Epilogo
Villandry, 8 settembre 2014
La casa sembrava fin troppo silenziosa da alcuni giorni a quella parte e Severus credeva che, se non fosse stato per la voce di Ygraine che stava preparando un nuovo ruolo, quel silenzio gli sarebbe risultato quasi insopportabile.
La musica risuonava anche nel laboratorio, dove stava scrivendo con cura quello che aveva osservato durante l’ultima fase di una ricerca piuttosto complessa di cui il centro di ricerca di Tours l’aveva incaricato. Il brano cantato da Ygraine era decisamente drammatico, come d’altronde si presentava tutta l’opera che avrebbe debuttato a ottobre alla Staatsoper di Monaco di Baviera.
Non si accorse quasi dell’aprirsi della porta e dei passi che gli si avvicinavano.
«Credevo di trovarti insieme alla mamma.»
Rebecca non era più la bambina che aveva tenuto un tempo sulle ginocchia, ma una giovane strega che aveva concluso i suoi studi e che aveva iniziato da qualche mese a collaborare con il centro di ricerca di Tours.
«Ygraine sta provando per la nuova opera.»
«Secondo me, papà, state soltanto cercando di tenervi occupati», affermò la ragazza, avvicinando a lui. «Credo che dovremmo andare, invece, tutti insieme in salotto. Sono certa che la tua relazione sia più che completa.»
Rebecca sorrise quando papà annuì. Le sarebbe piaciuto essere ancora una bambina, in quel momento, per poter accoccolarsi contro di lui, sul divano, con il suo pupazzo preferito tra le mani, mentre leggevano un libro insieme.
Era accaduto ogni sera, fino a quando non era andata a Hogwarts.
«Renaud mi ha fatto notare ieri che in casa nostra ci sono poche foto», disse, quando si sedettero entrambi sul divano. Mamma stava ancora cantando nella stanza dove avevano sistemato il pianoforte quattro anni prima, quando Brigitte, la pianista con cui aveva iniziato a lavorare quando si erano trasferiti, era andata a vivere più vicina ai figli.
«Sai perfettamente per quale motivo non abbiamo molte foto appese alle pareti.»
«Credi che dovrei dirgli che sono una strega?»
Severus notò che Rebecca era arrossita leggermente, ma non se ne stupiva neppure. A voler essere sincero, era stato certo che gli avrebbe rivolto quella domanda ben prima.
«Soltanto se ritieni che sia la cosa migliore da fare.»
«Sono certa di sì. In fin dei conti è stata la prima persona con cui ho fatto amicizia quando ci siamo trasferiti qui.»
Villandry, 3 maggio 2002
A Rebecca la casa sembrava bellissima. Era grande come si era immaginata e circondata da un giardino in cui si aspettava di trascorrere molto tempo con Severus.
Erano arrivati quattro giorni prima e stavano ancora sistemando le ultime cose del trasloco, anche se avere un mago esperto con loro era sicuramente un bene, considerando che aveva messo in ordine tutti i libri con pochi abili colpi di bacchetta.
«Posso andare in giardino?»
Severus e la zia erano in salotto, entrambi intenti a leggere, dopo aver finito di sistemare la cucina e una parte della stanza, nel seminterrato, che sarebbe diventato il laboratorio di pozioni, per quanto, nelle intenzioni di chi aveva costruito la casa, quella avrebbe dovuto essere una parte adibita a sala da pranzo e a stanza dei giochi.
«Naturalmente, Rebecca.»
Ygraine sorrise quando la nipote uscì dalla casa, che si trovava a circa un quarto d’ora di distanza a piedi dal centro di Villandry. La giovane donna si sentiva sfinita, nonostante gran parte del lavoro l’avesse fatto la magia. Chiuse il libro e si rannicchiò contro l’uomo, che l’abbracciò, pur continuando a leggere.
«Credi che Rebecca si troverà bene a scuola?»
Il mattino precedente era andata a parlare con l’insegnante di terza elementare e la donna le aveva consigliato di iscrivere subito la bambina, in modo tale che si ambientasse e potesse imparare meglio la lingua. Era stata decisamente gentile quando aveva risposto alla sua telefonata e aveva accettato di parlare con loro senza troppo preavviso. Aveva dovuto anche spiegare come meglio poteva la situazione di Rebecca, anche se, in quel caso, la presenza di Severus era stata determinante. L’uomo era riuscito a fare apparire tutto incredibilmente semplice, quando, invece, la questione era ben più complicata.
«La maestra sembra una persona che sa il fatto suo», commento l’uomo, chiudendo il libro. «La classe è piccola e Rebecca è tranquilla.»
Severus non aggiunse che riteneva che una bambina, che era riuscita a smuoverlo dal gelo di cui si era circondato, sarebbe stata sicuramente in grado di farsi degli amici. Lo preoccupava di più il momento in cui Rebecca sarebbe partita per Hogwarts, sempre che non decidesse, nel frattempo, di andare a Beauxbatons o in una più piccola scuola di magia che aveva aperto da una decina d’anni a Reims.
«Tra due giorni andrò a parlare con la donna di cui mi ha parlato la fornaia… la pianista», la voce di Ygraine si era improvvisamente fatta incerta. «Mi accompagnerai?»
La giovane donna si era staccata da lui e lo stava fissando con la stessa incertezza che aveva sentito nella sua voce. Nei giorni precedenti alla partenza non avevano avuto tempo di parlare della questione. William Berenger gli aveva effettivamente scritto una lettera non appena era rientrato in Spagna, intorno alla metà di aprile. Gli chiedeva consiglio su come parlare di quello che era accaduto ai nonni, aggiungendo anche alcune domande su come potesse fare a tentare nuovamente l’equivalente spagnolo dei M.A.G.O. Ygraine era con lui, quel giorno, nella casa di Spinner’s End, mentre preparavano i libri per il trasloco, e gli aveva detto che era certa che il ragazzo sarebbe riuscito a superare la manipolazione di Jane e Taylor unicamente grazie a lui. Allora, gli era sembrato che la giovane donna lo sopravvalutasse. E lo credeva ancora, per quanto fosse giunta il giorno prima un’altra lettera da parte del giovane Berenger, accompagnata da un’altra in cui i nonni Babbani del ragazzo lo ringraziavano per quello che aveva fatto per il nipote.
«Naturalmente. Dovrà venire anche Rebecca.»
«Lo so, ma non sono certa di riuscire ad andare da sola.»
Severus baciò Ygraine sulla fronte, sperando di darle il conforto di cui era certo la giovane donna avesse bisogno. Gli sorrise riconoscente, prima di tornare a rannicchiarsi contro di lui, come faceva ogni volta che rimanevano soli. La strinse a sé, mentre si guardava intorno, mentre si rendeva conto, dopo i giorni passati a sistemare la casa, che quella era la sua nuova realtà.
