Il Calderone di Severus

Ida59 - La via del perdono, Tipologia: Storia a Capitoli - Genere: Drammatico - Altro Genere: Introspettivo Avvertimenti: Nessuno - Epoca: HP 4^ anno - Pairing: Severus/Lily - Personaggi: Silente, Sirius, Caramel

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view post Posted on 3/5/2017, 21:09
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La via del perdono

 
 
Titolo:La via del perdono
Autore/data: Ida59 – 18 giugno-21 luglio 2014
Beta-reader: nessuno
Tipologia: breve storia in tre parti
Rating: per tutti
Genere: drammatico, introspettivo
Personaggi: Severus, Silente, Caramel, Sirius
Pairing: Severus/Lily
Epoca: 4° anno
Avvertimenti: nessuno
Riassunto: Stava per scendere all’inferno: era quella la via per il perdono.
Parole/pagine: 8.725 parole (8.383 senza citazioni dal libro), 20 pagine.
Nota 1: storia scritta per l’iniziativa “La Sfida olimpica”, specialità Tiro (storie di tenacia) nell’ambito della Severus House Cup del Forum “Il Calderone di Severus”.
Nota 2: la storia prende consistente ispirazione anche da ciò che è stato scritto, da me e da altri (Anastasia, Chiara e Nadia), nella discussione “Rileggiamo e commentiamo insieme HP4" una volta arrivati alla splendida pagina in cui Severus mostra il Marchio a Caramel, del Forum “Il Calderone di Severus”. Ringrazio quindi le amiche, in particolare Nadia che ha scritto con passione tante cose meravigliose nella discussione, che mi hanno permesso di attingere anche alle loro parole.
Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. Il personaggio originale, ove presente, i luoghi non inventati da J.K. Rowling e i versi di questa poesia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
 
 
 

Indice


Parte I
Ecco. Il Marchio nero

Parte II
Stringere la mano all’odio


Parte III
La promessa rinnovata




 

La via del perdono
 
 

