodi rispetto alla stagione in corso.
Ma fino a quell’estate non era mai stato un grosso problema.
Quell’anno, l’eccezionale congiunzione climatica intervenuta con dirompente potenza, era un oltraggio
diretto a lui. Sì, proprio a lui che non riusciva a trovare refrigerio neppure nelle sue amate segrete.
Come se non bastasse, le estenuanti ore di ripetizione di Pozioni, per gli studenti rimandati, erano diventate insopportabili e pericolose: coi calderoni accesi a quelle temperature esterne, potevano scoppiare incendi ed esplosioni incontrollate ad ogni gesto maldestro.

La sera rientrava nelle sue stanze con l’abito nero incollato al corpo, diventato quasi blu per l’umido e il sudore che lo impregnavano.
L’unico desiderio, in quei momenti, era strapparsi di dosso i suoi vestiti: mai impresa fu più ardua!
Adorava gli innumerevoli bottoncini della sua redingote che gli fasciavano l’abito al corpo, ma erano tanti, troppi! Avrebbe dato qualsiasi cosa per poterli sostituire con una assurda, ma efficiente, chiusura a zip Babbana.
Ah, che meraviglia potersi rapidamente liberare di quella elegante ma torrida prigione, di quello scudo del suo colore preferito che non mancava anch’esso di contribuire a rendere spiacevole la bella stagione: il nero attirava come una calamita tutto lo spettro luminoso del visibile, infrarossi inclusi!
Insomma, se malauguratamente si avventurava fuori in pieno giorno, diventava una torcia umana, un calderone ribollente con braccia e gambe su cui si sarebbe potuto cuocere un uovo in camicia.
Non ne poteva più.


1° giorno
Blu pavone: pomeriggio



Il Professore si spostò, con innaturale lentezza, tra i corridoi del Castello diretto verso la sua serra personale che, a quell’ora del giorno, non era più investita in pieno dal sole.
Desiderava prepararsi in fretta una dissetante e rinfrescante bevanda con zenzero e foglie di menta, ma la stoffa del pantalone e le falde della sua redingote erano come intrise di calore e vapore.
Impossibile mantenere la sua proverbiale falcata sostenuta, si sentiva impantanato nei suoi stessi vestiti!
In un attimo di profonda disperazione, con le forze che sembravano venir meno, si nascose dietro un arco di pietra, sbottonò la lunga fila di bottoncini della giacca e una nuvola di vapore si disperse a rivelare la candida camicia che indossava sotto: bianco non era più il suo colore, piuttosto un tenue rosa perlaceo tendente al pervinca corrispondente al pallore della pelle che traspariva sotto la stoffa fradicia di sudore.
Il quel momento tra lui e l’Hogwarts Express non vi era alcuna differenza!
Guardandosi intorno con circospezione, si appoggiò col corpo ad una parete, e decise di rimanere nascosto giusto il tempo di recuperare un minimo di lucidità e respiro; non poteva rischiare di essere visto da chicchessia così trasandato, discinto!
Ma lui non era un uomo fortunato.

Appena aveva iniziato a respirare con più calma, udì una strana cantilena provenire dai corridoi.
Sbirciò dietro l’angolo del muro dove si era eclissato.
Sibilla Cooman si profilò all’orizzonte.
Si drizzò rapidamente, e con tutto il coraggio di cui era capace, riabbottonò alla massima velocità l’abito e recuperò il suo proverbiale contegno.
Non poteva evitarla.
Per non perdere altro tempo in futili convenevoli e vaniloqui, sfoderò la sua arma migliore: le rivolse uno sguardo di ghiaccio… ma non servì, il caldo aveva reso inefficace anche quello.
“Severus, buon pomeriggio”, lo salutò lei con un sorriso… solare.
La donna indossava una lunga veste che sembrava essere stata decorata da un artista pazzo: irregolari chiazze di colore verde, di varie sfumature, si sovrapponevano fra loro e si abbinavano a un lungo gilet della stessa inconcepibile fantasia; una camicia dalle ampie maniche a sbuffo completava il tutto e non mancavano le solite decine di collane e bracciali.
Il viso della Cooman appariva smunto, gli occhi, dietro le ampie lenti, ancora più grandi del solito.
Gli sembrava di aver incrociato una rana in una palude tropicale.
“Ero andata nella tua serra perché credevo vi avrei trovato del tè, ho finito il mio e dalla Sprout non ce n’era”, proseguì rapida lei, incoraggiata dallo sguardo stranamente meno freddo del solito di Severus.
“Non coltivo tè, Sibilla”, le rispose il mago, con una voce gelida che il calore esterno vaporizzò all’istante.
“Oh, mi dispiace, non ne hai un po’ nel tuo studio? Lì di sicuro è più fresco e potresti offrirmene una tazza. Potrebbe essere una buona occasione per fare due chiacchiere”.
“Chiacchierare e bere del tè bollente sono le ultime due cose che farei al mondo in questo momento, Sibilla. Se non ti dispiace, ho da fare”.
“Ma, Severus, io e te non abbiamo mai occasione di parlare un po’, vorrei tanto leggerti i fondi del tè”.
“L’unico fondo che vedrai oggi”, sibilò Snape, portando il suo viso a pochi centimetri da quello della povera donna, ora rosso e imperlato di sudore, “è quello di questo corridoio. Percorrilo tutto e in fretta, allontanati da qui, fa caldo!”.
La verde ranocchia si diresse, lesta e a testa bassa, fuori portata da quello scontroso del suo collega.
Dopo essersi scrollato dalla mente quella umida e appiccicosa visione, Snape riprese a marciare verso la serra.

