Il luogo dei sogni
Titolo: Il luogo dei sogni
Autore/data: Ida59 – 3-16 marzo 2014
Beta-reader: nessuno
Tipologia: storia a capitoli
Rating: per tutti
Genere: introspettivo, sentimentale, fantasy, drammatico.
Personaggi: Severus e diversi Personaggi originali (Vestali del Tempio)
Pairing: nessuno
Epoca: Post 7° anno
Avvertimenti: AU
Riassunto: Ecco come e perché è nato il luogo in cui vivono i nostri sogni, alimentati dall’amore per Severus.
Parole/pagine: 15.245 / 38
Nota: Storia scritta per l’iniziativa “
Il Sensuale Tempio dei Bottoncini che Tirano” nell’ambito della
Severus House Cup del Forum “Il Calderone di Severus”.
Il personaggio da me interpretato è Ilya, la Vestale Maxima.
Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. Il personaggio originale, ove presente, i luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
Appartiene alla raccolta
"Il Tempio" composta da seguenti storie, poesie, haiku e tanka per celebrare il
Sensuale Signore del Tempio dei Bottoncini che Tirano.
- Perle nere - Poesie
- Alba radiosa - Poesia
- Colori nel sole - Poesia
- Le ali del sorriso - Poesia
- Sogno reale - Poesie
- Tanka del Tempio - Poesia
1 - Il luogo dei sogni - storie a capitoli (no pairing - personaggi originali)
2 - Non sei sola - storie a capitoli (no pairing - personaggi originali) Il luogo dei sogni
1. Risveglio
2. Realtà
3. Rivelazioni
4. Domande
5. Amore
6. Ricordi
7. Ilya
8. Il Tempio
9. Le Vestali
10. Occhi neri
Il luogo dei sogni
1. Risveglio
Severus Piton aprì gli occhi.
Era immerso in un riposante silenzio, l’aria fresca che gli carezzava il viso.
La gola non gli faceva più male; non bruciava ad ogni respiro, non c’era più alcun lacerante dolore quando deglutiva. Semplicemente, era come se Nagini non lo avesse mai azzannato strappandogli la vita a morsi crudeli.
Tastò piano il collo con le dita sottili; no, non aveva sognato: sotto la seta nera della sciarpa, una cicatrice, seppur lievissima, c’era, proprio là dove le zanne dell’orrido serpente l’avevano martoriato. Nemmeno tutto il dittamo del paiolo di Merlino, però, avrebbe potuto ridurre in quel modo la cicatrice dello squarcio che Nagini gli aveva inflitto: il segno appena accennato che sentiva sotto la punta delle dita sembrava quasi il ricordo della cicatrice che avrebbe dovuto esserci, come se fosse passata un’intera vita, come se quella fosse quasi una vita diversa…
Il mago sospirò piano socchiudendo per un breve istante gli occhi neri.
Era disteso su un comodo ed ampio giaciglio in un luogo semi aperto: sentiva l’aria fresca alitargli piano sul viso anche se vecchie pareti di pietra chiara lo circondavano. Si sollevò un poco sui gomiti, senza alcuna fatica; l’ampia stanza in cui si trovava era chiusa solo per tre lati: nel quarto vi era un’ampia apertura e all’ondeggiare della tenda bianca, di lino leggero, in parte tirata, intravvedeva alte colonne di pietra della stessa calda tonalità dei muri ed altri veli chiari e semi-trasparenti fluttuavre nella brezza che odorava di mare.
Vi erano pochi mobili, intorno a lui: solo due poltroncine dalla morbida imbottitura color panna ed un piccolo tavolino rotondo con una brocca d’acqua, un bicchiere ed un melograno aperto, alcuni chicchi rossi disposti con uno motivo runico su un piattino; vi era anche un cassettone col piano ricoperto da un lungo, candido cuscino ed un piccolo armadio; tutto era in legno chiaro e richiamava il colore accogliente della pietra levigata delle pareti e del pavimento.
Si rese conto di stare perfettamente bene e di non avere né fame né sete.
Si sollevò a sedere: era vestito di tutto punto, il lungo mantello ripiegato con cura su un seggiolino ai piedi del letto, macchia nera che contrastava col candore delle lenzuola e con la tonalità calda della pietra e del legno.
