Il Calderone di Severus

Alaide - Winterreise, Genere: Introspettivo, Drammatico- Tipologia: Long - Rating: per tutti - Avvertimenti: AU - Epoca: Post 7 anno - Personaggi: Severus, Personaggio Originale, Harry- Pairing: Severus/Pers. Originale

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view post Posted on 7/11/2022, 17:01
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Capitolo XXI - Parte III
Das Wirsthaus


Gran Bretagna, 22 marzo 2002


Rebecca teneva per mano Severus, mentre si avvicinavano al portone dell’appartamento della pianista. Da qualche parte una campana suonava quattro rintocchi.
Ma dallo stabile dove si trovava Ygraine non giungeva alcuna nota.
Le altre volte in cui era andato ad aspettarla, aveva sempre udito la musica e la voce del soprano. La giovane donna gli aveva detto che, anche se aveva già finito di provare ciò per cui era andata dalla pianista, lei e Jane continuavano a fare musica.
E quel silenzio gli parve inquietante.
Era sintomo che ci fosse qualcosa che non andava, qualcosa che non rispecchiava la routine.
Aprì il portone dell’edificio con un rapido colpo di bacchetta, prima di salire le scale, continuando a tenere per mano la bambina.
Non riusciva ad allontanare dalla mente che ci fosse qualcosa che non andava. Era stato abituato a valutare ogni particolare, ogni minimo dettaglio quando aveva mentito all’Oscuro Signore, quando aveva messo in gioco ogni volta la sua vita e la sopravvivenza dell’Ordine della Fenice, mentre il mostro, che un tempo aveva servito, violava la sua mente.
Non appena raggiunse la porta dell’appartamento della pianista, il silenzio gli sembrò ancora più un sintomo che fosse accaduto qualcosa di terribile.
Non si diede il tempo di pensare a ciò che avrebbe potuto trovare oltre quell’uscio chiuso. Dalla porta dell’appartamento dall’altro lato del pianerottolo si sentiva il suono di una conversazione, mentre da quella di Jane non si udiva nulla, nemmeno il mormorio di due amiche che parlavano.
«Rebecca», disse alla bambina, lasciandole andare la mano ed inginocchiandosi davanti a lei, per poterla guardare negli occhi. «Ascoltami attentamente e fai quello che dico. Devi tornare nell’andito di ingresso ed aspettarmi lì. C’è una grande fioriera sulla destra, nasconditi lì dietro e non farti vedere da nessuno, a meno che tu non mi veda tornare con tua zia o che Harry Potter non varchi il portone d’ingresso.»
Mentre continuava ad osservare Rebecca, che stava annuendo preoccupata, invocò il suo Patronus. Mantenendo lo sguardo fisso sulla bambina, gli affidò poche chiare parole da riferire a Potter, sperando che il ragazzo agisse rapidamente, che, l’unica volta in cui non avrebbe dovuto farlo, non esitasse.
«Severus…»
«Vai, Rebecca», le intimò, alzandosi in piedi.
La bambina corse giù dalle scale, obbediente, come era stata al museo. Severus si alzò rapidamente in piedi ed aprì l’uscio con un rapido colpo di bacchetta.
Rebecca si fermò incerta sull’ultimo gradino, quando le parve di udire dei rumori e delle voci provenire dal piano superiore, ma tutto si fece nuovamente silenzioso. Era una bambina grande, si disse, mentre individuava il vaso con dentro una pianta ornamentale e andava a nascondersi lì dietro. Avrebbe fatto esattamente quello che Severus le aveva detto, anche se aveva paura, anche se temeva che fosse accaduto qualcosa di brutto alla zia e a Jane.
Si rannicchiò. Era certa che l’uomo avrebbe risolto tutto, che presto sarebbe tornato da lei, insieme alla zia.
Un raggio di sole attraversò l’andito quando il portone si aprì. Rebecca sbirciò da dietro il vaso, ma era una signora anziana che stava rincasando. L’inquilina del secondo piano salì tranquillamente le scale, senza udire alcun rumore provenire dall’appartamento sotto il suo e le dispiacque. Le piaceva quando la signorina Stanton suonava il pianoforte.
I raggi del sole di marzo illuminavano l’appartamento del secondo piano e quello subito sottostante, giocando con i capelli biondi di Ygraine che cadevano disordinati intorno al volto, mentre tentava di mettersi a sedere, ma la gola le bruciava e la gamba le pulsava. Si era a malapena accorta di quello che stava succedendo fino a quando non aveva ritrovato la capacità di muoversi.
Quando si mise a sedere, vide Jane svenuta in un angolo della stanza. Indietreggiò appena verso la parete della stanza, mentre il suo sguardo annebbiato dal dolore si portava sulla schiena di Severus. Dall’altra parte doveva esserci Taylor, si disse, mentre il sole illuminava allegro la cucina, il corpo di Jane svenuto, i resti del tavolo e i capelli neri del mago.
La giovane donna tentò di retrocedere ancora, ma si bloccò a causa della fitta di dolore alla gamba. Cercò di osservare quello che stava accadendo, ma sentiva il bruciore alla gola aumentare. Tentò di trattenere le lacrime, ma non ci riuscì. Tutto davanti a lei era indefinito e la sola cosa che riusciva a mettere a fuoco era la sagoma di Severus e quello la faceva sentire tranquilla, perché era certa che il mago sarebbe riuscito a mettere fuori combattimento Taylor.
Le sembrò di udire un tonfo sordo, ma non vi badò realmente.
Non riusciva realmente a concentrarsi su nulla, fino a quando non sentì una mano sulla spalla. Anche senza alzare il capo, sapeva che era Severus e si sentì incredibilmente al sicuro. Le lacrime scorrevano più copiose sul suo volto, quando nascose il volto contro il petto dell’uomo, che si era inginocchiato al suo fianco.
E le lacrime le parvero diventare più intense, quando sentì una mano posarsi sulla schiena.
Ygraine rimase immobile, anche quando il pianto non le bagnava più le guance, assorbendo il senso di sicurezza che le stava offrendo il mago.
Poi, lentamente si staccò da lui e lo fissò in volto. Tentò di dire il suo nome, ma dalle sue labbra non uscì alcun suono. L’unica cosa che ottenne fu una fitta di dolore alla gola.
«Non tentare più di parlare, Ygraine» Severus osservò gli occhi nocciola della giovane donna e vi lesse il dolore e la paura, ma anche, nonostante tutto, la fiducia. «Taylor ti ha somministrato una pozione che ti ha danneggiato gravemente le corde vocali. Esiste un antidoto.»
Non le disse che non era certo che sarebbe riuscita a tornare a cantare, ma almeno avrebbe potuto ridarle la voce. Aveva riconosciuto subito la pozione che stavano somministrando a Ygraine quando era entrato nella stanza. L’avevano immobilizzata per farlo. La Stanton la stava tenendo per i capelli, con maggior forza di quanta non fosse necessaria, e Taylor la stava forzando a bere quella pozione dagli effetti orribili che era stata inventata da un mago del XVII secolo per torturare la moglie.
Il sole illuminava la stanza, posandosi sui corpi schiantati e legati di Taylor e della pianista, sui capelli biondi di Ygraine e sul sangue che stava perdendo dalla gamba.
Ed illuminò anche l’ingresso dello stabile, quando il portone si aprì di colpo.
Rebecca si sporse da dietro la fioriera, osservando con attenzione i due nuovi arrivati. Trasse un sospiro di sollievo quando riconobbe Harry, che si trovava in compagnia di una ragazza dai capelli ricci. Si alzò e corse loro incontro.
«Rebecca…»
«Sono nell’appartamento di Jane… Severus mi ha detto di aspettare qui che lui tornasse o che arrivassi tu…»
«Dov’è questo appartamento?»
«Al primo piano… è quello a destra.»
Rebecca notò che il ragazzo era preoccupato, proprio com’era lei. Non sapeva da quanto tempo Severus le aveva detto di nascondersi e non voleva pensare a quello che poteva essere accaduto.
«Andrò di sopra. Hermione rimarrà con te. Fra poco arriveranno degli altri maghi.»
Harry corse su per le scale senza neanche aspettare di vedere cosa stessero facendo l’amica e la bambina. Strinse la bacchetta, chiedendosi cosa fosse accaduto nel quarto d’ora che aveva impiegato a mandare un messaggio a Micheal e a raggiungere lo stabile, Materializzandosi nel luogo più vicino noto a lui e ad Hermione che era con lui quando era arrivato lo strano Patronus di Piton.
Quando raggiunse il primo piano, entrò immediatamente nell’appartamento sulla destra. Dalla soglia non si sentiva nulla e, per qualche istante, temette il peggio. Mantenendo la presa sulla bacchetta, entrò nella stanza, dove notò un pianoforte e alcuni mobili, poi udì una voce provenire da un altro ambiente e si affrettò in quella direzione.
Trovò Piton che stava aiutando la signorina Ainsworth ad alzarsi in piedi. Per terra c’era del sangue e due corpi legati e, immaginava, schiantate.
«Cosa…»
«Cristopher Taylor e Jane Stanton hanno aggredito e torturato la signorina Ainsworth, Potter», lo interruppe bruscamente Piton, che stava sorreggendo la giovane donna. O forse era lei a non volerlo lasciar andare. «Ritengo che siano stati loro ad uccidere quei Babbani al museo.»
Harry annuì, sperando che Micheal arrivasse presto. Occorreva prendere in custodia entrambi e interrogarli. Tentò di non pensare a come fosse stato stupido a non sospettare realmente di Cristopher dopo che aveva sentito parlare del fratello della signorina Ainsworth, ma, forse, non voleva credere che il suo supervisore, un uomo che pareva avere una parola gentile per tutti, fosse capace di uccidere a sangue freddo. Invece, era stato certo che ci fosse Micheal dietro a tutto quello che era accaduto e, quando aveva contatto l’ufficio degli Auror e aveva trovato proprio l’uomo, non aveva voluto credere che ad aver manovrato ogni cosa fosse stato Cristopher.
Il Patronus di Piton, per quanto brusco e di poche parole, era stato chiaro su una questione: la signorina Ainsworth era in pericolo. E quel particolare significava unicamente che l’assassino della Tate Britain era in azione.
«Possiamo aspettare gli Auror nell’altra stanza.»
Piton non disse nulla, ma iniziò a camminare, reggendo la signorina Ainsworth con il braccio. Harry notò il modo in cui la giovane donna si stava aggrappando all’uomo, mentre zoppicava. Delle bende le coprivano la parte inferiore della gamba destra.
La signorina Ainsworth lasciò che il mago la facesse sedere su di un divano, poi, si rannicchiò contro di lui quando anche Piton si sedette. L’espressione dell’uomo non lasciava trasparire nessuno dei suoi sentimenti ed Harry si chiese cosa fosse accaduto veramente in quella stanza, cosa avesse dovuto subire la giovane donna.
Forse avrebbe dovuto dire a Piton di portar via la giovane donna, che per interrogarla ci sarebbe stato tempo dopo, ma lui non era ancora un Auror a tutti gli effetti e forse Micheal avrebbe deciso diversamente.
«Chi è con Rebecca?»
«Hermione. Era con me quando è arrivato il Patronus.»
Severus sentì Ygraine rilassarsi contro di lui. E poco dopo si staccò da lui, pur rimanendogli decisamente vicina. Il volto, incorniciato dai capelli biondi, era pallido e rigato dalle lacrime che aveva versato prima. Sembrava, almeno, più tranquilla di qualche istante prima, per quanto potesse immaginare perfettamente la notte popolata di incubi che avrebbe vissuto, per quanto sapesse che la pozione che Taylor le aveva fatto bere a forza le stesse procurando fin troppo dolore.
L’uomo cercò di mantenere la mente fissa sul momento presente, su quello che avrebbe dovuto dire agli Auror, ma non riuscì a non pensare che, se Ygraine era stata torturata, era per lo più a causa sua e delle sue scelte sbagliate.
E forse, quella volta, quando si fosse resa conto di quello che aveva rischiato, non sarebbe riuscita a perdonarlo, per quanto, in quel momento, gli occhi nocciola fossero ancora fiduciosi.
Potter si girò come una molla non appena arrivarono gli altri Auror. Micheal Green era accompagnato da Emily Thomson e da altri quattro uomini. Il ragazzo si avvicinò loro e parlò rapidamente, indicando i corpi schiantati e Severus dovette ammettere, mentre gli Auror portavano via la Stanton e Taylor di aver dovuto mantenere tutto il proprio autocontrollo per trattenersi da scagliare contro di loro incantesimi ben peggiori. Era stata solo la consapevolezza che se lo avesse fatto gli sarebbe toccata una cella ad Azkaban, senza alcuna possibilità di vedere Rebecca o Ygraine, che lo aveva bloccato.
Ygraine si era fatta, se possibile, più vicina a lui, quando Green e la Thomson si sedettero di fronte a loro, con Potter in piedi alle sue spalle.
«L’Apprendista Auror Potter mi ha spiegato che Cristopher Taylor e Jane Stanton hanno aggredito la signorina Ainsworth» disse Green. «Devo porre alcune domande a entrambi.»
«Dovrà accontentarsi di me, allora.»
«Il protocollo prevede che la prima a essere interrogata sia la vittima.»
«Il suo protocollo è stato scritto da degli imbecilli» Harry notò che, mentre Piton stava parlando a Green come avrebbe fatto durante una lezione di pozioni, la signorina Ainsworth gli aveva afferrato una mano e l’uomo non aveva fatto alcun movimento per allontanarla. «E anche se non lo fosse, la signorina Ainsworth non è in alcun modo in grado di parlare.»
Harry aveva notato che la giovane donna non aveva detto nulla da quando era entrato, che a parlare era sempre stato Piton, anche per chiedere di Rebecca.
«Potrebbe farlo dire a lei, non crede, Piton?»
La voce di Emily era particolarmente acuta mentre pronunciava quelle parole. Micheal annuì, mostrandosi della stessa opinione.
«Credevo che l’addestramento Auror portasse ad avere uno spirito di osservazione più sviluppato. Immagino che non abbiate mai sentito nominare la Pozione di Ruprecht von Dittmar.»
Emily non si mosse e Micheal scosse unicamente il capo, mentre Harry continuava ad osservare Piton e la signorina Ainsworth che sembrava stringere con maggior forza la mano del mago, per quanto questi sembrasse non farci caso.
«Rende muti, fino a che non viene somministrato l’antidoto di cui la povera moglie di Ruprecht von Dittmar non poté usufruire.»
«L’Auror Taylor ha somministrato questa pozione alla signorina Ainsworth?»
«Evidentemente.»
Harry si aspettò che Micheal facesse qualche altra domanda, ma Piton non gliene diede tempo. Raccontò con voce perfettamente controllata di come avesse compreso che doveva essere accaduto qualcosa quando era giunto all’immobile insieme a Rebecca. Spiegò che aveva trovato la signorina Ainsworth immobilizzata, mentre Taylor le stava versando in gola una pozione che Piton aveva riconosciuto subito dalla sua pigmentazione particolare. Jane Stanton stava tenendo la giovane donna per i capelli, in modo da aiutare meglio il suo complice. Piton aveva schiantato immediatamente la donna, legandola subito dopo. Taylor aveva fatto cadere la fiala con la pozione, riuscendo a proteggersi in extremis dall’incantesimo che il pozionista gli aveva mandato contro. Avevano duellato, ma, per quanto Piton non stesse scendendo nei particolari, Harry era certo che avesse avuto la meglio su Taylor in poco tempo.
Durante la su narrazione la signorina Ainsworth aveva continuato a stringergli la mano, ma, da dove si trovava Harry non riusciva a vedere se Piton stesse ricambiando la presa. Di certo, però, la voce dell’uomo era distaccata, per quanto al ragazzo sembrò che qualcosa bruciasse nella profondità dei suoi occhi neri.
«Credo che sia tutto per ora», annunciò Micheal. «Quanto tempo sarà necessario prima che la signorina Ainsworth possa parlare?»
«Domani pomeriggio potrà rispondere alle vostre domande.»
«Potrà venire nello…»
«No, Green, la interrogherete a casa mia.»
Harry portò la sua attenzione su Piton che aveva pronunciato quelle parole come se stesse annunciando che quel giorno era soleggiato. Notò che la signorina Ainsworth si era voltata verso il mago e che il volto pallido e velato dal dolore si era illuminato di una profonda gratitudine.
Micheal fu il primo ad allontanarsi dalla stanza, dopo avergli detto di raggiungerlo tra due ore per gli interrogatori dei due arrestati, e al ragazzo sembrò quasi che l’uomo avesse voglia di fuggire o, forse, desiderava rimanere solo per comprendere come non fosse riuscito a intuire che un suo collega potesse essere capace di uccidere quei due Babbani e a torturare la signorina Ainsworth. O, più probabilmente, voleva sapere chi fosse quella Jane Stanton e che rapporto avesse con Cristopher.
Il sole illuminava il pianoforte e i capelli biondi di Ygraine e aveva illuminato più volte l’andito d’ingresso ogni qualvolta un Auror entrava e usciva. Rebecca era incredibilmente preoccupata. Ogni volta che sentiva dei passi sperava che fossero Severus e la zia, ma invece era sempre qualcun altro.
«Perché non arrivano?»
Forse l’amica di Harry avrebbe avuto idea del perché ci stessero mettendo tanto tempo. Da dove si trovava aveva visto portare fuori Jane e uno degli Auror entrambi legati, ma non riusciva a capire perché la zia e Severus non fossero ancora arrivati.
«Non lo so, ma sono certa che non sia accaduto loro nulla di male.»
Hermione le sorrise, ma Rebecca non riusciva ad impedirsi di chiedersi che cosa ne sarebbe stato di lei se fosse capitato qualcosa a zia Ygraine o a Severus. Non aveva nemmeno mai detto al mago che gli voleva bene come se fosse il suo papà.
«Credi che…»
Si interruppe di colpo, quando udì dei nuovi passi, che riconobbe subito, senza nemmeno alzare lo sguardo.
Gli corse incontro e abbracciò Severus non appena l’uomo raggiunse il pavimento dell’andito.
«Dov’è la zia?»
La voce di Rebecca era attutita, ma sembrò quasi rimbombare nel grande andito d’ingresso. Severus lasciò andare la bambina e si inginocchiò davanti a lei. La signorina Granger si era allontanata con discrezione, notò, prima di portare lo sguardo sul volto preoccupato della piccola.
«La zia è ancora di sopra con Potter» le spiegò, cercando di capire come dire la verità a Rebecca senza spaventarla.
«Ho visto… Jane e uno degli Auror… erano legati quando li ho visti uscire. La zia sta bene?»