L’unica parte di sé che non sembrava risentire della costrizione fisica imposta dalla calura era la sua mente. I pensieri vorticavano veloci, forse nel tentativo, vano, di creare essi stessi un refolo di vento per il cervello.
No, il suo cervello non si fermava mai.
Per arrivare al suo personale orto, e non rischiare altri incontri indesiderati, dovette passare accanto ai vivai di fiori della Sprout.
Un improvviso, penetrante odore gli invase le narici, ebbe un altro capogiro.
L’aria calda e l’intenso profumo smaterializzarono la sua mente trasportandola a un lontano e doloroso passato.
L’estate era stata per lui una stagione spensierata, quando, all’età di quasi nove anni, aveva stretto amicizia con una deliziosa bambina dal volto ricoperto da una miriade di lentiggini e con gli occhi verdi più belli dell’universo. Erano inseparabili, due creature tanto diverse, ma affini tra loro per un dono che condividevano: erano magici e stavano scoprendo insieme, passo dopo passo, le potenzialità dei loro poteri.
Dopo i primi anni alla scuola di magia le cose cambiarono in modo drastico.
Da quel maledetto momento ogni estate per lui era solo una serie di giorni noiosi che trascorrevano invariabilmente in solitudine e sembravano non finire mai.
Ora Severus si sentiva così, spento, sopito, come se ogni emozione si fosse ‘’congelata’’; un’immobilità necessaria per risparmiare energie, per non farsi abbattere dall’onda termica che gli cuoceva il corpo, ma non gli scaldava l’anima.
E ci mancava Sibilla Cooman per fargli rimpiangere ancora la spensieratezza di quegli anni lontani.
Nella sua serra privata raccolse erbe, radici e germogli; si rifiutò di annusare ognuno di essi, non voleva sostituire quel profumo che ancora avvertiva nelle narici.

Blu oltremare: vespro



Giunse la sera, ma non portò con essa la tanto bramata frescura.
A cena avrebbe dato qualsiasi cosa per poter avere uno di quegli strani oggetti rotanti che Ron Weasley stringeva tra le mani. Di sicuro un manufatto Babbano rubato alla collezione del padre.
Si chiedeva perché mai gli immensi finestroni della Sala Grande non potessero essere spalancati per consentire all’aria di entrare. Per giunta, la volta della Sala avrebbe almeno potuto mimare un cielo blu oltremare in piena tempesta o una tormenta di neve! Chissà se la suggestione poteva essere d’aiuto.
Doveva assolutamente chiederlo ad Albus!
Il vecchio Preside era tutto preso a conversare con la McGonagall. Entrambi indossavano strane tuniche di un’impalpabile stoffa che lui sapeva chiamarsi raso di cotone: quella di Albus era blu reale e decorata con astri e costellazioni, quella di Minerva con bianche nuvole sul corpetto e gabbiani sulla gonna. Mah!
Guardò da entrambi i lati del lungo banco dei docenti, nessuno sembrava soffrire il caldo!
Tutti gli insegnanti, con l’arrivo della bella stagione, modificavano i propri abiti scegliendone di più freschi, intessuti di stoffe più leggere: la Sprout, sempre ‘rustica’, indossava un’improbabile completo di lino composto da un pantalone corto alla caviglia e da una camicia color verde bosco; la Professoressa Sinistra aveva sostituito la sua routinaria veste decorata a motivi astronomici con un abito di una strana stoffa a strati, quasi trasparente, tinta in vari toni di celeste e azzurro.
Gli studenti poi, non ne parliamo: pantaloni corti, gonne svolazzanti e camicette quasi inesistenti.
Nessuno vestiva di nero, nessuno era coperto più del necessario.
Insomma l’apoteosi del cattivo gusto!
Eh no, lui, per Salazar, odiava quel vezzoso sfoggio di vestiti, quel copiare l’assurda abitudine del mondo Babbano di variare l’abito più volte durante la giornata, a ogni cambio di stagione, o ad ogni occasione mondana. Il massimo che giustificava era un abbigliamento più elegante per il Ballo del Ceppo a Natale.
Non riusciva a vedersi con indumenti diversi, e perché poi? Era così a suo agio nella sua elegante redingote, che mai e poi mai si sarebbe visto con indosso una tunica, o uno chemisier o come per Merlino si chiamava quello strano vestito lungo.