Sul tavolino vide una piccola coppa; si allungò per vedere meglio: conteneva piccoli cristalli semi grezzi. Il mago non si considerava certo un esperto in materia, ma conosceva piuttosto bene l’antico potere delle pietre: lo aveva studiato a fondo perché spesso le loro polveri entravano nella composizione delle pozioni che distillava e nelle lunghe sere trascorse da solo nel suo sotterraneo aveva letto molti libri sulle loro qualità magiche. Dal colore e dalla forma gli parve di individuare frammenti di smeraldo, topazio, opale. Con maggiore sicurezza individuò un grosso cristallo di kunzite dall’intensa e lucente tonalità rosa orchidea. Piena certezza ebbe per il cristallo di quarzo rosa, che troneggiava nella composizione, più grande di tutti gli altri messi insieme. Rimase perplesso dallo strano accostamento di gemme, tra l’altro anche preziose. Socchiuse gli occhi concentrandosi, cercando di ricordare il significato di quei cristalli: era certo che vi fosse un denominatore comune.
All’improvviso il nesso gli apparve chiaro nella mente: l’amore!
[1]Sollevò stupito un sopracciglio: chi mai si era preso la briga di comporre quella pregiata unione di gemme grezze? Tra i cristalli magici, il quarzo rosa era per definizione quello dell’amore, dell’amore vero e profondo. Si diceva che il suo potere sapeva penetrare nel cuore, a lenire il dolore di antichi traumi, a portare il perdono, a curare e a guarire. La kunzite, invece, era reputata in grado di spezzare qualsiasi blocco emotivo nell’area del cuore. I maghi che conoscevano davvero l’antica magia delle pietre affermavano di poter vedere e guarire anche le più profonde e dolorose emozioni delle ferite del cuore.
Severus scosse la testa, turbato.
Le altre gemme preziose, invece, semplicemente simboleggiavano l’amore: l’amore eterno risplendeva nei bagliori dell’iride all’interno dell’opale “nobile”; l’amore fedele risiedeva nel verde intenso del fragile smeraldo; l’amore ardente bruciava nell’oro splendente del topazio.
Scosse di nuovo il capo davanti a quello strano enigma e si alzò dal letto: i piedi nudi assorbirono con piacere il tepore del liscio pavimento di pietra. Indossava qualcosa di molto simile al suo consueto abito nero, ma la stoffa era molto più leggera, simile a seta sottile che fasciava il suo petto, la lunga fila di bottoncini perfettamente allineata.
Ai piedi del letto, di fianco al mantello, c’era anche la sua bacchetta, nera e sottile: tese le dita ed il legno magico, obbediente al suo silenzioso comando, gli volò nella mano; raccolse il mantello e con un gesto elegante se lo pose sulle spalle. Si guardò intorno, controllò anche sotto il letto, ma le scarpe proprio non c’erano.
Sotto il giaciglio, però, c’erano due basse ciotole che contenevano altre pietre; le appellò per osservarle meglio: fluttuarono nell’aria seguendo obbedienti la punta della bacchetta e si posarono sulle candide lenzuola. Severus si inginocchiò per un esame approfondito; questa volta non ebbe difficoltà a riconoscerle: erano tutte pietre magiche dai riconosciuti poteri curativi ed energizzanti. La ciotola più piccola conteneva cristalli di crisocolla verde-azzurra e di agata blu, ottimi per ridurre e controllare gli stati febbrili. La ciotola grande conteneva raffinati cristalli di granato rosso e di corniola di un bel rosso-arancio, prismi di ametista viola scuro, di azzurrite dall’intensa tonalità indaco dell’imbrunire e di trasparente cristallo di rocca, alcune lucenti sferetta di pirite e un ciottolo ben levigato di diaspro sanguigno con evidenti inclusioni rosse.
Erano tutte potenti pietre magiche legate al sangue.
La mano del mago corse di nuovo alla gola in un gesto quasi del tutto inconscio.
Qualcuno lo aveva curato con quei cristalli, cercando di rigenerare la gran quantità di sangue che aveva perso nella Stamberga Strillante, purificandolo dal veleno di Nagini e poi ossigenando, rafforzando e stabilizzando la sua circolazione sanguigna. Doveva essere stato un lavoro lungo e complesso che aveva richiesto molte energie magiche. Probabilmente era stato curato da un vecchio stregone molto potente, conoscitore dell’antica magia delle pietre.
