Ebbene sì, quest'anno anch'io posto una (breve) fic per fare a voi tutte e al Calderone di Severus gli
auguri per un meraviglioso giorno di Natale.
Titolo: L’Albero di Natale
Autore/Data: Lonely_Kate dicembre 2022
Beta: /
Tipologia: racconto one-shot (13810 battute)
Genere: introspettivo, fluff
Rating: per tutti
Personaggi: Severus Piton, Minerva McGranitt, Harry Potter
Pairing: nessuno
Epoca: post HP7
Avvertimenti: AU
Riassunto: Dietro il Tavolo Alto troneggiava l’abete più imponente e rigoglioso che Hagrid avesse mai procurato. L’albero era ancora al naturale, in attesa di essere addobbato.
Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling ed a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
L’Albero di Natale
Il freddo pungente del primo mattino aveva invaso impietoso le stanze private della nuova preside di Hogwarts. La sera precedente l’anziana strega non si era curata, con un incantesimo, di lasciare il camino acceso: lo aveva dimenticato o forse non considerato importante. Negli ultimi mesi privarsi degli agi e rifuggire qualunque azione, pur insignificante, la gratificasse era diventata una ferrea abitudine. Era la vigilia di Natale e Minerva, già sveglia all’alba, si affacciò alle strette finestre della Torre principale per osservare la placida distesa color acciaio del Lago Nero, a quell’ora ancora velato dalla bruma: avrebbe dato qualunque cosa perché la sua mente somigliasse a quella superfice piatta e ghiacciata, invece che al tempestoso turbinio scatenato dai recenti ricordi che la tormentavano senza requie di giorno come di notte.
Rimandò il tè del mattino alla colazione in Sala Grande, e scelse di indossare un abito da strega di velluto verde con rifiniture in oro. Davanti allo specchio, allentò un po’ lo spillone che fissava la crocchia di capelli d’argento: traspariva già troppa tensione dal suo viso rugoso.
Attraversando l’ufficio, Albus Silente la salutò allegro:
“Buon giorno, Minerva, oggi è un giorno importante! Hai preso una decisione? Il mio consiglio…”
“Mi inventerò qualcosa” lo interruppe asciutta la donna, senza degnare di uno sguardo il ritratto del vecchio mago mentre si dirigeva a passo spedito fuori dalla presidenza con le mani chiuse a pugno all’altezza dello stomaco. Covava ancora del risentimento verso l’ex preside di Hogwarts e amico di una vita. Il vecchio l’aveva forse ritenuta una strega troppo debole o una donna troppo emotiva, incapace di mantenere il
grande segreto che alla fine aveva salvato Potter, ma quasi ucciso Piton. E Albus sapeva molto bene quanto tenesse a Severus, ragion per cui non doveva più impicciarsi, non aveva il diritto di mettere il naso tra lei e il giovane pozionista.
Percorrendo i portici intorno al cortile centrale, la McGranitt si fermò a osservare i fiocchi di neve che ricoprivano placidi il cumulo di rovine e calcinacci non ancora rimossi dalla ricostruzione postbellica. Il mondo sembrava volesse nascondere gli orrori vissuti rimuovendoli dalle coscienze nel modo più sbagliato: relegandoli in un oblio sporco di menzogne e dubbi irrisolti.
Lei non voleva, non poteva dimenticare! Prese a contorcersi le mani e gli occhi le divennero liquidi mentre richiamava alla memoria gli sguardi sprezzanti, i pensieri traboccanti d’odio, le invettive pronunciate con ignobile arroganza. Contro di Lui.
Minerva si vergognava: un sentimento potente che i mesi trascorsi dalla fine della Guerra non avevano scalfito.
Fece il suo ingresso a testa alta in Sala Grande e il vociare allegro dei pochi studenti presenti cessò giusto il tempo di rivolgerle un educato buon giorno.