«Tua zia è soltanto stanca, ma sta bene» non era propriamente vero, ma non voleva rivelare a Rebecca quello che le era stato fatto. «La signorina Stanton e l’Auror Taylor hanno tentato di farle del male, ma…»
«Ma tu l’hai salvata.»
La bambina gli sorrise, dopo aver parlato con sicurezza. Severus mise a tacere il senso di colpa per quello che era accaduto a Ygraine, concentrandosi sul volto di Rebecca, sulla sua innocente fiducia.
«Come ti ho detto, tua zia è molto stanca e non vuole preoccupare i tuoi nonni. Non verrà a casa con te oggi.»
«Posso venire con voi?»
«Se tu non tornassi a casa i tuoi nonni si preoccuperebbero ancora di più» disse l’uomo, cercando di ignorare l’espressione delusa di Rebecca.
Aveva pensato di portare la bambina con lui e Ygraine, ma non credeva fosse una buona idea, soprattutto perché immaginava che la giovane donna sarebbe crollata appena si fossero trovati da soli. Fino a quel momento si era dimostrata forte, era riuscita a mantenere un certo sangue freddo davanti agli Auror, ma non avrebbe retto ancora a lungo. Glielo aveva letto nello sguardo quando l’aveva lasciata sola con Potter.
«E domani tornerete?»
Sapeva che Rebecca avrebbe posto quella domanda ed era cosciente che la bambina aveva bisogno di rassicurazioni, soprattutto dopo quello che avevano fatto i suoi genitori. Non le avrebbe però mentito.
«Lo spero, Rebecca, ma se non dovessimo riuscire a raggiungerti dai nonni, te lo farò sapere. Ti ricordi di come ho comunicato con tua zia quando sei arrivata a casa mia?»
«Sì, le hai mandato la cerva, anche se adesso non è più una cerva.»
Severus ripensò al momento in cui aveva mandato il Patronus da Potter, ma sapeva di non averlo guardato, intento com’era ad osservare il volto di Rebecca, nel tentativo di rassicurarla. Avrebbe avuto tempo per riflettere sulla questione più tardi, per vedere se Rebecca avesse ragione oppure se la tensione di quei minuti precedenti al suo ingresso nell’appartamento di Jane non l’avesse confusa.
«Però farete di tutto per tornare dai nonni?»
«Te lo prometto.»
La bambina annuì. Le piaceva il fatto che Severus non le mentisse mai. Avrebbe potuto dirle che si sarebbero sicuramente visti il giorno dopo, invece non l’aveva fatto. Sapeva che non le aveva detto cosa fosse accaduto realmente nell’appartamento di Jane, ma non era certa di volerlo sapere. La zia doveva stare bene, perché altrimenti il mago le avrebbe spiegato che le era accaduto qualcosa di molto brutto. D’altronde, Severus si sarebbe preso cura della zia, di questo era certa, e l’uomo era la migliore persona al mondo per prendersi cura di qualcuno.
«Chi mi porterà dai nonni?»
«Ti accompagnerà Potter.»
Rebecca annuì. Almeno l’avrebbe accompagnata Harry, che a lei piaceva perché credeva che Severus fosse un eroe e, anche se il mago le aveva detto di non esserlo, a lei sembrava ogni giorno che passava sempre più simile ad un vero eroe. L’aveva portata via da papà e mamma e adesso aveva salvato la zia.
«Dirai alla zia che le voglio bene?»
Il mago annuì soltanto, prima di alzarsi in piedi. La bambina lo salutò con un rapido abbraccio, poi andò a raggiungere l’amica di Harry che salutò a sua volta Severus. Quando rimasero sole, Rebecca le spiegò quello che le aveva detto il mago. Non seppe nemmeno lei perché lo stesse facendo. Forse non voleva che ci fosse silenzio nell’androne.
Harry non tardò a raggiungerle, poco tempo dopo.
«Severus mi ha detto che mi accompagnerai dai nonni.»
Harry annuì soltanto. La bambina sembrava più tranquilla di quanto si aspettasse, ma non aveva idea di cosa le avesse detto Piton. Lanciò un’occhiata a Hermione che gli sorrise appena, chiedendogli se avrebbe voluto che li accompagnasse, cosa che il ragazzo accettò immediatamente. Piton gli aveva dato ogni istruzione possibile, ma era certo che l’amica sarebbe stata sicuramente d’aiuto, quando si fosse trovato davanti ai nonni di Rebecca.
C’era però qualcosa di strano nella situazione della bambina. Poteva capire perfettamente per quale motivo Piton non avesse voluto che andasse con lui e la signorina Ainsworth. Da un lato, avrebbe rassicurato i signori Ainsworth, dall’altro, qualora la giovane donna avesse avuto degli incubi – e Harry era certo che sarebbe accaduto – la piccola non vi avrebbe assistito. Eppure, non riusciva a comprendere per quale motivo non gli avesse detto di riaccompagnarla dai genitori. A voler essere sincero, la presenza di Rebecca era la parte più strana dell’intera vicenda, perché avrebbe dovuto essere a scuola quel giorno e non insieme a Piton che pareva essersi preso cura di lei per tutto il pomeriggio.
Un tempo avrebbe tempestato Rebecca di domande, ma, in quel momento, si disse che non erano affari suoi, che se la bambina o l’uomo avessero voluto gli avrebbe spiegato ogni cosa.
«Piton mi ha detto che ti sei già Materializzata con lui.»
Rebecca annuì soltanto. Ricordava vagamente di averlo fatto, ma quel giorno voleva unicamente non lasciare andare mai Severus. Tuttavia, ricordava che non doveva muoversi e che doveva tenersi ben stretta al mago che l’avrebbe trasportata.
Quella volta però era molto più attenta e quel modo di viaggiare non le piacque per nulla. O, forse, Harry era meno bravo di Severus. Quando riaprì gli occhi erano a Canterbury, in un angolo deserto della città. Il ragazzo la lasciò subito andare, poco prima che arrivasse anche Hermione.
Seguì i due giovani fino alla stazione e salì con loro sul treno che li avrebbe portati dai nonni. Non voleva darlo a vedere, ma Severus e la zia le mancavano moltissimo.
«Credi che domani la zia potrà tornare a casa?»
«Non sono propriamente un esperto» disse Harry, chiedendosi come dovesse rispondere a quella domanda. Era certo che Piton avrebbe saputo cosa dire. «Ma a tua zia serve una pozione e sono certo che domani starà bene.»
Al ragazzo sembrò che la bambina annuisse soddisfatta da quella risposta. Lanciò un’occhiata a Hermione, ma l’amica stava osservando Rebecca con espressione pensosa.
Il sole illuminava la campagna inglese ed illuminava la casa di Spinner’s End, quando Ygraine e Severus vi entrarono. La giovane donna si era aggrappata a lui non appena Potter se n’era andato. Non aveva pianto, ma il volto era pallido e lo sguardo era annebbiato dal dolore che le doveva procurare la pozione che le avevano fatto ingerire.
L’aiutò a sedersi su una delle poltrone. Ygraine lo lasciò andare, ma nei suoi occhi c’era un’espressione molto simile a quella di Rebecca il giorno in cui l’aveva sottratta ai suoi genitori portandola dai signori Ainsworth. Tolse in silenzio le bende che aveva posto attorno alla ferita alla gamba. L’aveva curata rapidamente nell’appartamento della Stanton e sapeva di averle provocato altro dolore quando le aveva tolto il più delicatamente possibile le schegge di legno del tavolo della cucina.
Alzò per un istante il capo e notò che Ygraine lo stava osservando, gli occhi velati, ma fiduciosi. I capelli biondi erano ancora sciolti, in disordine e il sole li illuminava rendendoli più luminosi.
La giovane donna stava cercando di ignorare il dolore alla gola dove doveva averla colpita la pozione, concentrandosi invece sul modo in cui Severus si stava prendendo cura di lei. Se avesse potuto parlare, lo avrebbe ringraziato per come avesse gestito ogni cosa a partire dall’interrogatorio dell’Auror Green.
Allo stesso modo, doveva aver intuito che non sarebbe stata in grado di vedere Rebecca senza crollare davanti alla bambina, come aveva fatto non appena Harry era uscito dall’appartamento. Non voleva che la nipote si preoccupasse per lei o che si spaventasse e credeva che si sarebbe trovata decisamente meglio con mamma e papà.
«Vado a preparare l’antidoto» non appena si alzò, la giovane donna gli afferrò una mano. «Ygraine…»
Forse avrebbe dovuto darle carta e penna affinché gli spiegasse cosa volesse, ma guardandola negli occhi capì di non averne bisogno. Annuì unicamente alla muta domanda della giovane donna, per quanto non fosse abituato ad avere qualcuno che lo osservasse mentre lavorava, ma poteva immaginare per quale motivo Ygraine volesse andare con lui.
Doveva essere terrorizzata e, forse, solo in quel momento tutto quello che era accaduto la stava realmente investendo. Anche il dolore provocato dalla pozione che le aveva leso le corde vocali in maniera che per un medico Babbano sarebbe stato irreversibile doveva essere diventato, se possibile, più intenso rispetto ai primi minuti successivi. Non gli ci volle molto per condurla nel suo laboratorio. La fece sedere sull’unica sedia presente, prima di avvicinarsi agli scaffali dove teneva gli ingredienti.
Sapeva di doverne cambiare uno che per un Babbano sarebbe risultato mortale e che era necessario variare la dose di un altro per evitare effetti collaterali su una persona non dotata di magia, ma erano variazioni già previste quando la pozione era stata messa a punto. Mentre radunava gli ingredienti sul tavolo di lavoro, osservò per un istante Ygraine che aveva gli occhi nocciola rivolti verso di lui, colmi della loro luminosa fiducia.
Scacciò qualsiasi pensiero quella fiducia stesse suscitando in lui, mentre iniziava sminuzzare il primo dei numerosi ingredienti e, mentre lo faceva, si rese conto di quanto poco si occupassero i pozionisti contemporanei a adattare i loro ritrovati ai Babbani, anche se, a volte, era necessario somministrare loro un composto creato da un mago. Forse, anche quel tratto faceva parte della cecità del Mondo Magico verso la maggioranza degli esseri umani. Considerò il modo dignitoso con cui si era comportata Ygraine, che, dopo il pianto iniziale, provocato probabilmente dal dolore, era riuscita a rimanere composta di fronte a Green e che, in quel momento, stava dimostrando una calma che molti maghi non avrebbero avuto.
Quando aggiunse il primo ingrediente nel calderone, mescolando tre volte in senso orario ed una in senso antiorario, iniziò a parlare. Spiegò a Ygraine come fosse nata la pozione che l’aveva colpita, di come un mago tedesco vissuto negli ultimi anni del XVII secolo avesse deciso di punire la moglie che lo aveva denunciato ingiustamente al balivo di Norimberga. Ruprecht von Dittmar era stato imprigionato ugualmente, ma prima di essere arrestato, aveva tolto la voce alla sua sposa, logorandole le corde vocali. La donna aveva tentato di quietare il dolore bevendo, ma l’acqua rendeva tutto peggiore e, dopo una settimana di lenta agonia, era morta. L’antidoto era stato trovato soltanto in tempi ben più recenti.
Mentre aggiungeva l’ultimo ingrediente, dopo aver già spento il fuoco sotto il calderone, Severus notò lo sguardo interrogativo di Ygraine, ma non aggiunse altro. Non sapeva nemmeno perché non le stesse dicendo di essere stato lui a trovare quell’antidoto. La pozione era pressoché sconosciuta tra i non addetti ai lavori, per quanto fosse stata usata almeno altre sette volte dopo la prima. Molti pozionisti avevano cercato, per mettersi alla prova più che per dare beneficio ad una possibile vittima, un modo per contrastarne gli effetti. Severus ricordava di aver trascorso l’estate del 1982 a studiare quel particolare problema.
Era il minimo che potesse fare, considerando che aveva distillato quella particolare pozione per l’Oscuro Signore. Il Marchio Nero era stato impresso da poco sul suo avambraccio e, nonostante sapesse cosa sarebbe accaduto alla vittima, si era sentito onorato di poter mettere la sua arte al servizio del suo padrone. Dopo la notte in cui Potter era sopravvissuto all’Avada Kedavra, Severus aveva iniziato a meditare su quella particolare colpa e su come potervi porre, in qualche modo, rimedio. Aveva iniziato a studiarne un antidoto e, quando lo aveva trovato, dopo molti tentativi fallimentari, lo aveva comunicato a Silente, affinché la vittima potesse essere salvata da una morte lenta e dolorosa, se l’Oscuro avesse nuovamente chiesto quella particolare pozione.
E durante l’ultima guerra, era stata utilizzata due volte. Per due volte aveva dovuto lavorare alla pozione di Ruprecht von Dittmar e per due volte aveva creato l’antidoto, di cui nessun’altro, se non lui e Silente, conosceva l’esistenza. La vittima era stata affidata all’Ordine e nascosta, con la voce e la vita intatte, in un luogo sicuro. Almeno era riuscito a salvare quelle due vite, si disse, mentre travasava la pozione in una fiala, sotto lo sguardo fiducioso della giovane donna.
Riaccompagnò Ygraine in salotto, dove la giovane donna si sedette nuovamente su una delle due poltrone.
«Nei primi minuti sentirai dolore» la avvisò mentre le passava la fiala.
Le mani di Ygraine non tremarono nemmeno mentre si portava la pozione alle labbra. Severus avvicinò l’altra poltrona a quella dove si trovava la giovane donna e si sedette. Non dovette attendere molto prima di sentire le mani di Ygraine aggrapparsi dolorosamente alle sue. Se fosse stato possibile, le avrebbe offerto una pozione che quietasse il dolore, ma aveva saputo fin da subito che farlo avrebbe reso inutile l’antidoto.
Alcune lacrime iniziarono a bagnare il volto della giovane donna e Severus sapeva che il dolore doveva essere terribile, anche perché aveva dovuto sostituire l’ingrediente che lo attenuava parzialmente. Gli strinse maggiormente le mani, prima di appoggiare il capo contro il suo petto e quel gesto di fiducia gli fece sentire il sapore amaro della bile in gola.
Se stava soffrendo in quel modo, era unicamente a causa sua. Non aveva salvato i Berenger e Taylor aveva deciso di vendicarli. Non sapeva ancora come entrasse Tristan in tutto quello, ma era certo che la chiave fosse la pianista, una donna che lui aveva stupidamente creduto innocua.
Se lui non fosse arrivato quando era arrivato, se non avesse riconosciuto la pozione, Ygraine sarebbe stata in una terribile agonia e, con il tempo, sarebbe morta, soffrendo atrocemente, perché nessun Babbano avrebbe potuto curarla. E probabilmente nemmeno un mago perché la pozione di Ruprecht von Dittmar era poco nota e pochi dovevano essersi accorti che, sul finire del 1998, sul mercato era comparsa la ricetta per un antidoto, considerando che il Mondo Magico era intento a festeggiare la fine della guerra e a riparare ai danni portati da questa.
Se Ygraine fosse morta, la responsabilità sarebbe stata soltanto sua, che non aveva avuto il coraggio di respingere zia e nipote quando ne aveva avuto l’occasione, che non era riuscito più a fare a meno della loro presenza e del perdono che gli avevano donato.
I singhiozzi iniziarono a scuotere il corpo di Ygraine, abbandonato, ormai, contro di lui, mentre le mani continuavano a stringere le sue. Inizialmente muti, i singulti iniziarono a diventare un suono soffocato e, quando questo accadde, Severus seppe che il dolore doveva essersi quietato.
«Non parlare ancora.»
Ygraine annuì appena contro il petto dell’uomo. Sapeva che avrebbe dovuto scansarsi, ma non lo fece, né gli lasciò andare le mani, nonostante avesse allentato leggermente la presa. Il dolore era stato terribile, ma lo aveva superato ripetendosi che la pozione che aveva preparato Severus le avrebbe permesso di parlare di nuovo, che avrebbe, in qualche modo, riparato le sue corde vocali danneggiate.
Ed aveva superato il dolore anche grazie al modo in cui aveva stretto le mani dell’uomo e al modo in cui si era appoggiata a lui, prendendo coraggio dalla sua presenza.
Rimase immobile per un tempo che non seppe quantificare e si staccò soltanto quando qualcuno bussò alla porta. Si sistemò meglio sulla poltrona, mentre il sole illuminava con i suoi ultimi raggi la stanza.
«Come sta?»
Potter teneva tra le mani la borsa che aveva preparato la madre della giovane donna e sembrava sinceramente preoccupato per Ygraine, notò Severus.
«Le ho appena somministrato l’antidoto.»
«I genitori della signorina Ainsworth hanno creduto a quello che mi hai detto di dire, anzi non ne sembravano nemmeno sorpresi» Harry era certo di aver mentito malissimo quando aveva annunciato che la giovane donna era stata trattenuta per delle prove a teatro, ma a quanto pareva non era un’eventualità particolarmente strana.
«Quando verranno interrogati Taylor e la Stanton?»
«Tra un quarto d’ora.»
«Se non lo nominano, chiedi loro cosa ne è stato dell’organetto.»
Harry annuì, soltanto, mentre ricordava che Piton gli aveva detto di un suonatore di organetto che pareva seguire lui o la signorina Ainsworth. Doveva solo capire quando fosse meglio fare la domanda e non passare per un pazzo con Micheal.
«Fammi sapere a che ora arriverete domani.»
Severus osservò Potter annuire nuovamente. Il ragazzo chiuse delicatamente la porta, lasciandolo solo con Ygraine. Quando tornò verso le poltrone, notò che aveva sistemato i capelli in una treccia morbida. Prima di tornare a sedersi, si recò in cucina e si procurò un bicchiere d’acqua che avrebbe reso più efficace l’antidoto. Era stata una delle prime cose su cui aveva posto l’attenzione: la pozione originale rendeva l’acqua un veleno, era quindi necessario che il rimedio la rendesse un farmaco.
Quando tornò, porse in silenzio il bicchiere a Ygraine che bevve a piccoli sorsi. Non osava guardarla in volto e non sapeva nemmeno se temesse di trovarvi la fiducia o la consapevolezza che tutta quella sofferenza le sarebbe stata risparmiata se lui avesse il coraggio di allontanarla da sé quando avrebbe dovuto.
«Severus» la voce di Ygraine era flebile. «Nulla di quello che è accaduto è colpa tua.»
L’uomo portò lo sguardo su di lei e la giovane donna lo stava osservando con fiducia e con gratitudine. Avrebbe dovuto odiarlo dopo quello che le era accaduto, invece si stava preoccupando per lui, stava tentando di confortarlo, senza nemmeno aver bisogno che lui facesse alcun cenno al senso di colpa che stava provando in quel momento. Avrebbe potuto scegliere di dire qualcos’altro, invece le prime parole che aveva pronunciato dopo la somministrazione dell’antidoto erano state parole di perdono.