Parte I

Ecco. Il Marchio nero

 
Il Marchio sul suo braccio bruciava, bruciava ancora, con feroce intensità, da più di un'ora ormai, ricordandogli dolorosamente tutte le colpe del suo passato e diffondendo tutto intorno una cupa ombra oscura che preannunciava una nuova tragedia imminente sul futuro del mondo magico.
Il Marchio bruciava e quell'idiota di Caramel si rifiutava, ostinato e troppo spaventato, di ascoltare la cruda verità che Silente gli svelava e, anzi, osava addirittura minacciarlo.
Non poteva permetterlo!
Senza quasi che il mago se ne rendesse conto, la sua mano destra aveva slacciato veloce, quasi con furia, i bottoncini della manica sinistra, lì dove il mai dimenticato bruciore del Marchio urlava alla sua anima il ritorno dell'Oscuro Signore; lì, sulla sua pelle chiara che un tempo lontano era stata innocente, dove per lunghi anni era sempre rimasto celato; lì, dove ora le spire dell’immondo serpente dell’oscurità  avrebbero mostrato a tutti il suo orrido passato denso di imperdonabili colpe.
- Se sei contro di lui, Cornelius, allora restiamo dalla stessa parte.[1]
Le parole di Silente risuonarono dure nell'aria tesa, come un ultimatum, come una dichiarazione di guerra.
Una guerra dichiarata dal bruciore intenso di quel maledetto Marchio col quale tanti anni prima un giovane mago alla ricerca di conoscenza e vendetta aveva rovinato la propria vita ed ucciso ogni speranza di futuro.
Una guerra in cui Severus Piton aveva deciso da molti anni da quale parte si sarebbe schierato, una guerra in cui il mago sapeva perfettamente qual era il suo dovere. E l'avrebbe compiuto, quel dovere, fino in fondo, a qualsiasi prezzo - fosse pure la sua stessa vita, che così avrebbe almeno acquistato un minimo di valore per la causa - perché era troppo importante l'obiettivo finale di salvare il mondo magico dalla folle crudeltà dell'uomo che, con lusinghe di sapere e potere, lo aveva indotto a perdere l'innocenza e dannare per sempre la propria anima lordandosi le mani di sangue.
Una guerra che Severus Piton era pronto a combattere con tutto se stesso: glielo si poteva leggere senza fatica nello scintillante sfavillio dei profondi occhi neri ora animati, anzi, quasi soverchiati, dalle potenti emozioni che si affollavano nel suo cuore; la sua coraggiosa determinazione era invece incisa nel profondo pallore, quasi luminoso, del suo viso incorniciato dai lunghi capelli corvini.
- Non può essere tornato, Silente, non è possibile... – piagnucolò flebile il Ministro.
Quel pavido di Caramel fuggiva la verità ma, come Silente invece aveva affermato con decisione, era necessario agire in fretta, il più presto possibile, e fare fronte comune contro il ritorno dell'Oscuro Signore.
Ben lungi dal non provare alcuna emozione, come tutti credevano e come lui stesso voleva che continuassero a credere, in quel momento il mago ne era invece completamente pervaso e non riuscì più a controllarle. Incapace di trattenersi oltre, in un istante si trovò parato davanti a Silente, deciso a sostenere le sue parole di fronte all'uomo che avrebbe dovuto difendere il mondo magico ed invece si ritraeva terrorizzato dalla verità, quella verità che bruciava con ferocia nella profondità della sua carne.
In quell’esatto momento, la maschera di gelida impassibilità costruita nel corso degli anni ed indossata ogni giorno con distaccata disinvoltura si infranse di schianto; con un gesto rapido Severus sollevò la manica della veste nera e, volontariamente e dolorosamente, tese con decisione l'avambraccio sinistro verso il Ministro:
- Ecco. Ecco. Il Marchio Nero.
Caramel si ritrasse con disgustato orrore alla vista del serpente che avvolgeva con le sue spire sinuose il teschio che spiccava, nero come la morte, a deturpare la sua pelle candida d’una innocenza da troppi anni perduta, tangibile simbolo delle sue colpe. Ma il mago continuò imperterrito, forte della sua decisione a perseguire l'unico obiettivo che contava davvero:
- Non è netto come un'ora fa, quando è diventato scuro, ma si vede ancora.
La voce uscì inaspettatamente roca e sofferta dalle sue labbra sottili, soverchiata dalle emozioni che ardevano tumultuose nel suo cuore per quel gesto terribile e potente che mai aveva compiuto prima e che mai avrebbe pensato di poter compiere. Quel gesto che rivelava a tutti la sua tremenda caduta. Quel gesto che doveva compiere perché non c'era altro modo per convincere l'idiota che dirigeva il mondo magicoche Voldemort era di nuovo la tragica realtà contro la quale dovevano lottare.Subito, tutti insieme, uniti.
- Ogni Mangiamorte è stato marchiato a fuoco così dal Signore Oscuro. Era un modo per riconoscerci, e per convocarci a lui.
Marchiato, proprio come unanimale, incatenato da quel Marchio come uno schiavo.
E un tempo lontano, ma mai dimenticato, il mago era stato crudele e feroce più di un animale; e si era inginocchiato più e più volte a baciare l'orlo della veste di tenebra del suo Padrone, mentre le catene lo stringevano e lo obbligavano a immolare nel sangue la sua innocenzalacerando per sempre la sua povera anima.
- Quando lui toccava il Marchio di qualunque Mangiamorte, dovevamo Smaterializzarci, e Materializzarci immediatamente al suo fianco.
Sì, anche lui, come tutti gli altri Mangiamorte, reso loro uguale dall’argentea maschera priva d’ogni espressione e dominata dalle scure orbite vuote, colme solo di morte; lui, che credeva d’essere loro superiore in intelligenza e conoscenza; lui, per questo immensamente più colpevole nella sua folle scelta volontaria.
Invece anche lui era diventato una bestia, proprio come ogni altro Mangiamorte, e aveva obbedito senza fiatare ai crudeli ordini di morte; e poi aveva chiuso forte gli occhi per dimenticare la propria umanità e si era tappato le orecchie per non sentire le urla strazianti in mezzo al cerchio bestiale che si chiudeva brutale intorno al falò, sanguinosa ferita rossa inflitta nel mezzo della notte nera.
Le parole che aveva appena pronunciato, accostando di nuovo se stesso a quel passato colpevole, lo avevano straziato a fondo. Era stato come ammettere davanti a tutti le sue orribili colpe, era stato come rivivere in quello stesso istante, con la coscienza di oggi, i crimini di ieri. Era il dramma della sua coscienza rinnovata che ogni notte con perfida fantasia creava nuovi incubi per tormentarlo con atroce crudeltà; era il lacerante rimorso che nel ricordo nasceva prima ancora della colpa stessa; era la spietata condanna nella consapevolezza dell’impossibilità del perdono per quei crimini di cui aveva fin troppo chiaro il peso ed il valore e che era determinato ad affrontare fino in fondo, pagandone il prezzo senza concedersi il minimo sconto, implacabile giudice di se stesso, incapace perfino di implorare perdono.
- È dall'inizio dell'anno che questo Marchio ha cominciato a diventare più evidente.
Giorno dopo giorno, il passato era tornato inesorabilmente in vita straziando a fondo la sua anima, esacerbando i rimorsied ampliando i rimpianti, soffocandolo col peso delle sue tremende memorie. Ricordandogli ogni sua giusta promessa, imprimendogli nel cuore il dovere che aveva liberamente scelto, con forza maggiore anche di quel dannato Marchio.
- Anche quello di Karkaroff. Perché crede che Karkaroff sia fuggito stanotte? Abbiamo sentito entrambi il marchio bruciare. Abbiamo capito entrambi che era tornato. Karkaroff teme la vendetta del Signore Oscuro. Ha tradito troppi dei suoi vecchi compagni per essere certo di essere il benvenuto.