La donna osservò rapita l’ampio ambiente. L’atmosfera era a dir poco meravigliosa; gli elfi del castello, dietro sue direttive, non si erano risparmiati e avevano addobbato il locale con decorazioni sontuose, quasi abbaglianti: festoni luccicanti e sfere iridescenti si contendevano lo spazio aereo della volta della Sala; numerose candele rosse e dorate illuminavano il soffitto e le navate laterali. Sulle lunghe tavolate delle Case, campeggiavano centrotavola di rami di pino e agrifoglio, arricchiti di bacche rosse e frutta di stagione. Nei camini scoppiettavano ciocchi di legno con pigne, bucce d’agrumi e rami di ginepro: una delicata fragranza di aromi del bosco si mescolava a quella di vaniglia e zenzero dei biscotti e delle torte, e solleticava le sensibili narici degli studenti sempre affamati.
Dietro il Tavolo Alto troneggiava l’abete più imponente e rigoglioso che Hagrid avesse mai procurato. L’albero era ancora al naturale, in attesa di essere addobbato.
Minerva lo guardò sospirando: Hogwarts si accingeva a vivere un Natale molto speciale, il primo dopo la fine della Guerra. La Scuola non era ancora tornata ai suoi antichi fasti, gli iscritti erano pochi e ancor meno gli allievi smistati nell’indesiderata Casa di Salazar Serpeverde. Il nuovo Preside avrebbe voluto sfruttare l’occasione per risolvere due questioni di primaria importanza, attraverso un gesto semplice ma, si augurava, efficace: avrebbe coinvolto tutta la Scuola nella preparazione dell’albero di Natale. L’abete era abbastanza grande perché ognuno potesse collocarvi una decorazione a suo piacimento: un oggetto caro, un ricordo, un messaggio o una semplice stella o sfera luccicante. Tutto sotto la sua supervisione… e di quella dell’insegnante di Pozioni.
Severus Piton e la sua Casa a Hogwarts dovevano recuperare la stima persa agli occhi degli studenti e del mondo magico. Entrambi avevano bisogno l’uno dell’altra.
La Preside fece un annuncio a fine colazione: a sera, dopo cena, tutti si sarebbero dedicati all’abete. Doveva essere pronto per il giorno dopo.
***
Severus Piton passeggiava in solitudine lungo i margini della Foresta Proibita: l’alta figura nera spiccava nel bianco lucore che ricopriva il mondo. Gli piaceva affondare i piedi nella neve fresca del mattino e sentire sul viso il freddo pungente che gli gelava i lineamenti.
Quel giorno non aveva fatto colazione in Sala Grande, l’aveva ritenuto inutile: era sconfortato, un sentimento nuovo per lui, ma che ormai accompagnava tutte le sue giornate.
Raggiunse una radura, nei pressi del Lago Nero, dove alcuni studenti stavano giocando a palle di neve: lo videro, si fermarono e, senza troppi complimenti, gli voltarono le spalle e se ne andarono.
Dopo il ritorno dal lungo ricovero al San Mungo, Severus aveva dovuto superare un iniziale, comprensibile smarrimento, a cui era seguito un profondo senso di pace scaturito dalla sconvolgente consapevolezza di essere finalmente libero dalle possenti catene, tirate da troppe mani, che avevano condizionato la sua esistenza fino alla fine della Guerra.
Davanti a lui c’era lo spazio sconfinato di una nuova vita tutta da ricostruire. Non si illudeva che sarebbe stato facile, ma desiderava provarci.
Il primo passo fu stravolgere i suoi comportamenti più stereotipati: non si isolava, non si rintanava nei sotterranei per un eccesso di riserbo o per istintiva misantropia. Non si vergognava neppure della fragile e intima verità che Potter aveva urlato al mondo e al Ministero.
Trascorreva la maggior parte del tempo a leggere in un angolo tranquillo della Biblioteca, passeggiando lungo le rive del Lago Nero o trattenendosi il più possibile in Sala Grande; si comportava come se il mondo dovesse riabituarsi alla sua presenza nera e ambigua, e accettarla.