 
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view post Posted on 7/11/2022, 17:32
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Capitolo XXII - Parte I

Mut



Fliegt der Schnee mir ins Gesicht,
schüttl' ich ihn herunter.

(Se la neve mi vola in faccia,
la scuoto via.) [1]


Gran Bretagna, 22 marzo 2002


Harry arrivò al Ministero appena in tempo per l’inizio dell’interrogatorio di Cristopher Taylor. Micheal ed Emily lo stavano attendendo con un certo nervosismo, che emanava soprattutto dalla donna.
«Come sta la signorina Ainsworth?»
«Piton le ha somministrato l’antidoto.»
L’Auror Green annuì soltanto, prima di entrare, insieme a Harry ed Emily, nella stanza dove li attendeva Cristopher, che sembrava perfettamente calmo, per quanto il ragazzo credesse che quella fosse unicamente una facciata.
«Immagino tu sappia già che rischi di essere rinchiuso ad Azkaban per il resto della tua vita, dopo che hai ucciso due Babbani e hai assalito la signorina Ainsworth.»
«Dunque, vi siete lasciati manipolare da Piton.»
Harry avrebbe voluto urlare contro ad un uomo che gli era sempre parso tranquillo e mite e che gli aveva spiegato tutto del mestiere di Auror, compreso il fatto di mettere sempre in dubbio ogni cosa venisse detta da un sospettato.
«La signorina Ainsworth è stata obbligata ad ingerire una pozione di cui Piton le ha appena somministrato l’antidoto» Harry notò che il volto di Cristopher fu attraversato da un lampo di stupore, quasi che non si aspettasse che esistesse una cura a quella pozione. «Sarebbe quanto meno strano, da parte sua, permetterle di parlarci domani.»
«Pensavo avessi capito, Micheal, che quella Babbana è la puttana di Piton. Dirà qualsiasi cosa lui le suggerirà.»
«Non è l’unica testimone di quanto è accaduto» la voce di Micheal era completamente calma, quasi glaciale e Harry non lo aveva mai sentito parlare in quel modo. «Uno di noi ha già avuto modo di parlare con Rebecca Ainsworth e sono certo che la bambina abbia confermato la versione di Piton.»
«Esattamente», disse Harry, che non si era nemmeno aspettato che Micheal notasse la presenza della bambina nell’androne dello stabile.
Durante il viaggio in treno, Rebecca gli aveva effettivamente spiegato quello che era accaduto quando erano arrivati davanti all’edificio che ospitava l’appartamento della Stanton. Hermione gli aveva anche detto, dopo che si erano allontani dalla casa dei nonni della bambina di come questa fosse stata in pensiero per tutto il tempo fino a quando non era arrivato Piton. A quanto le aveva detto l’amica, l’uomo si era comportato in maniera decisamente paterna con Rebecca e anche il modo in cui la bambina ne parlava era diverso rispetto alle altre poche volte in cui l’aveva vista.
Non sapeva cosa fosse accaduto e perché la bambina vivesse con i nonni, ma di certo qualcosa aveva portato ad un cambiamento nel rapporto tra lei e il mago.
«Inoltre, Piton ha avvisato l’Apprendista Auror Potter del pericolo che stava correndo la signorina Ainsworth e, di conseguenza, sono stato allertato anch’io.»
«E come avrebbe potuto allertarti, Harry?»
«Mi ha mandato il suo Patronus.»
Cristopher parve perdere parte della sua sicurezza non appena pronunciò quelle parole. Forse si stava rendendo conto che la sua teoria di una manipolazione da parte di Piton fosse quanto mai insensata e che tutti loro avessero capito che era unicamente il tentativo disperato di un uomo di salvarsi da una condanna ad Azkaban.
«D’altronde, Cristopher, avevo iniziato a sospettare di te da qualche giorno e adesso vorrei soltanto aver palesato prima i miei sospetti a Micheal, ma stavo cercando delle prove certe», le parole di Emily fecero quasi sobbalzare Harry. Non si era aspettato che la donna parlasse. Al contrario, aveva creduto che avrebbe potuto anche credere alla teoria della manipolazione di Piton, considerando come era stata certa della sua colpevolezza. «Negli ultimi tempi, ho riletto tutti i verbali e mi sono soffermata sul ritrovamento dell’arma del crimine. Micheal l’ha portata come prova, ma sei stato tu a trovarla, un particolare che mi era sempre sfuggito, poi mi sono ricordata dei miei anni a Hogwarts e che tu eri stato uno dei migliori amici di Hugh Berenger e della sua futura moglie. Eri di qualche anno più piccolo di me, ma sono stata un Prefetto.»
«Non ho mai nascosto di essere stato amico dei Berenger, Emily. Anche tu eri amica di Hugh, se non ricordo male», disse Cristopher che sembrava aver ripreso parte della sua sicurezza. «Mi chiedo perché tu non ti stia interrogando circa le azioni di Piton.»
«Vorrei dirti che sono ancora convinta che sia lui il colpevole, ma l’ho visto con la signorina Ainsworth oggi e sono certa che una giovane donna che è stata torturata con una pozione dalle conseguenze terribili, che si è appena ritrovata muta perché quella stessa pozione le sta logorando le corde vocali, non si affiderebbe in quel modo a chi le ha somministrato un tale composto» affermò la donna con decisione. «Credo ancora che Piton meriterebbe di stare ad Azkaban per i crimini che ha commesso, ma non posso negare che sia completamente innocente, per quel che riguarda questa particolare vicenda.»
Cristopher non ribatté e Harry si chiese cosa gli stesse passando per la testa, che cosa avesse pensato quando aveva ucciso due Babbani, quando aveva fatto bere quella pozione alla signorina Ainsworth.
«Immagino che tu volessi vendicare la morte dei tuoi amici.»
La voce di Micheal si perse per la stanza, mentre il ragazzo si chiedeva come avesse potuto escludere così rapidamente Cristopher, ma lui non aveva alcuna base da cui partire se non le parole che Green ed Emily avevano scambiato sulla signorina Ainsworth e sul fratello suicida e il fatto che erano andati a interrogare il padre di Rebecca.
«L’avrei fatto prima se avessi trovato un modo per far soffrire quel dannato Mangiamorte. Sapevo dove abita, come lo sappiamo tutti noi Auror, ma non volevo banalmente ucciderlo. Meritava di peggio», la voce di Cristopher era fredda, ma i suoi occhi parevano emanare una sorta di lucida follia che fece rabbrividire Harry. «Sapevo che Piton era stato presente. William, il figlio di Hugh e Mathilde che è scampato alla carneficina, ne aveva sentito la voce e per questo non si era mosso dal capanno degli attrezzi in cui si trovava in quel momento. Sarebbe dovuto andare a vivere con i genitori di Hugh che erano andati in Spagna da uno dei loro figli, ma i genitori di Mathilde, essendo dei maghi, hanno avuto la precedenza nella causa di affidamento e potete ben immaginare anche voi quello che quel povero ragazzo ha dovuto passare quando i Mangiamorte hanno avuto in loro mano Hogwarts. Finita la scuola è andato in Spagna e si trova ancora lì con i suoi nonni. Nessuno di loro si è accorto che, l’ultima volta che sono andato a trovarli, ho sottratto la bacchetta di Hugh.»
«E non ti sei mai chiesto come mai la bacchetta di Hugh Berenger fosse in mano alla sua famiglia?»
«Devono averla trovata accanto al corpo di Hugh… d’altronde non è importante», Harry lanciò un’occhiata verso Micheal per vedere se avrebbe aggiunto qualcosa, ma non disse nulla e forse era la cosa migliore da fare. Cristopher non avrebbe di certo cambiato idea sapendo che la bacchetta era stata recapitata ai Berenger da Piton. «Ho cercato di capire per anni come agire, come farla pagare all’unico responsabile a me noto e che era libero di fare quello che voleva, perché tu, Harry, ti sei fatto ingannare. Non te ne ho mai fatto una colpa, dato che eri soltanto un ragazzino.»
Harry stava per ribattere, ma gli parve di sentire la voce di Piton che gli diceva di non fare sciocchezze. Rimase in silenzio, per quanto le parole di Cristopher lo irritassero e non tanto perché gli aveva dato del ragazzino idiota, ma perché metteva in dubbio i sacrifici che aveva compiuto l’uomo più coraggioso che avesse mai conosciuto.
«Come sei giunto alla decisione di uccidere due Babbani?»
«Jane Stanton ha visto Piton al museo e l’ha visto parlare con la signorina Ainsworth» Cristopher continuava a parlare con calma, ma la luce folle era scomparsa dai suoi occhi. In quel momento appariva unicamente rassegnato e consapevole del futuro che lo avrebbe atteso ad Azkaban. «Anch’io ho avuto modo di vederli insieme. È stato allora che abbiamo iniziato a progettare il duplice omicidio. Avevamo notato che la signorina Ainsworth, Piton e la bambina si incontravano nella caffetteria del museo. Jane credeva che la Babbana avrebbe compreso con che razza di uomo avesse a che fare, ma nulla ha mai scalfito le sue convinzioni. Al contrario, sembrava farsi sempre più vicina a lui. Credevamo che il caso sarebbe stato chiuso rapidamente. Piton sarebbe finito ad Azkaban per l’omicidio e Hugh e Mathilde sarebbero stati vendicati, ma le cose non sono andate come volevamo.»
«Quindi avete deciso di torturare la signorina Ainsworth?»
«Jane l’odiava. A me sembrava soltanto una povera sciocca infatuata di un assassino, una di quelle donne, animate da strane manie di redenzione, che sono attratte dai poco di buono. Ma Jane le attribuiva una buona dose di responsabilità nel suicidio del fratello, Tristan, e si è resa conto di odiarla ancora di più quando ha scoperto che la Ainsworth aveva stretto un legame profondo con Piton. È stata lei a trovare la pozione. Voleva che Piton andasse in prigione, dove sapevamo perfettamente che non sarebbe durato molto. I seguaci di Tu-Sai-Chi imprigionati avrebbero anche potuto crederti Harry e la vita di un traditore non è facile in un carcere pieno di coloro che hai apparentemente tradito. Ma voleva anche che la signorina Ainsworth soffrisse e quale migliore modo se non toglierle la voce, se non impedirle di cantare ancora?»
Harry sentì accapponarsi la pelle alla domanda di quello che era stato il suo supervisore. La pianista e quell’uomo erano delle persone orribili, pronte a distruggere delle vite, pronti a uccidere per compiere un’inutile vendetta.
«Ci sembrava quasi poetico che la signorina Ainsworth venisse colpita da una pozione. Quando avrei consegnato Piton… chi avrebbe creduto alla sua parola contro la mia? Chi avrebbe dubitato di fronte ad un Mangiamorte e ad una pozione oscura?»
Il ragazzo si chiese come Cristopher avesse creduto di poter sconfiggere Piton in un duello. Per quanto avesse ammirato, un tempo, il suo supervisore si era resa conto che non era l’Auror più capace in quel campo. Forse, però, aveva sottovalutato l’avversario. Non doveva aver mai avuto modo di vedere Piton in azione e doveva essersi fermato sul particolare che fosse un maestro pozionista. O, forse, più semplicemente, era stato troppo accecato dal desiderio di vendetta per prendere in considerazione che quel terribile piano fallisse.
«Sarai tenuto in custodia ad Azkaban fino al giorno del processo», la voce di Micheal era glaciale ed Emily stessa pareva pronta a gettarlo personalmente in prigione.
«Posso fare una domanda, prima?» Micheal annuì alla sua richiesta. «Vorrei sapere cosa ne sia stato dell’organetto.»
Nello sguardo di Cristopher lesse la sorpresa per qualche istante, prima che l’uomo riuscisse a rendere più neutri i lineamenti.
«Non so di cosa tu stia parlando, Harry.»
Invece, sembrava saperlo perfettamente, ma Micheal gli impedì di fare altre domande, quando chiamò alcuni Auror perché portassero via Cristopher.
Quando fu fatta entrare Jane Stanton, Harry si chiese che ore fossero e quasi gli dispiacque di non poter posare gli occhi sul crepuscolo che doveva avvolgere l’isola in quel momento.
E, in quel momento, effettivamente il crepuscolo si stendeva su tutta l’isola e intorno alla casa di Spinner’s End. Ygraine sedeva al tavolo della cucina, sorseggiando un bicchiere d’acqua che sembrava darle, ad ogni sorso, un maggior conforto alle corde vocali, per quanto le sembrasse di emettere ancora la voce a fatica.
Severus aveva appena sistemato i piatti che avevano usato per la cena e un quieto silenzio era caduto sulla stanza, per quanto non avessero parlato molto, dopo le prime parole che aveva pronunciato dopo aver ricevuto l’antidoto. L’uomo non aveva ribattuto, ma Ygraine temeva che si stesse ancora rodendo per quello che le era capitato, per quanto non ne avesse alcuna ragione, considerando che la responsabilità ricadeva unicamente su Jane e Taylor.
«Severus, vorrei ringraziarti per oggi.»
L’uomo la osservò con attenzione. Gli occhi nocciola esprimevano più fiducia del solito e c’era anche dell’ammirazione in loro, per quanto fosse certo di non meritare nessuno di quei due sentimenti.
«Avrei dovuto indagare sulla signorina Stanton. Sapevo che qualcuno che aveva conosciuto tuo fratello era legato al caso.»
Quello era un particolare che non riusciva a perdonarsi. Aveva focalizzato la sua attenzione sui rapporti tra gli Auror, cercando in loro un legame con Tristan, ma aveva escluso Jane perché non la credeva in contatto con alcun mago.
«Anch’io ne ero a conoscenza, ma non ho mai creduto che Jane potesse essere coinvolta. Non mi ero nemmeno accorta che era innamorata di Tristan.»
Non avevano ancora parlato di quello che era accaduto fino a quel momento. Severus era stato reticente a fare domande a Ygraine, dal momento che non voleva che ripercorresse nuovamente quello che le era accaduto da troppo poco tempo.
Stava per dirle che ne avrebbero riparlato il giorno dopo, ma la giovane donna riprese a parlare, narrandogli ogni cosa e ad ogni parola che aggiungeva l’uomo si rendeva conto che la giovane donna aveva avuto una prontezza di spirito e un coraggio invidiabili. Aveva tentato di lottare con le poche armi a sua disposizione, ma nulla aveva potuto contro l’incantesimo di Taylor, né contro la superiorità fisica della Stanton.
Ed anche in quel momento mostrava la sua forza d’animo, narrando quel che era accaduto con calma, per quanto di tanto in tanto la voce le tremasse appena.
«Se sono riuscita a non lasciarmi prendere dallo sconforto più totale, è stato unicamente perché sapevo che tu saresti arrivato.»
Quelle ultime parole erano state appena mormorate, ma a Severus parvero simili ad una pugnalata e ad un balsamo guaritore. Erano lo specchio della fede che leggeva sempre più profonda negli occhi nocciola della giovane donna, una fede che avrebbe voluto meritare, ma che temeva di non essere degno di ricevere.
Fuori dalla finestra, la notte era ormai calata sulla via e sulla cittadina di provincia e avvolgeva Londra in un’oscurità soffocante, da quando grandi nuvole nere avevano coperto la luna e le stelle. Harry era appena uscito dal Ministero della Magia dopo aver assistito anche all’interrogatorio della signorina Stanton. La donna non aveva nemmeno cercato di discolparsi. Aveva spiegato ogni minimo particolare del loro piano con una freddezza che gli aveva fatto comprendere che ad architettare tutto era stata lei. Quando aveva nominato l’organetto, aveva unicamente sorriso come se lui fosse uno stolto, ma non aveva detto una parola. Su come avesse desiderato la sofferenza della signorina Ainsworth e di veder Piton pagare aveva invece pronunciato un diluvio di parole. Aveva anche osato dire che aveva sperato in una vita di atroci dolori per la signorina Ainsworth, che era stata certa che così sarebbe stato, perché non sapeva che fosse stato ritrovato un antidoto per quella particolare pozione.
Forse, era quello il particolare che la rodeva di più. Non sembrava preoccupata dalla prospettiva di una vita trascorsa ad Azkaban, quanto piuttosto dal fatto che la signorina Ainsworth non stesse soffrendo orribilmente e che Piton non si stesse sentendo totalmente impotente di fronte al dolore della giovane donna.
Harry rabbrividì, mentre entrava nel suo appartamento. Non ebbe nemmeno la forza di preparare qualcosa per cena, preferendo coricarsi subito, per quanto fosse certo che non avrebbe chiuso occhio quella sera. Da quando era diventato un Apprendista Auror non aveva mai incontrato un caso così terribile e aveva sperato, inutilmente, di non incontrarne affatto.
La notte era ancora cupa quando posò gli occhiali sul suo comodino e la notte era luminosa in altre parti d’Inghilterra, rischiarata com’era dalla luna crescente e dalle stelle, che parevano vegliare su Spinner’s End e su una delle case in particolare, da cui proveniva una luce baluginante dalla finestra del pianterreno.
«Dovresti andare a riposare, Ygraine.»
La giovane era seduta su una delle due poltrone. Erano rimasti in silenzio da quando avevano lasciato la cucina, un silenzio tranquillo, ma l’uomo aveva notato che gli occhi di Ygraine erano velati dalla stanchezza.
«Lo so, è che…», la voce le morì per un istante in gola. Avrebbe voluto dirgli che aveva paura di andare a dormire, di allontanarsi da lui, che soltanto con lui al fianco si sarebbe sentita veramente al sicuro. «C’è solo una cosa che non ti ho ancora chiesto. Potrò continuare a cantare?»
«Non lo so.»
Severus si era aspettato quella domanda e sapeva che avrebbe potuto darle unicamente quella risposta. Tentò di tenere a bada il senso di colpa, dicendosi che non era stato lui a somministrare quella maledetta pozione a Ygraine, che sapeva che non aveva alcuna reale responsabilità in quello che era accaduto, ma non riuscì a scacciare l’idea che la giovane donna non avrebbe sofferto se lui avesse avuto il coraggio di respingerla.
«Domani telefonerò al foniatra che mi ha già seguita altre volte in Inghilterra e che lavora spesso per il teatro.»
La voce di Ygraine era spenta. D’altronde Severus la ricordava perfettamente in scena, mentre dava vita al personaggio che stava interpretando, mentre la sua voce esprimeva in maniera così vivida le emozioni, e non riuscì ad immaginarla per sempre priva del canto.
«Cosa farai nel caso in cui dovessi scoprire di non poter più cantare?»
Non avrebbe voluto porle quella domanda, ma sapeva di doverlo fare. Credeva che fosse meglio per Ygraine non nutrire nessuna illusione in proposito. Nemmeno lui doveva nutrirne, per quanto sapesse che non sarebbe mai riuscito a perdonarsi se la giovane donna avesse perso per sempre il dono del canto.
«Non lo so. So che presto o tardi la mia carriera finirà e ho sempre avuto l’idea di smettere di cantare prima che la mia voce iniziasse a indebolirsi», mormorò la giovane donna, la voce flebile e incerta. «Non ho mai desiderato fare come alcuni miei colleghi che continuano a cantare quando ormai la voce è diventata un misero ricordo dei loro anni migliori, ma… spero che non sia il caso, ma se non potessi più cantare, forse potrei almeno trasmettere quello che ho imparato agli altri oppure potrei cimentarmi nella regia… o aiutare mamma nel suo negozio di libri.»
La voce di Ygraine era sconfortata, per quanto cercasse di mantenere un’espressione calma, e Severus si sentì schiacciare dalla responsabilità per quello che era accaduto. Sapeva che la giovane donna lo aveva assolto in quella stessa stanza, poche ore prima, e che lo aveva fatto di nuovo in cucina, ma lui non riusciva ad assolversi.
«Ygraine, se tu non dovessi più riuscire a cantare, buona parte della responsabilità ricadrebbe su di me.»
«Severus…»
«Avevo capito che avrei potuto metterti in pericolo e avrei dovuto agire di conseguenza. Sono stato, invece, dannatamente debole. Avrei dovuto chiuderti la porta in faccia quando hai messo piede per la prima volta in questa casa e sai anche tu che la Stanton non ti avrebbe fatto nulla se tu non mi avessi conosciuto. Ho sempre avuto ben presente che avresti potuto essere colpita ed io sono stato unicamente un maledetto egoista. Avrei dovuto allontanarti, Ygraine, immagino che tu lo sappia.»
«L’unica cosa che so, Severus, è che sono felice che tu non mi abbia chiuso la porta in faccia quel giorno, né che tu abbia tentato di allontanarmi. Così come so con certezza che qualsiasi cosa sia accaduta oggi, la colpa ricade unicamente su Taylor e su Jane.»
«So che sono stati loro a somministrarti quella pozione», ammise Severus, senza fissare il volto di Ygraine, per quanto non ne comprendesse realmente il motivo. «Eppure, avrei dovuto proteggerti in maniera più efficace. Avrei dovuto…»
«Mi hai protetta nel migliore dei modi e hai protetto Rebecca nel migliore dei modi. Non potrei mai chiederti di vivere in completa solitudine, anche se questo dovesse voler dire incontrare un’altra Jane», lo interruppe la giovane donna. Severus si voltò verso di lei e gli notò che gli occhi erano umidi di lacrime non versate e colmi di quella sua incrollabile fede e della lucentezza del suo animo puro. «Non hai alcuna responsabilità in quello che mi è accaduto e non ne avrai se non dovessi più essere in grado di cantare. E se dovesse accadere, non potrei mai fartene una colpa, perché il canto non sarà mai più importante della tua amicizia.»
Ygraine trattenne le lacrime che le pungevano gli occhi. Si ricordava perfettamente il giorno in cui era andata in quella stessa casa, così come rammentava la lettera che l’uomo aveva mandato a Rebecca e le parole che aveva pronunciato definendola una sciocca Babbana. Avrebbe voluto piangere su quell’uomo che, per proteggere lei e la nipote, avrebbe preferito vivere in quella solitudine assoluta in cui l’aveva incontrato. Ma, come quel mattino tempestoso nell’appartamento di Gawain, non voleva che Severus scambiasse le sue lacrime per pietà.
«Ygraine, io…», la voce dell’uomo si spense. Non sapeva cosa rispondere alle parole accorate della giovane donna, a quell’amicizia così radicata, così forte, nonostante si conoscessero da poco tempo e nonostante Ygraine sapesse quel che lui aveva commesso. «Spero di non deludere la fiducia che riponi in me.»
Si sentì tremendamente goffo dopo aver pronunciato quelle parole. Non aveva mai saputo parlare dei suoi sentimenti o, forse, nessuno gliene aveva mai dato veramente la possibilità. Non l’aveva fatto Lily, né Albus e lui si era trincerato sempre più dietro al sarcasmo, dietro alla maschera di uomo odioso, a tal punto nascosto da ritenere egli stesso di non essere altro che un essere animato degno di essere guardato con odio e disprezzo.
«Sono certa che non lo farai.»