Blu cobalto: notte



Quella notte non riuscì a chiudere occhio. Non per il caldo, come nelle notti precedenti, ma per uno strano senso di solitudine e di diversità che si stava facendo largo nella sua mente, già intristita dal tuffo nel passato di quel pomeriggio.
Rimase così a contemplare il soffitto delle sue ex-gelide stanze nei sotterranei del castello: un tenue riflesso blu cobalto colorava i mattoni disposti ad arco.
Era consapevole che, nei momenti di malinconia, l’essere umano ha bisogno di vicinanza, di amicizia; ma lui perché non cedeva a questa tentazione?
Se avesse trascorso anche pochi minuti con Sibilla, sarebbe riuscito a fuggire dal tedio di quel periodo?
Niente da fare. No, e poi no!
Preferiva stare solo piuttosto che ascoltare le deliranti predizioni di quella raganella che, tuttavia, doveva ammetterlo, era anche totalmente inoffensiva.
Tuttavia decise che, dopo la consueta riunione coi colleghi del mattino seguente, si sarebbe recato in Sala Grande accontentandosi del vociare allegro degli studenti, i pochi rimasti al Castello intenti a ripetere le lezioni delle materie per loro più ostiche.
Forse qualcuno, dotato di una buona dose di coraggio, si sarebbe avvicinato per chiedergli spiegazioni.
Però c’era sempre il rovescio della medaglia: i più coraggiosi, di solito, erano Grifondoro (occhi al cielo), esasperante!
A lui di pazienza ne era rimasta un’ombra fumosa, anzi, vaporosa.
Quel caldo soffocante lo stava rammollendo, non si riconosceva più!
I momenti di prostrazione fisica e annebbiamento della mente erano diventati un assillo molesto e inopportuno.
Basta, la misura era colma… del suo sudore!


2° giorno
Blu zaffiro



L’alba di un nuovo giorno lo colse nudo, steso sul pavimento dello studio, caldo, umido e appiccicaticcio, grazie anche alla condensa creata dai calderoni.
Ebbe l’impressione di essere diventato un tutt’uno con i grossi lastroni di pietra.
Incredibile!
Per la prima volta nella vita dovette dare fondo a tutta la sua forza di volontà per alzarsi e vestirsi.
Bramava il refrigerio dell’acqua fresca della doccia… ma per chissà quale perfido sortilegio, quel mattino c’era solo acqua calda! Ma quando mai!?

Verso l’ora di pranzo, inappetente per il caldo, si rinchiuse nella sezione della Biblioteca che conteneva i testi più antichi di incantesimi e pozioni.
Tra i vecchi saggi di magia doveva pur esserci un rimedio a quella tortura meteorologica!
Sfogliò, cercò, provò.
Giunse il crepuscolo.
Un pesante libro dal dorso in legno gli cadde in testa. Non era riuscito a pronunciare correttamente l’incanto per tirarlo giù dallo scaffale.
Era sicuro, qualcuno voleva punirlo.
Se fosse mai esistita un’entità superiore che governava e piegava il mondo al suo volere, avrebbe di certo scelto l’estate per ottenere i suoi scopi nei confronti di fedeli recalcitranti.
Era sfinito e, in più, si ritrovava con un bernoccolo in testa per un’improvvisa perdita di lucidità.
Per Salazar!
Tutte le sue ricerche ed elucubrazioni non gli avevano ancora risolto il problema nella sostanza: aveva caldo, un caldo terribile che gli procurava incresciosi capogiri. Non poteva permettersi di avanzare barcollando nei corridoi o, peggio, commettere errori tanto stupidi da fargli perdere tutta la sua autorità agli occhi degli studenti.
Doveva trovare una soluzione, in fretta.

Con l’irrefutabile evidenza che, cercando tra libri di magia, non avrebbe trovato nulla di utile al suo scopo, decise di avventurarsi in una delle sezioni proibite in cui mai si sarebbe infilato: ‘Usi e costumi dei popoli Babbani’.
Per lui sarebbe stato più corretto definirle sezioni ‘impudiche’, ma si era convinto che maghi e streghe usassero indossare abiti troppo stravaganti per potersi anche lontanamente considerare freschi e leggeri. Bastava guardare Minerva e Silente, loro avevano adottato un’equilibrata unione tra abbigliamento da mago e tenute Babbane.
Documentarsi su tipi di stoffe, usi e costumi di altri popoli divenne, così, la sua ossessione che riuscì a distoglierlo anche dalle sue amate pozioni.
Iniziò a sfogliare volumi su volumi, ricchi di immagini e foto esplicative: bermuda, pantaloni a pinocchietto, kaftani, costumi da bagno.
Immaginò tutti i suoi colleghi in tenuta da spiaggia, con prendisole e ampi cappelli dalle larghe falde.
Chissà perché pensò subito a Sinistra o alla Cooman vestite in quel modo.
Il caldo faceva strani scherzi.
Scosse la testa per scacciare quel pensiero inatteso e molesto.
Provò, allora, ad immaginare se stesso indossare uno di quei bizzarri modelli…
No, no, era impossibile, inorridiva al solo pensiero!