Aveva detto a Potter, quando gli aveva spiegato, brevemente quel che era accaduto con William, che si sarebbe trasferito in Francia. Aveva messo in vendita, con scarse speranze di successo, la casa di Spinner’s End, ma anche, allora, l’idea di trasferirsi in un altro paese, di vivere accanto a Ygraine e Rebecca non l’aveva realmente sfiorato. In quel momento, in cui teneva tra le braccia la giovane donna, sul divano del loro salotto, la realtà di quella nuova e insperata situazione lo colpì improvvisamente.
Ed ebbe altrettanto improvvisamente paura.
Non era più l’inquietudine che aveva provato nel giardino degli Ainsworth, ma la paura irrazionale che, in qualche modo, quella pace prendesse bruscamente fine. Sapeva che era un pensiero senza senso, ma era ben cosciente da dove nascesse quel terrore.
Da anni era stato certo di non meritare alcuna gioia, di non meritare né la pace, né il perdono.
In quel momento, invece, teneva tra la braccia la donna che amava e stava assaporando una felicità quieta, discreta, ma pur sempre presente.
«Sono contenta che tu sia qui con noi, Severus», mormorò Ygraine. «Quando Gawain mi ha affidato Rebecca, non sapeva cosa fare, se non immaginare di chiederti di seguirci, senza avere il coraggio di farlo se non molto più tardi.»
«Però l’hai fatto, Ygraine, e ora…»
Una risata infantile interruppe le sue parole. Poco dopo Rebecca entrò in casa quasi di corsa.
«Ho incontrato un bambino… è il figlio dei vicini. Può venire a giocare qui in casa? Fuori si sta annuvolando.»
«Ha il permesso dei suoi genitori?»
«Certo. Sua mamma sa bene l’inglese… però con Renaud sono riuscita a farmi capire lo stesso.»
Villandry, 8 settembre 2014
«Renaud ti manda i suoi saluti, papà, e ti ringrazia per il regalo che tu e la mamma gli avete fatto per il compleanno.»
«E non può farlo da solo?»
Rebecca scosse il capo, il volto illuminato da un sorriso. Ricordava perfettamente il giorno in cui aveva incontrato il figlio maggiore dei vicini. Renaud frequentava il primo anno di collège, ma era stato molto gentile con lei durante gli ultimi due mesi di scuola. La loro amicizia era sbocciata nel corso dell’estate ed era sopravvissuta durante i setti anni di Hogwarts, nonostante la lontananza e le menzogne che lei aveva dovuto dirgli.
«Credo che sia ancora intimidito da te», il pianoforte e la voce di zia Ygraine si spensero.
«Quello lo era nei primi tempi. Posso assicurati, Rebecca, che, mentre eri a Hogwarts, ha trascorso più di un pomeriggio qui a riempire me o Ygraine di domande su di te.»
La ragazza annuì soltanto. In effetti, Renaud si era fatto nuovamente timido nei confronti di papà in quegli ultimi tempi, soprattutto, da quando, due giorni prima, le aveva chiesto di andare a cena con lui a Tours. Rebecca sperò di non essere arrossita di nuovo, ma credeva che a papà e mamma Renaud piacesse, soprattutto a papà, anche se forse non lo avrebbe mai ammesso, dato che lo stava aiutando nella preparazione dell’agrégation[1] di inglese che Renaud avrebbe provato a sostenere di nuovo l’anno successivo.
«Mamma è bellissima in quella foto.»
Severus non commentò l’improvviso cambio di argomento di Rebecca. Ygraine era certa che Renaud avrebbe chiesto la mano della ragazza entro la fine dell’anno. Severus credeva, invece, che avrebbe aspettato fino al superamento del concorso.
Si concentrò sulla foto che Rebecca aveva indicato. Ygraine aveva i capelli sciolti e indossava un abito bianco, mentre camminava sulla scena. Era la sera del suo debutto in Lohengrin al Festival di Aix-en-Provence e, nonostante le paure, nonostante il panico che l’aveva presa in più di un’occasione durante le prove, era stata magnifica davanti al pubblico.
«E ricordi ancora il tempo trascorso a Aix-en-Provence?»
«Credi veramente che potrei dimenticarmene?»
Aix-en-Provence, 16 luglio 2002
Ygraine era bellissima con il suo abito di scena, candido come la sua anima, e bella era anche la sua risata cristallina. Non lo stava, però, guardando, in quel momento. I suoi occhi nocciola sembravano fissare continuamente il biondo e bel tenore che aveva interpretato Lohengrin.
Severus fece per avvicinarsi, ma dei rovi parvero bloccarlo.
«Credevi veramente di meritarla?», la voce di Lily era particolarmente sgradevole.
«Devo darle ragione, ragazzo mio», Albus lo stava guardando, fissandolo con attenzione. «Come potevi immaginare che un’anima così pura potesse essere tua?»
L’uomo non fu in grado di rispondere.
Riusciva unicamente a guardare Ygraine che si allontanava insieme al tenore biondo, dall’espressione gentile. Accanto a lei camminava Rebecca che non si voltò nemmeno per un misero istante.
«La tua anima è troppo nera per lei, Sev», disse Lily, utilizzando quel diminutivo che non gli era mai piaciuto, per quanto non avesse mai osato dirglielo.
«Sembravi esserne consapevole anche tu, quando ti ho chiesto di uccidermi.»
Severus aprì improvvisamente gli occhi, mentre la voce di Albus si perdeva nel silenzio di quella notte di luglio.
Trasse un lento respiro.
Sapeva perfettamente perché avesse avuto un incubo del genere.
Non era nemmeno la prima volta che gli accadeva di svegliarsi dopo un sogno del genere da quando era andato ad abitare in Francia.
Era la sua paura a farsi sentire, quella dannata paura di essere felice.
O, forse, era semplicemente la paura dell’ignoto.
Abbassò leggermente lo sguardo, mentre le ultime immagini dell’incubo svanivano.
Ygraine dormiva tranquilla, il capo sul suo petto.
I capelli biondi erano raccolti nell’abituale treccia, da cui, però, più di una ciocca era sfuggita.
Non aveva nessun motivo per dubitare del suo amore.
Ma non era nemmeno quella la ragione dei suoi incubi, che andavano a sovrapporsi a quelli vecchi.
Almeno quella notte non l’aveva svegliata.
Le accarezzò lievemente la schiena nuda, quasi a cercare di rassicurarsi di essere degno di lei e della quieta felicità che provava al suo fianco.