Per un istante nella sua mente apparve l’immagine sorridente di Silente, gli occhi azzurri luminosi e sereni dietro le piccole lenti a mezzaluna. Severus sospirò appena, con rimpianto: chissà, magari Albus conosceva qualche decrepito druido sopravvissuto al tempo
Stava per rialzarsi, quando un lieve rigonfiamento a lato della federa del cuscino attrasse la sua attenzione. Qualcosa era nascosto nel bordo, cucito con lunghe gugliate di uno scuro filo sottile. Il mago si avvicinò di più e sgranò gli occhi per lo stupore: non era un filo, era un lungo capello castano intriso di una gradevole essenza di caprifoglio! Con delicatezza, per non spezzarlo, divaricò i bordi e vide le rune incise su levigate piastrelle di onice marrone. Riconobbe subito i simboli, senza alcuna fatica: era un potente ed antico incantesimo druidico di guarigione e di rigenerazione fuso con uno di protezione.
[2]Severus si rialzò, sempre più stupito dalla misteriosa presenza che lo aveva curato: e se fosse stata una donna?
Uscì con circospezione dalla stanza, quasi senza neppure sfiorare il lino trasparente della candida tenda.
La bacchetta era pronta nella sua mano, ma il mago aveva la sensazione che nessun pericolo si aggirasse tra quelle vecchie mura che odoravano di mare e di sole, anche se, sotto a tutto, distingueva anche un sentore intenso di molte erbe diverse, l’amaro della polvere estratta dalla corteccia di salice
[3] a prevalere su tutte: era sicuro che da qualche parte, lì vicino, nei giorni passati molti calderoni fossero stati a lungo all’opera anche se ora non ve n’era più alcuna traccia.
Il silenzio che lo circondava, trasportato dalla brezza tiepida, aveva in sé qualcosa di magico, di insolitamente incantato: risuonava di tranquilla serenità mentre l’aria vibrava di magia potente.
Riportò la mano al collo ed allentò la sottile sciarpa di seta nera, quasi a controllare che il lieve segno della cicatrice fosse ancora lì: no, non stava sognando, nonostante quella strana sensazione che lo circondava, quasi piacevole, di pace e serenità..
Percorse piano l’ampio colonnato di quello che gli parve un vecchio tempio greco; in fondo, seminascosto dalle colonne, gli parve di intravvedere anche la parete circolare del tempio più interno, quello cui solo i sacerdoti potevano accedere. O le sacerdotesse. Severus sollevò stupito un sopracciglio: non sapeva bene il perché, ma quel luogo aveva un sentore di femminea dolcezza. Forse era solo l’organza leggera dei teli, dai colori delicati, che danzavano leggiadri tra le colonne accompagnati dalla brezza marina. O forse erano tutte quelle pietre legate all’amore che aveva trovato nella coppa sul tavolino. O il lungo capello che tratteneva le rune…
Si diresse a est, verso l’ampia uscita del tempio illuminata dal sole, il lungo mantello nero che accarezzava piano la pietra tiepida e levigata del pavimento.
Proseguì lento fino a stagliarsi sulla soglia, elegante figura, densa d’oscurità, avvolta dai raggi vividi del mattino inoltrato.
2. Realtà
Severus rimase un attimo immobile sulla soglia, quasi abbagliato dalla luce che lo avvolgeva, poi respirò a fondo il profumo del sole e del mare.
Nel respirare percepì qualcosa all’altezza del cuore, tra le piccole pieghe dell’abito che si erano formate sul suo petto: tastò con la mano e individuò una minuscola taschina la cui apertura era stata accuratamente cucita con un capello simile a quello che tratteneva le rune sul bordo della federa del cuscino; con un veloce incantesimo a fior di labbra superò la fragile barriera e con le dita estrasse due piccoli cristalli, dei sottili prisma di trasparente quarzo rosa e di lucente kunzite dall’intensa colorazione rosa.
Rimase ad osservarli a lungo, rigirandoli fra i polpastrelli, sempre più sconcertato: qualcuno aveva voluto posarli proprio lì, sul suo cuore. Qualcuno che probabilmente ne conosceva in modo preciso il potere.