Ma lui non era un codardo: era rimasto, anche se colui che aveva tradito era stato proprio l'Oscuro Signore in persona; e avrebbe continuato ad ingannarlo, convincendolo d'essere ancora un suo schiavo, sempre incatenato dall’orrida  serpe, nera di perdizione, che sfregiavano il candore della pelle del suo avambraccio. E invece era libero. Severus era libero di combattere dopo aver compiuto finalmente la scelta giusta, di lottare anche per la propria redenzione alla ricerca di quel perdono che ancora non riusciva a convincersi di meritare, nonostante tutte le accorate e ripetute assicurazioni di Albus.
Severus non era fuggito: era rimasto lì, nella sua amata Hogwarts, a spiegare, a tentare di convincere quell’idiota di Caramel che invece perdeva tempo prezioso; era lì, con l’avambraccio scoperto a mostrare con umiltà le proprie colpe, sentendosi quasi nudo, indifeso davanti a quella platea indifferente che si ergeva a tribunale ai suoi occhi neri traboccanti d’emozioni. Eppure, nessuna giuria sarebbe potuta essere più rigida e severa della sua stessa coscienza.
Severus lo sapeva fin troppo bene: quel tribunale lo aveva già giudicato a priori, tanti anni prima, quando ancora il segno indelebile del Marchio non c’era a bollarlo come diverso; loro stessi lo avevano marchiato come tale, rifiutandolo ed umiliandolo, relegandolo fuori dalle loro vite; loro stessi lo avevano condannato come Mangiamorte prima ancora che lo diventasse. Perfino Lily lo aveva reputato tale e, giudicandolo ormai perduto, lo aveva abbandonato senza rimpianto, chiudendogli la porta in faccia nel buio della notte. E nell’oscurità della notte, ormai solo, Severus era irrimediabilmente sprofondato.
Così, adesso, era facile per loro vedere solo quel Marchio in lui, quel Marchio che li disgustava e li portava a ritrarsi inorriditi; quel Marchio che, in un certo senso, loro stessi per primi gli avevano impresso indelebile, nel cuore e nella mente. A nessuno di loro importava realmente capire quanto potesse essere cambiato nel corso dei lunghi anni di solitaria e silenziosa sofferenza: la condanna sul suo capo di diverso rimaneva, inesorabile e inflessibile per quel passato imperdonabile che aveva appena mostrato loro e per il quale lui stesso continuava a tormentarsi e a soffrire in silenzio.
Senza rendersene conto, mentre riversava quel fiume di parole sul Ministro, Severus aveva alzato il mento, con fierezza, ed i suoi occhi neri fiammeggiavano, traboccanti di ardente determinazione.
Non era la vendetta che cercava, ma l'affermazione di sé come persona nuova, ben diversa dal giovane vendicativo che si era per sempre macchiato l'anima porgendo il proprio braccio all'Oscurità. Anche se tutti loro non lo sapevano, e magari neppure sarebbero mai stati disposti a crederlo, adesso il suo braccio era al servizio di Silente; combatteva per proteggere il mondo magico, che ancora e sempre lo rifiutava; lottava per respingere quell'oscurità che troppo a lungo lo aveva avvinto a sé rubandogli ogni cosa: non solo il presente ed il futuro, ma anche la speranza, la speranza del perdono.
Avrebbe combattuto per loro, fino in fondo, senza paura e senza cedimenti, anche se nessuno l’avrebbe mai saputo: lo aveva promesso, tanti anni prima, soprattutto a se stesso. Lo avrebbe fatto a qualsiasi costo, fosse pure stato a pena della sua stessa vita: perché nessun prezzo era troppo alto per un uomo che combatteva per la redenzione della propria anima, per cercare di raggiungere di nuovo la luce che aveva perduto quando aveva scelto di scendere nell'abisso infernale di Voldemort facendosi imprimere a fuoco, nella carne e nell'anima, quell'orrendo Marchio.
" … ci sono macchie che non vengono via, Piton. Macchie che non vengono mai via… “[2]
Così gli aveva detto Barthy Jr. sotto le mentite spoglie di Moody, minacciandolo, solo pochi mesi prima.
Ma non era vero.
Severus quella macchia maledetta se la sarebbe strappata via, un giorno, se non dalla carne almeno dall'anima. Sarebbe stato il giorno del suo riscatto e finalmente sarebbe stato di nuovo libero e, forse, anche in grado di perdonarsi. O, almeno, di sentirsi degno di implorare il perdono.
Era per questo che combatteva e che si era preparato così minuziosamente per tanti anni, quegli anni in cui aveva rinunciato a vivere richiudendosi nella fredda e silenziosa oscurità del suo sotterraneo: per riguadagnare infine la luce che aveva perduto quando aveva scelto le fiamme infernali di quel Marchio maledetto.
Alle ultime, fiere parole del mago, accompagnate da quel gesto colmo di sofferta dignità, Caramel si allontanò scuotendo la testa e Severus ebbe l'impressione che non avesse compreso una sola parola del torrente impetuoso che, incredibilmente, era uscito dalle sue labbra di solito sempre serrate in una stretta linea sottile. Lui, sempre così silenzioso e schivo, aveva quasi perso il controllo di sé e aveva investito il Ministro con quel fiume ininterrotto di parole, mostrando a tutti il Marchio Nero, orrido simbolo delle colpe del suo passato.
In quelle parole era racchiuso il suo mondo e la sua tragica storia; era il racconto straziato della sua scelta sbagliata e della sua inesorabile caduta, ma anche della sua nuova scelta, quella più difficile ma finalmente giusta, e della sua faticosa risalita; era tutto ciò di tremendo che quel Marchio significava per lui: era stato la sua condanna, ma sarebbe stato anche la sua sospirata redenzione. Era stato come mostrare la sua anima, nuda e inerme, era stato mostrare il suo vero se stesso a tutti gli altri.
Per quanto tremendamente difficile, aveva slacciato ad uno ad uno i bottoni che celavano la sua vergogna e sollevando la manica aveva mostrato a tutti l’orrore imperdonabile del suo passato; era stato come confessare ogni errore commesso su quella strada sbagliata imboccata per vendetta; era stato ammettere la sua straziante sofferenza per tutto ciò che aveva perduto.
Anche se loro, probabilmente, non avevano compreso nulla al di fuori dell’apparenza di colpevolezza sancita da quel ributtante sfregio nero inciso nella sua pelle chiara. Invece aveva offerto loro la possibilità di intuire la propria anima, di sfiorarla con la loro se avessero voluto, di vederla ed osservarne l’oscurità, ma anche la luce che vi brillava dentro. Solo per un istante, prima di ritornare a indossare la sua gelida maschera imperturbabile e recitare il suo ruolo oscuro, disgustandoli e facendosi odiare.
Eppure lo aveva fatto, senza la minima esitazione, per difendere la verità, lui sempre costretto a mentire e a mascherare se stesso negando perfino la propria umanità.
Lo aveva fatto per la propria lealtà a Silente, alla cui spaventosa verità Caramel non voleva credere; lo aveva fatto per la causa dell'Ordine e per la salvezza del mondo magico, perché Il mago sapeva fin troppo bene di cosa era capace Voldemort, e questa consapevolezza terribile gli bruciava nella carne, nell'anima e nel cuore, più ed oltre il Marchio del suo passato colpevole. Per questo si era umiliato davanti a tutti mostrando il simbolo della sua colpa, ma tutto sembrava inutile: Caramel stava fissando disgustato l'orrendo Marchio sul suo braccio, troppo spaventato dalla verità per riuscire a comprenderla ed accettarla.