Ygraine gli stava sorridendo in quel momento, un sorriso dolce e luminoso. Non osò nemmeno ribattere a quelle parole, non osò nemmeno chiederle come potesse esserne così certa, perché immaginava che lo avrebbe definito una brava persona.
Il volto della giovane donna era luminoso, in quel momento, come la luna crescente che illuminava la stanza, insieme alle candele.
E la luna illuminava altri luoghi di Inghilterra, per quanto fosse, in altri, coperta da spesse nubi.
E la notte era oscura sulla prigione dei maghi, ma Jane Stanton quasi non faceva caso a quell’oscurità. Il suo animo era roso dall’idea che Ygraine potesse essere felice e che lo potesse essere anche Piton, l’uomo che aveva ucciso Mathilde, Hugh o uno dei suoi nipoti e che non avrebbe pagato in alcun modo per i suoi crimini.
Né lei, né Cristopher avevano avuto notizia dell’esistenza di quell’antidoto di cui avevano parlato gli Auror. Aveva scelto volutamente quella pozione per distruggere Ygraine, per farla soffrire nel corpo e nell’animo come doveva aver sofferto Tristan prima di suicidarsi, come dovevano aver sofferto sua sorella, suo cognato e i suoi nipoti prima di essere uccisi. Aveva anche messo in conto che Piton potesse arrivare prima che finissero con Ygraine, prima che la lasciassero in preda al dolore. Si sarebbero nascosti allora e, soltanto quando il mago fosse stato distratto dal soprano e dalla sua assenza di voce, Cristopher lo avrebbe colpito, arrestandolo. Sarebbe stata la vendetta perfetta: Ygraine agonizzante e Piton in quella sua stessa cella, consapevole del destino che sarebbe toccato alla giovane donna.
D’altronde, se non fosse esistito un antidoto il risultato non sarebbe stato molto diverso. Invece, la pozione poteva essere contrastata e Jane sapeva che Ygraine aveva già ricevuto la cura. Ormai non le restava altro che sperare che almeno la sua carriera sarebbe stata distrutta. Sapeva quanto contasse l’arte per la giovane donna e farle perdere la possibilità di cantare sarebbe stata almeno una parvenza di vendetta.
Le nuvole nere oscuravano la luna sull’isola e l’oscuravano sulla capitale, ma illuminavano la camera dove Rebecca dormiva, rannicchiata su sé stessa, il volto sereno, un libro di pozioni posato sul comodino e un orsacchiotto stretto tra le braccia.
E la luna illuminava lieve una stanza al primo piano della casa di Spinner’s End, penetrando appena tra le pieghe delle tende. Un raggio rischiarò i capelli biondi di Ygraine, quando si svegliò di soprassalto, il respiro affannato e gli occhi umidi di lacrime che doveva aver versato durante il sonno. Si guardò intorno confusa, per qualche istante, prima di riconoscere la stanza in cui si trovava.
La camera era avvolta dalla semioscurità, per quanto Severus, dietro sua richiesta, avesse lasciata accesa una candela. Mentre osservava le sagome sfocate dei libri ordinati in una scaffalatura che era decisamente più grande dell’armadio, sentì il respiro tornare normale.
Era in un luogo sicuro, lo sapeva perfettamente.
Nella stanza accanto dormiva l’uomo e Rebecca si trovava nella casa dei suoi genitori. Tutto era ormai tranquillo e gli assassini della Tate Britain erano stati arrestati dagli Auror e sarebbero stati processati.
Ma nel sonno aveva rivisto il volto di Jane. Quello di Taylor era sfocato, al contrario dello sguardo della pianista. Aveva creduto che la donna le fosse amica, che tra loro si fosse costruito un rapporto sincero; invece non aveva mai compreso cosa passasse per la mente di Jane, non aveva mai creduto che la pianista potesse alimentare tanto odio.
Non era stato quello l’unico incubo, né quello che l’aveva fatta risvegliare.
Aveva sentito nuovamente la sensazione che aveva provato quando era stata immobilizzata.
Aveva sognato di morire.
Aveva visto Rebecca da sola con i suoi genitori.
Aveva visto Severus totalmente solo, come quando lo aveva conosciuto.
Non aveva nemmeno la bambina al fianco ed era stata quell’immagine angosciante a farla svegliare.
Scostò la coperta e si alzò, prendendo la vestaglia che mamma aveva messo nella borsa che Harry aveva portato, dopo aver condotto Rebecca al sicuro dai suoi genitori.
Si strinse nella vestaglia, prima di scendere al pianterreno, dicendosi che, forse, un bicchiere d’acqua le avrebbe fatto bene e le avrebbe permesso di dormire e di non pensare a nulla, di non concentrarsi sul giorno successivo, durante il quale avrebbe dovuto rivivere ogni cosa durante l’interrogatorio degli Auror. Non voleva nemmeno interrogarsi realmente sul suo futuro e su quello di Rebecca che le era stata affidata.
Voleva unicamente sentirsi più tranquilla, si disse, mentre scendeva l’ultimo gradino. Il soggiorno – o forse avrebbe dovuto definirlo biblioteca – era ancora illuminato e Severus era seduto su una delle poltrone intento a leggere un libro.
«Dovresti riposare.»
L’uomo si voltò verso la giovane donna che aveva appena sceso l’ultimo gradino. Era pallida e scossa, per quanto cercasse di nasconderlo, ma lui poteva vederlo bene, nel modo in cui si stringeva nella vestaglia che aveva gettato sopra la camicia da notte, negli occhi arrossati dal pianto.
«Sono venuta a prendere un bicchiere d’acqua.»
«Siediti.»
Sapeva di aver parlato forse troppo bruscamente, ma a Ygraine parve non importare, quando andò a sedersi sulla poltrona di fronte alla sua, la stessa su cui l’aveva fatta sedere quando l’aveva portata a Spinner’s End, la stessa su cui si era seduta quando avevano parlato poco tempo prima. Si era aspettato che la giovane donna venisse destata da un incubo e per quello era rimasto a vegliare. Da dove si trovava aveva sentito i passi di Ygraine ben prima che iniziasse a scendere le scale.
Armeggiò con il bicchiere e con l’acqua, mentre cercava scacciava con forza il senso di colpa che lo stava per sommergere. Si disse che, se non voleva tradire la fiducia che Ygraine riponeva in lui, avrebbe dovuto perdonarsi per quello che era accaduto quel giorno, e considerare la soluzione più logica e razionale. Sapeva che non aveva alcuna reale responsabilità in quello che era accaduto, che non avrebbe mai potuto sapere che Jane Stanton era una Magonò, né men che meno che suo padre avesse sposato la madre di Mathilde Waley, dopo che questa era rimasta vedova.
Quando tornò nell’altra stanza e le porse il bicchier d’acqua, Ygraine gli sorrise con gratitudine.
«Posso rimanere qui per qualche minuto?» Severus annuì solamente, mentre la giovane donna si rannicchiava sulla poltrona. Sorseggiò l’acqua lentamente. «Cosa credi che mi potranno chiedere gli Auror domani?»
«Di raccontare quello che è accaduto, prima che io arrivassi.»
«Ti faranno restare con me?»
Ygraine sperava che la voce non le fosse tremata, ma si rendeva conto di provare una profonda paura al pensiero di rimanere sola con gli Auror. Sapeva che era un sentimento assolutamente irrazionale, ma non riusciva a togliersi dalla mente che uno di loro era stato complice di Jane.
«Non hanno motivo per non farlo.»
Ygraine sapeva che c’era la possibilità che un qualche regolamento lo impedisse, ma sperava che così non fosse. Forse Taylor e Jane avevano confessato tutto e il suo interrogatorio sarebbe stato unicamente una formalità. O almeno era questa la sua speranza. Quando era sola, le sembrava ancora di sentire le mani della pianista o di Taylor su di sé o la sensazione orribile di essere completamente immobile. Non rammentava invece più il dolore dovuto alla pozione che Severus aveva preparato per lei, quella con cui le aveva ridato la voce dopo aver lavorato davanti ai suoi occhi, senza nemmeno consultare alcuno dei tomi che si trovavano nel suo laboratorio.
«Quando andrò dal foniatra, potresti accompagnarmi?»
Ygraine sembrava quasi perduta quando pronunciò quella frase. Appariva più minuta di quanto non fosse, mentre se ne stava rannicchiata sulla poltrona con il bicchiere, ormai vuoto, in mano. Allungò una mano e recuperò il bicchiere che mandò con un rapido gesto della bacchetta in cucina, dove si depositò, con un lieve tonfo sul tavolo. La giovane donna non aveva quasi fatto caso al suo gesto, mentre rimaneva immobile, i capelli biondi raccolti in una treccia, il volto pallido e gli occhi nocciola fissi su di lui.
«Se è questo che vuoi.»
Ygraine gli sorrise lievemente, grata. Severus avrebbe dovuto dirle di tornare a riposare, ma non osò farlo. Non sapeva che incubo l’avesse destata, ma temeva che la notte della giovane donna sarebbe stata tormentata da altri orrori.
«Grazie», mormorò il soprano. «C’è qualcosa su cui mi sto interrogando… l’antidoto che mi hai dato, l’hai trovato tu?»
«Non è importante.»
Severus distolse lo sguardo da Ygraine. Sapeva che c’era la possibilità che la giovane donna capisse che era stato lui a trovare il modo di contrastare la Pozione di Ruprecht von Dittmar, ma non voleva parlarne realmente, non voleva dirle di avere, nella sua disgraziata giovinezza, distillato la pozione che le aveva dato tante sofferenze, né che aveva dovuto farlo altre due volte, senza sapere se avrebbe effettivamente potuto salvare le due vittime designate dal Signore Oscuro.
«Allora te ne sono grata.»
Ygraine non aggiunse altro. Aveva notato il modo in cui Severus aveva distolto lo sguardo e non voleva fargli domande. Temeva che queste potessero far emergere il peso della colpa che sembrava schiacciarlo, nei rari momenti in cui lasciava filtrare una crepa nella calma che lo contraddistingueva. Il suo unico desiderio era che Severus potesse perdonarsi, che riuscisse a lasciar andare una parte di quel peso e sperava che, almeno, non si sentisse più responsabile di quello che era accaduto a casa di Jane.
Gli chiese invece un libro da leggere, per ritardare il momento in cui il suo corpo, stanco, sarebbe crollato e l’avrebbe costretta a tornare a dormire. Severus annuì e si alzò. Le propose alcuni titoli, fino a quando non scelse la versione della leggenda di Parsifal scritta da un mago normanno che aveva operato alla corte di Alienor d’Aquitania. Era una versione in prosa, si accorse, consultando il testo a fronte in inglese moderno, ben più comprensibile dell’anglonormanno originale.
La luce delle candele illuminava la stanza, mentre Severus riprendeva in mano il libro che stava leggendo. Per diverso tempo l’unico rumore all’interno della stanza fu quello delle pagine che venivano sfogliate, poi un tonfo sordo fece alzare il capo all’uomo.
Ygraine si era addormentata e il libro le era caduto dalle mani.
Severus rimase ad osservarla, per quanto fosse perfettamente consapevole che avrebbe dovuto svegliarla e invitarla a tornare nella camera. Eppure, non lo fece.
Il volto della giovane donna era illuminato dolcemente dalla luce delle candele ed i lunghi capelli biondi, raccolti nella consueta treccia, sembravano possedere una tonalità più calda. Ygraine Ainsworth non possedeva una bellezza indicibile, di quelle cantate dai poeti, quanto, piuttosto una bellezza riservata, quasi sfuggente. A priva vista, appariva piuttosto anonima, una presenza discreta di cui ci si poteva anche non accorgere.
Era l’esatto contrario di Lily, con i suoi capelli rossi e gli occhi verdi, con la sua bellezza che colpiva immediatamente lo sguardo. E lui, da bambino e nei primi anni della sua adolescenza, aveva creduto che Lily fosse una creatura perfetta, che aveva scelto di essergli amica, la sola persona che lo aveva fatto.
O, almeno, così aveva creduto per tanti anni.
In quel momento, invece, mentre osservava Ygraine dormire tranquilla in quella casa in cui la Evans non aveva mai messo piede, sentì farsi strada in lui la certezza che, con ogni probabilità, Lily non gli era mai stata realmente amica. O che fosse stata quel tipo di amico che vuole unicamente ricevere senza dare. Era un pensiero che aveva sfiorato la sua mente diverse volte nei giorni precedenti, ma che aveva in un modo o nell’altro accantonato. In quel momento, mentre Ygraine dormiva con un’espressione pacifica sulla poltrona accanto alla sua, ebbe il coraggio di analizzare ogni particolare del suo rapporto con Lily. Rammentò il loro primo incontro e i pregiudizi di Petunia, perché era nato nella parte sbagliata della città. Rivisse le giornate trascorse insieme, a rispondere alle domande della bambina e contò a pochissime le volte in cui Lily si era realmente interessata a lui. Gli aveva chiesto del padre una volta e qualche altra della madre, ma non aveva mai approfondito, non aveva mai cercato di andare oltre alle poche parole che lui aveva pronunciato, non gli aveva nemmeno mai chiesto di andare a casa sua, né lo aveva invitato molte volte nella sua, che si trovava nella parte ricca della cittadina. Poi, erano arrivati a Hogwarts e tutto aveva iniziato a cambiare nel loro rapporto. Se ne rendeva conto soltanto in quel momento, mentre ripensava alla tensione sempre crescente, a come Lily non avesse mai cercato di comprendere per quale motivo si stesse avvicinando a Mulciber e Avery, di come lo avesse sempre rimproverato e criticato, senza permettergli di spiegare alcunché.
Aveva pensato per anni che la fine della loro amicizia fosse unicamente colpa sua.
Invece gli era ormai chiaro che la responsabilità ricadeva anche sulla ragazza. Non sapeva se un comportamento diverso da parte di Lily gli avrebbe impedito di diventare un Mangiamorte, ma era certo che, se avesse sentito realmente vicina l’unica amica che avesse, non sarebbe stato così pieno di rabbia e di senso di rivalsa. D’altronde, si rendeva conto in quel momento, Lily lo aveva soltanto giudicato e, probabilmente, lo aveva già condannato, ben prima di quella sera davanti alla sala comune di Grifondoro.
La fiamma di una candela si mosse leggermente, illuminando i capelli di Ygraine. Avrebbe dovuto svegliarla e dirle di tornare di sopra, ma la giovane donna appariva tranquilla e serena in quel momento, quasi che quel giorno non fosse stata torturata perché aveva scelto di essergli amica. La molla che aveva fatto scattare Jane Stanton non era tanto il fatto che Ygraine gli parlava, ma il modo in cui lo faceva, il modo in cui difendeva quella scelta. L’aveva fatto anche quel pomeriggio, come gli era stato chiaro dal racconto della giovane donna stessa. La pianista aveva odiato Ygraine perché la riteneva responsabile della morte di Tristan, ma quell’odio si era centuplicato quando aveva capito che la giovane donna gli era amica. Avrebbe dovuto sentirsi in colpa per quello, invece si sentiva unicamente onorato che una persona così pura potesse considerarlo un amico e si sentiva completamente inadeguato di fronte a quell’amicizia.
Sapeva che Taylor e la Stanton volevano punire anche lui, che volevano vendicare la morte di Hugh Berenger e della sua famiglia. Quel pensiero fece rimontare prepotente il senso di colpa, ma tentò subito di cacciarlo, appigliandosi al perdono che Ygraine gli aveva offerto più volte quel giorno. La responsabilità di quello che le era accaduto non era sua, si ripeté, cercando di convincersi, ma riuscì a lasciar andare il peso della colpa soltanto quando pensò al torto che avrebbe fatto a Ygraine se avesse continuato a tormentarsi in quel modo.
La giovane donna gli aveva chiesto di perdonarsi, lo aveva spronato a farlo quando avevano parlato nello studio di Alfred Ainsworth. E voleva farlo, almeno per quei fatti, che, effettivamente, non dipendevano realmente da lui o dalle sue scelte.
D’altronde, Ygraine continuava a offrirgli il perdono anche per le altre sue ben più gravi colpe, per quelle che dipendevano unicamente dalle sue orribili scelte. Lo aveva già fatto quella mattina ventosa di febbraio, in cui le aveva narrato ogni minimo particolare della sua miserevole vita.
E quel giorno, Ygraine gli aveva chiesto per quale motivo avesse distrutto la sua anima. Avrebbe dovuto essere disgustata da lui che si era unito ad un mostro che non avrebbe esitato un solo istante ad uccidere lei e la sua famiglia, che non aveva esitato un solo istante a ordinargli di uccidere gli Hancock; invece, gli aveva posto quella semplice domanda e, alla fine, quando era crollato come non gli era mai accaduto prima, lo aveva stretto tra le braccia, offrendogli conforto e perdono.
Lily, che lo conosceva da anni, lo aveva abbandonato davanti all’ingresso della sala comune di Grifondoro. Non aveva nemmeno voluto starlo ad ascoltare, né sembrava aver compreso per quale motivo, nel colmo dell’umiliazione, avesse pronunciato quella maledetta parola.
Ygraine, che lo conosceva da pochi mesi, gli aveva sempre mostrato un’incrollabile fiducia, che aveva messo in dubbio, a detta sua, soltanto una notte, quando era stata tormentata da quegli Auror poco dopo la morte dei due Babbani al museo.
E, se non allora, avrebbe potuto respingerlo quel giorno.
Ma non lo aveva fatto. Avrebbe potuto odiarlo, avrebbe potuto incolparlo per quello che era avvenuto, ma le sue parole era state unicamente di assoluzione, di conforto e di comprensione.
In quel momento, sentì crollare definitivamente l’altare, che aveva iniziato a riempirsi di crepe negli ultimi tempi, su cui aveva collocato Lily, su cui aveva posto la Lily che lui avrebbe voluto conoscere, la donna fittizia di cui si era innamorato, l’immagine perfetta a cui si era ancorato per non perdere il senno durante gli anni in cui era stato una spia. Ma quella che aveva amato non era la vera Lily, non era la ragazza che gli aveva chiuso in faccia la porta della sala comune di Grifondoro, non era la ragazza che, con ogni probabilità, si vergognava di lui e che, forse, non vedeva l’ora di trovare un pretesto per poterlo cacciare.
E quella era una consapevolezza amara.
Si rendeva conto di aver costruito la sua vita di adulto su delle illusioni: la perfezione di Lily e l’affetto paterno di Albus. Ma Lily non era perfetta e Albus non lo aveva mai considerato un figlio.
Riportò lo sguardo sul volto sereno di Ygraine.
Non osava disturbare il suo sonno.
E non osava nemmeno sfiorarla.
Mentre osservava la luce creare dei giochi evanescenti sui capelli biondi, si rese conto di non amare più Lily da tempo.
Forse non l’amava già più quando aveva mostrato ad Albus il suo Patronus. Era diventata unicamente un simbolo, un appiglio, un porto sicuro in cui rifugiarsi, un modo per dirsi che aveva ancora qualcosa di buono, che sapeva amare, che, forse, poteva sperare nell’espiazione.
Si alzò in piedi e si avvicinò silenziosamente alla credenza, aprendo il cassetto e lo scomparto segreto. Le lettere di Rebecca celavano completamente alla vista la foto di Lily. Non se n’era nemmeno realmente accorto, quando le aveva posizionate lì dentro. Fino ad allora la foto della donna era rimasta sola a troneggiare dentro il cassetto.
D’altronde erano settimane che non la riprendeva in mano, erano settimane con sentiva la dolce agonia che il nome e il volto di Lily gli avevano sempre suscitato. Prese in mano la foto che aveva strappato a Grimmauld Place, chiedendosi cosa avrebbe dovuto farne. Per un istante fu tentato di bruciarla, poi la rimise nel cassetto. Il giorno dopo, l’avrebbe consegnata a Potter che forse aveva conservato l’altra metà.
D’altro canto, se non fosse stato per Rebecca non si sarebbe nemmeno più recato davanti a Sancta Lilias. Sapeva perfettamente di aver evitato il museo non per i delitti che vi erano accaduti, ma perché non trovava più alcun motivo per andarvi.
Da quando la giovane donna e la bambina erano entrate nella sua vita, non si sentiva più preda di quel gelo opprimente.
Per quanto non avesse ancora avuto il coraggio di ammetterlo con sé stesso, il gelo che sembrava intrappolare la sua anima stava lentamente lasciandolo. Gli sembrava di essere tornato a vivere, in maniera imperfetta e non ancora pienamente, ma non era più intrappolato in un continuo ripetersi degli stessi ossessivi pensieri.
Forse, già mentre sedeva davanti a quel quadro, non amava più Lily.
Ma non se n’era reso conto.
Aveva fatto di Lily una sorta di simbolo, la summa di tutte le sue colpe e dell’impossibilità di ricevere il perdono. Si era aggrappato a quell’idea e a quel simbolo per non naufragare completamente quando si era scoperto vivo dopo il morso di Nagini.
E nel farlo aveva gettato al vento tre anni di vita.
Richiuse il cassetto e tornò verso le poltrone.
Ygraine stava ancora dormendo tranquilla, per quanto la posizione fosse scomoda.
Le si avvicinò.
Ma non la svegliò. La sollevò delicatamente dalla poltrona, temendo per un istante di averla destata, ma la giovane donna si accoccolò unicamente contro di lui, continuando a dormire. Rimase per qualche breve attimo immobile, prima di portarla al piano di sopra e di posarla sul letto. Le sfilò delicatamente la vestaglia, poi sistemò con cura le coperte, prima di allontanarsi silenziosamente da lei.
Si fermò un attimo sulla soglia e rimase ancora qualche istante ad osservarla. Ygraine dormiva ancora tranquillamente, il volto illuminato dall’unica candela presente nella stanza e da un raggio di luna che penetrava tra i tendaggi.
E soltanto in quel momento, mentre si voltava, ebbe il coraggio di ammettere di essersi innamorato di lei. Non sapeva nemmeno quando fosse accaduto, se il giorno in cui era arrivata inattesa a casa sua mostrandogli quella fiducia incrollabile, se quella mattina tempestosa in cui aveva ascoltato ogni cosa della sua vita e non era inorridita oppure, più semplicemente, durante le conversazioni costellate di tranquilli silenzi che avevano caratterizzato le ultime settimane.
Mentre tornava a sedere sulla poltrona fece quello che avrebbe dovuto fare non appena Rebecca gli aveva detto del Patronus.
Aveva avuto forse timore, allora, di non vedere più la cerva. O, più probabilmente, stava cercando di negare quello che avrebbe dovuto comprendere già da tempo.
In fondo, sapeva perfettamente cosa significasse un cambiamento nella forma di un Patronus.
Mentre lo evocava notò che era cambiato il ricordo felice a cui faceva affidamento. E non era nemmeno un vero e proprio ricordo, quanto piuttosto il sorriso felice di Rebecca e quello fiducioso di Ygraine.
Come gli aveva detto la bambina, davanti ai suoi occhi non c’era più la cerva argenta, ma un cigno, che gli volò intorno, riempiendo della sua luce la stanza.