[4] Era piuttosto turbato e si chiese con timore se quel mago, o forse era meglio dire quella strega, conoscesse anche i segreti del suo cuore. Infine rimise a posto i cristalli sigillando la taschina con la magia.
Severus scese piano i pochi gradini che immettevano in un largo spiazzo erboso disseminato di sedili di marmo bianco ricoperti da morbidi cuscini color panna; percorse altri passi volutamente lenti, l’erba soffice che gli carezzava le piante nude dei piedi, ed infine si girò: sì, alle sue spalle si ergeva un tempio di fattura greca, perfettamente conservato, l’arioso porticato delimitato da una doppia fila di colonne, in marmo chiaro quelle esterne.
Il volto pallido del mago, incorniciato dai lunghi capelli corvini, denotava intenso stupore, i profondi occhi neri spalancati su tutta quella luce.
Tornò a guardarsi intorno.
Il tempio si ergeva sull’altura di una piccola isola boscosa. Dietro alle colonne, in fondo sulla destra, un cancello senza alcun recinto immetteva in quello che doveva essere il giardino del tempio, dove erano coltivate con cura piante officinali e curative: a intervalli, quando il vento cambiava direzione, il suo naso dall’odorato ben addestrato individuava senza alcuna fatica il loro profumo. Il mago annusò l’aria: in quell’istante era il sentore della malva e della lavanda a prevalere su tutto, ma in precedenza aveva distinto anche l’achillea febbrifuga e cicatrizzante e l’acanto protettore dei luoghi sacri; e aveva colto anche il profumo intenso del gelsomino, notturno fiore dell’amore.
Spaziò in ogni direzione con lo sguardo nero scintillante nel sole: intorno e sotto di sé distingueva solo il verde scuro delle fronde degli alberi che brillavano al sole mescolandosi con l’argento delle foglie degli ulivi.
Come immensi stendardi verdi e argento, i colori della Casa di Serpeverde lo accoglievano circondandolo protettivi. Tutto intorno c’era solo l’immensità del mare e del cielo che separavano quella strana isola incantata dal mondo.
Ridusse gli occhi ad una scura per guardare più distante, la mano a proteggerlo dal riverbero del sole che brillava alto nel cielo: in lontananza, sull’orizzonte tutto intorno all’isola, distingueva una bruma leggera, dove i confini del mondo, o della realtà, sembravano sfumare nel nulla.
Di nuovo il mago portò la mano alla gola, cercando il contatto con una concretezza che sembrava sfuggirgli dalle dita, gli occhi neri immersi in una luce intensa che, però, non lo infastidiva.
Severus tornò di nuovo verso il tempio e si sedette sulla pietra tiepida dei gradini cercando la riposante ombra delle colonne, circondato dalla brezza silenziosa che odorava di mare e di pace. Si appoggiò con le spalle al marmo fresco del basamento del pilastro esterno e chiuse gli occhi.
Voleva pensare, concentrarsi: doveva capire cosa gli stava accadendo.
Cosa diavolo ci faceva lì, incredibilmente vivo, in quell’improbabile isola incastonata come in un sogno nel mare blu cobalto, seduto sui gradini di un tempio greco così perfetto da sembrare sorto per magia?
Perché non era invece immerso nell’odore acre del suo stesso sangue, definitivamente morto, sul pavimento polveroso della Stamberga Strillante?
Eppure… ricordava fin troppo bene il lacerante dolore delle zanne di Nagini che gli straziavano la gola. Con fatica trattenne la mano: sapeva che sotto la sottile sciarpa di seta nera c’era la cicatrice, ma era troppo piccola e leggera per essere il risultato di quel letale attacco.
All’improvviso, una musica dolcissima riempì l’aria e il mago spalancò gli occhi: Fanny!
Balzò in piedi e cercò la fenice con lo sguardo, gli occhi neri puntati verso il bosco a nord illuminato dal sole alle sue spalle, immenso stendardo verde e argento che ondeggiava sinuoso sotto la brezza marina. Continuava a sentire l’armoniosa melodia di Fanny, ma non riusciva in alcun modo a scorgerla.