Quando avevano iniziato a vivere insieme era stato attraversato anche da altre paure. Era stato solo per troppi anni e aveva temuto di non potersi adattare a vivere con altre due persone. Invece, era stato incredibilmente facile.
Era stato altrettanto facile assaporare la felicità di quei giorni tranquilli.
E, in quel contesto più quieto e pacifico, lontano dall’Inghilterra, gli risultava più naturale iniziare a lasciare andare il senso di colpa che lo aveva schiacciato per tanti anni.
Non aveva nessun motivo per aver paura.
Lo sapeva perfettamente, ma quella gioia lo rendeva inquieto.
Lo terrorizzava.
Non c’era nessun pensiero razionale che potesse vincere quella paura. Era certo che, se avesse avuto dovuto affrontare un Molliccio, questo si sarebbe trasformato nella paura della felicità che stava provando ogni giorno.
Trasse un altro lento respiro, mentre cercava di ritrovare la calma.
Si concentrò sul respiro tranquillo di Ygraine, sui suoi capelli biondi, sul suo corpo contro il suo e, come era già accaduto dopo incubi simili, si sentì più tranquillo.
Sentì che quella paura irrazionale lo stava lentamente abbandonando.
Non aveva alcun motivo di temere che Ygraine potesse allontanarsi da lui, né che lo facesse Rebecca. Aveva anche avuto modo di conoscere il tenore che interpretava Lohengrin e, per tutto il tempo, non aveva fatto altro che parlare della moglie e del suo primogenito che era nato poche settimane prima.
Ygraine che si allontanava da lui non era un’immagine dovuta ad una gelosia totalmente inesistente. Si trattava unicamente del pretesto affinché le ombre spettrali di Lily e Albus gli ricordassero che lui non era degno di vivere insieme a Ygraine.
E quello era un pensiero che aveva nutrito da quando si era accorto di essersi innamorato di lei.
Ygraine si mosse appena, rannicchiandosi ancora di più contro di lui.
E quel gesto inconscio gli trasmise la tranquillità che era stata spezzata da quell’incubo.
La giovane donna si addormentava sempre in quel modo, da quando si erano amati per la prima volta nella casa di Villandry.
E trascorreva tutta la notte rannicchiata contro di lui, con il capo sul suo petto.
Chiuse lentamente gli occhi, lasciandosi cullare dal respiro tranquillo di Ygraine, ma quella notte altri incubi sorsero a tormentarlo. Si rivedeva mentre uccideva Albus e si rivedeva mentre osservava i Berenger morire e, quella volta, nella campagna del Kent, William non lo stava ad ascoltare e uccideva Ygraine.
Si svegliò nuovamente, il respiro affannoso.
E quella volta aveva disturbato anche il sonno della giovane donna.
«Severus», la voce di Ygraine era un lieve mormorio, mentre si scostava leggermente da lui e gli sfiorava il volto con una mano.
«Non volevo svegliarti.»
«Lo so», disse la giovane donna, mettendosi a sedere. Gli scostò delicatamente i capelli dal volto, poi si chinò a baciarlo. «Speravo che gli incubi si stessero facendosi più radi.»
C’erano state notti in cui aveva effettivamente dormito tranquillo, senza che nulla lo turbasse, senza che nessun incubo lo destasse. Le ultime notti erano state effettivamente tranquille, ma, per quanto stesse tentando di perdonarsi, per quanto stesse lasciando andare il senso di colpa, i fantasmi del suo passato e le paure irrazionali del presente non gli davano realmente pace nel sonno.
«Ho commesso troppe azioni orribili, Ygraine, perché possa sperare di dormire sonni tranquilli.»
«Hai anche compiuto molte azioni buone, Severus», ribatté Ygraine, mentre l’uomo si metteva a sua volta a sedere. Nella luce che filtrava dalle tende non riusciva a osservarne veramente il volto. «Non credo che esistano molte persone che avrebbero fatto quello che hai fatto tu con William Berenger. Alcuni lo avrebbero lasciato al suo destino, altri, la maggior parte temo, lo avrebbero semplicemente denunciato.»
«Perché continui a sopravvalutarmi?»
«Potrei porti la stessa domanda, Severus. Perché ti ostini a sottovalutarti?», quando l’uomo non ribatté, Ygraine continuò decisa. «Se non fosse per te, Rebecca non sarebbe la bambina serena che è adesso. È a te che si è affidata quando Gawain l’ha picchiata, in entrambe le occasioni. Se non fosse per te, io non potrei prendere parte alla produzione qui ad Aix e, se sono riuscita a vincere le crisi di panico con Brigitte a casa e sul palcoscenico qui, è stato unicamente perché sapevo che tu eri vicino a me, che mi avresti sostenuta. Non sto nemmeno parlando di quanto hai sacrificato durante i tuoi anni da spia e, per quanto tu mi potresti interrompere dicendomi che stavi unicamente pagando per i tuoi errori, ritengo che pochi altri sarebbe riusciti a sopportare quello che hai sopportato tu e ad uscirne sani. So che non ti piace sentirtelo dire, ma sei una brava persona, Severus, e mi dispiace che gli incubi continuino a tormentarti.»
L’uomo non disse nulla per diverso tempo. Avrebbe voluto ribattere che lo stava idealizzando, ma sapeva che Ygraine non aveva mai negato il male che lui aveva fatto. Avrebbe voluto dirle che non era una brava persona, ma era consapevole che la giovane donna era profondamente convinta di quell’affermazione. Avrebbe voluto spiegarle che non c’era nulla di speciale in quello che aveva fatto per William o per Rebecca o per lei, ma era certo che Ygraine avrebbe ribattuto nuovamente e, con ogni probabilità, aveva ragione.
Sapeva che i vicini di casa non potevano ignorare le botte di cui lo riempiva il padre, né lo potevano ignorare le maestre, né Lily o i suoi genitori, ma nessuno aveva alzato un dito, nessuno l’aveva portato via.
Era ben consapevole che nessuno degli insegnanti di Hogwarts aveva provato a parlare con lui, a fermarlo dal baratro in cui stava precipitando. Sapeva che la responsabilità di quello che aveva scelto di fare sarebbe sempre ricaduta unicamente su di lui, ma, forse, se qualcuno gli avesse parlato, se qualcuno lo fosse stato ad ascoltare avrebbe potuto credere che ci fosse qualcos’altro per lui nel mondo.
Era cosciente che, se non fosse stato guidato dal peso della colpa, dalla consapevolezza del male fatto, non sarebbe mai riuscito a reggere alla tensione degli anni in cui aveva dovuto spiare, degli anni in cui aveva dovuto lasciar morire degli altri esseri umani, in cui aveva dovuto uccidere degli innocenti per mantenere la sua copertura.