[1] Tutte le battute, salvo specifiche note, sono tratte dalla parte finale del capitolo 36 di “Harry Potter e il calice di fuoco”.
[2] Battuta tratta dal capitolo 25 di “Harry Potter e il calice di fuoco”.

Edited by Ida59 - 5/5/2017, 21:38
 
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Parte II

Stringere la mano all’odio

 
 
Il Marchio bruciava, bruciava ancora, pretendendo imperioso la presenza del servo anche se il pavido Ministro se n'era infine andato e tutto, le sue parole gridate al mondo svelando le sue colpe ed il gesto che gli era così tanto costato, era stato inutile.
Il mago si era mostrato a tutti, l’anima nuda e vestita solo delle sue tremende colpe, e aveva offerto la vista del Marchio rompendo il suo isolamento e superando la sua tragica riservatezza solo in favore della causa. Era stato un duro, tremendo raffronto con se stesso, un drammatico confronto letteralmente giocato “sulla propria pelle”, il Marchio a rappresentare il suo personale dramma, la summa di tutti i suoi errori e delle sue colpe, l’impossibile convivenza con il se stesso imperdonabilmente colpevole che era stato. E a nulla valeva per lui il pensiero che, adesso, era un altro uomo, del tutto diverso; un uomo che aveva percorso la lunga strada dell’espiazione immerso in una terribile sofferenza; non contava neppure che il suo tremendo rimorso avesse lentamente ricucito ogni profonda lacerazione che la sua scelta sbagliata aveva inflitto alla propria anima. Ancora e sempre gli pareva che nessuna sofferenza fosse sufficiente a ripagare le vite che un tempo aveva tolto: nessun prezzo, mai, sarebbe stato in grado di rimettere in pari i piatti della bilancia, neppure l’offerta della sua stessa vita, proprio quella che in quel momento  cruciale si apprestata a fare.
Silente aveva impartito ordini a tutti, ma Severus sapeva bene qual era la parte che gli spettava, probabilmente la più difficile e di sicuro la più rischiosa: il mago era più che conscio che la sua vita era attaccata ad un filo sottile; quel lungo ritardo nella risposta al richiamo del padrone richiedeva  spiegazioni ineccepibili e molto convincenti, ma non era affatto sicuro che l'Oscuro Signore gli avrebbe concesso il tempo di fornirgliele. O, forse, poteva augurarsi che avesse deciso di ucciderlo molto lentamente, tra mille tormenti, lasciandogli così almeno la possibilità di parlare. La sua mente, del resto, era perfettamente pronta e l'Oscuro avrebbe trovato piena conferma di ogni sua lucida menzogna. Se solo fosse riuscito a parlare...
Eppure, Severus non aveva paura.
Era pronto, anche a morire se fosse stato necessario, anche se avrebbe in ogni modo cercato di proteggere la propria vita. No, non certo per sé, ma per loro: loro che lo avevano osservato in un silenzio attonito mentre rivelava il Marchio confessando le proprie colpe e mettendo a nudo la sua povera anima lacerata; tutti loro che adesso vedevano in lui solo un Mangiamorte, anche se non lo era più. Da tanto tempo.
Ma ciò che pensavano di lui non aveva alcuna importanza: lo avrebbero disprezzato ancora più di prima, lo avrebbero odiato sempre più a fondo e avrebbero avuto paura di lui; e tutto questo Severus sapeva che lo avrebbe letto il giorno successivo nei loro occhi. Se fosse stato ancora vivo per incontrare i loro sguardi colmi di sprezzante condanna.
Al mago dai lunghi capelli corvini, il cui viso sembrava risplendere nel profondo pallore, tutto ciò non importava. Sapeva bene qual era il suo dovere e lo avrebbe compiuto, indifferente al prezzo che gli sarebbe costato. Era sempre stato così, dal momento in cui aveva effettuato la Scelta giusta: prima il dovere e poi se stesso. E il suo dolore. E la solitudine portata dall’altrui disprezzo sempre cercato e sollecitato. Era il prezzo che doveva pagare per le sue colpe. E lo avrebbe pagato, fino in fondo.
Mentre ancora il suo cuore batteva forte soverchiato da mille emozioni, l'impossibile avvenne davanti ai suoi occhi sgranati e la signora Weasley fece un balzo indietro urlando:
- Sirius Black!
Severus rimase in silenzio, immobile, senza neppure respirare, un'espressione di rabbia mista a orrore dipinta sul volto pallido, gli occhi neri fiammeggianti:
- Lui!-ringhiò, fissando Black che gli rese uno sguardo altrettanto disgustato. - Che cosa ci fa qui?
Cosa diavolo ci faceva nell'infermeria proprio Black, l'uomo a causa del quale la sua Lily era morta, l'imbecille che aveva avuto la fottutissima idea di scambiarsi come Custode Segreto con Minus, l'infame traditore che poi aveva venduto all'Oscuro Signore la donna che amava? Perché Albus l'aveva permesso? Proprio in quel momento così importante per la causa, poi...
- È qui dietro mio invito, - disse Silente, quasi rispondendo alla sua domanda inespressa e guardando alternativamente con assoluta serietà i due maghi che si osservavano in cagnesco,  - come te, Severus. Ho fiducia in tutti e due. È ora che mettiate da parte i vecchi dissapori e vi fidiate l'uno dell'altro.
Il mago non riusciva a credere alle parole del preside. Vecchi dissapori? Black aveva cercato di ucciderlo e per anni non aveva fatto altro che tormentarlo con un continuo stillicidio di intollerabili scherzi, umiliandolo e rendendogli la vista impossibile: altro che vecchi dissapori!
É vero che il vecchio talvolta aveva delle idee molto originali e spesso azzardate, ma Black... no, Sirius Black era davvero troppo e Albus non poteva chiedergli così tanto, non proprio a lui: per dodici anni l'aveva odiato con tutta la disperazione del suo amore perduto credendolo il traditore della sua Lily e, anche ora che infine sapeva la verità, mai avrebbe potuto aver fiducia nell'uomo che da ragazzo aveva cercato di ucciderlo organizzando quell'odioso scherzo.
Da quando, l’anno prima, Silente gli aveva fornito le prove che il traditore di Lily in effetti era quel viscido topo di Minus, Severus non era mai riuscito a smettere di odiare Black. Nel lungo anno trascorso nell’ombra fredda e silenziosa del suo sotterraneo, mentre il marchio tornava a far vivere l’orrore del passato sul suo braccio, il mago aveva sempre cercato con caparbia ostinazione un nuovo motivo per continuare ad odiare Black, rinfocolando il primo motivo di odio, quello provato insieme al terrore a quindici anni, davanti ad un lupo mannaro completamente trasformato.
Naturalmente lo aveva trovato con facilità, il modo per continuare ad odiare senza soluzione di continuità il bullo che lo aveva tormentato durante tutti gli anni di scuola: era stato proprio quell’arrogante presuntuoso di Black ad avere la bella pensata, all’ultimo momento, di scambiarsi con MInus per confondere le acque; l’odiato Black aveva consegnato la vita di Lily nelle mani di quello schifoso traditore: era sua la colpa se Lily era morta!
Se lo era ripetuto mille volte, fino a crederci davvero, così aveva continuato tranquillamente ad odiarlo anche in quell’ultimo anno, quasi per abitudine, desiderando con tutto se stesso di provare ancora quell’odio feroce di cui per tanti anni si era nutrito: un odio profondo ed imperituro, proprio come era il suo amore  per Lily.
E ora il cane pulcioso di Black gli ricompariva all’improvviso davanti, proprio in quel momento difficilissimo, con il dannato Marchio che ancora bruciava dilaniandogli la carne e l’anima.
Gli occhi di Black gli rimandarono lo stesso profondo disprezzo che il mago a sua volta provava per lui; gli occhi azzurri di Albus, invece, pretendevano obbedienza. E dedizione alla causa. Albus gli chiedeva di mettere da parte non solo se stesso, ma anche lo strazio infinito per la perdita dell'amore della sua vita; gli chiedeva di dimenticare la sua Lily, di accantonarla pur di raggiungere l'obiettivo comune, l'unico scopo che realmente contava, ciò per cui durante quei lunghi anni si era preparato con severa determinazione. 
- Per il momento, mi basterà - continuò Silente impaziente, - che evitiate ogni aperta ostilità. Stringetevi la mano. Ora state dalla stessa parte. Abbiamo poco tempo, e se i pochi che sanno la verità non restano uniti, non c'è speranza per nessuno di noi.
Albus aveva maledettamente ragione e Severus lo sapeva. Doveva farlo, doveva dimenticare il suo strazio e accantonare la sua Lily, metterla in secondo piano. Doveva pensare solo all'obiettivo comune. Comune anche a quel dannato bastardo di Black.
Lentamente, molto lentamente, e senza mai smettere di fissare con odio Black, il mago avanzò di un passo per stringere la mano del ragazzo che a quindici anni aveva cercato di mandarlo a morire tra le fauci di un lupo mannaro e la cui sventatezza aveva causato la morte di Lily.
Certo, l'Oscuro Signore non avrebbe mai cercato i Potter se non fosse stato lui stesso a riferire quel frammento di profezia; Lily non sarebbe mai morta se lui non avesse scelto di farsi marchiare come una bestia diventando tale. In realtà, Severus sapeva di essere peggio, molto peggio di Black, e, soprattutto, infinitamente più colpevole.
Era vero, Potter e Black, insieme a tutti gli altri boriosi Grifondoro, durante gli anni di scuola gli avevano progressivamente rubato l’affetto e l’amicizia della sua Lily, ma poi era stato lui, solo lui, con la sua folle scelta sbagliata per l’oscurità, con quelle maledette parole riferite al suo padrone d’un tempo, a servire su un piatto d’argento, all’odiato Black, la vita e la morte della donna che non aveva mai smesso di amare.
Su quella collina battuta dal vento, in una sera così lontana che quasi gli sembrava appartenere ad un’atra vita, spinto dal terrore della perdita il mago si era umiliato davanti a Silente implorandolo di proteggere Lily; e gli aveva promesso qualunque cosa.