Nella realtà dei fatti, si era presto dovuto scontrare con un contraddittorio atteggiamento pubblico di chiusura: celebrato come l’eroe coraggioso della Seconda Grande Guerra Magica, ma emarginato come il peggiore dei criminali. Il timore reverenziale che da sempre ispirava si era trasformato in atroce indifferenza, palese rifiuto, se non addirittura disgusto. La sua presenza era un’anomalia indesiderata nell’ordine naturale delle cose, tanto sconveniente da diventare disturbante.
Le settimane passavano e nessuno sembrava sapere come comportarsi con lui, nessuno gli rivolgeva spontaneamente una parola gentile.
Il cuore di Severus moriva un po’ ogni volta.
Minerva se ne era accorta, ma temeva il confronto col mago, più degli altri. Nonostante la saggezza della sua ragguardevole età, non riusciva ad affrancarsi dal pesante senso di colpa divenuto intollerabile, dal gelo paralizzante che la coglieva ogni qual volta incrociava lo sguardo nero e disilluso di Severus.
***
Nel tardo pomeriggio la Preside inviò a Piton un Gufo chiedendogli di raggiungerla in presidenza.
Il mantello dell’uomo spazzava il pavimento di pietra con un delicato fruscio che Minerva subito udì: si chiese se fosse questo lo stratagemma che permetteva ad Albus di accorgersi dell’arrivo del mago prima che questi sbucasse dall’ombra della porta e si palesasse alla luce delle torce.
Guardandolo arrivare, lo stomaco di Minerva si strinse in una morsa: Severus era come sempre intenso, risoluto, ma ancora più magro. Sembrava così fragile.
Avanzava ritto e composto con le braccia lungo i fianchi, la giovane pelle del viso più bianca che mai e il collo ben fasciato dall’immancabile sciarpa di seta nera, i capelli erano cresciuti e gli sfioravano con grazia le spalle larghe, gli occhi erano cerchiati da ombre scure ma non avevano perso l’ipnotico scintillio che li caratterizzava.
La strega dovette sopprimere il violento impulso di lanciarsi verso di lui, stringerlo forte tra le braccia, e sussurrargli tra i capelli parole di scusa e conforto.
“Severus, vorrei che partecipassi alla
Cerimonia dell’Albero questa sera in Sala Grande, insieme agli studenti e agli altri insegnanti”
“Non credo sia una buona idea, Minerva, non ho nessuna intenzione di addobbare
da solo tutta la pianta” declinò il mago in tono beffardo, la bella voce un po’ roca.
La McGranitt iniziò inconsapevolmente a tormentarsi le mani.
Severus era diventato come l’olio nell’acqua per il mondo magico: impossibile mescolare insieme i due elementi. Eppure lei era convinta della bontà dell’iniziativa.
“Sono sicura che stasera andrà tutto bene, Severus, l’euforia del momento distrarrà gli studenti. Non faranno troppo caso a te” lo incalzò provando a mantenere un tono neutro e distaccato.
“Se lo credi possibile” rispose Piton con finta indifferenza. “Non dare poi la colpa a me se tutto va a monte”
“Non ti ho mai dato la colpa… “
Minerva si interruppe realizzando troppo tardi cosa avesse detto. Si prese il viso tra le mani, un gemito le sfuggì dalle labbra.
“Mi dispiace” sospirò.
Quando sollevò il volto si ritrovò Severus a pochi centimetri, i suoi profondi occhi d’ossidiana la guardavano colmi d’affetto.
“Le mie colpe sono reali tanto quanto i miei errori” le sussurrò dolcemente. “Era così che doveva andare, Minerva. L’unico imprevisto sono io ancora vivo. Senza di me sarebbe tutto più semplice” le lunghe dita del mago sfiorarono una guancia rigata di lacrime della strega.
“Anche le nostre colpe sono reali, Severus, e grandi forse più delle tue. Noi tutti avremmo dovuto capire, io avrei dovuto aprire gli occhi, il cuore e capire. Non posso chiederti di perdonarmi, ma non rinunciare a noi e a te stesso. Resta al mio fianco, aiutami a far tornare grande Hogwarts”
L’anziana donna si voltò e si diresse alla scrivania, ne estrasse una sfera grande come un pompelmo, di un verde brillante, con fini arabeschi argentei ai due poli.