«Ygraine, io…», la voce gli si spezzò, mentre si accorgeva di avere gli occhi umidi di lacrime. Ricordò il modo in cui aveva pianto nell’appartamento di Gawain Ainsworth, di come si fosse aggrappato a lei. «Non so se posso definirmi una brava persona… probabilmente non mi sarà mai veramente possibile. Eppure, Ygraine, se sto iniziando a guardare il mio passato con uno sguardo diverso, è unicamente grazie alla tua vicinanza.»
Non le disse che nessuno gli era mai stato così vicino, che nessuno era mai stato in grado di offrirgli conforto come faceva lei.
D’altronde non credeva nemmeno che nessuno l’avesse mai amato come Ygraine, né come Rebecca.
Sentì una lacrima scendergli lungo una gota, seguita immediatamente da altre.
«Severus…», Ygraine si interruppe, quando notò che l’uomo stava piangendo silenziosamente.
Si mosse appena e lo abbracciò. In quelle lacrime, lo notò, mentre gli accarezzava lievemente i capelli, non c’era la disperazione di quelle che aveva versato dopo che le aveva detto ogni cosa di sé. Forse, c’era soltanto la consapevolezza, celata nelle parole che le aveva appena detto, di quanto fosse stata crudele la vita con lui. O, forse, erano lacrime liberatorie, perché stava iniziando a perdonarsi, come lasciavano intendere altre sue frasi.
«Ygraine», Severus si staccò appena da lei. Nella penombra della stanza riuscì a scorgere il suo sorriso e riuscì quasi a vedere gli occhi nocciola colmi di fiducia e amore. «Io…»
«Hai asciugato tante volte le mie lacrime», mormorò la giovane donna, allungando una mano ad accarezzargli una guancia ancora umida. «E non c’è nulla di male nel piangere. Sono certa che possa essere un balsamo, quando hai dovuto nascondere ogni tua emozione per tanti lunghi anni.»
Forse era per quello che si era innamorato di lei, si disse Severus, per il suo modo gentile di comprenderlo. Forse, aveva iniziato ad amarla quando le aveva rivelato ogni sua colpa e lei non era inorridita, ma l’aveva sorretto mentre crollava sotto il peso di tutto quello che era stata la sua vita fino a quel momento.
«Ti amo, Ygraine», mormorò, rendendosi conto di quanto fosse facile dirlo, di quanto fosse incredibilmente naturale. «E so che ti amerò per sempre.»
Mentre pronunciava quella frase si rese conto di quanto quel sempre fosse sostanzialmente diverso da quello che aveva pronunciato davanti ad Albus. Quello non era stato altro che una maschera, che un modo per nascondere, in definitiva, quello che provava. Quello che aveva appena sussurrato a Ygraine non era una menzogna, non era una maschera, né un appiglio per dirsi che possedeva ancora un briciolo di umanità.
«So che forse ti sembrerà incredibilmente affrettato», riprese poco dopo, osservando il volto di Ygraine nella semioscurità della stanza. Non era la prima volta in cui avrebbe voluto dire quelle parole, ma, fino a quella notte, gli erano sembrate premature. «So che ci conosciamo da pochi mesi, so che…», si interruppe, lasciando ripiombare la stanza nel silenzio. Alla luce dell’alba che penetrava dai tendaggi, riuscì a vedere gli occhi nocciola sempre così espressivi, sempre così colmi di amore. «Vorresti sposarmi?»
«Non credo che sia affrettato, Severus», rispose la giovane donna, con un dolce sorriso. «Non credo nemmeno che importi da quanto tempo ci conosciamo. Se dipendesse solo da me, ti sposerei domani, ma non credo che mamma e papà sarebbero particolarmente felici di non essere invitati.»
Ygraine vide un lieve sorriso, il primo che gli avesse mai visto, disegnarsi sul volto di Severus, mentre la luce dell’alba illuminava lieve il letto.
Rimasero per qualche istante immobili a fissarsi, prima di baciarsi, mentre un timido raggio di sole faceva capolino tra i tendaggi.
Villandry, 8 settembre 2014
Ygraine entrò in salotto, dopo aver congedato François, il suo nuovo pianista, e sorrise quando vide Severus e Rebecca sul divano. Era sempre straordinario osservare il legame particolare che li univa. Nessuno, in paese, aveva pensato che lui non fosse il padre di Rebecca e, quando doveva spiegare per quale motivo la bambina non portava il suo cognome, il suo interlocutore non riusciva a trattenere lo stupore.
D’altronde, Rebecca aveva iniziato a chiamarlo papà quando erano tornati a Villandry da Aix-en-Provence.
«Vieni a sederti con noi, mamma?»
Ygraine annuì soltanto. Rebecca aveva impiegato più tempo a chiamarla in quel modo, ma il loro rapporto era completamente diverso. Prima di diventare la sua tutrice – per quanto Rebecca odiasse quella parola – era stata la zia cantante che viveva in Francia, la zia con cui la nipote amava parlare. Credeva che fosse stato il matrimonio con Severus a farla decidere di chiamarla mamma, quando già prima chiamava l’uomo papà.
Quando si sedette dall’altra parte di Severus, gli strinse una mano. Sapeva perfettamente perché erano tutti e tre in salotto quel giorno di settembre.
Villandry, 30 giugno 2003
Quando Severus rientrò in casa, trovò Rebecca intenta a giocare con Renaud a quello che sembrava essere un gioco di società particolarmente intricato.
«Buonasera, Monsieur Piton», lo salutò il ragazzo.
L’uomo ricambiò il saluto, entrando in cucina e iniziando a sistemare la spesa che aveva fatto una volta ritornato da Tours, mentre, dall’altra stanza giungevano le chiacchiere dei due bambini. Renaud era un buon amico per Rebecca e pareva non farsi alcun problema a trascorrere molto tempo insieme ad una bambina, anche se aveva appena finito il secondo anno di collège.
«Mamma sta riposando», lo informò Rebecca quando ritornò in salotto.
L’uomo annuì, prima di lasciare da soli i due amici. Poco prima di aprire la porta della camera, si fermò un istante, mentre si rendeva conto di come tutto stesse diventando stranamente semplice nella sua vita.
Era come se, improvvisamente, tutti i sogni che aveva nutrito da bambino si stessero realizzando. All’epoca aveva sognato di avere una famiglia, di vivere accanto alle persone che avrebbe amato e che lo avrebbero amato. Si era anche immaginato come padre e si era visto interagire con i possibili amici dei figli. Crescendo, aveva iniziato a pensare che quel futuro non si sarebbe mai realizzato e, quando aveva conosciuto Ygraine, la realtà in cui era immerso in quel momento gli era sembrata totalmente estranea.