Lo sconforto per essere ormai certo di non avere alcuna alternativa gli procurò un sudore freddo che prese a colargli sulla fronte… un po’ di fresco!
Trasferì sulla scrivania, che aveva scelto per leggere in pace, un grosso volume.
Il libro, a contatto col tavolo, non sollevò neppure una microscopica particella di polvere, segno che veniva consultato di frequente.
Questo volume, dall’elegante rilegatura in pelle blu zaffiro, aveva attirato la sua attenzione: occupava l’intero ripiano in uno scaffale defilato.
Iniziò a leggere.

3° giorno
Blu di Prussia



L’indomani mattina si alzò di buon’ora. Voleva andare ad Hogsmeade, o, se non fosse bastato, anche a Londra.
Una borsa a tracolla conteneva un vecchio stradario della capitale, un ampio fazzoletto di stoffa per tergersi il sudore, e una borraccia piena della sua bevanda rinfrescante.
Partì.

Dopo ore di peregrinazioni inconcludenti, finalmente trovò il negozio che cercava; era stata un’impresa ardua.
Il commesso lo guardò in tralice e con un’espressione interdetta.
“Come posso aiutarla… signore?”
“Ho bisogno di un abito come questo”, Severus mostrò una foto che aveva ritagliato dal libro della biblioteca (un vero delitto, ma era allo stremo delle sue risorse).
“Ah, ho capito”, gli rispose il commesso, che tornò a guardare, da sopra i suoi pince-nez, lo strano ed inquietante uomo che aveva davanti. “Se mi consente una domanda, come mai acquista questo capo così in anticipo?”
“In anticipo per cosa? “, rispose secco e già infastidito Severus. Aveva fretta di tornarsene al Castello, proprio non si sentiva a suo agio a Londra e, per di più, avvertiva la schiena zuppa di un sudore bollente e appiccicoso.
Il tipo, facendo spallucce, sparì dietro una spessa tenda di panno blu di Prussia, posta alle spalle del bancone.
Severus, nel frattempo, si azzardò a guardarsi intorno. Ebbe un sussulto!
Immagini orrorifiche di stravaganti e inconcepibili abiti facevano bella mostra di sé nelle vetrine alle pareti del negozio.
“Ma questo è il peggio del peggio!”, esclamò tra sé.
Notò anche un abito che ricordava molto il suo: “Ah, bene, c’è ancora qualcuno che ha gusto nel vestire al giorno d’oggi! “, disse serafico a voce alta.
Un pesante fruscio di stoffa indicò il ritorno del commesso: tra le braccia aveva il suo abito nuovo!
“Vuole provarlo, signore?”
“No, lo prendo, mi dica quanto le devo”.
Improvvisamente si ricordò che non aveva con sé monete Babbane, -Per Salazar, sto proprio perdendo colpi, questo maledetto caldo! - , imprecò tra sé.
Si risolse allora nell’ennesima decisione sbagliata di quella giornata: -devo obliviare quest’uomo, non posso tornare a casa senza l’abito -.
Non poteva usare la bacchetta perché, per forza di cose, non l’aveva portata con sé.
Provando a concentrarsi, lanciò l’incantesimo in forma non verbale.

Al Castello di Hogwarts, quella sera a cena, quasi non mangiò: non stava nella pelle (anzi non stava nei vestiti) all’idea di indossare subito il suo nuovo abito, ma mantenne la calma. Di sera sarebbe stato inutile, lui doveva provarlo in pieno giorno, sotto il solleone!
Una volta a letto imputò la sua immutabile insonnia non al caldo, ma all’eccitazione della novità.


Epilogo
Blu indaco



L’intenso blu fiordaliso del cielo di quel mattino faceva già presagire una giornata più torrida della precedente perché, già a quell’ora, l’afa gli impediva di vedere il mondo a più di due metri dalla piccola finestra della sua camera.
Si fece portare la colazione fin nei sotterranei dagli elfi delle cucine.
Puntuale, alle otto si recò nell’aula dei professori, dove si sarebbe tenuto il collegio docenti per pianificare le lezioni dell’anno successivo.
Severus era distratto, fissava la clessidra sulla scrivania accanto alla finestra; spesso Minerva dovette richiamarne l’attenzione.
Lui doveva essere pronto per l’appuntamento.
L’ora si avvicinava.

Alle undici e trenta tornò nel suo studio.
Spalancò le porte del piccolo armadio che aveva in camera da letto.
Eccolo.
Ora sperava solo di riuscire ad indossare il suo nuovo abito nel modo corretto.

Con passo spedito si diresse verso il cortile centrale del Castello: l’esperimento aveva inizio.
Alle dodici in punto, nel cortile della scuola, una figura vestita di uno strano completo, pantaloni e ampia casacca completati da mantello, aveva iniziato a camminare avanti e indietro, fare strane rotazioni su se stesso, quasi danzare.
Improvvisamente il vociare che si udiva tutt’intorno si arrestò.
Decine d’occhi si voltarono tutti nella stessa direzione.
Qualcuno della casa dei Grifondoro, spaventato, corse a chiamare la Professoressa McGonagall.