Ma Albus aveva invece deciso di affidare la protezione di Lily a suo marito ed ai suoi amici, a quel gruppetto di adolescenti irresponsabili e presuntuosi, da poco cresciuti, che solo qualche anno prima avevano dimostrato così poca considerazione per l’esistenza altrui. La protezione della vita preziosa di Lily, cui Severus teneva più della propria, era passata di mano in mano quasi davanti ai suoi occhi neri di terrore, con suo orribile e profondo tormento, scivolando dalle mani potenti del grande Silente a quelle rapaci dell’odiato rivale che gliela aveva portata via, e poi in quelle prepotenti e scapestrate di Black per arrivare infine in quelle infide e traditrici di quel vigliacco di Minus che, ben lungi dal proteggerla, l’aveva consegnata nelle mani assassine di Voldemort per paura della sua vedetta.
Severus era stato costretto a restare a guardare, da lontano, senza poter fare nulla, del tutto impotente a proteggere direttamente la donna che amava, costretto a fidarsi di chi non si fidava e che odiava invece con tutto se stesso per troppi importanti motivi. Non solo: aveva addirittura fallito in quello che era il suo vitale compito di spia, l’unica cosa che poteva fare per Lily; non era mai riuscito a scoprire chi era la spia di Voldemort che si era insinuata nell’Ordine, il maledetto vigliacco che aveva consegnato il suo amore alla morte. Era stata una orribile catastrofe di cui sentiva tutto il tremendo peso della colpevolezza, alimentata anche dal tormento continuo causato dal pensiero che in nessun modo poteva essere lui a difendere in prima persona la sua Lily, e lo avrebbe invece fatto con il suo stesso corpo! L’inestimabile privilegio, invece, era spettato all’odiato Potter, mentre il mago avrebbe dato letteralmente la vita per poter essere al suo posto e pararsi come scudo protettivo davanti all’Oscuro Signore!
Invece aveva dovuto nascondere e frenare le proprie passioni, aveva dovuto incatenare quel suo cuore temerario che sul bavero voleva solo urlare il suo amore disperato. Era stato costretto a continuare a tenere in piedi il suo difficile doppio gioco, cercando di scoprire le intenzioni di colui che, nemmeno due anni prima, era stato il temuto e potente padrone cui aveva consegnato la propria anima. Era stato oppresso orribilmente dall’angosciata impotenza di dover lasciare la donna amata nelle mani di qualcuno di cui non si fidava per niente, per diretta esperienza personale, e che invece veniva assurto a Custode Segreto. Fidarsi di Black era stata allora la più atroce delle torture, ben peggiore di qualunque altra che Voldemort  in persona avrebbe potuto infliggergli, senza cavargli una sola parola, se lui stesso fosse potuto essere il Custode Segreto del suo amore. Invece, aveva solo potuto cercare di tenere lontano il Signore Oscuro da Lily, sapendo che se avesse trovato i Potter lui non avrebbe potuto fare più nulla in assoluto, se non stare a guardare mentre il suo cuore si dissolveva inesorabilmente nella disperazione e nel dolore.
E l’Oscuro Signore li aveva infine trovati, nonostante tutti i suoi sforzi ed i rischi mortali corsi…
Il suo cuore quella notte si era frantumato in migliaia di pezzi, acuminati e penetranti, che lo avevano profondamente straziato, e che ancora lo stavano straziando dopo tanti anni…
Quella notte si era sentito orribilmente tradito da Silente. Gli era perfino sfuggito dalle labbra quello sfogo tremante:
- Credevo... che lei... l'avrebbe... protetta...[1]
al quale Albus aveva duramente risposto accomunandolo senza pietà ai Potter che, proprio come lui, si erano fidati della persona sbagliata.
Ma Severus si era affidato a lui, al mago potente, non ai suoi aguzzini dei giorni della scuola. Silente non lo aveva neppure considerato e aveva affermato secco ciò che era davvero importante:
- Suo figlio è sopravvissuto.[2]
Ma il mago era troppo sconvolto e disperato, quella notte, per capire che era davvero quello il fatto importante, al di là della morte della donna che avrebbe amato per sempre e per la quale, solo, avrebbe voluto poter morire come era stato concesso invece all’odiato rivale. In quel momento Severus era stato soverchiato da una tremenda sensazione di doppio tradimento, di Lily e di se stesso, e si vedeva totalmente sconfitto, lui che per la difesa della donna amata avrebbe sacrificato la vita e che quella difesa aveva implorato umiliandosi di fronte a Silente che, invece, con estrema leggerezza e, quasi, disinteresse,  ne aveva delegato la protezione a qualcun altro.
No, in quella notte di atroce disperazione Severus non era stato per nulla in grado di comprendere che, già da allora, gli obiettivi dello stratega che poi Silente gli aveva mostrato di essere trascendevano il singolo e puntavano ad un disegno molto più grande ed essenziale: uno scenario finale in cui solo il bambino sopravvissuto era la persona davvero indispensabile, e il sacrificio della vita di Lily assolutamente necessario per il compimento della profezia e, quindi, per la salvezza dell’intero mondo magico. No, del tutto devastato dal suo agghiacciante dolore, Severus quella notte non era stato in grado di pensare lucidamente. Ma poi aveva avuto molti lunghi anni di sofferente solitudine per pensare, e lo aveva fatto, eccome se lo aveva fatto. E infine aveva compreso. Tutto. Al punto che quegli obiettivi, ora, erano diventati anche i suoi.
In quell’ultimo anno, anche se aveva voluto a tutti i costi continuare ad odiare Black, aveva compreso in modo altrettanto chiaro che lo spavaldo Grifondoro in fin dei conti aveva agito solo per il bene degli amici ed in perfetta buona fede proponendo lo scambio con Minus; che Black si era messo in prima linea cercando di attirare coraggiosamente su di sé l’attenzione, anche lui disposto a morire per gli amici, per sviarla così dal vero Custode; e che anche Black, proprio come lui, si torturava con i rimorsi per la morte di Potter e di Lily che imputava a se stesso.
Severus non poteva quindi più rifiutarsi di riconoscere in Black un formidabile alleato, nonostante tutto l’odio che per tanti anni aveva provato per lui: si obbligò a mettere da parte ogni vecchio e doloroso risentimento perché c’era una causa ben più importante per la quale combattere ed essere uniti; si costrinse a dimenticare ogni odio ed ogni sofferenza per non distruggere le speranze per il figlio di Lily e per il mondo magico. Si trattava di un imperativo troppo importante, che in nessun modo doveva essere disatteso: il giovane Potter era più importante di Black, era più importante del proprio orgoglio e del bruciore delle proprie ferite. Era più importante di tutto l’odio che aveva provato e che ancora provava per lui. Era più importante perfino dell’amore per la sua Lily…
Severus allungò quindi il braccio porgendo la mano all'uomo che aveva ferocemente odiato per dodici anni credendolo la causa della morte della sua Lily, mentre sull'altro braccio il Marchio, che aveva appena mostrato ottenendo solo il disgustato disprezzo di tutti, ancora ardeva di mortale impazienza, orrido simbolo di colpa di nuovo celato alla vista sotto la lunga manica nera.
Anche se ora il Marchio era di nuovo nascosto, se esisteva solo per lui, nella sua carne e nella sua anima lacerata, quello sfregio indelebile gli ricordava che l’unico vero carnefice di Lily era stato lui, Severus: non l’arrogante Black, non lo schifoso topo e neppure l’Oscuro Signore che aveva pronunciato le parole di morte. Il vero carnefice del suo amore era stato il suo tragico errore, la scelta avventata di un giovane che credeva di inseguire conoscenza e potere, ma invece voleva solo vendetta per tutte le umiliazioni subite. La folle scelta del giovane Severus aveva condannato a morte Lily ed ora quello stesso ragazzo, finalmente diventato uomo, consapevole di tutti i suoi errori e gravato dai rimorsi per le sue colpe, doveva riparare a quell’errore riconoscendo che c’era qualcosa più importante di se stesso, e perfino della sua amata Lily: c’era la causa giusta per cui combattere, c’era il suo sentiero di redenzione, colmo di sofferenza, da percorrere fino in fondo; c’erano tutte le sue colpe da espiare pagando il prezzo tremendo del ritorno all’oscurità di Voldemort. Ma solo per combatterlo. E sconfiggerlo.
In una sola, altissima parola, c’era il suo dovere da compiere, per poter poi aspirare un giorno al perdono.
Il perdono degli altri e, forse, anche il proprio.
In fondo, il mago sapeva fin troppo bene, mentre gli stringeva la mano, che l’odio intenso che provava per Black altro non era, come sempre, che odio rivolto verso di sé per tutto ciò che non era stato in grado di fare lui stesso; tutto quello che non aveva potuto fare a causa delle sue colpe, costretto così ad abbandonare la vita della sua Lily in mano ad altri. E a vederla morire…
Tutto tornava sempre e comunque a quel Marchio maledetto, alle sue colpe e all’impossibilità del perdono, alle scelte sbagliate fatte con piena consapevolezza: tutto era sempre inesorabilmente riconducibile a lui ed ai suoi incancellabili errori. Lui solo era il colpevole ed era giusto che si ferisse ancora ed ancora, che si torturasse tra gli spasimi di un’espiazione che non doveva avere alcun limite. Era un lungo percorso di accettazione, lento e difficile, ma inflessibile, quello che aveva scelto; un percorso tormentato e contraddittorio in cui doveva confrontarsi con se stesso prima ancora che con gli altri. In totale, profonda umiltà. Riconoscendo ogni suo errore, per espiarlo fino in fondo.
Lo faceva anche per la causa, certo, per l’obiettivo finale e la distruzione del Signore Oscuro, ma soprattutto lo faceva perché, di fronte alle sue imperdonabili colpe, non sopportava l’idea di potersi risparmiare qualche cosa: così si sottoponeva alla pena alla quale si era da tempo condannato e a cui faceva in modo che ognuno, ancora e sempre, lo condannasse. Affinché negli occhi di tutti coloro che lo disprezzavano potesse ogni giorno leggere l’odio. L’odio ed il disgusto che provava per se stesso  e per le sue orribili colpe.
Come si era lasciato bruciare il braccio dal Marchio di Voldemort, così ora il mago si lasciò bruciare la mano dalla stretta dell’odiato Black.
Fu una stretta di mano veloce, tra nemici giurati legati da un comune obiettivo; quindi si separarono molto in fretta allontanandosi di nuovo e continuando a guardarsi con odio.