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Wilhelm Mueller, Mut (Coraggio), vv. 1-2. La traduzione è tratta da un programma di sala dell'Accademia di Santa Cecilia
 
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view post Posted on 7/11/2022, 18:10
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Capitolo XXII - Parte II

Mut


Gran Bretagna, 22-23 marzo 2002


La luce del Patronus si dissolse, quando pose fine all’incantesimo. Rimase per qualche istante immobile, prima riprendere in mano il libro che aveva abbandonato pochi minuti prima, per quanto la mente non riuscisse realmente a fermarsi sulle lettere che aveva sotto gli occhi. Sapeva che sarebbe dovuto salire al piano di sopra per riposare in vista della giornata seguente; invece, rimase seduto quasi si aspettasse di vedere ricomparire Ygraine, ma dal piano di sopra non proveniva alcun rumore. Forse, la giovane donna sarebbe riuscita a riposare, nonostante il male che le era stato fatto, nonostante il dolore che aveva provato e che lui non era stato in grado di evitarle.
Chiuse il libro e lo posò sul bracciolo della poltrona.
Mentre i minuti scorrevano lenti, si chiese come avesse fatto a non comprendere, fino a quel giorno, quali sentimenti provasse per Ygraine. Quand’era stato un bambino si era accorto subito di amare Lily e, in seguito, il suo cuore aveva bruciato di quell’amore infantile prima e adolescenziale poi. Ed aveva continuato a nutrire quel sentimento anche quando la Evans era morta, mentre la Lily che aveva conosciuto si trasformava in un essere perfetto e privo del ben che minimo difetto.
Il sentimento che aveva ammesso di provare per Ygraine era nato senza che lui se ne accorgesse, quasi con naturalezza, e si era radicato profondamente. In caso contrario, il suo Patronus non sarebbe mutato in quel modo. Riusciva anche ad immaginare perché fosse diventato un cigno. Da un lato, aveva avuto modo di associare Ygraine a Lohengrin dopo aver assistito a tutte le prove dell’opera che narrava la vicenda del cavaliere del cigno; dall’altro, il cigno era simbolo del canto. Ed era puro quanto era pura l’anima di Ygraine ed era simbolo di una fedeltà che, nel suo caso, rispecchiava la fiducia incrollabile della giovane donna nei suoi confronti. [1]
Era il perfetto specchio della giovane donna.
Di questo si rendeva perfettamente conto.
Così come si rendeva conto che quell’amore era completamente diverso da quello che aveva provato per Lily. Non c’era nulla di ossessivo, come era invece stato il caso di quel sentimento che non era mai realmente maturato oltre la sua giovinezza. Mentre analizzava gli anni lontani della sua adolescenza, si rendeva conto di quanto quell’amore fosse diventato, con il tempo, incredibilmente possessivo, tanto più la possibilità di essere ricambiato svaniva. Dopo la morte di Lily, non gli era rimasto un amore adolescenziale mantenuto in vita da un adulto che voleva mantenere un brandello di umanità, che voleva trovare qualcosa di buono nel suo passato fatto, per lo più, di scelte terribilmente sbagliate.
Non provava nulla del genere per Ygraine. Non sapeva se fosse perché era abbastanza realistico da capire che non avrebbe mai potuto sperare di vedere quei sentimenti ricambiati. La giovane donna gli era amica e si fidava completamente di lui, ma un giorno avrebbe trovato una brava persona da amare, un uomo con l’animo puro quanto il suo con cui sarebbe stata felice.
Ygraine meritava di avere qualcuno del genere al suo fianco, un uomo degno di condividere la vita con lei, un uomo che non portava in dote notti popolate da incubi orribili, mani che avevano portato morte e un’anima spezzata dalle colpe commesse.
Si alzò in piedi, spense le candele e salì lentamente le scale, mentre si rendeva conto che gli sarebbe bastato avere l’amicizia di Ygraine. Forse, quell’amore era così diverso perché la giovane donna lo aveva accolto senza alcun pregiudizio, perché gli aveva offerto il suo perdono. Oppure, era semplice un amore adulto e non quello adolescenziale che aveva provato per Lily.
Si fermò per un istante davanti alla stanza dove dormiva Ygraine e da cui non giungeva alcun rumore e sperò che fosse un segno che la giovane donna stava riposando tranquilla.
In fondo, comprese, mentre proseguiva oltre e apriva la porta della camera che aveva occupato durante la sua infanzia e la sua adolescenza, desiderava unicamente che la giovane donna potesse avere un futuro felice, come meritava un animo così puro e luminoso. E a lui sarebbe bastato rimanerle accanto per quanto gli era possibile.
Si levò il maglione a collo alto che aveva indossato quel giorno. E mentre lo posava ordinatamente su una sedia, si rese conto di indossare unicamente abiti Babbani da qualche tempo a quella parte. D’altronde, passava molto più tempo fuori dal Mondo Magico che non al suo interno. Gli unici maghi con cui aveva contatti erano quelli che lavoravano nel centro di ricerca, che avrebbe abbandonato tra poco se la richiesta che aveva inviato alcuni giorni prima sarebbe stata accettata, e Potter.
Stava per sbottonarsi la camicia quando udì un urlo provenire dall’altra stanza. Uscì rapidamente dalla camera e si avvicinò alla porta di quella accanto, aprendola lentamente. Ygraine stava respirando a fatica e sembrava sconvolta, il volto pallido, illuminato dalla luce della candela e da un raggio di luna. Si avvicinò di un passo, lentamente, quasi avesse paura di spaventarla. Non sapeva se fosse perfettamente cosciente di essersi appena destata da quello che doveva essere stato un incubo orribile.
«Ygraine», mormorò, ma non proseguì la frase, quando la giovane donna si strinse a lui, dopo essersi alzata dal letto.
La sentì piangere contro il suo petto, mentre le poneva le mani sulla schiena, senza esitare come aveva fatto in altre occasioni. Sperava di riuscire a donarle almeno una minima parte di conforto. Il corpo della giovane donna era scosso dai singhiozzi, mentre si stringeva maggiormente a lui. Portò una mano sulla nuca di Ygraine, chiedendosi se quel gesto le avrebbe dato un po’ di sollievo.
Non seppe quanto tempo trascorse, prima che i singhiozzi si placassero e le lacrime smettessero di scorrere. Soltanto quando fu certo che avesse riacquistato la calma, la allontanò delicatamente da sé e la riaccompagnò verso il letto.
«Mi dispiace di averti disturbato», mormorò Ygraine, mettendosi seduta, con la schiena appoggiata contro la testiera del letto.
«Nessun disturbo.»
La voce di Severus era confortante, mentre sistemava le coperte e si sedeva sul bordo del letto. Osservandolo, la giovane donna si rese conto che quelle erano state le prime parole che le aveva rivolto, il giorno in cui aveva prestato il suo fazzoletto a Rebecca.
«Non… ho sognato che Jane ti uccideva», disse in un sussurro. Forse avrebbe dovuto tacere, ma quando lo aveva visto entrare, con la mente ancora preda di quell’incubo, aveva provato un senso di sollievo tale che era corsa ad abbracciarlo quasi volesse essere sicura che aveva davanti una persona in carne ed ossa e non un frammento della sua immaginazione. «È stato orribile. Dopo avermi dato la pozione, Jane si è nascosta ed io… io non potevo parlare, non potevo avvisarti e lei ti ha pugnalato alle spalle… e… per un istante ho pensato che quello che avevo sognato fosse vero…»
Mentre parlava gli aveva afferrato una mano e sentì le lacrime tornare a bagnarle le guance. E attraverso gli occhi velati, vide, illuminata dalla luce pallida della luna, una cicatrice sul collo di Severus. Non l’aveva mai visto con il collo scoperto, com’era in quel momento, e, per quanto sapesse che era lì che l’aveva morso quel maledetto serpente, non aveva voluto pensare al fatto che, se il morso fosse stato più profondo, se lo avessero trovato qualche minuto dopo, non avrebbe mai potuto incontrare l’uomo di cui si era innamorata così profondamente.
«Se potessi, ti darei una pozione che ti permette di dormire senza sognare nulla, ma è tossica per chi non possiede la magia», avrebbe voluto dirle che non valeva la pena piangere per lui, ma non lo fece, limitandosi a ricambiare la stretta della mano di Ygraine. «Immagino che tu abbia un metodo per calmarti prima di mettere piede sulla scena.»
Vide Ygraine annuire e sorridergli appena, mentre le lacrime iniziarono a placarsi.
«Prova a mettere in pratica quello che fai in quel frangente. Dovrebbe permetterti di svuotare la mente da quello che ti sta tormentando.»
Mentre parlava, prese con la mano libera il fazzoletto pulito che teneva in tasca e asciugò delicatamente le guance di Ygraine dai residui delle lacrime che aveva versato. Sentì la mano della giovane donna stringere maggiormente la sua e ricordò di aver notato come il soprano stringesse le pieghe della gonna quando voleva calmarsi. Notò che il corpo della giovane donna si stava rilassando e, poco dopo, sentì la sua mano abbandonare la sua.
«Cerca di riposare», disse in un mormorio, mentre si alzava dal letto e si allontanava da lei.
La vide sistemarsi meglio e raggomitolarsi sotto le coperte, il volto orientato verso la porta. Rimase immobile accanto all’uscio fino a quando non sentì il respiro di Ygraine farsi più profondo. Quando uscì nell’atrio rimase per qualche istante immobile, poi scese al piano di sotto e, facendola levitare con cautela, in modo da non farla sbattere, portò di sopra una delle poltrone. Non sapeva nemmeno se fosse una scelta sensata, ma non riteneva saggio lasciare Ygraine da sola. Entrò nella stanza, di cui aveva lasciato aperto la porta, e posò con un movimento delicato la poltrona in un angolo della camera.
Poi si sedette, apprestandosi a vegliare sul sonno della giovane donna, mentre un raggio di luna crescente illuminava pallido la stanza, sfiorando i capelli biondi di Ygraine.
E la luna illuminava la cittadina, fino a quando l’aurora non iniziò a illuminare di rosa il cielo, in quel luogo e in altre zone d’Inghilterra.
Anche il cielo di Londra appariva sereno, quando Harry si alzò da letto. Non aveva quasi chiuso occhio, ripensando agli interrogatori di quei due esseri orribili. Quando si avvicinò alla finestra notò che era ancora presto. Non sarebbe stato sensato andare al Ministero all’alba, né mandare a Piton il suo Patronus con l’ora in cui sarebbero andati a interrogare la signorina Ainsworth, per quanto non ce ne fosse nemmeno veramente bisogno, considerando che Taylor e la Stanton avevano confessato ogni cosa.
Rabbrividì, ripensando al volto della Magonò, mentre parlava della giovane donna e della vendetta che aveva escogitato. Era stato orribile vedere una donna dall’aspetto così apparentemente innocuo esprimere tanto odio unicamente perché la signorina Ainsworth era stata capace di fare quello che nessuno nel Mondo Magico aveva fatto. L’aveva notato il giorno prima, quando l’aveva vista stringere la mano di Piton. La giovane donna si fidava completamente di un uomo di cui tutti loro avrebbero dovuto fidarsi.
Invece, anche dopo la guerra, era stato dimenticato e gettato via come uno straccio vecchio. O, forse, c’erano altri che la pensavano come Taylor e credevano che fosse stato assolto ingiustamente.
Harry non riusciva ad accettare quell’idea.
E si sentì improvvisamente in colpa perché, nonostante l’avesse incontrato in più occasioni, non l’aveva ancora ringraziato per quello che aveva fatto. Si ripromise di farlo quel giorno. Sperava almeno di non perdere quel rapporto tranquillo che sembrava aver instaurato con l’uomo.
Al di fuori della finestra, il sole illuminava la capitale e un raggio di luce entrava lieve nella camera dove Ygraine riposava, illuminandone i capelli biondi e il volto. La giovane donna sbatté appena le palpebre, prima di aprire gli occhi. Dalla casa non proveniva nessun rumore, si accorse, mentre si metteva a sedere. La candela continuava a spargere la sua luce baluginante e alcuni raggi di sole penetravano dai tendaggi, illuminando il letto e un angolo nella stanza.
Severus stava dormendo su una delle poltrone del pianterreno e Ygraine sentì gli occhi farsi umidi per la gratitudine. Non si era nemmeno accorta che fosse rientrato nella stanza, dopo il suo secondo orribile incubo. Forse, però, in qualche modo, aveva compreso che era lì, vicino a lei, e per questo aveva dormito tranquillamente per il resto della notte. Oppure, a calmarla era stato il ricordo delle mani del mago sulla sua schiena e sulla sua nuca e del modo gentile con cui le aveva asciugato le lacrime.
Si alzò in punta di piedi e recuperò la borsa che aveva portato Harry il giorno prima. Quando aprì la porta della stanza, si voltò per un istante verso il mago, timorosa di averlo disturbato, chiedendosi quando si fosse addormentato di preciso nel corso della notte. Da dove si trovava le parve che dormisse ancora. Lasciò la porta della stanza socchiusa, da cui un flebile raggio di sole illuminava lieve il corridoio.
E quello stesso raggio continuava a rischiarare dolcemente la camera da cui Ygraine era appena uscita, crescendo di intensità man mano che i minuti scorrevano lenti. Severus aprì gli occhi di colpo, quando gli parve di udire un rumore provenire dal pianterreno. Il letto era vuoto e il sole filtrava dai tendaggi. Non avrebbe dovuto addormentarsi, si rimproverò, mentre si alzava in piedi. Ricordava di aver visto la luce rosata dell’aurora penetrare dolce nella stanza e di aver fissato per un istante i capelli di Ygraine, illuminati fiocamente. Aveva evitato di osservarla durante la notte, poiché credeva che, facendolo, avrebbe mancato di rispetto alla giovane donna. Aveva quindi preferito, durante la veglia, riflettere su ciò che poteva essere ancora rimasto sospeso di quella terribile vicenda.
Sapeva che rimaneva aperta la questione del suonatore di organetto. Sperava che Potter gli portasse buone notizie in proposito, ma temeva che a vagare per le strade di Londra non fosse né Taylor, né la Stanton. Aveva sentito l’organetto risuonare, mentre Ygraine stava provando con una donna che aveva scaricato sul soprano il suo odio malato. L’Auror si trovava, con ogni probabilità, presso il Ministero della Magia, in quel momento.
Il che lasciava unicamente presupporre che il suonatore di organetto si trovasse ancora là fuori, per quanto sperasse sinceramente di sbagliarsi, che Taylor avesse chiesto un giorno di permesso il dodici marzo e che avesse trascorso quel tempo libero suonando l’organetto sotto le finestre della casa della Stanton.
Anche dopo che si fu lavato e vestito, temporeggiò per qualche istante nel corridoio del primo piano. Sperava di non aver, in qualche modo, offeso Ygraine, rimanendo in camera sua quella notte, a vegliarla, per quanto il suo corpo stanco avesse interrotto quella veglia sul far del mattino. Sapeva che era un’insicurezza priva di senso, che la giovane donna avrebbe compreso, come sembrava fare sempre. D’altronde – e lo aveva già notato, in altre occasioni – in lui era rimasta una traccia delle insicurezze infantili, quelle stesse insicurezze che aveva tentato di nascondere dietro la rabbia della sua adolescenza.
Mentre scendeva le scale, ripensò alla sua esistenza solitaria, a quante volte fosse stato respinto e isolato, al fatto che aveva trascorso più tempo in una solitudine soffocante che in reale compagnia di altre persone. Anche dopo la fine della guerra, il Mondo Magico l’aveva posto ai margini e lui si era immerso in quella solitudine, centuplicandola, forse, fino a quando i suoi unici contatti umani erano stati gli addetti del piccolo supermercato Babbano dove faceva la spesa. Gli ingredienti che gli servivano, andava a raccoglierli da solo, se gli era possibile, oppure li ordinava da alcuni commercianti che operavano sul continente. E con il centro di ricerca, aveva unicamente scambi epistolari.
Quando raggiunse la cucina, dove trovò Ygraine seduta con in mano il libro che aveva iniziato a leggere la sera prima, si rese conto di quanto fosse mutata la sua vita in quei pochi mesi, di quanto si fosse abituato a non essere più solo.
«Buongiorno, Severus», lo salutò la giovane donna con un sorriso colmo di luminosa gratitudine. «Poco prima che scendessi è arrivato un… non ricordo più come si chiama, anche se Rebecca me ne ha parlato… un cervo con un messaggio da parte di Harry. Gli Auror saranno qui intorno alle due.»
Ygraine si sentì incredibilmente sciocca, mentre Severus le diceva che quella particolare magia portava il nome di Patronus. Rebecca gliene aveva spiegato la funzione quando Severus aveva mandato la sua cerva a casa di Gawain. Vedere il cervo del figlio di Lily Potter le aveva fatto perdere qualsiasi speranza. Sapeva che un Patronus poteva cambiare forma e ne conosceva le motivazioni perché Rebecca le aveva spiegato tutto con entusiasmo, ma non riusciva a sperare che il Patronus di Severus potesse mutare con il tempo.
L’uomo stava preparando la colazione, in quel momento, e l’animo le si riempì per un attimo di uno strano senso di rimpianto. Tutto era così naturale, al punto che una persona che non li conoscesse avrebbe potuto pensare che lei e Severus fossero una famiglia e quell’idea era terribilmente dolce e amara al tempo stesso.
Mentre l’uomo posava sul tavolo una teiera, le tazze e qualcosa da mangiare, Ygraine scacciò quel pensiero. Aveva sempre saputo che non ci sarebbe stata nessuna speranza e, per quanto fosse un pensiero dolcemente doloroso, era più che disposta ad accontentarsi di quell’amicizia, di quella vicinanza e del silenzio confortevole che calava tra loro e che le diede in quel momento conforto, facendola sentire calma e in pace.
«Vorrei ringraziarti per ieri notte.»
Severus alzò il capo dal tè e notò come Ygraine apparisse tranquilla in quel momento, mentre sedevano insieme, uno di fronte all’altro, al tavolo della cucina.
«Non ne hai motivo.»
Ed era la semplice verità, si disse l’uomo. Vegliare su di lei era stato il minimo che potesse fare, un gesto che gli era risultato spontaneo, naturale, quasi. Bevve un altro sorso del tè speziato che aveva preparato quella mattina, osservando per qualche istante il volto di Ygraine illuminato dal sole e i suoi occhi nocciola sempre così fiduciosi. Solo in quel momento si rese conto di quanto fossero belli quegli occhi. Non era il colore a renderli tali, né la forma, ma la loro espressività e la luce che parevano emanare.
Il sole bagnava la cucina della casa di Spinner’s End e buona parte dell’Inghilterra e illuminava il Kent e la casa degli Ainsworth.
Mary stava osservando Rebecca parlare al telefono con Ygraine, che li aveva chiamati poco prima. La bambina stava parlando a voce talmente bassa che si chiese se la figlia stesse realmente sentendo quello che le stava dicendo.
Ygraine aveva parlato anche con loro, scusandosi per non aver telefonato il giorno prima, ma le prove erano state massacranti ed era troppo stanca per poter viaggiare. Erano parole molto simili a quelle che aveva detto il ragazzo che aveva accompagnato a casa Rebecca. La voce di Ygraine era stata confortante, ma a Mary era apparsa piuttosto flebile e sperava che non avesse affaticato troppo le corde vocali. Sapeva che la figlia non poteva permettersi un’agenda piena come quella di altri cantanti, ma aveva sempre gestito bene la sua carriera, senza dover quasi mai cancellare una recita o una produzione.
Eppure, nonostante le parole di Ygraine, le pareva che ci fosse qualcosa che non andava. Non era nemmeno il fatto che la figlia aveva affidato Rebecca a quel ragazzo – la bambina pareva conoscerlo, d’altronde – né che aveva preferito non tornare a casa quella sera. La prima cosa che aveva notato era che non era stato il signor Piton a riaccompagnare Rebecca a casa. Anche un cieco avrebbe notato che tra i due si era instaurato un rapporto profondo, che la nipote aveva sostituito completamente Gawain con l’uomo. Quindi il mago doveva essere rimasto con Ygraine, si disse Mary. La seconda cosa che aveva notato era la preoccupazione di Rebecca. La bambina non aveva detto nulla né a lei, né ad Alfred, ma qualcosa doveva essere accaduto il giorno prima.
«La zia tornerà a casa oggi pomeriggio, anche se non sa l’orario», la voce della nipote era incredibilmente felice in quel momento e rilassata, ben diversa dalla sera prima, in cui era sembrata preda di un nervosismo ansioso. «Nonno, possiamo andare a imparare un po’ di francese? Quando arriveranno la zia e Severus, voglio fare vedere quello che ho imparato.»
Mary notò Alfred sorridere alla nipote e accompagnarla al tavolo del salotto che fungeva da sala da pranzo quando si riuniva tutta la famiglia. Mentre rimaneva ferma, si chiese se dovesse porre delle domande a Ygraine quella sera o sperare che la figlia si confidasse con lei o con il padre. O, forse, non era nemmeno importante sapere cosa fosse accaduto, perché, in fondo, le bastava che la figlia stesse bene e, al telefono, le era sembrata tranquilla.
Quando uscì di casa per andare a fare compere, notò che il sole era più luminoso del solito e che quella giornata di marzo sembrava quasi annunciare la fine della primavera e l’inizio dell’estate. E quel sole caldo illuminava anche la casa di Spinner’s End, quando Micheal Green, Emily Thomson e Harry Potter vi entrarono. Il ragazzo notò immediatamente che la signorina Ainsworth era nervosa, per quanto gli sembrasse più riposata di come se l’attendeva. Era vicinissima a Piton e, come già aveva fatto nell’appartamento della Stanton, pareva affidarsi completamente a lui.
«Immagino sappia, signorina Ainsworth, perché desideriamo interrogarla.»
Harry si chiese se Micheal non avrebbe dovuto usare un tono più tranquillo e rassicurante, ma l’uomo doveva essere ancora provato da quello che era accaduto nel corso della notte. Oppure si stava già preparando all’interrogatorio che aveva preparato con cura insieme a Emily.
«Certamente, Auror Green», la voce della giovane donna era forse un po’ fioca, notò il ragazzo. «Posso però chiederle se Severus può restare ed assistere.»
«Il protocollo lo impedisce, signorina Ainsworth, e questa è un’indagine in cui non si può sviare da esso.»
Severus vide Ygraine impallidire di colpo. Tutta la calma che aveva mostrato fino a quel momento si stava disintegrando, al punto da sembrargli smarrita.
«Mi chiedo, Green, in quanti verranno a sapere chi era effettivamente presente in questa stanza, se voi non lo scriverete su nessun documento ufficiale e sono certo che nessun membro del Wizengamot metterebbe in dubbio la veridicità della parola di tre Auror.»
«Abbiamo già fatto un’eccezione al protocollo venendo qui, Piton», Harry si voltò verso Emily, che era, come sempre, ostile nei confronti dell’uomo, nonostante ieri avesse ammesso che il mago non avesse nulla a che fare con l’aggressione alla signorina Ainsworth. «Dovrebbe tenersi in un luogo scelto dal Ministero, considerando che questa deposizione sostituirà la testimonianza davanti al Wizengamot della signorina Ainsworth, evitando di dover organizzare una seduta speciale a cui possa assistere anche una Babbana.»
«Immagino che anche voi siate in grado di capire che la signorina Ainsworth è ancora provata da quello che è accaduto ieri.»
Harry si voltò verso Micheal sperando che fosse ragionevole, perché Piton aveva ragione. Nessuno avrebbe saputo che lui sarebbe stato presente all’interrogatorio della giovane donna, che si era fatta, se possibile, più vicina al mago.
«Il protocollo è chiaro in proposito, Piton, e non prevede di certo la presenza di persone che hanno evitato il carcere con l’inganno.»