“Signore?”, chiamò Minerva, arrivata a far parte del numeroso pubblico. “Mi scusi, chi è lei? Ha bisogno d’aiuto?”
L’uomo si voltò verso la donna, “Minerva sono io”.
“Io chi?”, chiese dubbiosa la Professoressa di Trasfigurazione, avvicinandosi cauta. Quella voce l’aveva già sentita…
“Minerva sono io, Severus.”
La McGonagall si portò entrambe le mani al volto. “Severus?? Tu? Ma, ma, come sei vestito?”.
“Cos’ho che non va? Non sono certo abbigliato peggio di te che indossi questa strana, svolazzante, camicia dai colori di dubbio gusto”.
“Il rosso e l’arancio sono colori meravigliosi, Severus! Allora, spiegami cos’è questo coso che hai in testa, mi pare si chiami turbante, e questo abito poi … “.
“Questo coso, come lo chiami tu, Minerva, si chiama tagelmust, e quest’abito viene indossato da centinaia d’anni da alcuni popoli Berberi per difendersi dal sole del deserto. Trovo che abbia un taglio confacente alla mia personalità e al mio stile, inoltre, mi protegge dal sole”.
“Ho seri dubbi che tu possa continuare ad indossare questo… vestito, senza incorrere nelle canzonature degli studenti, Severus”, replicò con voce sommessa Minerva per non farsi udire dal folto gruppo di ragazzi che li circondavano.
Stizzito dalla reazione di quella che credeva un’amica, Severus bofonchiò un’esclamazione incomprensibile, girò sui tacchi e se ne tornò nel suo laboratorio nei sotterranei.

Si liberò, con non poca difficoltà, del suo copricapo, svolgendo vari metri di stoffa di un lucente e profondo color blu indaco. Nel mentre si guardò in un piccolo specchio…
Come era possibile che il suo vestito non fosse di gradimento? Il colore gli donava particolarmente e, doveva ammetterlo, con indosso la tagelmust i suoi occhi risaltavano ancora di più nel pallore della pelle, in tutto il loro fulgido e tenebroso splendore.
Stava per farsi passare sopra la testa anche il resto dell’abito, ma, arrivato alla scrivania, notò che vi era poggiata una lettera in carta blu polvere indirizzata al “Castello di Hogwarts, Mr Severus Snape”.

“Gentile Signore, non è stato facile rintracciare Lei e il suo indirizzo.
La prego, cortesemente, di saldare il conto del costume da Tuareg prima della prossima settimana.
Distinti saluti

Mr. Lippincott,
Costumi per carnevale e feste in maschera”.
 
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Giorgy
view post Posted on 9/6/2021, 21:49




Carissima Kate, ho divorato la tua storia in pochi minuti. È STUPENDA🤣🤣🤣 prima di tutto ti faccio i miei complimenti per aver caratterizzato alla perfezione Il nostro Severus. ❤️
Andando avanti nella lettura ero sempre più curiosa🤣 e il finale è stato esilarante! Sono scoppiata dalle risate!!!!! Me lo immagino tutto felice e “fresco” , mentre passeggia per Hogwarts senza rendersi conto dell’abbigliamento poco consono🤣 Ti ringrazio con tutto il cuore ❤️ ne avevo bisogno.
Infine, la lettera dal negozio di costumi per Carnevale è stata la ciliegina sulla torta! ^U^ ^U^
 
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view post Posted on 10/6/2021, 02:11
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Pozionista provetto

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Sempre di notte. Sempre di corsa. nopitynonono


Titolo: Dernière danse
Autore: Ania_DarkRed
Data: giugno 2021
Tipologia: one shot
Rating: per tutti
Genere: generale, introspettivo, romantico
Personaggi: Severus Snape, Harry Potter, due "apparizioni" :woot:
Pairing: Severus/Harry
Epoca: post 7° anno
Avvertimenti: AU
Riassunto: Il mare era lì, camminava sui pensieri del mondo, li liberava per poi riprenderseli e lasciarli ancora andare, in un ciclo infinito che non avrebbe cancellato niente. Non avrebbe cancellato lui né i propri desideri.

Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. La trama di questa storia è invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.

I... il flusso di parole in corsivo è invece di mia esclusiva proprietà in quanto non c'entra nulla col mondo di HP ma è stato solo preso come ispirazione.

Ad un certo punto si parla di una musica ed è Run di Ludovico Einaudi (io lo amo, lo venero, eternamente sua :lol: <3) e ve la metto sotto da ascoltare:

Video




Dernière danse



«Ma poi perché ridevamo io e te?»
voci allegre, tra altra gente,
ma se dovessi avvicinarmi un po’ a te?
E se dovessi dirti ciò che sento davvero?
Un passo indietro.
Un altro.
Il tuo viso che si gira
ed io che corro via.