C’era qualcosa di stranamente rassicurante in quella vita. Gli abitanti di Villandry erano sempre cordiali con lui, per quanto all’inizio fossero incredibilmente incuriositi dalla famiglia inglese che aveva comprato quella casa sfitta da qualche mese, dopo che i proprietari si erano trasferiti in Martinica per motivi di lavoro. Poi, quella curiosità era scemata, ed era rimasta una quieta accettazione dei nuovi membri della comunità. Ygraine aveva anche cantato, una sera, nell’antica chiesa del paese, nella piazza accanto al castello, alcune arie d’opera, accompagnata dalla pianista che le aveva suggerito la fornaia quando erano arrivati.
Era tutto così semplice e tranquillo. Anche il suo lavoro a Tours, dove si recava una volta a settimana, era circondato da quella sensazione di pace, che un tempo, nei mesi successivi al loro arrivo in Francia lo aveva spaventato in maniera assolutamente irrazionale. Non provava più quella paura. Lentamente gli incubi legati ad essa erano scomparsi e quando Ygraine era diventata sua moglie, in un soleggiato giorno di ottobre dell’anno precedente, non li aveva più da giorni.
Aprì la porta e trovò Ygraine con in mano un libro. La moglie gli sorrise, i suoi occhi nocciola mostravano l’abituale fiducia e l’amore che sembrava non abbandonarli mai.
«Ti scrive William.»
Severus annuì soltanto, mentre si sedeva sul bordo del letto e si toglieva le scarpe. Il ragazzo aveva continuato a scambiare una fitta corrispondenza con lui, soprattutto dopo che, l’estate precedente era riuscito ad ottenere i M.A.G.O. necessari per intraprendere gli studi da Guaritore. In ogni lettera aggiungeva anche qualche frase per Ygraine e per Rebecca.
Anche quelle lettere gli davano uno strano senso di pace o, forse, la sensazione di aver fatto qualcosa di buono, di essere riuscito ad aiutare profondamente il ragazzo. In quegli scritti gli parlava spesso di quello che provava, di come stesse affrontando il senso di colpa, chiedendogli costantemente consiglio così come gli rivolgeva domande in merito agli studi che stava seguendo in Spagna, dove abitavano i nonni e lo zio Babbani.
«Rebecca ha detto che eri stanca», disse a Ygraine, mentre si sedeva accanto a lei, sul letto.
«Mentre eri a Tours, mi ha telefonato mamma. Mi ha detto che Gawain e Margaret stanno per tornare in Inghilterra. Dopo mesi che non si facevano sentire, hanno chiamato i miei genitori e quando mamma ha fatto loro notare che avrebbero potuto tenersi maggiormente in contatto, Gawain le ha rinfacciato di avermi preferito a lui. Credo che mamma abbia pianto poco prima di telefonarmi.»
Severus sperava di non incontrare Gawain e Margaret in futuro. Erano due persone grette, ancor più se avevano fatto piangere Mary e se avevano ferito anche Alfred. I genitori di Ygraine erano due brave persone e non meritavano l’ingratitudine del figlio.
«Spero che Gawain non la cerchi più.»
«Immagino che non lo farà, dopo che mamma gli ha detto che non era lei ad aver scelto noi, ma lui e Margaret ad aver lasciato tutti.»
«Hai parlato anche con Alfred?»
Severus attirò contro di sé Ygraine, mentre la moglie gli spiegava di come il padre fosse rimasto a sua volta scosso dalla telefonata di Gawain. Le aveva però anche parlato del nuovo poema di cui stava stabilendo l’edizione critica.
«La lettera di William è sul tuo comodino», gli disse, quando ebbe tentato di illustrare i vari manoscritti che suo padre stava studiando.
Ygraine osservò il volto di Severus mentre leggeva quella che sembrava essere una lettera interminabile. D’altronde credeva che William avesse iniziato a vedere nel marito una figura paterna, dopo quello che era accaduto nella campagna del Kent, dopo il modo in cui Severus gli aveva parlato, il modo in cui aveva esposto una parte del suo animo per aiutarlo.
Il ragazzo era stato l’unico invitato da parte di Severus al loro matrimonio. Era stata una cerimonia intima, con una manciata di invitati anche da parte sua. D’altronde era sempre stato così che aveva sognato di sposarsi. Non aveva mai desiderato avere un numero spropositato di invitati, ma unicamente coloro che le stavano maggiormente a cuore.
«Come stanno andando i suoi studi?»
«Sembrerebbe bene, ma non ne parla molto. Credo che sia stato influenzato da tuo padre, anche se probabilmente non si sono più parlati dopo il nostro matrimonio», mentre parlava Severus aveva posato una mano sul ventre arrotondato della moglie. «A quanto pare nessuno crede che riusciremo a trovare un nome ai nostri figli.»
«Papà ha proposto Lancelot, oggi, che di certo è meglio di Engrevain», Severus sentì uno dei due gemelli scalciare, mentre Ygraine parlava. Probabilmente era inorridito di fronte ai nomi che il nonno proponeva ogni volta che aveva occasione di parlare con loro. «Ha anche provato a dire che Leodagan è uno splendido nome, nel caso in cui fossero due maschi.»
«Nessun nome femminile, questa volta?»
«Sono sicura che per domani avrà trovato qualcosa con cui sostituire Enid.»
Alfred pareva convinto che i suoi nipoti dovessero avere un nome tratto dalle leggende arturiane e aveva argomentato dicendo che, considerando che Merlino era realmente esistito, dovevano essere necessariamente conosciuti nel mondo magico. Severus non aveva avuto cuore di dirgli che probabilmente nessun mago Purosangue sapeva che Leodagan era il nome del suocero di Artù.
Alfred era parso anche piuttosto deluso dal fatto che avevano deciso – ma la scelta era stata essenzialmente di Ygraine – di non voler conoscere prima della nascita il sesso dei bambini. Sapevano solo che erano due gemelli – e qui Mary aveva elencato tutti i suoi avi che avevano avuto dei gemelli – eterozigoti.
«Forse dovremmo iniziare a fare le nostre ipotesi, prima che papà ci convinca che Lamorak è un bel nome.»
«Ho pensato unicamente ai secondi nomi. Credo che anche tu abbia avuto l’idea di utilizzare Tristan se uno dei due fosse un maschio.»