Fu un lampo velocissimo e la sua mente lo riportò indietro, avvolto dal buio della sua cecità ed immerso nella sofferenza rovente dello squarcio alla gola: era lo stesso dolce canto che vibrava dentro di lui, che gli rendeva la vita strappata dai crudeli morsi, che leniva con fresche lacrime ogni bruciante dolore. Non aveva visto Fanny, quella notte nella Stamberga Strillante, gli occhi neri spalancati nel nulla dell’esistenza che sempre più scivolava via ad ogni goccia di sangue perduta; non l’aveva vista ma aveva udito il melodioso canto e percepito le lacrime scendere sul collo come incantato balsamo a lenire ogni sua sofferenza.
Si appoggiò con le spalle alla colonna, abbandonando all’indietro il capo, e deglutì il ricordo, chiedendosi se le fatate lacrime di fenice avrebbero potuto davvero salvarlo dal veleno di Nagini e rimarginare la profonda ferita lasciando solo la lieve cicatrice che aveva appena scoperto di avere.
Sospirando, volse di nuovo lo sguardo verso il bosco verde e argento, dove la musica continuava a risuonare melodiosa, il blu cobalto del mare scintillante nel sole come sfondo perfetto a tutto quell’inverosimile incanto.
Sì, il mago sapeva che le fatate lacrime di felice avrebbero potuto compiere quella potente magia, ma Fanny doveva aver pianto a lungo sul suo corpo quasi senza vita per riuscire a salvarlo. Perché lo aveva fatto? Chi l’aveva inviata? Silente era…
Severus chiuse gli occhi mentre un leggero tremito percorreva il suo corpo al ricordo del caro amico che non c’era più, che lui stesso aveva dovuto uccidere.
Un nuovo, lungo sospiro colmo di dolorosa amarezza aleggiò sulle labbra sottili del mago: sapeva bene quale forte vincolo aveva unito Albus alla sua fenice quando era in vita, ma poteva quel legame essere sopravvissuto alla sua morte?
A quanto pareva, la risposta a quella domanda era positiva. Fanny era intervenuta in suo aiuto, anche se lui non lo aveva chiesto; ma il mago sapeva bene d’essere sempre stato fedele a Silente: gli aveva dimostrato la sua più totale lealtà proprio obbedendo al suo ultimo e tremendo ordine. E gli era sempre rimasto fedele anche dopo averlo ucciso, continuando a compiere il proprio dovere in quell’orrenda recita che lo vedeva preside dei Mangiamorte, traditore ed assassino del suo unico amico, dell’uomo cui aveva imparato a volere bene come al padre che mai aveva realmente avuto.
Severus conosceva bene le parole di Albus e le sue promesse; gli pareva quasi di sentire ancora la sua voce pacata nelle orecchie:
“Io avrò veramente lasciato la scuola soltanto quando non ci sarà più nessuno che mi sia fedele… AHogwarts chi chiede aiuto lo trova sempre “[5]Silente non aveva mai lasciato Hogwarts: troppe erano le persone disposte a mostrargli la loro lealtà fino alla morte! Ed una di quelle persone era stato proprio lui, Severus Piton, l’uomo che l’aveva ucciso ma che si era lasciato uccidere dall’Oscuro Signore senza pronunciare le parole che avrebbero potuto facilmente salvarlo, senza rivelare il segreto della Bacchetta di Sambuco, salvando così la vita a Draco e perdendo la propria, lasciando però al giovane Potter quel piccolo vantaggio che, forse, poteva permettergli di vincere.
In fin dei conti, era del tutto conscio d’aver compiuto la stessa scelta che Lily aveva operato tanti anni prima: aveva semplicemente deciso di morire per dare al ragazzo, al figlio che non era suo, la possibilità di sopravvivere. Chissà cos’era accaduto, poi, se Harry era riuscito a sconfiggere ancora una volta il Signore Oscuro, se il suo sacrificio non era stato vano…
Le ultime note dell’armonioso canto di Fanny si persero nell’aria tiepida colma di sole ricordandogli che, in effetti, era ancora vivo, o così almeno gli pareva, anche se non era proprio certo di trovarsi davvero nel mondo reale.
Il mago volse di nuovo lo sguardo verso la perfezione del tempio, poi lo allargò all’incanto dei boschi verdi e argento fino ad abbracciare l’abbagliante blu del mare che si perdeva nella bruma indefinita all’orizzonte: scosse piano il capo sollevando scettico un sopracciglio, quindi tornò a sedersi sui gradini, all’ombra della prima colonna esterna, e chiuse gli occhi concentrandosi, cercando di ricordare cos’era accaduto dopo il salvataggio da parte di Fanny.