Aveva iniziato ad amare il mare senza alcun preavviso. Senza neppure accorgersene.
Di notte, solitario granello di sabbia nero, andava a confondersi spesso con un cielo che non restituiva alcuna luce, neppure sull’acqua addormentata.
Chiedeva silenzio.
Voleva silenzio.
Ingoiarlo fino a stare male.
Desiderava una morsa di quiete che gli serrasse le labbra, un ammasso di note mute che gli scivolasse lungo la pelle senza tralasciarne alcun lembo.
Lentamente avvicinò le dita della mano destra sulla bocca, socchiuse gli occhi e la spalancò appena, umida al suo stesso tocco mentre ne immaginava uno diverso, e scese, verso il mento e poi alla gola mentre la testa si piegò all’indietro, senza controllo.
La gola ardeva di mancanza. Di un respiro bramato nel buio.
Il bruciore di uno sguardo che gli urlava dentro e lo avvolgeva mentre il sonno non arrivava e le ombre sul soffitto si trasformavano in storie senza alcun lieto fine.
Il petto era quasi sotto il palmo pallido che scorgeva appena, s’insinuò tra la stoffa e i bottoni e strinse la sua stessa carne, così forte da farla gridare.
E desiderare di scendere ancora.
E allora aveva iniziato a desiderare che qualcuno sostituisse la propria mano mentre continuava la strada di pelle e abiti, un tocco che non era il suo cui doversi accontentare, cui doversi attaccare come erba cattiva sulla pietra.
Sentiva le ferite sottopelle, quelle piccole e bastarde compagne di vita che non avrebbero lasciato la sua vita infame.
Infame com’era lui, che si ritrovava a guardare il mare con una mano tra i pantaloni.
Infame com’era lui, che le mani gliele aveva messe ovunque prima di portargliele via, forse per sempre.
E infame come quella parola che continuava ad essere un coltello piantato tra le costole.
Il mare era lì, camminava sui pensieri del mondo, li liberava per poi riprenderseli e lasciarli ancora andare, in un ciclo infinito che non avrebbe cancellato niente. Non avrebbe cancellato lui né i propri desideri.
Si fermò per un attimo, le mani immobili, il respiro quasi spento, arrestò ogni tocco per guardare alla sua destra, qualcosa che nel buio si muoveva verso l’orizzonte scuro, forse era un pescatore che si allontanava in mare dopo aver lasciato un letto troppo caldo dove non faceva che sudare sotto la calura estiva, asfissiante persino la notte.
Avrebbe voluto seguirlo, andare in mare aperto a respirarne l’aria pura, ma rimase lì, bloccato, per poi accasciarsi sulla sabbia, seduto, ispirare tutta la salsedine e poi lasciare che ogni granello gli si attaccasse addosso, sulla pelle scoperta, tra i vestiti e in mezzo ai capelli.
Rimanere lì mentre le mani riprendevano a cercarsi qualcosa addosso come un’ultima danza prima di dire basta, di fermare il treno per far scendere quei maledetti pensieri.
Non sarebbe servito nulla, neppure andare dall’altra parte del mondo a cercare una qualsiasi pace, spingersi in posti remoti come un eremita ascoltando soltanto i suoni della natura, ma i suoni nella sua testa come li avrebbe cancellati?
Come si sarebbe strappato di dosso quegli occhi? Il modo in cui lo guardava.
Respirò a fondo l’aria del mare, l’aria della notte, cercando di non pensare a quando lo aveva trovato disteso tra gli alberi in mezzo alla Foresta Proibita.
«Cosa fa qui?» gli aveva domandato, con quell’espressione sul volto che era sicuro avesse e che avrebbe volentieri preso a schiaffi, quell’espressione che diceva lo so cosa provi per me, ma non posso farci niente, sono problemi tuoi, non miei.
E invece i problemi glieli aveva causati lui quando aveva iniziato ad avvicinarsi, quando aveva iniziato a farlo sorridere, a toccarlo un po’, per caso.
«Volevo stare solo» gli aveva risposto, senza neppure guardarlo. «E vorrei continuare ad esserlo,» ma lui gli si era seduto accanto, beffardo, e aveva iniziato a sfiorargli la mano destra poggiata mollemente sullo stomaco.
Lo aveva lasciato fare, per interminabili minuti, poi si era alzato ed era andato via. Scappato.
Ed era scappato ancora, dall’altra parte del mondo, e cercava di farlo anche lì, fuggire solamente dai propri desideri.

Corro a cercarti a lungo
fra gli alberi e le foglie
guardando il cielo
le risate di qualcun altro
e il profumo dei libri.
Forse nei luoghi sbagliati
per paura di trovarti davvero,
trovarti in mezzo alle statue
tra l’abbraccio dei colori,
per paura di fissarti gli occhi
e innamorarmi ancora un po’
di piccoli segni sulla pelle
e racconti che ancora non conosco.
Corro a cercarti a lungo
tra mille canzoni
guardando magliette
da poterti togliere
e poi stringere di notte.