“Se non dovessi avere nulla da appendere sull’albero di Natale, allora vorrei che prendessi questa, Severus. Ha i colori della Casa di Serpeverde. Tu fai parte di Hogwarts, la tua Casa ne fa parte e voglio lasciare a te il compito di lanciare un segnale di apertura e accoglienza di fronte a tutta la Scuola”
Severus si specchiò sulla superfice lucida della sfera, inclinò la testa da un lato: la palla verde apparve riflessa nei suoi occhi.
“Che effetto singolare” disse Minerva, “Sembra che tu abbia gli occhi verdi”
“Non esagerare, Preside, stasera basterà un unico paio di occhi verdi in Sala Grande” sbottò allusivo il mago sollevando un sopracciglio. Dopo una pausa ad effetto le chiese:
“Potter ci sarà, vero?”
Minerva intrecciò le braccia e sorrise scuotendo la testa.
“Se non le fossi affezionata chiederei a Sibilla di cederti la cattedra di Divinazione” celiò divertita.
“A ogni buon conto, un tempo avrei scelto una
Profezia diversa, per tutti noi” chiosò l’uomo tornando a guardare la palla verde con i suoi occhi di velluto nero.
***
Giovani voci intonavano festosi canti seguendo le note di Carole tradizionali che si diffondevano nella Sala Grande. La cena della vigilia volgeva al termine e tutti innalzarono calici di vino elfico e succo di zucca per brindare al futuro e alla rinascita.
Minerva, dal leggio, diede il via alla
Cerimonia dell’Albero. Lanciò un’occhiata a Severus che si alzò e si diresse in direzione dell’abete: intorno a lui i canti si interruppero, la piccola folla di allievi si dissolse come neve al sole e il mago si ritrovò da solo a percorrere gli ultimi passi che lo separavano dall’albero.
Ricambiò lo sguardo addolorato di Minerva.
Da un angolo defilato del Tavolo Alto apparve un’altra figura maschile
“Professor Piton, aspetti!”
Il giovane si incamminò spedito e raggiunse il pozionista.
“Le andrebbe, signore di decorare l’albero insieme?” gli chiese ad alta voce.
Molti sguardi si incrociarono proprio come quello nero e verde dei due uomini, ora vicini, che si diressero verso l’albero camminando fianco a fianco come se si tenessero per mano.
Un fitto chiacchiericcio e la ripresa dei canti presto soppiantò l’iniziale sconcerto dilagato tra gli studenti. Tutti si avvicinarono all’albero stringendo tra le mani le loro decorazioni, non staccando mai gli occhi dalla strana coppia di maghi.
Niente allontana come la paura verso ciò che non conosciamo o non comprendiamo: l’ex-Mangiamorte e il Salvatore del Mondo Magico erano come due facce della stessa moneta, due eroi contesi tra la luce e il buio, ora accomunati dalla stessa speranza per il futuro.
Severus rivolse a Harry un lungo sguardo riconoscente come un abbraccio.
Una mano pallida con una sfera verde e un’altra mano con una sfera rossa si sollevarono verso gli odorosi rami dell’abete. Sulla superfice lucida delle sfere si specchiarono due volti.
“Le piace quello che vede, professor Piton?” chiese divertito Harry.
Il volto di Severus era deformato dalla superfice curva della sfera: il naso più corto e largo, i capelli più voluminosi, le labbra… sorridenti.
“Sì, mi piace” rispose Piton dando un colpetto alla palla verde.
“Allora Buon Natale, Severus”
“Buon Natale, Harry”
Entrambi si voltarono per cercare lo sguardo di Minerva McGranitt.
La donna sorrideva, compiaciuta e felice.
Ora sarebbe andato tutto bene.
Edited by Lonely_Kate - 25/12/2022, 00:21