Ricordò che il canto della fenice era terminato in una lunga nota acuta, intensa e struggente, e lui era rimasto di nuovo solo, nel buio silenzioso che lo avvolgeva. Cercò di sforzarsi, di ricordarsi chi l’avesse portato fuori dalla Stamberga Strillante, e poi curato, accudito, guarito del tutto ed infine trasportato lì, in quel luogo che ad ogni passo vibrava di magia, una magia potente che il mago non riusciva ad individuare, a riconoscere.
In quel luogo dove, nel luminoso silenzio, risuonava la pace.
Tornò al buio privo di rumori dei suoi ricordi, che si protraeva tetro e cupo, colmo di disperazione, privo della luce verde di quelle iridi in cui aveva creduto di spegnere per sempre il nero stanco e profondo dei propri occhi.
Poi, all’improvviso, colse le voci.
Dapprima solo una, sempre la stessa, decisa e determinata, ma anche commossa e venata di emozione intensa, un turbamento di cui Severus non riusciva a comprendere il significato.
Poi tante altre voci, vicine e lontane, colme della stessa, incomprensibile emozione della prima.
Voci di donna.
Di nuovo la prima voce: pronunciava parole d’amore e lo chiamava, insistente, forse spaventata; non voleva che morisse e ripeteva il suo nome, ancora ed ancora, con amore, con intensità, con infinita dolcezza, come nessun altro, mai, lo aveva pronunciato.
E poi le altre voci femminili, ancora, lo chiamavano accorate e turbate: tutte ripetevano con dolce ostinazione che doveva vivere, che anche lui aveva diritto ad essere amato, ad essere felice… E il suo austero nome risuonava come una dolce melodia d’amore sulle loro labbra.
Il mago spalancò gli occhi neri, confuso dalla forza del ricordo, dall’intensità delle voci che echeggiavano nella sua mente.
In quell’esatto momento, Severus si accorse che le voci non erano più solo nei suoi ricordi.
3. Rivelazioni
Severus si rizzò velocemente in piedi girandosi verso il bosco a sud, il sole ad illuminargli gli occhi neri ed il lungo mantello che ondeggiava mollemente nella tiepida brezza.
Udiva voci, allegre risate e scalpiccio di corse tra gli alberi. Alcune donne apparvero presto dal folto del bosco, ridenti e spensierate, seguite più indietro da un gruppo più numeroso: indossavano abiti leggeri, a più veli sovrapposti di colori sgargianti, che ondeggiavano nell’aria per la corsa. Il rosso, intenso e brillante, distingueva la prima donna dai lunghi capelli castani, seguito dal tenue verde acqua, frammisto a bagliori di smeraldo, della seconda; poi spiccava il blu cobalto di una donna più piccola, quasi trascinata per la mano dall’entusiasmo di un’altra abbigliata in veli di cupo amaranto. A lato un’altra donna, alta e dalla corporatura robusta, avanzava incerta con una semplice tunica blu notte, mentre, quasi nascosta dietro un albero, perfettamente mimetizzata dai veli verde cupo e marrone, ve n’era un’altra. Dietro di loro, il gruppo s’ingrossava: veli gialli s’intrecciavano al porpora, verde scuro con l’azzurro chiaro, arancio frammisto al bianco, ed poi oro, rosso, indaco, argento, blu, panna, rosa di tutte le tonalità, dal più chiaro al viola, passando per il lilla: tutte le sfumature dell’iride coloravano il prato che dal bosco conduceva al tempio, dove il mago, macchia nera tra tutti quei colori, si ergeva elegante illuminato dal sole del mezzogiorno incombente.
La donna che guidava il gruppo, passionale rosso che spiccava sul verde dell’erba, si bloccò non appena lo vide, il sorriso felice sul volto accaldato dalla corsa. Quasi fosse un comando silenzioso, anche le altre donne si immobilizzarono e risa e chiacchiericcio cessarono all’istante, il sorriso a rallegrare i loro volti, gli sguardi luminosi fissi sull’oscurità stupita del mago che non poté altro che credere d’essere nel bel mezzo di un impossibile sogno.