«Non stiamo parlando di me, Thomson, e di quello che pensi di sapere sul mio conto», Severus si era reso conto che Ygraine si era irrigidita al suo fianco e che sembrava irritata dalle parole dell’Auror. «Si tratta unicamente del benessere della signorina Ainsworth, una Babbana, che è stata aggredita da un vostro collega e da una Magonò, le stesse due persone che hanno ucciso altri due Babbani in un museo a gennaio.»
«Alla signorina Ainsworth non accadrà di certo nulla di male, Piton, rimanendo da sola con noi. Non si può dire lo stesso di quello che potrebbe accaderle rimanendo da sola con te. Da quel che ci è stato detto, se è stata aggredita, è unicamente perché si è associata con un Mangiamorte.»
«Emily…»
«Non potete…»
«Vi ho già detto che non si tratta di me, ma del benessere della signorina Ainsworth», Severus alzò di poco la voce, interrompendo sia Potter che appariva indignato, sia Ygraine che era decisamente arrabbiata con la donna. Green, invece, osservava in silenzio quello che stava avvenendo, quasi si stesse godendo lo spettacolo. «Non potete farla parlare troppo a lungo. Ieri le ho somministrato l’antidoto, ma sta ancora agendo. Può parlare, ma deve fare delle pause e dovete permetterle di bere l’acqua dalla brocca che si trova sul tavolo.»
«Abbiamo a cuore il benessere della signorina Ainsworth, Piton, ma non possiamo darle da bere nulla che non sia stato precedentemente testato. Ora dovresti andartene. Il Wizengamot tiene al rispetto del protocollo.»
«Se avesse voluto essere certo del rispetto del protocollo, avrebbe mandato un suo rappresentante, non credete?»
La voce di Piton era gelida, notò Harry, mentre pronunciava quelle parole, che gli sembravano perfettamente logiche e sperava che così fosse anche per Micheal ed Emily.
«Non dovrai dire una parola, Piton, né interrompere in alcun modo la testimonianza della signorina Ainsworth», disse Green lanciando un’occhiata a Emily che annuì dopo qualche istante, prima di prendere la brocca d’acqua e spostarla sulla credenza. «Harry, spostati con Piton verso le poltrone, mentre noi e la signorina Ainsworth ci sederemo al tavolo.»
Harry osservò Piton voltarsi per un attimo verso la signorina Ainsworth. Non riuscì a capire se stessero parlando perché, da dove si trovava, non riusciva a vedere bene la giovane donna, ma, dopo pochi istanti, il mago annuì ai due Auror e si portò verso le poltrone che si trovavano davanti alla biblioteca.
«Si segga, signorina Ainsworth.»
Ygraine si mosse verso la sedia che le aveva indicato l’Auror. Era certa che l’avessero fatta sedere lì perché non potesse vedere Severus, che si trovava alle sue spalle, ma non era importante. La sua presenza silenziosa e confortante le sarebbe bastata per tutta la durata di quello che sperava che sarebbe stato un breve interrogatorio.
«Perché si trovava nell’appartamento della signorina Stanton?»
Harry si sedette sulla poltrona, dopo averla girata verso il tavolo, come aveva già fatto Piton con l’altra. Il comportamento di Emily e Micheal gli sembrava ridicolo, nonostante quello che era accaduto all’alba, nonostante la lettera che sembrava pesare come un macigno nella sua tasca. Non sembrava nemmeno trattarsi di dover prendere delle precauzioni per poter presentare una testimonianza inattaccabile davanti al Wizengamot.
Era come se temessero che Piton potesse in qualche modo influenzare la confessione della signorina Ainsworth, che stava spiegando con voce flebile, ma calma come si fosse trovata nell’appartamento della signorina Stanton. Emily poi aveva superato il segno, con le sue accuse a Piton. Eppure, il giorno prima era stata decisamente in gamba quando aveva interrogato la Stanton, ma sembrava non riuscire a capire che l’uomo che aveva appena insultato era un eroe, era colui che gli aveva permesso di sconfiggere Voldemort.
«Quindi prima avete provato delle parti di un’opera?»
«Sì, ma quando abbiamo finito, ha iniziato a parlare di Tristan, di uno dei miei fratelli che è morto suicida.»
Severus notò che il corpo di Ygraine si irrigidì quando Green e la Thomson iniziarono a porle domande totalmente inutili su Tristan, prima di tornare su quello che avrebbe dovuto essere il loro scopo. Le chiesero un numero infinito di chiarimenti, senza nemmeno accorgersi che la voce della giovane donna iniziava ad affaticarsi, senza nemmeno concederle una pausa. Eppure, era stato chiaro in proposito e Green aveva anche sottolineato come avesse a cuore il benessere di Ygraine. Si voltò verso Potter, che stava fissando perplesso i suoi due colleghi.
«Micheal, non dovreste fare una pausa?»
«A tempo debito, Harry.»
Poi Green riprese con le sue domande, soffermandosi in maniera quasi maniacale sul modo in cui Ygraine era riuscita a liberarsi dalla stretta di Taylor.
«Quindi conferma, signorina Ainsworth, di aver dato una gomitata nel ventre di Cristopher Taylor e che, subito dopo, è corsa nella cucina dell’appartamento?»
«Esattamente. Come vi ho detto, avevo provato una scena simile per giorni e credo di aver agito d’istinto.»
Ygraine sentiva la voce farsi più debole e si sentiva inquieta di fronte al numero di domande che le avevano fatto finora, facendole ripetere più volte lo stesso particolare. Fece uno sforzo su sé stessa per non voltarsi, per non cercare lo sguardo di Severus. Strinse le pieghe della gonna, cercando di calmarsi, come faceva sempre prima di entrare in scena. E tentò di immaginare gli occhi neri dell’uomo e il conforto della sua voce e delle sue mani sulla sua schiena la sera prima, quando l’aveva abbracciata.
«Cos’è accaduto subito dopo?»
Harry si alzò lentamente in piedi, il pezzo spiegazzato di pergamena, che Piton gli aveva passato pochi istanti, sembrava bruciare nel suo pugno chiuso. Emily e Micheal erano intenti ad osservare la giovane donna che stava spiegando del modo in cui era corsa in un’altra stanza, dopo essersi liberata da Taylor. La cucina era incredibilmente ordinata notò e totalmente Babbana. Quel particolare lo fece improvvisamente riflettere sulle motivazioni che stavano portando, al di là di quello che gli avevano spiegato quella mattina, Emily e Micheal a tormentare in quel modo la vittima e dovette ammettere che forse non riuscivano a credere che una Babbana avesse potuto tener testa a un mago, fino a quando questi non aveva usato la magia.
Mentre versava dell’acqua fredda in un bicchiere, si rendeva conto che la signorina Ainsworth stava dando prova di avere un animo forte, nonostante il modo in cui stavano analizzando ogni sua frase.
Distrusse il pezzo di pergamena in cui Piton gli aveva quasi ordinato di andare a procurarsi dell’acqua per la giovane donna e ritornò nell’altra stanza. Posò il bicchiere sul tavolo. Emily gli lanciò un’occhiata che gli fece temere una ramanzina non appena si fossero trovati soli al Ministero, mentre Micheal non disse una sola parola.
«Quando si è accorta che era entrato Piton?»
Severus avrebbe voluto porre fine a quella farsa, in cui Green e la Thomson sembravano provare un sadico gusto nel tormentare Ygraine che aveva risposto con chiarezza ad ogni domanda, ripetendo alcuni eventi allo sfinimento, ottenendo unicamente di affaticarle la voce. Sentì Potter sedersi al suo fianco, mentre la giovane donna rispondeva come meglio poteva a quella domanda.
«Cosa ha provato quando ha capito che era Piton?»
«Sollievo», mormorò la giovane donna, dopo aver posato il bicchiere sul tavolo.
La voce di Ygraine sembrava meno affaticata, notò Severus, ma il suo corpo stava cedendo. Per quanto fosse riuscita a dormire per buona parte della notte, per quanto la pozione avesse fatto il suo lavoro, doveva essere ormai stremata. Aveva subito una tortura orribile meno di ventiquattr’ore prima e la cura era stata dolorosa nei suoi primi minuti. Quella mattina aveva poi dovuto parlare con il teatro per spiegare che non avrebbe partecipato alle ultime due prove dell’opera e sapeva che non era stata una conversazione facile. L’unica consolazione era che le era stata evitata la telefonata al foniatra perché era stato il teatro a farsene carico e lunedì avevano organizzato tutte le visite del caso.
Gli Auror avrebbero dovuto accorgersi che Ygraine stava per crollare; invece, erano unicamente degli imbecilli e continuavano a farle domande, chiedendole di chiarire ogni minimo particolare, per quanto la giovane donna avesse parlato in maniera chiara e coerente, esattamente come aveva fatto ieri quando aveva parlato con lui.
Quando le chiesero di approfondire maggiormente quello che le era stato fatto, di spiegare con cura ogni dettaglio, dovette dar fondo a tutto il suo autocontrollo per non intervenire e chiedere loro cosa si aspettassero di scoprire da una persona che era stata immobilizzata in quel modo. La voce di Ygraine vacillò leggermente, la vide prendere il bicchiere e bere l’ultimo sorso d’acqua prima di rispondere.
E andarono avanti così per altri lunghissimi minuti, continuando a porre domande a cui Ygraine non sapeva rispondere. Ricordava perfettamente il modo in cui si era aggrappata a lui, quando le si era avvicinato dopo aver schiantato Taylor, le sue lacrime e la sua fiducia, ma rammentava anche gli occhi offuscati dal dolore dovuto alla pozione e alla ferita alla gamba.
«Dobbiamo porle altre domande per chiarire nel modo migliore quanto è accaduto», affermò Green, con voce che sembrava quasi dispiaciuta. «Ci sono però dei particolari che potrebbero tornare utili durante il processo. Perché ha difeso con tanta veemenza Piton?»
«Mi fido completamente di lui.»
«Ne è l’amante?»
Ygraine scosse unicamente il capo, chiedendosi per quale motivo le stessero ponendo quella domanda.
«Una risposta verbale, signorina Ainsworth.»
«No.»
«Quindi, ci assicura che non avete mai avuto nessun contatto di natura erotica?»
«Nessuno.»
«Sia Taylor che la Stanton hanno affermato, durante le loro deposizioni, il contrario. Nessuno la sta giudicando, ma ieri l’abbiamo vista stringergli una mano, signorina Ainsworth.»
«Stavo unicamente cercando conforto in un amico.»
«Non l’ha mai, nemmeno in un’occasione, toccata in maniera inappropriata?»
«No. Ve l’ho già detto più volte, ormai.»
Ygraine dovette sforzarsi per non voltarsi verso Severus, per non cercare conforto nel suo sguardo. Non riusciva nemmeno a capire per quale motivo le stessero ponendo quelle domande umilianti, che non avevano nessun reale legame con l’indagine in corso e che sembravano unicamente voler rendere il rapporto che aveva instaurato con Severus simile ad una tresca, priva di reali e profondi sentimenti. Era come se volessero far diventare tutto banale, cancellando la fiducia e l’amicizia che li legavano. Di certo, non avrebbero nemmeno capito che lei lo amava a tal punto da essere felice di avere quell’amicizia profonda, anche se era certa che non avrebbe mai potuto risvegliarsi tra le sue braccia.
«Quindi, come definirebbe il rapporto con Piton?»
«Di amicizia sincera.»
Severus poteva vedere la tensione nelle spalle di Ygraine ed era in grado di immaginare il suo nervosismo, per quanto la voce risultasse ancora tranquilla. Era certo che stesse stringendo la gonna con una mano come faceva prima di andare in scena, come aveva fatto la sera prima con la sua mano, per riuscire a tranquillizzarsi dopo il suo secondo incubo. Quanto a lui, se non fosse stato controproducente, avrebbe voluto cacciare i due Auror da casa sua, impedendo loro di vedere, anche da lontano, Ygraine. La stavano umiliando inutilmente, nel tentativo, quasi, di trovare un gustoso pettegolezzo da vendere alla Gazzetta del Profeta.
«Lei ha detto che sua nipote, Rebecca Ainsworth, si trovava con Piton mentre era nell’appartamento di Jane Stanton.»
«Esattamente.»
«Per quale motivo non era a scuola?»
La voce della Thomson sembrava fastidiosamente acuta, mentre poneva altre domande perfettamente evitabili. Ygraine era, se possibile, più tesa di prima, perché avrebbe dovuto spiegare quello che era accaduto con suo fratello a dei perfetti sconosciuti che non avevano alcun motivo per farle domande del genere.
«Mio fratello e mia cognata non possono più occuparsi di Rebecca e l’hanno affidata a me. Ho firmato pochi giorni fa un documento in cui sono diventata la sua tutrice. Sono andata ad abitare dai miei genitori, nel Kent, e, ieri, poiché mamma e papà erano impegnati, è venuta a Londra con me. Severus è stato tanto gentile da accettare di prendersi cura di lei mentre io stavo provando con la signorina Stanton.»
«Affida spesso sua nipote a Piton?»
«Di solito siamo insieme, ma non vedo alcun problema ad affidare Rebecca a una persona per cui nutro la più completa fiducia.»
«Come si comporta Piton con sua nipote?»
Harry si voltò verso l’uomo e notò che stava stringendo i braccioli della poltrona con forza, probabilmente per impedirsi di intervenire. Era furioso, ben più furioso di quanto fosse stato con lui quando aveva avuto la malaugurata idea di guardare nel suo Pensatoio.
E il ragazzo poteva perfettamente comprendere la furia dell’uomo in quel momento.
«Severus è sempre gentile con Rebecca e spesso parlano insieme del Mondo Magico e di pozioni. Mia nipote ama porgli domande in proposito. Come vi ho già detto, mi fido assolutamente di lui e so, con assoluta certezza, che Rebecca è completamente al sicuro in sua compagnia.»
«Piton ha mai fatto del male a sua nipote?»
«Credete veramente che mi fiderei così tanto di Severus se avesse nuociuto a Rebecca?»
Harry notò che la signorina Ainsworth era decisamente irritata e non poteva darle torto. Emily e Micheal stavano passando il segno, non stavano più seguendo l’interrogatorio che avevano ideato quella mattina. Avevano ormai chiarito in ogni punto il contenuto della lettera di cui teneva una copia in tasca e conoscevano ogni minimo particolare di quello che era accaduto quella mattina.
«Eppure, c’è chi sostiene che Piton abbia un’influenza negativa su sua nipote.»
«Jane… è stata Jane a dirvelo? E voi le avete creduto?»
«Non si tratta di credere o non credere, signorina Ainsworth, ma di accertare la verità.»
«Pensa forse che sia una stupida, Auror Thomson?» Severus non aveva mai visto Ygraine così arrabbiata, nemmeno quando Gawain aveva deciso di non volere avere più nulla a che fare. «Ricordo perfettamente che durante gli interrogatori passati avete tentato accusare Severus degli omicidi avvenuti al museo, avete insistito perché io dicessi qualcosa di negativo sul suo conto. So che lei pensa il peggio di lui, che non è per niente oggettiva, ma forse pensava che non me ne fossi accorta.»
«Lei è una Babbana, signorina Ainsworth, e non capisce appieno gli equilibri politici del nostro mondo», disse Green, con voce che, a Severus, parve condiscendente.
«Quindi mi state ponendo queste domande, state prestando fede a una donna che ha provocato la morte di due innocenti, che mi ha torturata unicamente per mantenere degli equilibri politici? Oppure credete che perché non possiedo la magia, sia una povera sciocca?»
La voce di Ygraine era ancora irritata di fronte alle parole dei due Auror e Severus era certo che avesse ragione. Il Mondo Magico si sentiva incredibilmente superiore nei confronti dei Babbani e anche quei maghi che sembravano interessarsi ai Babbani lo facevano più per curiosità che per tentare di comprenderne realmente il mondo. Lui stesso si era vergognato, un tempo, di avere un padre Babbano, aveva quasi nascosto quella parte della sua vita e soltanto troppo tardi aveva compreso che non c’era nulla di male, che non tutti i Babbani erano come suo padre. E anche se non lo avesse compreso allora, gli sarebbe stato ben chiaro dopo aver conosciuto Ygraine, dopo aver conosciuto la donna che era riuscita a fargli desiderare di vivere realmente, la donna che si fidava di lui, che non l’aveva mai guardato con sospetto, la donna che gli sembrava di amare, ogni minuto che passava, più profondamente.
«Risponda alla nostra domanda, signorina Ainsworth. Piton ha mai fatto del male a sua nipote?»
«Mai.»
«Ne è sicura?»
«Se cercate qualcuno che ha fatto del male a Rebecca, dovreste andare a parlare con Gawain e Margaret», Ygraine si pentì di aver detto quelle parole, non appena le pronunciò. Non era mai stata sua intenzione parlare di quello che era accaduto nell’appartamento del fratello, ma le parole degli Auror l’avevano irritata. «E se non fosse stato per Severus, non so fino a dove si sarebbe spinto mio fratello. Se io e mia nipote ci troviamo nel Kent, al sicuro, è soltanto per merito dell’uomo che voi state cercando di denigrare da quando avete messo piede in casa sua.»
La voce di Ygraine si era quasi spezzata sulle ultime parole e Severus notò la spossatezza della giovane donna nel suo corpo e sperò che quei due imbecilli che la stavano interrogando capissero che non avevano altro da chiederle.
«Ho ancora un’ultima domanda. Lei dice di avere una completa fiducia in Piton. Da dove nasce questa sua fede?»
Severus notò che Ygraine stava cercando di nascondere la stanchezza che doveva provare, aggiustando la postura del corpo e l’ammirò per quello, così come l’aveva ammirata durante tutti i lunghissimi minuti in cui l’avevano sottoposta a quella tortura travestita da interrogatorio.
«Dalla consapevolezza che non ha mai mentito, né a me, né a Rebecca.»
Harry si voltò di scatto verso Piton, ma l’uomo stava osservando ogni singolo movimento della signorina Ainsworth. Non riusciva a leggerne l’espressione, ma forse non sarebbe servito a nulla perché l’uomo sapeva celare perfettamente quello che pensava e provava. Per un istante il ragazzo si chiese cosa celasse realmente quella frase della giovane donna, ma comprese subito che non erano affari suoi.
«Credo che sia tutto. Emily, hai qualche altra domanda?»
«No, nessuna. Signorina Ainsworth, se vuole essere così gentile da firmare qui in fondo.»
Ygraine si sentì sollevata che quell’incubo fosse finalmente finito, che avessero terminato di porle domande personali in un contesto in cui non avevano motivo di esistere. Tentò di ignorare la spossatezza che la stava assalendo e il lieve dolore alle corde vocali.
«Non sarebbe mio diritto leggere la mia deposizione, prima di firmarla?»
«Sì, certo.»
Ygraine iniziò a leggere ogni parola che la penna aveva scritto sul foglio. Non sapeva come funzionassero quelle penne magiche che scrivevano da sole, non aveva idea se si potessero manomettere per far scrivere loro quello che il proprietario voleva. D’altronde non riusciva a fidarsi di quei due Auror, dopo che avevano tentato di far passare, ancora una volta, Severus come il peggiore degli uomini.
Invece, ogni parola corrispondeva alla lettera, incluse le infinite domande che le avevano posto. Prese in mano la penna che le avevano passato e la intinse nel calamaio. Ringraziò un regista particolarmente pignolo nel voler essere realistico che aveva preteso, quando aveva cantato Luisa Miller due anni prima, che lei scrivesse usando veramente penna e calamaio. Riuscì ad ignorare il lieve dolore che sentiva alle corde vocali, dovuto a tutto quel parlare, mentre firmava la deposizione.
L’Auror Green la ringraziò con un sorriso quasi di scusa, mentre l’Auror Thomson la guardò scuotendo il capo con una strana espressione a metà tra l’incredulità e il compatimento. Ygraine si sentiva completamente sfinita, ora che gli Auror se n’erano andati, al punto che non ebbe nemmeno la forza di alzarsi in piedi.
«Cosa fai ancora qui, Potter?»
Ygraine tentò di voltarsi, per osservare il volto di Severus, ma non ci riuscì. Sentiva la testa pulsare e la gola dolerle. Sapeva di aver sforzato le corde vocali nel rispondere a tutte quelle domande, in quell’interrogatorio che doveva essere durato ore. La sera prima e quella mattina, quando aveva parlato con Severus c’erano sempre stati lunghi silenzi e il mago le aveva fatto bere, obbligandola quasi in alcuni frangenti, molti bicchieri d’acqua, in modo da rendere più efficace la pozione che aveva preparato il giorno prima. Ma quel pomeriggio aveva dovuto rispondere ad ogni singola domanda, senza che le dessero un attimo di tregua, nonostante quello che Severus aveva raccomandato loro, e l’acqua che le aveva portato Harry sembrava non essere bastata.
«Ci sono delle questioni di cui dovrei parlarti, Piton. In privato.»
Severus osservò il ragazzo, notando che Potter sembrava nervoso. Forse aveva una spiegazione al modo in cui i suoi colleghi si erano accaniti su Ygraine per più di due ore e mezzo. E, se così era, si aspettava che fosse inattaccabile.
«Aspettami in cucina.»
Non guardò nemmeno se Potter stesse facendo quello che gli aveva detto. Si avvicinò a Ygraine e si sedette sulla sedia vuota accanto a lei, quella su cui avrebbe potuto essere seduto lui, se gli Auror glielo avessero consentito.
«Ygraine», la giovane donna si girò verso di lui e tentò di sorridergli, ma gli occhi erano sofferenti e il suo volto mostrava quanto fosse sfinita. Prese le mani del soprano tra le sue, incurante di quello che poteva pensare Potter, che forse non era nemmeno andato in cucina. «Non avrebbero dovuto farti parlare a quel modo.»
«Il dolore è tornato, non forte come ieri, ma…»
«Avrei dovuto farti avere prima l’acqua», aveva atteso che gli occhi della Thomson non fossero su di lui, per prendere la matita che aveva usato come segnalibro la sera precedente, strappare un angolo, senza alcuna parola stampata, da quello stesso libro, e allungarlo a Potter con sopra scritte poche chiare parole.
«Non è colpa tua.»
«Lo so, Ygraine», almeno di questo era certo, almeno quella volta aveva subito lasciato andare qualsiasi senso di colpa. Sentì le mani della giovane donna stringere maggiormente le sue e un lieve sorriso illuminarle il volto. «Mentre parlo con Potter, puoi riposare.»
La giovane donna annuì soltanto, mentre si alzava in piedi, senza lasciare andare le mani del mago. Si appoggiò a lui, mentre salivano al piano superiore e mentre l’aiutava a sedersi sul letto. Si sentiva incredibilmente debole, in quel momento, al punto che quasi non si accorse che Severus era uscito dalla stanza se non per il fatto che l’aveva lasciata andare. Ritornò poco dopo, tenendo in mano una fiala e un bicchiere d’acqua.
«Ritengo che sia meglio che tu prenda un’altra dose di antidoto. Non sarà doloroso come ieri e forse non sarà nemmeno efficace nel lenire il dolore. So però, con certezza che non ti sarà dannoso», mentre parlava si era seduto accanto alla giovane donna.
Le porse la fiala che Ygraine bevve docilmente. Tornò ad afferrargli le mani, per quanto sul suo volto non vi fosse alcun segno di dolore. Severus staccò delicatamente le mani da quelle della giovane donna e, cercando di non mostrare l’incertezza per un gesto a cui non aveva mai dato inizio, l’abbracciò. Ygraine appoggiò il capo contro il suo petto, come aveva fatto le altre volte in cui aveva cercato conforto in lui.
Rimase immobile.
Ygraine non stava piangendo come le altre volte, ma aveva ricambiato l’abbraccio. Sentiva le mani pure della giovane donna sulla sua schiena e sentiva la sua fiducia nel modo in cui stava accettando il suo tentativo di confortarla, di farle, forse, dimenticare il male che le avevano fatto i due Auror.
Era certo che il cuore puro della giovane donna non potesse mai ricambiare i suoi sentimenti, ma gli sarebbe bastato poterle stare accanto, poterle offrire, per quanto in maniera probabilmente inadeguata, il conforto che non aveva mai potuto, in passato, dare a nessuno.
Gli sarebbe bastato poterle offrire la sua amicizia.
Gli sarebbe bastato vederla felice.
Gli sarebbe bastato amarla in silenzio.