Ygraine annuì soltanto. Nessuno dei due ne aveva parlato prima, ma era qualcosa che la donna aveva dato quasi per assodato. D’altronde non si aspettava che Severus scegliesse un secondo nome che avesse qualcosa a che fare con la sua vita. Quando aveva scoperto di essere incinta, il marito le aveva promesso, pochi giorni dopo, che non sarebbe mai stato come suo padre. Era stato allora che le aveva parlato per la prima volta della sua infanzia, della violenza di Tobias e dell’indifferenza di Eileen. Era l’unico aspetto di sé a cui aveva fatto solo vaghi cenni. Lo aveva rassicurato che non avrebbe mai potuto essere come suo padre, considerando che era un ottimo padre per Rebecca.
Ma, soprattutto, lo aveva ammirato ancora di più per come fosse riuscito a diventare l’uomo che era nonostante tutto quello che aveva vissuto, nonostante la solitudine in cui aveva trascorso quasi tutta la sua esistenza, nonostante non avesse ricevuto nemmeno l’amore dei suoi genitori.
«E per una bambina ho pensato a Euterpe.»
Era uno di quei gesti discreti con cui Severus le esprimeva il suo amore. Era un pensiero incredibilmente gentile pensare di dare ad una figlia il nome della musa della musica. Portò una mano su quella di Severus e, mentre dal salotto provenivano le risate di Rebecca e Renaud, Ygraine si sentì incredibilmente felice.
Villandry, 8 settembre 2014
«Quando credete che arriverà il gufo da Antonia ed Einar?»
«Il tuo è arrivato nel tardo pomeriggio, Rebecca.»
La ragazza quasi non riusciva, a volte, a credere di aver già finito gli studi. Le sembrava che fosse passato un tempo relativamente breve da quando era salita per la prima volta sull’Espresso per Hogwarts. Invece, erano già trascorsi dieci anni da quando aveva iniziato ad ambientarsi nel castello, cercando di ricordarsi che avrebbe dovuto scrivere i propri compiti in inglese. Per Antonia ed Einar sarebbe stato ancora più difficile, considerando che avevano vissuto la loro intera vita in Francia.
Papà aveva tentato di convincerli a scegliere Beauxbatons o la scuola di Reims, ma i gemelli erano sempre stati decisi a frequentare la stessa scuola del padre e della sorella maggiore. Ricordava ancora che papà aveva cercato di convincerla a non andare a Hogwarts e la sua preoccupazione, quando era partita perché temeva che, una volta che qualcuno avesse scoperto che l’uomo che lei chiamava papà era lui, l’avrebbero ostracizzata. Anche allora aveva compreso i motivi di papà, che le aveva spiegato più dettagliatamente il suo passato, pochi giorni dopo l’arrivo della lettera da Hogwarts. Rammentava anche come avesse temuto che Antonia ed Einar potessero rimanere delusi da lui, quando li aveva presi da parte, a inizio anno per spiegare loro il suo passato. Pareva che l’uomo continuasse a non accettare il fatto di essere un eroe. I fratelli gli avevano detto che erano orgogliosi di essere figli di un uomo così coraggioso e Rebecca era stata certa che papà fosse prossimo alle lacrime, mentre Antonia ed Einar lo abbracciavano.
«Mi chiedo perché non possano modificare le cose per quel che riguarda la posta internazionale degli studenti.»
Nessuno dei due adulti rispose e, forse, non aveva importanza, ma si ricordava che era stato frustrante dover aspettare che il gufo addetto alla posta internazionale della scuola partisse il primo venerdì disponibile e, non sarebbe nemmeno stato un gran problema, se il primo settembre del 2004 non fosse stato un giovedì. I Prefetti della sua casa le avevano spiegato come, in casi come quello, occorresse attendere il venerdì successivo. Aveva mandato una lettera ai nonni usando Hoffmann, ma aveva fatto promettere loro di non lasciarsi sfuggire con i genitori in che casa fosse stata smistata.
Villandry, 12-13 settembre 2004
Severus chiuse silenziosamente la porta d’ingresso, illuminando il salotto con la punta della bacchetta. La riunione a Tours era durata fino a notte inoltrata e Ygraine e i bambini dovevano già essere a letto da tempo. Era raro che accadesse qualcosa del genere, ma quella ricerca stava dando loro più di un grattacapo e sembrava che fosse imprescindibile trovare una soluzione entro la fine di quella giornata.
Si tolse le scarpe, prima di far ripiombare la casa nella semioscurità. Alla fine, avevano discusso e fatto ipotesi per ore, senza giungere ad una soluzione. Almeno, quell’idea non era venuta loro in mente il 28 agosto, quando Antonia e Einar avevano compiuto il loro primo anno d’età; né il 31, quando avevano accompagnato Rebecca in Inghilterra dai nonni.
Erano stati i signori Ainsworth ad accompagnare la bambina al treno. Sapeva che Rebecca avrebbe preferito che ci fosse lui, ma credeva che avesse compreso per quale motivo fosse meglio che a salutarla fossero gli anonimi nonni Babbani. L’ultima cosa che voleva era che Rebecca fosse in qualche modo ostracizzata per legame che aveva con lui. Non erano trascorsi ancora abbastanza anni dalla fine della guerra e molti dei ragazzi presenti a scuola dovevano aver conosciuto qualcuno che aveva perso tutto durante quel periodo orrendo o che aveva conosciuto uno degli studenti che aveva sofferto sotto la sua presidenza.
Era ormai giunto alla conclusione che, durante quell’anno, aveva fatto tutto quanto gli fosse possibile per proteggere i ragazzi, che agire in maniera diversa lo avrebbe portato a tradirsi e a consegnarli nelle mani di qualcuno di ben peggiore, ma non poteva ignorare che gli studenti avessero sofferto, non poteva ignorare in quale situazione impossibile l’aveva posto Albus, né poteva lasciar del tutto andare il senso di colpa che provava nei confronti degli studenti che aveva giurato di difendere.
Probabilmente se Ygraine non fosse stata impegnata nelle prove di Tannhäuser all’Opéra di Parigi, avrebbe accompagnato lei Rebecca, ma Alfred era sembrato decisamente felice di avere l’opportunità di salutare la nipote.
La porta della camera dei bambini era aperta, come al solito, e, come al solito, la luce fioca di una candela – una delle poche che avevano in una casa essenzialmente Babbana – illuminava il volto dolce di Antonia. I capelli neri della figlia si perdevano invece nella semioscurità della stanza e lo stesso sarebbe accaduto con gli occhi che aveva ereditato da lui. I lineamenti, però, erano quelli di Ygraine. Se n’era accorto già il giorno in cui era nata, il giorno in cui aveva deciso di chiamarla con il nome del personaggio che la moglie aveva interpretato la prima volta che l’aveva sentita cantare a teatro.