Era tornato a casa, in quel piccolo rudere dov’era scappato mesi prima per stare da solo, per vivere in amplessi di silenzio per dimenticarne altri, per cercare di chiudere gli occhi senza sentire addosso labbra e respiri, quelle maledette dita che sapevano dove fermarsi, dove spingersi oltre.
La pozione che stava preparando, un esperimento per passare il tempo, continuava a sobbollire: ci sarebbe voluta un’altra ora e la notte continuava ad avanzare mentre il sonno, come spesso accadeva, non accennava ad arrivare.
Non era servito alcun rimedio da lui conosciuto e distillato, tantomeno qualche incantesimo – era difficile se non impossibile che funzionassero su chi li lanciava – a donargli ore ininterrotte di riposo.
Ogni volta che oscurava lo sguardo, lui era lì, il suo volto, i suoi occhi, la sua bocca; persino il modo in cui si sedeva o si sporgeva in avanti quando parlava con lui, il modo in cui si passava le mani tra i capelli ribelli, spingendoli indietro e anche in quel posto, ogni volta che era in quel letto vuoto, sentiva il desiderio di fare i medesimi gesti, mettere lui stesso le dita e tirare indietro fino a scoprirgli il collo e baciarlo, baciarlo a lungo.
Cominciò a darsi mentalmente dello stupido mentre con un libro si colpiva la testa, così forte da farsi male, ma non emise alcun lamento, continuava e basta, e ogni tanto gli veniva perfino da ridere.
Posò il libro e riprese in mano gli appunti e si accorse di aver calcolato male i tempi: la pozione avrebbe dovuto bollire senza essere rimestata e a quella temperatura per altre sei ore.
Sei. Non una.
Che diavolo aveva avuto in testa per aver commesso un errore così grossolano?
Sospirò a lungo, sempre più convinto di star perdendo ogni rigore e ogni logica che lo avevano sempre contraddistinto.
Decise di tornare alla spiaggia a guardare il mare, a godersi la sua calma scura sotto un cielo che mostrava soltanto una moltitudine di stelle.
L’aria era calda, la brezza del mare la mitigava appena, eppure poco più in là c’era un fuoco acceso e qualcuno che rideva lì vicino.
Lanciò un incantesimo per occultarsi alla loro vista e si avvicinò un poco per spiare, non sapeva il motivo, cosa lo spingesse a farlo, forse voleva soltanto distrarsi cercando di scoprire la vita di alcuni sconosciuti, conoscere la loro storia per dimenticare la propria.
Vide due donne che ridevano sedute davanti al fuoco, cercò di immaginare chi fossero, per quale motivo stessero lì a quell’ora della notte; forse anche loro cercavano un po’ di silenzio, godersi la notte e basta. Qualche ora insieme.
D’improvviso una melodia squarciò la muta oscurità, risuonarono delle note sulla sabbia per perdersi infine nel mare, lambire l’acqua e poi tornare indietro, verso di lui, dentro la propria carne fino ad avvolgergli il petto.
Era una musica lenta, di quelle che ti cullano quando sei sdraiato e ti spalancano i pensieri, che ti aprono il mondo sui desideri, su ciò che vorresti stringere e baciare, su quel volto e quella risata.
Aveva fatto la spia per anni, servito diversi padroni senza essere mai stato padrone di se stesso, guardava, ascoltava e poi riferiva semplicemente; ma in quegli istanti era come spiare se stesso, c’era qualcosa in loro che gli sembrava stesse urlando il proprio nome.
Si alzarono e a piedi nudi sulla sabbia fresca della notte, iniziarono a muoversi intorno al fuoco, prima distanti, ondeggiavano da una parte all’altra seguendo la musica.
I corpi si avvolgevano dei tasti di un pianoforte e delle variazioni di un violino, si riempivano dei suoni come di tenerezze e in quell’istante, nonostante fossero distanti, gli parve di essere di troppo, di osservare un momento soltanto loro, che non avrebbe dovuto corrompere con la propria presenza, eppure non riusciva a muoversi.
Quei movimenti che pian piano le avvicinavano, erano ipnotici, erano dolci come carezze e dolorosi come uno schiaffo; c’era un che di triste, di perdita e di abbandono.
Le loro mani che si univano erano uno strappo al cuore, erano lacrime anche se avevano labbra aperte alla notte, in attesa le une delle altre.
E quella musica assunse all’improvviso i contorni dell’errore.
Si arrestò inaspettatamente com’era iniziata, e lui voleva soltanto andarsene da lì, lasciargli quel momento com’era sicuro che lui non ne avrebbe più – mai – avuti, lasciarle in quel modo per sempre.
Si alzò sempre protetto dall’incantesimo e fece alcuni passi, lentamente, voltandosi per alcuni secondi a guardarle, poi gli diede le spalle e accelerò per sparire e basta.
Le due donne rimasero lì, col respiro corto, strette l’una all’altra. «Possiamo concederci un’ultima danza prima di tornare alle nostre vite distanti.»
Lui, però, quelle parole non le avrebbe mai sentite né avrebbe visto le lacrime scendere sul viso della più giovane delle due.

«Usciamo da questo letto?»
un sussurro appena, sulla bocca,
ma se usciamo e non potessi vederti più?
E se non dovessi più tenerti tra le braccia in questo modo?
Buio.
Respiri.
Una risposta nel silenzio
e il sorriso di entrambi.