[1] Battuta tratta dal capitolo 33: Il racconto del Principe di Harry Potter e i doni della morte.
[2] Battuta tratta dal capitolo 33: Il racconto del Principe di Harry Potter e i doni della morte.
 
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view post Posted on 5/5/2017, 20:37
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I ♥ Severus


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Parte III

La promessa rinnovata

 
 
Il cane era infine tornato tale e se n’era andato.
La mano che aveva stretto quella di Black quasi bruciava, proprio come il Marchio sul suo braccio, dove l'orrido serpente pulsava nella sua carne fuoriuscendo dalle orbite vuote del teschio.  Bruciava sulla pelle e gli bruciava dentro, soprattutto, dove il pensiero della minaccia che era tornata ad oscurare il mondo magico lo logorava sempre più mettendolo di fronte al momento fatale che stava per giungere, quando la sua preparazione sarebbe stata messa a dura prova e tutto sarebbe dipeso da lui: un solo errore avrebbe potuto compromettere tutti i piani di Silente, la salvezza del giovane Potter e con lui dell'intero mondo magico.
La tensione nell'infermeria era sempre alta, l'ombra cupa del Marchio che ancora aleggiava nella penombra della grande stanza che, poco per volta, aveva perso una parte dei suoi occupanti che se n'erano andati, ognuno con il proprio importante compito da svolgere.
Era arrivato anche il suo turno e il mago lo sapeva bene; era da molti anni che attendeva quel momento, con timore ma anche con desiderio: ora avrebbe messo alla prova se stesso e tutti i lunghi anni di ossessivo allenamento nella difficile arte dell'Occlumanzia al fine di riuscire a mentire al miglior Legilimante del mondo magico e continuare così a fare la spia per Silente a favore dell'Ordine della Fenice.
Tanti anni prima Severus si era dannato l'anima perché come uno sciocco qualsiasi aveva portato con orgoglio il cuore sul bavero: era stato un debole che si era lasciato trascinare dalle sue dirompenti emozioni ed aveva fatto una scelta tragicamente sbagliata dalla quale erano derivate orribili conseguenze.
Non se lo era mai perdonato.
Per questo aveva preso le sue emozioni, tutte, ed i suoi calpestati sentimenti, e li aveva congelati ed inesorabilmente incatenati dentro di sé non permettendo più loro di uscire fuori, diventando così l’uomo gelido ed imperscrutabile che tutti temevano, ma, soprattutto, lo strabiliante Occlumante che era.
Sarebbe riuscito a portare a termine con successo la sua missione? Sarebbe riuscito ad ingannare Voldemort pur arrivando da lui con quasi due ore di ritardo sulla chiamata che continuava a pulsare  imperiosa e bruciante sul suo avambraccio?
Silente posò lo sguardo azzurro e deciso su Piton:
- Severus.
Ecco, il momento tanto temuto e allo stesso tempo tanto atteso dal mago, quello per il quale si era preparato con rigida ed ostinata cura in tutti quei lunghi anni di solitudine, era infine giunto ed il suo cuore batteva forte anche se nulla trapelava dal suo volto, forse solo un poco più pallido del solito. Gli occhi neri, invece, quelli sì, erano profondamente diversi dal solito: animati da un coacervo di emozioni incontrollabili anche per lui, scintillavano.
- Sai che cosa devo chiederti di fare. Se sei pronto... se sei in grado...
Erano incerte, quasi timorose le richieste di Silente: rivelavano la grande preoccupazione del vecchio per ciò che gli stava chiedendo. Entrambi sapevano fin troppo bene ciò che lo attendeva e che sarebbe anche potuto non ritornare mai più da quella prima, pericolosissima missione. Ma se ce l'avesse fatta, se fosse riuscito ad ingannare l'Oscuro Signore e a tornare vivo, si sarebbe trasformato in una spina nel fianco  che sarebbe penetrata sempre più in profondità per scoprire i piani dell'oscurità.
Silente non aveva alcun bisogno di chiedergli nulla, il mago sapeva benissimo cosa doveva fare.
Ed era pronto.Pronto anche a morire.
Aveva avuto un intero anno per prepararsi ad incontrare di nuovo il suo passato: lunghi mesi e settimane e poi giorni, e notti infinite in cui aveva sentito con orrore il Marchio rinascere e farsi vivo nella profondità della sua carne; muoversi sinuoso dentro di lui, com’era stato un tempo, mosso da un'altra volontà. Nelle tenebre profonde delle notti insonni, affollate solo dai suoi personali e sanguinanti spettri, mentre si rivoltava senza fine nelle lenzuola madido di sudore nel gelo della sua stanza con il camino quasi sempre spento, il suo pensiero era invariabilmente tornato all'oscurità del suo passato, alle colpe da cui nascevano rimorsi che sapevano bruciargli l'anima più di quanto il Marchio di Voldemort gli avesse mai bruciato l'avambraccio.
Negli ultimi mesi era maturata una nuova consapevolezza, in lui, mentre all'incerta luce delle scarse braci rosseggianti del camino osservava immobile quel lembo sfigurato di pelle dove era concentrata tutta la sua fragilità insieme ai suoi peggiori errori, cercando di intuire quanto vicino fosse il ritorno del mago da cui un tempo si era lasciato ingannare, accecato dal suo desiderio di vendetta.
Ossessionato, guardava il Marchio riprendere progressivamente vita e l'orrore per il suo passato si trasformava in coraggiosa determinazione: il suo pensiero abbandonava i rimpianti per tutto ciò che aveva distrutto e perduto e si volgeva al pericoloso futuro che lo attendeva e che con tutta la sua dignità di uomo voleva affrontare. Perché in quel futuro di lotte, di rischi e di sofferenza, e molto probabilmente anche di dolorosa morte, Severus aveva finalmente intravisto ciò cui più agognava da tanti anni.
Il perdono.
Era proprio attraverso l'abisso infernale dell'oscurità di Voldemort che passava la via del suo perdono, quello che non si era mai concesso, che si era sempre impedito di implorare, ma a cui la sua anima anelava disperatamente, insieme all'amore che non aveva mai avuto, quell'amore che la sua folle scelta giovanile aveva irrimediabilmente ucciso.
Più volte Albus aveva cercato, senza alcun successo, naturalmente, di convincerlo ad essere clemente con se stesso; ma il mago aveva invece continuato inflessibile  sulla propria strada, vivendo solo per punirsi ed espiare le sue colpe, nella tragica convinzione di non essere degno e di non potere mai ambire né al perdono né all'amore. Così aveva sacrificato tutto: per la donna che aveva perduto e per il figlio che non aveva mai avuto, ma anche per l'intero mondo magico. Quel mondo che lo guardava con disgusto disprezzo dopo averlo già condannato a priori e che certo non immaginava che dietro la sua maschera di supposto Mangiamorte e di potenziale traditore potesse invece celarsi la salvezza e la libertà di tutti loro.
Il mago ricordava bene le parole che più volte Albus gli aveva ripetuto guardandolo quasi con incredula ammirazione dietro le lenti a mezzaluna, gli occhi azzurri umidi di paterno affetto, affermando che solo un uomo eccezionale era in grado di sopportare tutto quel disprezzo senza fare una piega, continuando imperterrito sulla sua strada, quella giusta. Ma Severus non si riteneva per niente eccezionale, bensì solo tremendamente colpevole. E imperdonabile. Esapeva bene che di quell'odio aveva un assoluto bisogno: lo aveva suscitato di proposito con accorta maestria, ritenendolo meritato, lo aveva coltivato con cura e se ne era nutrito durante tutti quei lunghi anni, trovando proprio in quella forma di dolorosa espiazione la forza per continuare a vivere e a fare sempre la cosa giusta.
Era per quel motivo che il mago era certo che avrebbe percorso fino in fondo la via del perdono, a testa alta e a qualsiasi prezzo; perché il perdono cui agognava non aveva alcun prezzo, se non la sua stessa vita. E quel prezzo, con coraggiosa fierezza e con infinito amore – quell’amore che non aveva mai potuto lasciare uscire dal suo cuore – lo avrebbe pagato. Fino in fondo.
Fino alla morte.Dalla parte giusta.
Il mago aveva infine capito che in quei lunghi anni di solitudine e sofferenza era nato in lui un uomo nuovo, ben diverso dal ragazzo vendicativo che, invece, quello stesso braccio che lui aveva poco prima mostrato con umiltà e, al contempo, con doloroso orgoglio, s’era fatto marchiare macchiandosi d’un vergognoso e irreparabile errore.
Severus sapeva di essere in grado.
In grado di mentire all’Oscuro Signore, in grado di ingannare il più grande mago oscuro di tutti i tempi, di convincerlo di essergli sempre stato leale, di professarsi ancora suo servo fedele giurando una fedeltà che invece andava solo ad Albus. In grado di compiere la sua missione di spia, pericolosa ma essenziale per difendere tutti coloro che non credevano in lui ed erano disgustati dal suo Marchio che era invece la chiave d'accesso per proteggere la causa e continuare a tenere al sicuro il giovane Potter.
Severus ne era certo, perché era quello il suo dovere, era quello il motivo per cui aveva continuato a vivere dopo la morte di Lily.
- Lo sono. - rispose semplicemente il mago.
Solo due parole, granitiche, colme di certezza, traboccanti di ferrea volontà congiunta a spasimi di assoluto bisogno di perdono.
Poco prima un fiume ininterrotto di parole per mostrare a tutti la sua vergogna marchiata a fuoco sull'avambraccio, ed ora una risposta essenziale, nel suo consueto stile laconico, a confermare una promessa fatta tanti anni prima, con il cuore, l’anima e la mente.
Due sole parole in cui vi era tutto il suo mondo fatto di oscurità e di luce. E tutta la sua angosciante necessità di essere perdonato. Di riuscire a perdonarsi.
Tutto era racchiuso in quelle due incisive parole, in quella promessa fatta tanti anni prima da un ragazzo disperato che si era infinereso conto delle tragiche conseguenze della sua scelta sbagliata.