Einar si rigirò in quel momento nel suo lettino, ma il figlio, generalmente tranquillo, sembrava non riuscire a star fermo durante la notte. Era stata Ygraine a scegliere quel nome, dopo aver trascorso ore su un volume che le aveva prestato Alfred. Quando erano tornati a casa dall’ospedale aveva cercato quel nome insolito sul libro consultato dalla moglie ed era riuscito a capire perché l’avesse scelto, per quanto lui non riuscisse a vedersi realmente sotto quella luce, o quanto meno non completamente [2].
Non si stupì nemmeno quando sentì una mano lieve sulla schiena. Si era accorto che Ygraine era entrata nella stanza, i capelli stranamente sciolti, ma era rimasto fermo ad osservare i bambini e i loro volti pacifici.
Rimasero entrambi immobili per qualche tempo e Severus assaporò quella pace, come faceva ogni giorno. Si ritirarono insieme nella loro stanza, mentre le stelle illuminavano la notte francese, fino a quando non sorse un altro giorno.
Ygraine non avrebbe avuto alcuna prova fino al giorno dopo quando sarebbe stato il tempo dell’ante-generale. Severus sapeva che la donna stava tenendo un calendario leggero ed era certo che non fosse unicamente per stare accanto ai bambini. Per quanto le corde vocali non fossero state irrimediabilmente danneggiate dalla pozione che era stata obbligata a bere, preferiva essere cauta e non forzare troppo la voce.
«Domani rimarrai a dormire a Parigi?»
«No, le prove sono state anticipate e riuscirò a prendere il treno delle cinque», Ygraine distolse per un istante lo sguardo da Antonia e Einar che stavano giocando sul tappeto davanti al divano. «Rimarrò a Parigi per quattro sere. Fortunatamente canto in due pomeridiane.»
Il silenzio calò tra loro, mentre Ygraine si sistemava meglio sul divano, accoccolandosi, come faceva sempre, contro Severus. Antonia aveva interrotto il gioco e si era voltata a guardarli o, più probabilmente, stava guardando suo padre e forse, tra poco, lo avrebbe chiamato. Invece, rimase silenziosa, con i suoi occhi neri così simili a quelli di Severus, ma privi del peso del passato che aveva vissuto il padre. Erano occhi innocenti e fiduciosi.
«Papà, mamma.»
Einar stava indicando con insistenza qualcosa, gli occhi nocciola illuminati di curiosità, notò Severus. A quanto pareva il loro figlio era l’unico abbastanza attento da accorgersi dell’arrivo di un gufo. Fu Ygraine ad andare ad aprire la finestra, mentre lui sollevava il bambino sul divano. Einar si andò a posizionare subito sulle sue ginocchia, posando il capo, ricoperto dagli stessi capelli neri che condivideva con lui e con la sorella, contro il suo petto, in un gesto colmo di fiducia. Antonia, dopo che l’ebbe aiutata a salire sul divano, stando attento a non far cadere il figlio, si rannicchiò contro di lui, nello stesso modo in cui faceva Ygraine.
«Ci scrive Rebecca», annunciò la moglie, sedendosi accanto ad Antonia.
Cari mamma e papà,
mi dispiace tantissimo per l’attesa, ma era proprio come avevi detto tu, papà, e fino al 10 non ho potuto inviare la lettera.
Posso però scrivere molte più cose e non soltanto la casa in cui sono stata smistata.
Per prima cosa, il professore di Pozioni non ci ha ancora fatto fare nulla di pratico, ma ha solo tenuto dei discorsi di carattere teorico. Forse, la prossima volta inizieremo, finalmente, a lavorare ad una pozione. Ho preso il massimo dei voti nel primo compito, comunque. D’altronde ho passato molto tempo nel tuo laboratorio, papà, e sono certa di aver capito la differenza tra sminuzzare e frantumare.
Delle altre materie, ho delle difficoltà in Trasfigurazione e – e mi dispiace veramente molto, papà – in Difesa contro le Arti Oscure. La professoressa ci ha fatto fare subito pratica, ma i miei incantesimi non sembrano mai essere abbastanza efficaci. Come immaginavamo Erbologia è una delle mie materie preferite, ma abbiamo passato molte ore a curare il nostro giardino e, alla fine, non c’è un abisso tra dei fiori “normali” e delle piante magiche.
Ho anche fatto amicizia con una ragazza, Charlotte, e un ragazzo, Timothy. Nessuno dei due è nella mia stessa casa, ma non credo che sia un problema.
Il Cappello Parlante è stato piuttosto rapido – sono stata anche la prima a essere smistata, dato che per tutti continuo ad essere una Ainsworth… credo che la legge, a volte, sia molto stupida – e mi ha smistata a Tassorosso.
La sala comune è molto accogliente e la Professoressa Sprite mi piace tantissimo sia come Capocasa che come insegnante.
Spero che le prove stia andando bene, mamma, e che la tua ricerca stia finalmente dando i suoi frutti, papà.
Date un bacio ad Antonia ed Einar da parte mia.
Rebecca.
Villandry, 8 settembre 2014
Rebecca si alzò rapidamente dal divano, non appena vide il gufo picchiettare il vetro. Lei si era fatta una sua idea su quali case avrebbero accolto i fratelli. Antonia ed Einar, per quanto gli fosse stato spiegato due anni prima, che lei non era realmente la loro sorella maggiore, non l’avevano mai considerata come una cugina.
D’altronde, lei non ricordava più i volti di Gawain e Margaret. Sapeva che erano tornati in Inghilterra, ma non li aveva mai nemmeno incrociati o, forse, se lo aveva fatto, non li aveva riconosciuti. Era anche cosciente che non parlavano più nemmeno con i nonni e questo le dispiaceva perché era certa che loro fossero stati dei genitori eccellenti, proprio come erano Severus e Ygraine con lei e i gemelli.
Mentre portava le due lettere ai genitori, si rese conto di apprezzare la quieta felicità della sua casa e che le sarebbe dispiaciuto, in futuro, lasciarla.
Si sedette accanto a papà, mentre l’uomo apriva la lettera di Einar.
Papa et maman,
sono certo che Antonia scriverà molto più di me. Rebecca mi ha consigliato di tenere per ultimo il risultato dello smistamento, ma non mi sembra particolarmente sensato. Sono certo che leggerete comunque tutto quello che avrò da scrivervi.
Sono un Corvonero e ne sono felice. Spero che lo siate anche voi.
Posso già anticiparvi che mia sorella non è nella mia stessa casa, ma era una cosa che avevamo un po’ tutti messi in conto.