La donna il cui improvviso arresto aveva bloccato il gruppo, abbigliata d’antichi veli tinti di rosso vermiglio che svolazzavano leggeri nell’aria, riprese ad avanzare tranquilla, i lunghi capelli castani che sprigionavano riflessi ramati sotto il sole e un sorriso felice, che al mago parve quasi estasiato, adagiato sulla piccola bocca ben disegnata.
Lo fissava, guardava proprio lui, e si avvicinava sorridendogli.
La mano del mago tastò di nuovo la sottile cicatrice; nonostante i suoi ricordi nella Stamberga Strillante, nonostante le lacrime fatate di Fanny, quello poteva essere solo un sogno: nessuna donna gli aveva mai sorriso così, con quel sorriso colmo d’amore che mille volte aveva desiderato vedere sulle labbra di Lily, quel sorriso che brillava silenzioso sul volto della donna dai veli rossi, ma anche sul volto di tutte le altre donne.
Sì, un sogno, poteva essere solo un sogno!
- Benvenuto, Severus!
La voce, venata di grande emozione, si era fatta dolcissima quando aveva pronunciato il suo rigoroso nome, riuscendo a renderlo dolce come mai lo aveva sentito pronunciare.
No, non era vero.
Altre voci di donna avevano pronunciato il suo nome con altrettanta dolcezza… e amore! Erano le voci che risuonavano nei ricordi della sua mente, quando Fanny l’aveva lasciato solo, armoniose quasi quanto il canto della fenice.
La donna avanzò ancora, seguita alla spicciolata anche dalle altre, variopinti colori che riempivano il prato: ormai era solo a pochi passi dal mago.
- Sono felice…
siamo tutte felici, - disse, allargando il braccio e indicando anche le altre, - che tu abbia infine deciso di risvegliarti…
C’era qualcosa di non detto nelle parole della donna, qualcosa di importante lasciato in sospeso, avvolto nel mistero che la sua memoria non riusciva a penetrare.
- … e di accogliere il mio invito. Il
nostro invito.
La donna lo guardava fisso, sorridendo al suo evidente stupore di trovarsi in quello strano luogo.
I ricordi del mago erano confusi, popolati solo da dolci voci femminili e dall’emozione d’amore che gli trasmettevano con grande intensità. Amore… per lui, per un assassino. In quale sogno, mai, poteva accadere una cosa simile?
- Non ricordi nulla, Severus?
Il sorriso persisteva sul volto della donna abbigliata con una raffinata tunica di impalpabili veli rosso vermiglio sovrapposti, fermata in vita da un’alta cintura sempre rossa, in parte simile ad un chitone greco e perfettamente in tema col tempio sui cui gradini si trovavano. I capelli castani scendevano inanellati in lunghi riccioli morbidi sulle spalle e sul petto e il sole vi traeva riflessi ramati. Anche le altre donne si erano ormai avvicinate, anch’esse vestite in modo simile all’antica moda greca, ognuna con una tunica a veli leggeri e sovrapposti dello stesso colore o di tonalità similari, alcune anche con corte mantelline svolazzanti in colori a volte contrastanti all’abito. Erano di tutte le età, ragazzine e donne mature, di statura e corporatura completamente diverse tra loro.
Ma tutte lo guardavano sorridenti, con amore, quasi adoranti.
Il mago, in tremendo imbarazzo in quel consesso esclusivamente femminile, non ricordava nulla. Nei suoi ricordi aleggiavano solo voci, voci di donna. Voci colme d’amore. Voci adoranti che lo chiamavano, che gli indicavano la strada, che lo imploravano di scegliere di vivere.
Un sogno, solo un sogno assolutamente folle, non poteva esserci altra spiegazione per Severus che, gli occhi neri sgranati, fissava le donne quasi senza respirare.
- No, non ricordi proprio nulla… - sospirò la donna in rosso scrollando rassegnata il capo e inclinandolo un poco da un lato, permettendo così al sole di illuminarle gli occhi verdi screziati d’ambra.
- Era la notte della battaglia di Hogwarts, pochi instanti dopo la concessione della tregua di un’ora da parte di Voldemort. - cominciò a raccontare con voce sicura. - Come molti altri, da Hogsmeade stavo recandomi al castello, per aiutare a difenderlo dall’ultimo attacco. All’improvviso, un lampo vermiglio ha squarciato la notte davanti ai miei occhi, svanendo dentro la Stamberga Strillante dopo aver divelto le assi che chiudevano una finestra.