Qualunque cosa.
Sì, Severus era pronto a fare qualunque cosa, a sottoporsi a qualsiasi prova davanti all'Oscuro pur di essere creduto e di poter quindi continuare ad agire per Silente, per proteggere il figlio di Lily e l'intero mondo magico i cui rappresentanti lo stavano osservando in silenzio, giudicandolo diverso e colpevole, come sempre. Era in grado di fare qualunque cosa fosse necessaria alla causa, qualunque cosa permettesse di raggiungere l'obiettivo. Qualunque cosa gli consentisse di aspirare al perdono e sentirsene degno.
In quelle due parole risuonarono potenti il suo senso del dovere ed il suo coraggio, ma anche il suo amore e la sua disperazione. Il suo passato di colpe ed il suo futuro di riscatto si congiunsero in quel maestoso istante del presente, in cui la valorosa lotta per la causa ed il suo sofferente e tortuoso percorso di redenzione diventarono un tutt’uno.
Il Marchio bruciava inesorabile sul suo braccio, simbolo di errore, di condanna e schiavitù del passato; ma era anche l’unico, indispensabile lasciapassare per dimostrare a tutti, ma soprattutto a se stesso, l’uomo nuovo che il mago era diventato. Era il solo mezzo per combattere l’oscurità e riportare la luce nella sua povera anima, la sua unica possibilità per raggiungere l’agognato perdono. Quel Marchio era stato ed era la sua condanna, ma da quel momento poteva rappresentare la salvezza di tutti.
Il veleno nero della serpe bruciava furioso la carne del mago, ma un fuoco diverso e ben più potente ardeva in lui in quel momento al pensiero che tra poco avrebbe finalmente incontrato l’Oscuro Signore: avrebbe consacrato se stesso come strumento di salvezza, laddove un tempo le sue mani erano state strumento di morte e perdizione; avrebbe difeso il mondo magico ed il figlio di Lily immolando ora il se stesso ritrovato come non aveva invece potuto fare tanti anni prima per difendere la donna amata: era certo che l’amore per Lily e per quel figlio che non aveva mai avuto gli avrebbero conferito la forza per sopportare ogni supplizio che il suo padrone di un tempo aveva previsto per lui, qualunque cosa!
Non aveva potuto difendere Lily con il suo corpo quando Voldemort l’aveva infine trovata, e quel privilegio era stato concesso solo al suo rivale Potter; ora non poteva più difenderla, però poteva proteggere ciò per cui lei aveva dato la vita, la persona che Lily amava più d’ogni altra e che anche il mago, contro ogni propria aspettativa, e forse anche contro il suo stesso volere, stavo imparando ad amare.
Il pensiero delle torture cui l’Oscuro avrebbe potuto sottoporlo svaniva del tutto nella sua mente e il timore di fallire si estingueva al pensiero dell’importanza della sua missione, alla possibilità si potere infine completare il suo cammino di redenzione. Ora il suo bene ed il suo interesse coincidevano con un bene ed un interesse più grandi, con il bene di quel figlio che sarebbe potuto essere il suo se la sua giovanile scelta sbagliata non avesse ucciso l’amore ed il futuro. Quel figlio da cui dipendeva il destino dell’intero mondo magico, rivelato dalla profezia che era stata la sua perdizione.
Per questo doveva essere pronto, e doveva riuscire nel suo scopo. Per questo doveva resistere a qualunque cosa.
E Severus avrebbe resistito, non importava la sofferenza, la fatica, lo sforzo. Non aveva potuto difendere la sua Lily, ma ora ne avrebbe difeso il figlio con tutto se stesso: il proprio corpo, la mente e l’anima; con tutta la sua potenza magica, il suo talento e le conoscenze; con la preparazione di una vita e con la purezza della sua dedizione. Sapeva di doversi offrire in modo totale all’Oscuro lasciandosi penetrare dalla sua mente, permettendogli di frugare orribilmente dentro di sé, di violentare con ferocia ogni suo più intimo e prezioso ricordo; doveva però mantenere integro e perfettamente protetto il nucleo più importante e inviolabile di sé: la sua ferrea volontà, la sua essenza vera, la sua capacità di amare.
Era la promessa che aveva fatto a se stesso, che doveva all’uomo nuovo che era diventato, al padre che non aveva mai saputo d’essere ma che in quel momento si era scoperto tale, anche di un figlio non suo.
Il mago sapeva di essere l'unico che poteva farlo: solo lui conosceva a fondo l'oscurità per aver già volontariamente vissuto in quell'abisso angosciante denso di crudeltà e ferocia; solo lui era nella posizione più delicata, ma allo stesso tempo più preziosa per agire; solo lui, il più esperto Occlumante e probabilmente il mago più potente e talentuoso della sua generazione, poteva ingannare Voldemort e servire la causa giusta. Non si sarebbe risparmiato e avrebbe usato tutto se stesso in quella lotta, proprio come poco prima aveva usato quegli sfregi neri impressi sulla sua pelle per convincere Caramel: perché erano veri, palpitanti e strazianti, proprio come la sua anima che urlava al pensiero d'essere condannata a tornare in quella tremenda oscurità.
Severus era pronto, ne era certo, anche se dentro di sé tremava: ma non aveva  paura di morire, no. Non temeva la morte in sé: si sarebbe volentieri buttato tra le sue nere braccia scheletriche già anni prima, se non avesse avuto un dovere da compiere, un obiettivo da perseguire.
Il mago aveva solo paura di fallire, che la sua morte diventasse l’emblema del suo fallimento, della sua redenzione non compiuta. Della sua inesorabile condanna alla mancanza di perdono.
Severus sapeva di essere pronto a tutto, a qualunque cosa, pur di completare il suo cammino di redenzione. Aveva accettato da tempo la necessità del sacrificio più pericoloso, del sacrificio  supremo di sé: era pronto a tornare volontariamente nell’inferno di Voldemort e a rivivere ogni sua più tremenda colpa. Era pronto ad affrontare il suo orribile passato con tutto il carico di colpe e di strazianti rimorsi che avrebbe comportato.
Doveva farlo.
Ma non solo per la salvezza del mondo magico. Doveva farlo anche e soprattutto per se stesso, per dimostrare d’essere un uomo nuovo, l’uomo che aveva avuto la forza di compiere la scelta giusta e sapeva tenervi fede. A qualunque prezzo.
Eppure, allo stesso tempo, Severus sapeva anche di non essere pronto, che non sarebbe mai stato realmente pronto per affrontare il suo passato e tutto ciò che aveva perduto. La sua anima  urlava di angosciato terrore al pensiero di inabissarsi di nuovo nell’atroce oscurità che un tempo l’aveva avvolta e lacerata senza pietà e nel suo profondo albergavano il pianto e la disperazione: non ardevano solo i rimorsi, ma anche i rimpianti per tutto ciò che non era mai stato, tutto ciò che la sua folle scelta giovanile aveva distrutto; per il presente che per causa sua non era mai diventato futuro.
L’umano timore del mago si rifletteva nell’estremo pallore del suo volto serissimo, mentre il suo coraggio traspariva dall’intenso scintillio degli occhi neri. E la sua grandezza risiedeva proprio in
quel Marchio che bruciava e deturpava la sua carne, simbolo di caduta ma, allo stesso tempo, di redenzione.
Era grazie a quel Marchio che poteva tornare da Voldemort; era in forza di quel Marchio che poteva ancora ingannarlo e lottare per la causa; era tramite quel Marchio che poteva redimersi, espiare le sue colpe ed ambire al perdono. Era con quel Marchio che compiva il suo dovere. E il primo passo era stato mostrarlo a Caramel e a tutti. Anche a se stesso.
- Allora, buona fortuna. - disse Silente.
C’era una profonda preoccupazione nella voce e sul viso del vecchio preside. E intensa commozione. E un affranto affetto paterno.
Parole leggere, quasi inconsistenti, di certo inadeguate e del tutto stridenti con il difficile compito che il giovane mago si apprestava a compiere, quella prova dolorosa e necessaria alla quale si stava volontariamente sottoponendo e dalla quale per nulla al mondo si sarebbe sottratto, ma che avrebbe potuto costargli la vita o, come minimo, un’infinita sofferenza e un disperato impegno.
Parole adatte solo a chi, intorno a loro, non sapeva, non immaginava nulla, non si chiedeva neppure dove Severus Piton stava andando e perché; e per quale motivo Silente era così mestamente preoccupato; adatte solo a loro, cui non importava nulla di ciò che sarebbe accaduto di lì a poco davanti all’oscurità di Voldemort, anche se era solo per la loro salvezza che il mago si sacrificava.
A testa alta, e senza tradire altra emozione se non l’estremo pallore del suo viso incorniciato dai lunghi capelli corvini, Severus voltò le spalle a tutti e con silenziosa decisione si diresse alla porta, il lungo mantello nero che ondeggiava alle sue spalle con la consueta eleganza.
Era venuto il tempo di mantenere la promessa fatta a Silente tanti anni prima, ma, soprattutto, quella che aveva fatto a se stesso.
Stava per scendere all’inferno: era quella la via per il perdono.
La porta si richiuse alle sue spalle e rimasero solo la preoccupazione di Silente ed il malinconico sguardo con cui seguì il mago che si dirigeva verso il supplizio forse mortale, da solo, come sempre da solo aveva vissuto; un uomo che non si aspettava nulla per sé, ritenendo di non meritare nulla, e che dava per scontato che nessuno si sarebbe mai preso cura di lui, come nessuno mai aveva fatto; che si prefigurava che nessuno avrebbe mai pianto la sua morte, eccetto forse quel vecchio che, nonostante fosse pronto a sacrificarlo alla causa, nel profondo del suo cuore lo amava come un figlio.
Un uomo che era pronto a sacrificare completamente se stesso per seguire la via del proprio perdono.
Poi ci fu solo il lungo, interminabile, rispettoso silenzio di Silente…
 