I professori mi piacciono tutti, anche se, devo ammettere, che papà spiega di gran lunga meglio della professoressa di Pozioni che, per lo meno, non è lo stesso insegnante che aveva Rebecca. Credo di essere entrato subito in sintonia con Difesa contro le Arti Oscure e Incantesimi. Su Trasfigurazione la penso esattamente come te, Rebecca. In Erbologia sono, come immaginavamo, un mezzo disastro. È stata la prima materia che abbiamo avuto e sono certo che la pianta che stavamo curando sia salva soltanto perché Rachel – una mia compagna di casa – pare essere brava quanto Rebecca e Antonia. Ho preso però il voto più alto nel saggio che ho dovuto scrivere per compito.
Mi dispiace soltanto di non poter visitare Monaco di Baviera con voi. Riuscirete a mandarmi una cartolina? Immagino che esista anche lì un quartiere magico.
Vi voglio bene,
Einar
Rebecca aveva creduto che il fratello sarebbe stato smistato a Tassorosso, ma, in effetti, poteva immaginarlo anche come Corvonero. Era anche certa che, per quanto non lo lasciasse trasparire, fosse quello che provava più nostalgia di casa. Lanciò un’occhiata alla lettera di Antonia che sembrava aver scritto ben più del fratello.
Papa, maman et grande sœur,
Come immaginavamo, io ed Einar non siamo nella stessa casa, ma abbiamo alcune lezioni insieme, tra cui Trasfigurazione. L’insegnante mi ha fatto i complimenti dopo la prima lezione – ho ottenuto anche 5 punti per la mia casa – mentre Einar è andato in difficoltà. Direi che ci siamo compensati in questo senso, dato che ho avuto più di un problema durante la lezione di Incantesimi. Ho chiesto all’insegnante se avrei potuto utilizzare gli schemi che mi avevi preparato, papà, ma non ne ha voluto sentir parlare. Gli altri insegnanti sono sembrati accomodanti, anche se alcuni di loro non sembravano nemmeno sapere cosa fosse la dislessia. È stato piuttosto umiliante doverlo spiegare, ma, a quanto pare, nel Mondo Magico nessuno si è mai interessato alla questione.
Il mio Capocasa mi ha assicurato che parlerà con l’insegnante di Incantesimi, quindi, papà, non devi preoccuparti.
Il professor Paciock sembrava quasi incredulo quando abbiamo avuto lezione e non per il modo in cui prendevo appunti – ma è veramente così inusuale costruire degli schemi mentre il professore spiega? –, ma perché non ho ucciso una delle sue piante come invece ha tentato di fare Einar. E dire che l'avevi messo in guardia... è anche strano pensare che un tuo ex allievo sia un mio insegnante, ma, forse, non è nemmeno l'unico, considerando che hai iniziato a insegnare così giovane.
Le mie compagne di casa sono rimaste stupite quando hanno visto che, tra le mie cose, c’era anche una viola. Ho dovuto spiegare a una di loro, una Purosangue credo, che cosa fosse (ho però avuto l’impressione che Judith sia l’unica che abbia avuto il coraggio di chiederlo). Sarai felice, mamma, di sapere che riesco ad esercitarmi tutte le sere. Il mio Capocasa mi ha indicato un’aula in disuso del secondo piano per farlo. A volte vengono anche Ambrose, un altro compagno di casa, e Judith.
Rebecca, come vedi, ho seguito il tuo consiglio e non ho ancora parlato dello smistamento.
Il Cappello Parlante mi ha smistata in Serpeverde. Sono fiera di essere nella tua stessa casa, papà, e sono felice che Einar sia un Corvonero.
Antonia Euterpe Piton.
P.S.: Ho mandato anche una lettera a William. Spero che Einar non se lo sia scordato. Io ho comunque scritto a nome di entrambi.
Severus osservò Ygraine sorridere, mentre ripiegava con cura la lettera della figlia. Il gufo che l’aveva portata stava ancora riposando in cucina e avrebbe aspettato fino a quando non avessero scritto le loro risposte. I bambini sembravano essersi inseriti bene all’interno della scuola, anche se era sempre stato certo che nessuno dei due sarebbe stato smistato nella sua stessa casa. Aveva immaginato che Einar potesse essere un Corvonero, ma si era preparato all’eventualità che Antonia tornasse a casa con i colori di Grifondoro.
Dei loro figli, era anche l’unica che avesse dimostrato una qualche affinità con la musica. Ad Einar piaceva ascoltare Ygraine cantare, ma Antonia aveva voluto imparare a suonare uno strumento e anche quello gli era mancato da quando i gemelli erano partiti.
D’altronde, sapeva che i bambini – lo avrebbero rimproverato se li avesse definiti così davanti a loro – sarebbero tornati a casa per le vacanze di Natale. Quell’anno Alfred e Mary sarebbero andati in Francia, considerando anche che Ygraine era impegnata in una serie di recital, di cui l’ultimo a Tours il 23.
E mentre ripensava agli anni trascorsi e agli anni a venire, si rendeva conto di come ormai la pace fosse il sentimento preponderante della sua vita.
Gli incubi non se n’erano del tutto andati e qualche volta, di notte, si svegliava ancora con l’immagine degli Hancock o di Albus o dei Berenger, ma si erano fatti più rari e distanziati nel tempo. Ygraine, che continuava a dormire con il capo appoggiato sul suo petto, si svegliava tutte le volte e, dopo parlavano o rimanevano in silenzio abbracciati.
Sentiva ancora presente il senso di colpa, ma si era fatto un peso lieve, che, forse, non l’avrebbe lasciato mai, ma che non gli impediva di assaporare il perdono che Ygraine continuava ad offrirgli ogni giorno e che lui riusciva a concedersi ogni giorno.
Rebecca si congedò poco dopo, probabilmente per andare a parlare con Renaud, e lui rimase da solo con Ygraine che si rannicchiò contro di lui, come faceva sempre.
Alle pareti c’erano soltanto altre due foto, oltre a quella di Ygraine in vesti di Elsa von Brabant. Una mostrava il loro matrimonio, l’altra era stata scattata da Alfred l’anno precedente e ritraeva Rebecca, insieme ad Antonia ed Einar. I suoi tre figli sorridevano felici in quella foto.
E Severus si rese conto di sorridere a sua volta, immerso nella pace di quella nuova vita e nell’amore che donava a sua moglie, ai suoi figli e ai suoi cari e nell’amore che riceveva da loro.
---
[1] L’agrégation è il concorso pubblico francese per diventare insegnante alle medie e alle superiori. È una prova molto dura (quella di inglese prevede 4 scritti e 4 orali), che in pochissimi superano al primo tentativo.
[2] Einar è un nome scandinavo che significa solo/solitario e guerriero (quindi per estensione coraggioso).