---

[1] Per la simbologia del cigno, ho consultato alcuni bestiari medievali, che sono piuttosto ambivalenti in proposito. A volte è figura di purezza (il bianco delle piume) e di fedeltà e amore (il cigno è essenzialmente monogamo); altre è simbolo del canto, ma anche di morte; infine, è anche simbolo d’ipocrisia (nasconde le piume nere sotto le piume bianche).

 
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Capitolo XXII - Parte III

Mut



Gran Bretagna, 23 marzo 2002


Harry non sapeva di preciso cosa fare, mentre aspettava Piton. Pochi minuti prima l’uomo si era avvicinato alla signorina Ainsworth, mentre il ragazzo stava per entrare nella cucina dell’abitazione. La giovane donna sembrava molto provata alla fine dell’interrogatorio e, con ogni probabilità, lei e il mago stavano parlando. Sapeva per certo che Piton le aveva portato dell’acqua, dato che era entrato in cucina per procurarsene, senza quasi degnarlo di uno sguardo.
Ripensò a quello che era accaduto poco prima, al modo in cui si erano comportati Micheal ed Emily. Sapeva da quale prospettiva avessero cominciato quell’interrogatorio, ma più andavano avanti più sembrava che volessero mettere in difficoltà la signorina Ainsworth, farle ammettere qualcosa che non corrispondeva a verità, farla vacillare nella sua fiducia nei confronti di Piton.
«Cos’hai da dirmi, Potter?»
Harry riuscì a non sobbalzare. Non aveva nemmeno sentito Piton entrare, né aveva udito chiudersi la porta.
«La signorina Ainsworth… come sta?»
«Sta riposando e forse le sue corde vocali non saranno danneggiate. E di certo non grazie ai tuoi due colleghi.»
Ogni singola parola fu pronunciata con una rabbia gelida. E, come pochi istanti prima, Harry non poteva fare altro che trovarsi d’accordo con l’ira dell’altro mago. Emily e Michael avrebbero dovuto fermarsi, fare delle pause, non applicare alla lettera il regolamento, anche se Harry non era del tutto certo che esistesse quella regola che era stata usata per togliere l’acqua dal tavolo. Ma era di certo preferibile credere alla sua esistenza piuttosto che pensare che avessero fatto soffrire la signorina Ainsworth perché non si erano fidati di Piton, come se fosse stato nel suo interesse darle da bere qualcosa di nocivo.
«Mi dispiace per come hanno condotto l’interrogatorio.»
Severus annuì alle parole del ragazzo, che aveva almeno avuto il buon senso di chiedere una pausa e che era immediatamente andato a prendere il bicchiere d’acqua che gli aveva chiesto.
«Avevano almeno una buona ragione per quello che hanno fatto?»
«Prima di partire da Londra, mi avevano detto che le avrebbero dovuto porre più domande di quanto non avessero pensato ieri», rispose Harry, notando che la voce dell’uomo si era fatta quasi impersonale. «Non mi aspettavo però che fossero così ostinati. Credevo che accordassero alla signorina Ainsworth le pause che erano state chieste. So che Micheal si è documentato sulla pozione di Ruprecht von Dittmar.»
«Cos’è successo, Potter?»
Harry non si stupì nemmeno che Piton avesse capito che era accaduto qualcosa nel corso della notte. Estrasse la lettera che era sembrata pesare come un macigno durante l’intero interrogatorio.
«Avrebbero voluto dirlo alla signorina Ainsworth, ma sono riuscito a convincerli che sarebbe stato inutile, però hanno insistito per condurre un interrogatorio più serrato, in modo da confutare ogni parola di questa lettera», il ragazzo porse il foglio a Piton, chiedendosi come avrebbe reagito quando lo avesse letto. «Jane Stanton si è uccisa all’alba nella sua cella ad Azkaban e ha lasciato una lettera d’addio indirizzata alla signorina Ainsworth.»
«Come si è tolta la vita?»
Severus non aveva ancora aperto la lettera che Potter gli aveva passato, anche se temeva che potesse contenere un ultimo tremendo atto di vendetta da parte della pianista.
«Ha chiesto un bicchier d’acqua durante l’interrogatorio e…»
«A quella donna l’hanno concesso?»
La voce di Piton era tagliente e a Harry sembrò che, in quel momento stesse trattenendo a stento la rabbia, che stesse trattenendosi a stento dall’andare a cercare i suoi due colleghi. E come poteva dargli torto, quando avevano avuto più riguardo della colpevole piuttosto che della vittima?
«Sì. Emily non sembrava d’accordo con Micheal, ma…», Harry si interruppe, sistemandosi nervosamente gli occhiali. Non aveva pensato a quel particolare, ma, anche se avesse fatto notare la cosa, i due Auror avrebbero potuto rispondere che nessuno aveva esaminato con cura e approfonditamente l’acqua che Piton aveva preparato. «Il bicchiere si è rotto e, a quanto pare, la Stanton è riuscita a conservarne un frammento con cui si è tagliata le vene.»
«E nessuno ha pensato a perquisirla?»
«Gli addetti alle perquisizioni si sono giustificati dicendo che una Magonò non presentava alcun rischio.»
Severus non commentò nemmeno l’idiozia del Ministero, la stupidità dell’intero Mondo Magico, che sembrava nutrirsi unicamente di pregiudizi. Archiviati – a parole, in diversi casi – quelli contro i Nati Babbani, rimanevano, invece, ben presenti i pregiudizi nei confronti dei Magonò e, ancor più, dei Babbani. I maghi e le streghe sembravano pensare automaticamente che, se qualcuno non possedeva la magia, era, per forza di cosa o un essere innocuo o un essere inferiore.
Ne avevano dato prova anche i due Auror con Ygraine, sottovalutandola unicamente perché era una Babbana.
«Immagino le abbiano anche fornito carta e penna.»
Potter annuì soltanto, senza osare guardarlo in volto. Anche il ragazzo doveva rendersi conto della sciatteria con cui era stata portata avanti quell’indagine. Se così non fosse stato, non sarebbe nemmeno andato a chiedergli consiglio alcuni giorni prima. Osservò con attenzione il foglio che aveva in mano e notò immediatamente che era una copia. Guardò per qualche istante il ragazzo, ma questi stava evitando accuratamente il suo sguardo, il che voleva unicamente dire che nessuno sapeva che glie stava facendo leggere quella lettera.
Alla vil cortigiana [1] che è la puttana di un Mangiamorte.
So che stai recuperando la tua voce, per quanto avessi sperato il contrario. Avrei voluto saperti intenta a soffrire, come ha sofferto Tristan, come hanno sofferto mia sorella e la sua famiglia.
Invece non soffri come dovresti. Mi chiedo come tu lo abbia ringraziato per quell’antidoto (gli hai per caso anche chiesto quali ingredienti oscuri stesse utilizzando?). Non starò qui a nominare tutte le disgustose ipotesi che mi sono venute in mente, ma sono certa che non sia la prima volta che apri le gambe per lui, che permetti alle sue mani di toccarti.
Ti sei sempre comportata come una sorta di santa, quando non sei altro che la puttana di un assassino.
Ti riesco ad immaginare mentre neghi, mentre dici che Piton è una brava persona, mentre dici che ti fidi ciecamente di lui.
La verità è che ti sei lasciata ingannare e plagiare da un uomo che vive di menzogne e delitti.
Forse vorresti che in questa mia ultima lettera, ti dicessi che mi pento per quello che ho fatto, ma non posso farlo, quando so che ho agito seguendo la mia coscienza.
Non avrei voluto nuocerti a quel modo. Non per te, non per la tua ipocrisia, ma per l’arte. D’altronde, non mia hai lasciato altra scelta. Come potevo rimanere a guardare, mentre sporcavi tutto quello che Tristan aveva di sacro? Come potevo permetterti di insozzare anche l’animo innocente di Rebecca? L’ho vista mentre teneva per mano l’assassino tra le cui grinfie l’hai gettata.
Ed ora, senza più alcuna speranza di ottenere giustizia, non mi resta altro che scegliere la morte.
Chissà, forse ti autoconvincerai di sentirti in colpa anche per questo suicidio, ma come, per Tristan, ti sarai accorta della verità troppo tardi.

«Cosa ne farete?» domandò accartocciando la lettera.
«Verrà presentata al Wizengamot. Micheal crede che mostri la colpevolezza di Jane Stanton, ma ha ritenuto necessario che la signorina Ainsworth dimostrasse di non contraddirsi mai», Harry fece una pausa, raccogliendo le idee. «Ha detto che, considerando che al processo la signorina Ainsworth non sarà presente, avrebbe dovuto interrogarla con maggiore cura. Tutti hanno concordato nell’evitarle di presentarsi davanti al Wizengamot, anche se credo che lo abbiano fatto più per motivi logistici che non per rispetto nei suoi confronti.»
Severus annuì alle parole di Potter. Se avessero anche solo portato un briciolo di rispetto vero Ygraine non l’avrebbero trattata in quel modo, non l’avrebbero affaticata al punto che si era assopita contro di lui, quando l’aveva abbracciata pochi minuti prima.
Non avevano nemmeno compreso che fosse sopraffatta da quello che le era accaduto, non si erano nemmeno accorti che sarebbe potuta crollare davanti a loro, che a sorreggerla era unicamente la sua forza d’animo.
Non sembravano nemmeno aver visto la purezza dell’animo di Ygraine, che contrastava in maniera così stridente con l’oscurità che lui aveva toccato e di cui la giovane donna era a conoscenza. Eppure, nonostante tutto, lei si fidava a tal punto di lui da ricambiare il suo abbraccio, da posare il capo contro il suo petto, accettando quel tentativo di confortarla. Aveva tanta fede in lui da permettersi di assopirsi tra le sue braccia.
Sperava almeno che Ygraine stesse riposando in quel momento. Quando l’aveva adagiata sul letto si era rannicchiata e l’aveva lasciata così, dopo averle tolto le scarpe e averla coperta con un panno.
«Quando avrà inizio il processo?», domandò a Potter.
«Martedì. Ti arriverà un gufo con la convocazione.»
«Ygraine non dovrà mai sapere nulla di questa lettera, Potter», affermò, continuando a stringere con forza quel foglio. Se avesse potuto avrebbe distrutto anche l’originale, scritto da quella Magonò priva di qualsiasi forma di pietà. «Del suicidio della Stanton le parlerò io, ma se tu o uno degli Auror, oserà dirle qualcosa di questa lettera…»
«Non le dirò nulla. Te lo prometto», disse il ragazzo con voce solenne.
Piton lo osservò per qualche istante, prima di annuire e di distruggere la copia della lettera che gli aveva fatto leggere. Era certo che l’uomo avesse capito da solo che, in teoria, lui non avrebbe dovuto saper nulla di quel foglio fino al giorno del processo. Almeno non aveva fatto alcun commento sul modo avventato in cui aveva agito. D’altronde, Harry credeva che Piton dovesse essere messo a conoscenza di quello che era accaduto e che l’altro fosse mago la persona migliore per capire cosa dire di preciso alla signorina Ainsworth.
La donna si fidava di Piton e lo aveva ribadito durante la sua deposizione ed Harry credeva che fosse una delle poche persone al mondo ad aver stretto un rapporto così profondo con il mago. E così aveva fatto Rebecca. Ripensò a quello che aveva visto nei ricordi che Piton gli aveva dato, al rapporto tra il mago e sua madre, ma dubitava che mamma avesse provato la stessa completa fiducia di Ygraine Ainsworth.
E quel pensiero lo portò con l’altro motivo per cui voleva parlare con l’uomo.
Il ragazzo deglutì a vuoto, mentre si chiedeva se fosse veramente il caso di fare quello che si era ripromesso quella mattina. Forse non era il momento adatto, si disse, ma nella sua mente rimbombavano le parole pronunciate da Emily poche ore prima. Fece appello a tutto il suo coraggio, dicendosi che non avrebbe avuto un’altra occasione.
«Vorrei parlare anche di qualcos’altro.»
Severus notò che il ragazzo si era fatto improvvisamente nervoso e incerto, ben diverso da com’era stato poco prima e da come si era comportato nel corso dell’intero pomeriggio. Non sembrava nemmeno decidersi a parlare, preferendo rimanere immobile, lo sguardo fisso davanti a sé.
«Parla, Potter.»
«Io… avrei dovuto farlo prima», Harry deglutì a vuoto, prima di proseguire, dicendosi che il peggio che avrebbe potuto fare Piton era gettarlo fuori di casa. «Sarei dovuto venire in ospedale, ma non sapevo se… vorrei ringraziarti per tutto quello che hai fatto durante la guerra.»
Piton non disse nulla.
Forse era un buon segno, si disse Harry. Forse era il suo modo per accettare il suo ringraziamento. Almeno non aveva reagito come aveva temuto in tutti quegli anni in cui non aveva nemmeno avuto il coraggio di bussare alla sua porta.
«E per cosa mi ringrazi di preciso, Potter?»
«Per tutto. So che hai rischiato la vita, che mi hai salvato la vita in più di un’occasione. Io…»
«Stai dicendo tutte queste belle parole per parlare dei ricordi?»
Harry sapeva che avrebbe risposto in maniera affermativa soltanto alcuni mesi prima, ma, in quel momento, si rendeva conto che non era per quello che voleva parlare con Piton. Il suo unico scopo era unicamente quello di ringraziarlo, anche se temeva di averlo fatto in maniera totalmente inadeguata.
Mentre ripensava ai ricordi che Piton gli aveva affidato, notò che non avrebbe nemmeno saputo cosa dire di preciso. Non gli sembrava il caso di parlare di sua madre, soprattutto non dopo che aveva visto il nuovo Patronus dell’uomo e non voleva di certo parlare di Silente.
«No. Voglio unicamente ringraziarti e chiederti perdono per averti giudicato male per tutti gli anni in cui sono stato un tuo studente.»
«Non potevi far diversamente, Potter.»
Severus osservò per qualche istante il ragazzo, con quegli occhi verdi in cui, per anni, aveva cercato l’odio. Gli aveva mostrato il lato peggiore di sé e in cambio aveva ricevuto quello che aveva desiderato allora. D’altronde, all’epoca, in cui si stava ancora appigliando al ricordo di una Lily perfetta, Harry rappresentava tutto ciò che avrebbe potuto avere e non aveva avuto.
«Avrei potuto capire, riflettere meglio…»
«Questo lo avresti potuto fare anche quando hai detto a Rebecca che sono un eroe.»
«Le ho detto soltanto la verità», ribatté Harry con veemenza.
Si sentiva stranamente a suo agio con Piton, nonostante la conversazione che stavano avendo, nonostante il tono, a volte freddo, che stava usando l’uomo. Si chiese se quello con cui stesse parlando fosse il vero Piton, quello che a scuola non aveva mai visto e se fosse di quell’uomo che aveva parlato la signorina Ainsworth agli Auror.
«Hai uno strano concetto di verità, Potter», la voce dell’uomo era brusca, quasi volesse mettere fine al discorso.
Harry avrebbe voluto ribattere, ma non sapeva con che parole spiegare a Piton perché lo considerava un eroe. O, forse, più semplicemente non ne ebbe il tempo, considerando che l’uomo era uscito dalla stanza. Lo seguì, trovandolo davanti alla credenza, intento a frugare in un cassetto, fino a quando non trovò quello che stava cercando, in mezzo a dei fogli di carta palesemente Babbana. Senza dire una parola gli mise in mano quella che riconobbe essere la foto di sua madre che gli aveva visto prendere a Grimmauld Place.
«Grazie.»
Avrebbe potuto dire molto di più, chiedergli perché gli stava dando quella foto proprio in quel momento, ma non lo fece. Gli venne unicamente in mente il Patronus che gli era arrivato il giorno prima, il cigno che aveva sostituito la cerva. Ripensò al modo in cui Piton aveva confortato la signorina Ainsworth il pomeriggio precedente e a come avesse condotto la conversazione con gli Auror per ottenere di restare in quella stanza.
Ripensò ai ricordi che aveva visto e a sua madre e si chiese se fosse stata veramente una buona amica per l’uomo. Poi sentì nuovamente le parole pronunciate dalla signorina Ainsworth quel giorno, quelle parole così colme di fiducia, e sperò che Piton potesse avere una speranza quella volta.
«Potter, hai chiesto dell’organetto?»
Severus sapeva che, forse, il ragazzo avrebbe voluto dirgli altro, porgli delle domande o insistere su quella sua sciocca idea di vederlo come un eroe, ma non credeva che avessero altro da dirsi sull’argomento. Non era nemmeno stupito che Harry avesse voluto parlare della guerra, anche se aveva immaginato che lo facesse in maniera diversa, che volesse unicamente conoscere nuovi particolari su Lily.
Invece, il ragazzo lo aveva sorpreso. D’altronde, aveva già notato che era maturato e che aveva perso l’impulsività che lo aveva fatto agire senza riflettere in più di un’occasione. Fosse stato il ragazzo di un tempo, avrebbe agito impulsivamente o avrebbe cercato ad ogni costo di conoscere ogni singolo particolare del suo passato.
«Taylor ha detto di non saperne nulla. La Stanton ha sorriso, ma non ha pronunciato una sola parola.»
«Taylor era al Ministero il dodici di questo mese?»
«Sì, non si è mai assentato dall’undici in poi, se non ieri. Quindi era la Stanton a seguirvi?»
«Nessuno dei due.»
Harry rabbrividì. Le parole di Piton implicavano che ci fosse un’altra persona ancora in libertà, un’altra persona che avrebbe potuto ancora nuocere alla signorina Ainsworth.
«Devo parlarne con Micheal.»
«A che pro, Potter? Non esiste una sola prova che ci sia un suonatore d’organetto che s’aggira per Londra seguendo per lo più Ygraine. Otterresti unicamente che qualcuno possa mettere in dubbio la deposizione di oggi o che possano arrivare a dire che è una Babbana dotata di troppa immaginazione.»
«Ma l’hai visto anche tu e…»
«Credi davvero che faccia differenza? Immagino tu sappia perché hanno posto quelle domande a Ygraine, oggi. La lettera della Stanton è facilmente smontabile e non sarebbe nemmeno rilevante per il Wizengamot sapere se quello che viene detto in quella lettera sia vero o meno. Si tratta unicamente di capire se prestare fede alla parola di una Babbana e a quella di un Mangiamorte.»
«Ma non lo sei più», ribatté debolmente il ragazzo. Sapeva perfettamente che Piton aveva ragione, che molti non credevano nemmeno che fosse stato assolto giustamente.
«Non hai sentito la Thomson, Harry? Non serve nemmeno che ti indigni. Si tratta semplicemente della realtà dei fatti», Severus osservò il volto del ragazzo, che gli parve improvvisamente abbattuto. Forse era stato brutale, ma gli aveva detto unicamente la verità. «D’altronde, non ritengo che sia una buona idea coinvolgere gli Auror. Credo di aver capito chi sia il suonatore di organetto. Sono quasi del tutto certo che il suo ruolo, in tutto questo sia stato unicamente di spiarci.»
«Ma adesso potrebbe agire diversamente?»
«Non lo so. Per questo è necessario che io parli con lui e per farlo ho bisogno che tu scriva una lettera. Sono certo che il destinatario ti risponderà con gioia.»
Harry sapeva cosa sottintendevano le parole di Piton e la cosa non gli piaceva per la consapevolezza che per il Mondo Magico sarebbe sempre stato lui l’eroe e l’uomo che aveva davanti non avrebbe mai ottenuto alcun riconoscimento.
«A chi dovrei scrivere?»
La voce di Harry si perse in un sussurro nella stanza, mentre il sole illuminava i mobili e la sua luce entrava anche nella camera del primo piano.
Ygraine si svegliò sentendo dei rumori ovattati provenire dal piano di sotto e per qualche istante si sentì totalmente disorientata. Sbatté gli occhi più volte e si mise a sedere. Sfiorò con una mano la coperta che la copriva, sorridendo appena. Sapeva con certezza che era stato Severus a compiere quel gesto gentile. Sul comodino si trovava un bicchier d’acqua che bevve lentamente, mentre ricordava il modo confortante con cui Severus l’aveva abbracciata, dopo averle dato di nuovo l’antidoto.
Si era sentita al sicuro, allora, e le era sembrato – e le sembrava tuttora – che quell’abbraccio cancellasse qualsiasi parola pronunciata dai due Auror. Si appoggiò alla testiera del letto, pochi minuti prima di sentire la porta d’ingresso chiudersi e i passi di Severus salire le scale. Rimase immobile, attendendo che il mago entrasse nella stanza.
«Hai riposato?»
Ygraine annuì, sorridendogli. Severus aveva pronunciato quelle parole con voce calma che ad altre persone sarebbe potuta apparire fredda, ma che a lei pareva unicamente rassicurante.
«Se non vorrai tornare dai tuoi genitori, stasera, andrò a parlare con loro e Rebecca.»
Severus si sedette sul bordo del letto, come aveva fatto la notte precedente, quando Ygraine era stata destata dal secondo incubo, da quell’incubo in cui aveva creduto di vederlo morire. Sembrava aver perso la tranquillità di quella mattina e l’uomo sapeva che, per quello, doveva unicamente ringraziare quei due maledetti Auror.
E la defunta Jane Stanton.
Sapeva perfettamente cosa avesse tentato di fare con quella lettera: degradare Ygraine, farla passare per una Babbana così sciocca da diventare l’amante di un mostro. Almeno gli Auror avevano avuto il buon senso di dare retta a Potter e di non mostrarle la lettera, perché era certo che, di tutto quello che c’era scritto, le ultime parole l’avrebbero ferita maggiormente.
«Credo che sia meglio tornare nel Kent, per quanto preferirei restare qui», mormorò la giovane donna. «So che ti ho già chiesto molto, Severus, ma, unicamente se lo desideri, ti fermeresti a dormire a casa dei miei genitori questa notte?»
Ygraine appariva smarrita, com’era stata quando gli Auror avevano tentato di allontanarlo dalla stanza. Sembrava incredibilmente fragile in quel momento, nonostante la forza d’animo che aveva mostrato in ogni singolo momento di quel crudele interrogatorio.
«Sì, certo.»
La giovane donna gli sorrise, gli occhi nocciola, per quanto stanchi, colmi di fiducia. Severus l’aiutò ad alzarsi in piedi, anche se forse non ce n’era bisogno, ma voleva darle conforto, per quanto gli fosse possibile. Avrebbe voluto anche levarle dalle spalle il peso di quello che era accaduto nel pomeriggio e la spossatezza che, nonostante il breve sonno di quel pomeriggio, sembrava ancora segnarla. Avrebbe voluto caricare su di sé il ricordo del dolore atroce che aveva provato il giorno prima e che avrebbe tormentato ancora a lungo i suoi incubi.
Ma erano desideri impossibili da realizzare.
Non gli rimaneva altro da fare che offrirle il suo conforto e la sua vicinanza, mentre l’amava discretamente.
Avrebbe dovuto comunicarle la notizia del suicidio della Stanton, ma non se la sentiva di farlo in quel momento, quando ancora doveva del tutto riprendersi da quanto era accaduto nelle ultime ventiquattr’ore.
«Useremo il modo magico di viaggiare?»
«Con i mezzi pubblici impiegheremo più tempo, ma se preferisci prenderemo il treno fino a Londra e di lì fino a Canterbury.»
«Preferisco arrivare quanto prima dai miei genitori e da Rebecca.»
Non aggiunse che si fidava completamente di lui, che era l’unico mago a cui si sarebbe affidata per viaggiare utilizzando la Smaterializzazione. L’uomo annuì soltanto, prima di muoversi verso l’armadio. Ygraine si avvicinò alla finestra e scostò appena la tenda. Fuori il sole splendeva vivace illuminando le case, per lo più abbandonate a loro stesse, e la via piena di crepe. Un’altra persona avrebbe trovato incredibilmente squallida la via dove viveva Severus, a lei sembrava unicamente triste che quell’uomo così silenziosamente coraggioso, che tanto aveva dato al Mondo Magico vivesse in quella cittadina, che, un tempo, doveva essere stata vivace, ma che, in quel momento, sembrava simile ad un vecchio scheletro vacillante.
Alle sue spalle Severus si muoveva per la stanza, mentre il sole si posava su quell’angolo d’Inghilterra.
E il sole illuminava un piccolo caffè Babbano, posto in una via appartata di Londra. Harry vi si era rifugiato poco dopo essersi fermato a prendere l’occorrente per scrivere la lettera di cui aveva parlato con Piton.
L’uomo doveva aver riflettuto a lungo sulla questione, considerando che aveva elaborato ogni minimo particolare di un piano che, però, avrebbe potuto mettere a rischio la sua vita. Harry, si disse, che avrebbe dovuto insistere per avere un ruolo più attivo, anche a costo di essere rimproverato aspramente da Piton.
Aveva compreso per quale motivo l’altro mago avesse deciso di agire in quel modo, ma non riusciva a non pensare a tutto quello che sarebbe potuto andare storto. Se avesse avuto più coraggio, avrebbe detto a Piton che si stava comportando proprio come l’eroe che diceva di non essere, ma non voleva mettere a repentaglio il rapporto che gli sembrava di stare instaurando con l’uomo.
Si concesse per un attimo di fantasticare, chiedendosi come sarebbero state le cose tra loro se lui avesse accettato che il Cappello Parlante lo mettesse in Serpeverde, se avere Piton come Capocasa lo avrebbe portato a compiere scelte diverse.
Iniziare a fare ipotesi su cosa sarebbe stato se avesse preso scelte diverse non l’avrebbe portato da nessuna parte. La realtà era stata ben diversa e doveva dirsi lieto di essere almeno riuscito a ringraziare Piton e che Piton non lo avesse cacciato in malo modo, ma lo fosse stato ad ascoltare. Gli aveva anche affidato una parte importante del suo progetto per stanare il suonatore di organetto, anche se Harry sperava che l’uomo si sbagliasse, per quanto questo volesse dire riprendere l’intera indagine dall’inizio, senza poter sperare nell’aiuto dei mezzi del Ministero.
Il ragazzo prese in mano la penna e iniziò a scrivere le prime righe, mentre il sole entrava luminoso dalla finestra del caffè.
E il sole illuminava anche il sentiero che portava alla casa degli Hancock, quando Severus vi si Materializzò, tenendo stretta a sé Ygraine. La giovane donna, quella volta, non barcollò, ma rimase immobile per qualche lungo istante, prima di staccarsi da lui, come aveva fatto il pomeriggio precedente, quando erano attivati a Spinner’s End, ma, in quel momento, ne era certo, Ygraine doveva provare troppo dolore per rendersi veramente conto di quello che stava facendo.
Camminarono in silenzio, fino al paese, fianco a fianco. Incontrarono una o due persone che salutarono con calore Ygraine che ricambiò con un sorriso gentile. Raggiunsero in poco tempo la casa degli Ainsworth, con le sue rose pronte a fiorire di lì a poco e il giardino curato.
Non fecero nemmeno in tempo ad avvicinarsi che la porta d’ingresso s’aprì e ne schizzò fuori Rebecca che corse ad abbracciare la zia. Dietro di lei, a passo più lento, veniva Alfred Ainsworth che stava osservando la figlia con una certa preoccupazione. Severus si chiese se si fosse accorto della stanchezza di Ygraine o se avesse iniziato, a un certo punto, a mettere in dubbio le parole che aveva suggerito a Potter.
«Rebecca, perché non accompagni in casa la zia e il signor Piton?»
La bambina annuì con un sorriso sulle labbra e precedette la zia e Severus in salotto. Il nonno si rifugiò nel suo studio e lei era riuscita a sedersi tra i due adulti. Si sentiva veramente tranquilla, ancor più dopo di quando la zia le aveva telefonato quella mattina.
«Come stai, zia?»
«Meglio, Rebecca», la bambina notò che la voce della zia sembrava più debole del normale. «Severus mi ha dato una pozione che mi ha fatto stare bene.»
Rebecca si voltò verso l’uomo e gli sorrise. Sapeva che lui avrebbe aiutato la zia, così come aveva aiutato anche lei quando Gawain l’aveva picchiata. Si chiese cosa sarebbe accaduto se avesse iniziato a chiamare Severus papà, ma forse non era ancora il momento.
«Sono felice che tu stia meglio, zia», la bambina si voltò verso la giovane donna, osservandola con attenzione. «Però sembri stanca.»
«Forse è meglio se vai a riposare, Ygraine.»
La giovane donna sentì gli occhi di Severus su di lei e quelli preoccupati di Rebecca. Si sentiva spossata, per quanto la gola non le dolesse più. Eppure, era come se avesse cantato Don Carlo cinque volte senza fare una pausa, nella versione francese in cinque atti, che era ben più lunga e onerosa per il soprano di quella in quattro. Si rendeva conto che quel senso di fatica non era dovuto unicamente agli effetti della pozione che era stata costretta a bere, ma anche allo stress a cui l’avevano sottoposta i due Auror, con le loro domande e le loro insinuazioni.
«Rimarrai tu con Rebecca?»
L’uomo annuì soltanto, osservando con attenzione Ygraine alzarsi in piedi e incamminarsi verso le scale, pronto a intervenire se l’avesse vista anche solo esitare su un passo, ma si muoveva decisa, per quanto più lentamente del solito. Appariva unicamente stanca e sperava che riuscisse a riposare tranquillamente, senza che alcun incubo la tormentasse.
«Cos’è successo alla zia? Ieri mi hai detto che è stata Jane.»
«Jane e l’Auror Taylor hanno fatto bere a tua zia una pozione che le ha fatto male alla gola.»
«Ma tu l’hai curata», la voce di Rebecca era colma di riconoscenza e di affetto. Aveva pronunciata quella frase come se fosse assolutamente logico che lui avesse una soluzione e avrebbe voluto che fosse così, ma non aveva alcuna reale soluzione alla sventurata ipotesi in ci Ygraine non potesse più cantare.
«Le ho dato l’antidoto, ma occorre tempo prima che finisca di fare effetto», le disse, evitando di nominare i due Auror e la loro idiozia.
Non credeva nemmeno che fossero stati volutamente crudeli, ma erano così colmi di pregiudizi e preconcetti da non aver compreso che stavano danneggiando moralmente e fisicamente qualcuno che avrebbe dovuto unicamente proteggere.
«Ma starà meglio?»
«Sì, Rebecca. Deve solo riposare e stare tranquilla.»
«Perché Jane ha fatto del male alla zia?»
Severus avrebbe voluto che la bambina fosse meno attenta, che si concentrasse unicamente sulla prospettiva che la zia sarebbe stata bene, piuttosto che sulle motivazioni della Stanton. Sapeva di non poter evitare di risponderle, ma non voleva far cenno a Tristan o alle motivazioni profonde.
«La signorina Stanton e l’Auror Taylor hanno fatto del male a tua zia perché volevano vendicare la morte di una persona a loro cara.»
«Ma la zia non ha mai fatto del male a nessuno», disse la bambina con voce incredula, cercando di capire il modo in cui ragionavano gli adulti.
«Lo so, Rebecca. Ti ho detto una volta che ho commesso un errore terribile, che ho compiuto atti orribili», la bambina annuì seria alle sue parole. «La Stanton e Taylor pensavano che io avessi ucciso quella persona e hanno voluto fare del male a Ygraine perché non ha…»
«Hanno fatto del male alla zia perché ti vuole bene?» lo interruppe Rebecca, che stava cercando di capire perché qualcuno volesse fare qualcosa del genere, perché qualcuno trovasse brutto che la zia voleva bene a Severus. «Ma non ha senso…»
«Rebecca, devi capire che io ho fatto del male a molte persone in passato. Ho seguito un mago cattivo e ho compiuto delle azioni terribili. Ho ucciso delle persone», Severus si interruppe, osservando il volto di Rebecca che lo stava guardando con espressione seria. Non avrebbe mai voluto affrontare quella conversazione, ma doveva la verità alla bambina, soprattutto dopo quello che era accaduto a Ygraine. «Quando mi sono accorto del male che stavo facendo, ho tentato di rimediare.»
«Come?»
Rebecca era incredibilmente simile alla zia, notò Severus. Come Ygraine, non poneva mai la domanda che lui si aspettava, né pareva saperlo giudicare duramente. La bambina lo stava osservando, ma nei suoi occhi non c’era odio, né delusione perché aveva scoperto che l’uomo che le stava parlando aveva commesso degli atti orrendi.
C’era unicamente il suo affetto infantile.
«Sono stato una spia per poter sconfiggere il mago cattivo.»
«Ed è stato sconfitto?»
L’uomo annuì soltanto. La bambina gli mise una mano sulla sua in un gesto affettuoso, in un gesto in qualche modo assolutorio come quelli che tante volte aveva compiuto Ygraine.
«Allora aveva ragione Harry: sei un eroe.»
La bambina era stata certa di quel fatto, anche quando Severus le aveva detto nuovamente di aver compiuto degli errori orribili in passato. Alla zia non sarebbe mai piaciuto un uomo cattivo e un uomo cattivo non l’avrebbe mai salvata da Gawain, né avrebbe salvato zia Ygraine.
«Non lo sono, Rebecca. Ho solo tentato di rimediare alle cose cattive che avevo fatto.»
«Ma hai anche aiutato a sconfiggere il mago cattivo. E poi mi hai impedito di vedere quelle due persone morte al museo. E mi hai portata via da Gawain e hai salvato la zia.»
La bambina gli sorrise, dicendosi che era fortunata ad aver incontrato Severus, che era, di certo, migliore di Gawain.
«Non molti nel nostro mondo la pensano come te. Ho fatto del male a troppe persone perché lo possano fare.»
Severus era certo di non aver dovuto sostenere una conversazione così difficile da quel giorno di febbraio in cui aveva rivelato ogni sua singola colpa a Ygraine, quando aveva creduto che lei lo allontanasse per sempre, quando aveva incontrato unicamente una fiducia profonda e il perdono che stava inseguendo da anni.
«La zia sa di queste cose cattive e di quello che hai fatto per chiedere scusa?»
«Sì, Ygraine sa tutto.»
«Allora, molte persone del nostro mondo non sono veramente intelligenti», disse la bambina, lapidaria
Severus non si stupì nemmeno quando Rebecca lo abbracciò e ricambiò senza esitare quell’abbraccio. Gli stava diventando quasi naturale rispondere ai gesti d’affetto della bambina, a dimostrare il suo stesso affetto in quel modo.
Si stava abituando a ricambiare l’affetto di Rebecca, a dimostrarle, per quanto potesse, di considerarla come una figlia.