 
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view post Posted on 11/11/2019, 16:44
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CITAZIONE (chiara53 @ 26/7/2014, 14:31) 
Questo racconto diviso in tre parti è la storia dell’anima di Severus, una storia rivissuta e pensata dall’autrice con infinito rispetto e con l’amore che il personaggio di Severus Piton avrebbe meritato anche dalla sua creatrice.

Mi è parso un viaggio, reso stupendamente, nei pensieri più profondi di Severus, un cammino tra il passato, il presente e un futuro tempestoso del mago, cammino guidato da Ida che ha davvero raccontato tutto il narrabile esprimendo e facendo partecipi i suoi lettori di ciò che rende tanto diverso il personaggio da quello tratteggiato per la lettura dei bambini nei primi libri della saga.

C’è tanto da imparare, tanto su cui riflettere, perché se questa non fosse una storia, potrebbe essere il manifesto della ragione per cui a tanti adulti è caro Severus Piton.

Il commento non può ripercorrere e non deve farlo – secondo me – la trama, che è nota e occhieggia tra le frasi dell’autrice come un semplice filo conduttore dei pensieri di Severus, pensieri ed emozioni che Ida esprime con coinvolgente sensibilità, ma anche con lucida disamina delle ragioni e degli eventi che hanno fatto di Severus l’uomo che è, l’uomo che è stato e quello che merita di essere.

Sicuramente i temi trattati sono stati toccati anche nella discussione che l’autrice cita all’inizio, ma Ida li ha fatti suoi, li ha rivissuti e ripensati, facendo emergere e raccontando i tanti perché dell’amarezza della solitudine, del rimpianto delle scelte compiute e della ricerca continua e instancabile del perdono che fanno di Severus, il diverso. E’ in quella parola che sta il fulcro del discorso, è la sua diversità che lo rende immenso, puro e infinitamente umano.
Un brano che consiglio caldamente a chi ama il personaggio e non lo conosce veramente a fondo, ma anche a chi non lo ama abbastanza perché crede di conoscerlo.

Grazie per avermi citata, anche se è veramente poca cosa il mio contributo.
Complimenti! Bravissima.


Edited by Ida59 - 14/12/2019, 17:09
 
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