Il mago sapeva bene di quale particolare momento si trattava.
- Mentre mi inerpicavo per la strada, ho udito una musica bellissima levarsi dalla catapecchia e ho intuito che si trattava della fenice di Silente.
Gli occhi della donna si fecero grandi, languidi, brillanti di lacrime:
- Era per te che piangeva, Fanny. Per l’uomo che più d’ogni altro era stato fedele a Silente.
Sempre. – aggiunse con voce incrinata da un’intensa commozione. – Io ho visto le sue lacrime fatate scendere come liquidi cristalli sul tuo collo squarciato, ho visto la magia di guarigione compiersi davanti ai miei occhi spalancati…
Severus fissava la strega, immobile, rapito dalla sua voce.
La ricordava, ora, quella voce.
Era nella sua mente, nei suoi ricordi sepolti, in sogni mai sognati.
Era la voce colma d’amore che pronunciava il suo nome nel buio di quella notte di morte, che lo ripeteva insistente ed ostinata richiamandolo alla vita; era la voce che aveva aggiunto le sue lacrime a quelle di Fanny e aveva reso dolcissimo il suo nome, la voce che aveva fatto cessare il freddo tremendo che lo avvolgeva in quella oscura vigilia di morte.
- Ti ho portato via, Severus, ho usato tutta la mia magia per portarti lontano, per curarti, per farti tornare a vivere… - esclamò con enfasi colma d’amore, - ma non ci sarei mai riuscita senza di loro, - aggiunse voltandosi verso le amiche, - senza il loro grande amore per te!
Il mago ora fissava tutte le donne, gli occhi neri spalancati e le labbra dischiuse, incredulo davanti a quelle rivelazioni che davano infine un significato a tutte le voci femminili che aleggiavano nei suoi ricordi, quelle voci irragionevolmente colme d’amore.
Per lui, sì, proprio per lui.Lui, il Mangiamorte, l’assassino, l’uomo dall’anima lacerata che non meritava di vivere e di essere felice. Il mago il cui nome risuonava dolce e traboccante d’amore sulle labbra di tutte quelle donne sconosciute che gli avevano salvato la vita portandolo in un luogo pieno della loro potente magia.
L’amore.Portò la mano alla piccola taschina che conteneva i cristalli che l’antica magia dei druidi riteneva in grado di curare anche le ferite d’amore del cuore. E, per Merlino, se non era più che profonda la ferita del suo cuore!
Erano state quelle donne a inserirli nel suo abito, era di una di loro il lungo capello castano con il quale era stato cucito l’incantesimo con le rune nel suo cuscino: forse la strega con l’elegante tunica rossa, o forse quella con la mantellina marrone e la veste verde scuro che ancora cercava di mimetizzarsi tra gli ultimi alberi.
In ogni caso, erano state loro a curarlo, con il loro amore, con l’arcana magia delle pietre e con pozioni distillate con amorevole cura con le erbe di cui in quel momento, col vento che aveva cambiato direzione, sentiva provenire forte il profumo da dietro il tempio dove aveva intuito esserci un giardino.
[1] Le informazioni sulle pietre e gemme descritte in questo capitolo sono state tratte dal sito “Bethelux“
www.bethelux.it/pietre.htm, gentilmente segnalatomi da Ellyson.
[2] Le informazioni sulle rune sono state tratte dal sito “Bethelux“
www.bethelux.it/rune.htm, gentilmente segnalatomi da Ellyson.
[3] Fin dall’antichità alla polvere amara estratta dalla corteccia del salice bianco era riconosciuto il potere alleviare il dolore ed abbassare la febbre. Si tratta del principio attivo “salicina” ora conosciuto come acido salicilico; l’acido acetilsalicilico è conosciuto con il nome di aspirina.
[4] Per la spiegazione del potere dei due cristalli si veda il precedente Capitolo 1 – Risveglio.
[5] Harry Potter e la Camera dei segreti – Capitolo 14: Cornelius Caramell. Parole d Silente a Lucius Malfoy.
Edited by Ida59 - 17/12/2018, 19:13