La pozione era ormai pronta e non gli rimaneva che metterla dentro le ampolle ancora calda e poi attendere una settimana di riposo prima di provare la sua efficacia, ma una domanda che subito si fece, era dove l’avrebbe testata e soprattutto con chi.
Sbuffò, stanco, svuotato completamente.
Ormai era l’alba e la luce del sole iniziava a filtrare dalle finestre, lui, però, non aveva ancora chiuso occhio e in quel momento avrebbe dormito per settimane, per mesi interi senza ascoltare niente e nessuno, ma il giorno avanzava e lui era ancora lì con gli occhi spalancati.
Ritornò per un attimo a quel momento privato di cui era stato testimone, e si ritrovò a pensare a come sarebbe ballare sotto una notte estiva completamente scura, illuminati dai colori del fuoco, con qualcuno che si amava.
Stringerlo a sé, cercare un battito comune e poi abbandonarsi semplicemente alla melodia.
Estrasse un breve frammento di quel ricordo e lo lasciò defluire, poi puntò la bacchetta contro un ammasso gelatinoso e argenteo, un incantesimo sulle labbra: «Manifesta musica!» e quello stesso brano iniziò a diffondersi per la stanza.
Si sentiva tremendamente ridicolo e cominciò a ridere mentre le spalle si muovevano un po’.
«Per Salazar, Severus, come sei caduto in basso!» e si accasciò pesantemente sulla poltrona sentendosi un idiota.
Gli era capitato di ballare nelle stupide feste organizzate da Albus ad Hogwarts o quando era stato costretto a seguire l’etichetta dell’altro suo padrone.
Lo aveva fatto persino con sua madre quand’era bambino, in quelle ore in cui non c’era suo padre e insieme potevano passare momenti spensierati, anche se non lo aveva mai amato e lo faceva soltanto per lei.
Per sé, invece, non aveva mai ballato.
Non lo aveva mai fatto perché lo desiderava né con qualcuno con cui voleva stare davvero.
Sentì bussare alla porta e, anche se riceveva pochissime visite, non si premurò di far cessare quella musica, anzi, ne aumentò l’intensità sperando di cacciare lo scocciatore, ma quello non aveva alcuna intenzione di desistere e fu infine costretto ad andare ad aprire.
«Non ho intenzione di comprare nulla!» tuonò. Forse erano alcuni ragazzini che ogni tanto gli capitavano sull’uscio, quando aprì, però, non si ritrovò davanti nessuno di loro, ma un viso che conosceva benissimo.
La musica era lì e gli gettava addosso ogni desiderio, gli urlava contro e gli spalancava i pensieri nell’aria afosa che cominciava ad appiccicarglisi addosso.
«Balleresti con me?» gli era uscito, così, d’improvviso.
«Ok, io… aspetta, cosa?» gli occhi erano spalancati, l’espressione incredula.
«Ti ho chiesto se balleresti con me.»
Il mare non era lontano, e nemmeno la bocca.
 
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view post Posted on 10/6/2021, 06:26
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CITAZIONE (Giorgy @ 9/6/2021, 22:49) 
Carissima Kate, ho divorato la tua storia in pochi minuti. È STUPENDA🤣🤣🤣 prima di tutto ti faccio i miei complimenti per aver caratterizzato alla perfezione Il nostro Severus. ❤️
Andando avanti nella lettura ero sempre più curiosa🤣 e il finale è stato esilarante! Sono scoppiata dalle risate!!!!! Me lo immagino tutto felice e “fresco” , mentre passeggia per Hogwarts senza rendersi conto dell’abbigliamento poco consono🤣 Ti ringrazio con tutto il cuore ❤️ ne avevo bisogno.
Infine, la lettera dal negozio di costumi per Carnevale è stata la ciliegina sulla torta! ^U^ ^U^

Giorgy, tesoro, sei più veloce del vento! Sono felice di scoprire che il racconto ti ha divertita e ti ha fatto star bene <3. Anche io, come te, ho approfittato dell’occasione per evadere un po’ dagli impegni sempre pressanti e dalla stanchezza che aumenta, nonostante il sole che scalda le giornate preannunci svago e riposo. Mi rilasso allora così, scherzando un po’ col nostro amato Potions Master :lovelove:
Grazie 🌷
 
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view post Posted on 10/6/2021, 06:31
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Ania DarkRed
Dernièr danse

Cara Ania, hai tratteggiato alla perfezione, e con malinconia struggente, un’atmosfera surreale che mi ha immediatamente riportato alla mente una passeggiata su di una spiaggia di Vulcano: il sole ormai tramontato, il mare, talmente scuro da sembrare onice, che lambiva una spiaggia nera. Ho risentito il freddo e l’umido sotto i piedi e quell’aria salmastra e fresca che mi circondava. Il brano di Ludovico Einaudi (degno erede di Morricone😉) è evocativo e bellissimo, ti culla in un sogno che ho immaginato dolce e appagante, non tormentoso e oscuro come la folle passione che inonda la mente e il corpo di Severus. Questa è una delle volte in cui la tua ‘anima dark’ volteggia, anzi passeggia, leggera e provocante tra le parole e immagini create, tra lo scricchiolio dei granelli di sabbia e il frusciare delle carezze proibite di un amore impossibile. ♥️
 
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