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[1] L’inizio della lettera di Jane è una citazione dell’Otello di Verdi



Edited by Alaide - 7/11/2022, 23:34
 
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Capitolo XXIII - Parte I

Die Nebensonnen




Drei Sonnen sah ich am Himmel steh'n,
hab' lang und fest sie angeseh'n;
und sie auch standen da so stier,
als wollten sie nicht weg von mir.
(Tre astri ho visto in cielo,
intensamente li ho osservati;
eran così immobili,
pareva non volessero allontanarsi da me.)



Gran Bretagna, 24-26 marzo 2002


Mary Ainsworth osservava preoccupata la figlia, mentre sedevano al tavolo della cucina per la colazione. Ygraine si era seduta accanto al signor Piton, quasi stesse cercando conforto in lui e la donna era certa che gli avesse chiesto di dormire a casa loro quella sera unicamente per quello, per avere accano a sé qualcuno di cui si fidasse completamente e Mary era certa che Ygraine riponesse la massima fiducia nel mago.
Il giorno prima aveva parlato con la figlia, facendo in modo di non affaticarne la voce, come le aveva suggerito il signor Piton, e aveva scoperto una realtà ben più inquietante di quella che aveva comunicato loro il ragazzo che aveva accompagnato Rebecca.
Almeno Ygraine poteva ancora parlare, considerando che Jane Stanton aveva deciso di farle assumere una sostanza che l’aveva resa afona per diverso tempo. La figlia le aveva detto che soltanto una pozione distillata dal signor Piton era riuscita a salvare la sua voce, per quanto non sapesse se sarebbe stata in grado di cantare ancora.
Il pensiero che una persona, che era stata ospite in casa loro, avesse potuto fare del male a Ygraine perché la credeva responsabile del suicidio di Tristan era agghiacciante e Mary temeva quello che sarebbe accaduto se il mago non avesse saputo cosa fare o quel che poteva ancora capitare se il giorno successivo Ygraine avrebbe scoperto di dover interrompere improvvisamente la sua carriera.
Il silenzio che circondava il tavolo fu rotto unicamente da qualche parola scambiata tra Rebecca e Alfred.
«Vuoi che ti aiuti a sparecchiare, mamma?»
Ygraine sorrise a Rebecca e a Severus, mentre uscivano dalla cucina. Aveva capito che la madre voleva parlare con lei da sola ed era certa che a Severus e alla nipote potesse far bene trascorrere del tempo insieme. Sapeva – glielo aveva detto la bambina – che il mago le aveva spiegato parte del suo passato e la giovane donna aveva quasi pianto quando Rebecca le aveva rivelato che ammirava molto Severus perché non le aveva mai mentito e perché era molto coraggioso.
«Sono preoccupata per te e lo è anche tuo padre. Ieri sera ti ha chiamata mio piccolo usignolo, come faceva quand’eri piccola, come ha fatto quando è morto Tristan.»
«Non hai motivo per essere in pena per me, mamma», la rassicurò la giovane donna. «Il peggio è passato.»
«Lo sarà soltanto dopo le visite di domani.»
«Mamma, so che potrei dover interrompere la mia carriera. Te l’ho già detto ieri.»
«L’hai detto, è vero, ma, Ygraine, sei anche pronta a questa eventualità?»
Mary fissò la figlia, chiedendosi se avesse fatto bene ad affrontare quel particolare problema, se non fosse stato meglio tacere e attendere quel che sarebbe stato detto il giorno dopo.
«Ne ho parlato con Severus, quando mi ha detto di non sapere se mi sarebbe stato possibile riprendere a cantare. Ho preso in considerazione quel che potrei fare della mia vita se dovessi abbandonare le scene.»
La donna osservò con attenzione Ygraine, ringraziando mentalmente l’uomo per essersi preso cura della figlia il giorno in cui Jane aveva compiuto quell’atto orrendo.
«Sono certa che qualsiasi cosa vorrai fare, la saprai compiere nel migliore dei modi.»
Ygraine sorrise alla mamma, mentre le passava le tazze che avevano usato a colazione. Era felice che i suoi genitori fossero stati così comprensivi, ma soprattutto che avessero accettato immediatamente di ospitare Severus la sera precedente.
Quando finirono di sistemare la cucina, si recò in salotto, dove trovò Rebecca e Severus chini sul libro che l’uomo aveva procurato alla bambina tempo prima, quando ancora lei credeva stupidamente che Gawain potesse accettare che sua figlia era una strega. Senza dire una parola, andò a sedersi accanto a loro e come, in altre occasioni, le parve quasi di essere parte di una piccola famiglia, di assaporare quello che avrebbe potuto essere, se il cuore di Severus non fosse appartenuto ad un’altra.
Rimase ad ascoltare in silenzio l’uomo spiegare alcuni particolari alla bambina, cullandosi in quel momento di pace e tranquillità.
Tutta la giornata sembrò passare in quel modo e la casa degli Ainsworth era ancora immersa nella calma più assoluta nel momento in cui, nel tardo pomeriggio, quando già il sole stava per tramontare, il mago non si congedò da loro.
Severus si allontanò rapidamente dall’abitazione, finché non fu abbastanza lontano dal villaggio per Smaterializzarsi. Quando si ritrovò nella casa di Spinner’s End, avrebbe quasi voluto tornare indietro e rivedere il volto tranquillo di Ygraine, ma non aveva voluto imporre oltre la sua presenza ai genitori della giovane donna che erano sempre gentili e ospitali nei suoi confronti, forse perché non aveva idea che l’uomo che aveva accettato così di buon grado in casa era stato un mostro, che aveva partecipato all’uccisione di una famiglia che viveva a dieci minuti di cammino.
Era stata quella una giornata stranamente calma, ben diversa dalla precedente, funestata dalle domande prive di buon senso dei due Auror. Sapeva che la giovane donna aveva rivelato ai genitori una verità addolcita di quello che era avvenuto il giorno prima. Non aveva fatto cenno agli Auror, né al fatto che Jane Stanton aveva deciso di colpirla non tanto per la morte di Tristan, ma perché Ygraine aveva scelto di essergli amica.
La giovane donna aveva spiegato che la pianista l’aveva obbligata a bere una pozione, ma era stata vaga su come avesse fatto. Era, con ogni probabilità, la narrazione migliore per i genitori di Ygraine. Rivelare loro ogni particolare, avrebbe significato dover metterli al corrente del suo maledetto passato e non era certo che i signori Ainsworth possedessero lo stesso animo pronto al perdono di Ygraine. Probabilmente lo avrebbero cacciato da casa loro. Era chiaro che amavano la figlia e la nipote e che non avrebbero compreso perché entrambe riuscissero a stargli vicine dopo aver saputo che razza di uomo fosse stato.
Si sedette su una delle poltrone, ma non riuscì ad evitarsi di pensare al giorno successivo. Temeva che la giovane donna non potesse più cantare, che non potesse più dar vita, in maniera così intensa, ai personaggi a cui presta il suo dolce canto. La voce non aveva ancora ripreso il suo tono abituale e, in un’occasione, quel giorno, le si era quasi spezzata. Avrebbe voluto dirsi certo che tutto sarebbe andato nel migliore dei modi, ma non riusciva a non pensare a quel giorno in cui la musica di morte dell’organetto aveva sovrastato la voce pura di Ygraine.
Si prese il capo tra le mani, cercando di scacciare quello che qualcuno avrebbe potuto definire un presagio funesto.
Si alzò in piedi e iniziò a far scorrere lo sguardo sui libri che aveva collezionato da quando era diventato insegnante di pozioni. Era stato l’unico piacere che si era concesso, gli unici amici che avesse mai avuto. Anche in quei tre anni, in cui era rimasto immobile a guardare il suo passato, aveva trovato una sorta di rifugio in quei volumi, per quanto incapace di scalfire il ghiaccio che aveva avvolto il suo animo.
Ne estrasse uno, un vecchio volume scritto da un pozionista di Granada sul finire del XIV secolo. Era stato uno dei primi volumi che aveva comprato con i suoi magri risparmi. Fece per tornare a sedersi, ma fu disturbato dal becchettare di un gufo sui vetri. Quando prese in mano la lettera, si attese di trovare la convocazione del Wizengamot per il processo a Taylor. Invece, la missiva proveniva dal centro di ricerche a cui aveva scritto giorni prima.
La aprì e lesse ogni parola. Si dicevano onorati di aver ricevuto una missiva da un pozionista così esperto, che aveva trovato l’antidoto alla pozione di Ruprecht von Dittmar – un’informazione che in teoria non avrebbero dovuto conoscere, considerando che aveva pubblicato la scoperta sotto pseudonimo – e che ne aveva migliorate altre. Erano, quindi, più che lieti di averlo come membro del loro centro di ricerca. La lettera era incredibilmente accomodante. Avrebbe potuto lavorare dove voleva, se non quando fosse stato necessario andare in sede per confrontarsi con gli altri pozionisti.
Si sedette e stillò una risposta che avrebbe inviato la mattina dopo, prima di incontrare Ygraine a Londra, come si erano accordati poche ore prima. Scrisse poi un’altra lettera in cui diede le sue dimissioni dal piccolo centro di ricerca per cui aveva lavorato fino a quel momento. Quando la concluse, si rese conto che aveva scelto la soluzione lavorativa peggiore quando si era scoperto vivo, perché non avrebbe dovuto veramente immergersi nel presente, considerando le poche ricerche effettuate, tutte volte al miglioramento di pozioni esistenti e mai all’invenzione di nuovi composti.
Lasciò le lettere sul tavolo, poi tornò ad afferrare il libro che aveva preso, pochi minuti prima, dalla biblioteca. Era una versione a stampa piuttosto antica, recuperata, fortuitamente, in un mercatino Babbano, dov’era finita chissà come. Fortunatamente il pozionista, che aveva operato alla corte dei sultani di Granada, aveva deciso di scrivere il suo testo in latino e non in arabo, allo scopo di diffonderlo tra gli altri grandi pozionisti del tempo, concentrati per lo più nel Regno di Francia e in alcuni comuni italiani. D’altronde, era stato per leggere quel particolare volume che Severus aveva imparato il latino, che non veniva insegnato a Hogwarts, il che era un’assurdità considerando che molti degli incantesimi avevano nomi di origine latina e che un gran numero testi medievali e rinascimentali erano scritti in latino e non erano mai stati tradotti in altre lingue.
Sfogliò rapidamente il libro, finché non trovò la sezione che stava cercando e la lesse avidamente, prendendo qualche rapido appunto su un foglio. Forse non avrebbe nemmeno dovuto darsi tanto da fare, ma non riusciva a togliersi dalla mente la sensazione che Ygraine avrebbe dovuto rinunciare per sempre al canto. Ricordava vagamente di aver letto in uno dei volumi della sua collezione dell’esistenza di una pozione che ripristinava completamente la voce, di cui si era persa completamente la conoscenza e la pratica in tempi remoti.
Quando terminò la lettura, era già notte inoltrata, ma gli sembrava di aver fatto diversi passi avanti e di avere una base da cui partire, nel caso in cui le sue sensazioni si fossero rivelate esatte. Si passò una mano sugli occhi stanchi, prima di salire al piano di sopra, cercando di riposare, ma il suo sonno fu tormentato da incubi. In uno vide Lily ridere di lui e del suo amore per Ygraine, mentre Albus scuoteva il capo con aria di compatimento e gli ricordava le sue promesse, quasi che volesse rammentargli che doveva ucciderlo, quasi che volesse che compisse di nuovo quel gesto che aveva distrutto ancora di più la sua anima. E quando le risate di Lily tacquero e la voce di Albus non divenne che un sussurro, vide Ygraine, mentre Taylor le faceva bere la pozione, ma quella volta lui arrivava troppo tardi e il suo antidoto peggiorava solo le cose, aumentando unicamente la sofferenza della giovane donna, e i suoi occhi nocciola sembravano perdere qualsiasi luce e diventare colmi d’odio.
Non riuscì più a dormire dopo quell’incubo. Fuori era ancora notte, ma gli era impossibile tornare a chiudere gli occhi, gli era impossibile pensare di poter vedere nuovamente lo sguardo luminoso di Ygraine spegnersi, privo della fiducia con cui l’aveva sempre guardato.
Sapeva razionalmente che la giovane donna non lo avrebbe mai odiato. Aveva avuto troppe occasioni per farlo e in nessuna di quelle la sua fede aveva vacillato.
Eppure, quell’incubo era lo specchio delle sue paure e delle sue insicurezze.
E non era nemmeno l’odio ad averlo così turbato, ma l’assenza di luce negli occhi di Ygraine. Non era nemmeno la luce della vita ad avere abbandonato le iridi nocciola, quanto piuttosto la luminosità del suo animo. Era come se, in quell’incubo, tutto fosse stato inghiottito dall’oscurità, era come se l’astro lucente che era Ygraine si fosse spento per sempre.
Tornò al pianterreno e si sedette su una delle poltrone.
Svuotò con metodo la mente, fino a quando non poté ripensare a quell’incubo con maggior distacco, fino a quando non fu in grado di riprendere in mano gli appunti che aveva scritto. Reggendoli con una mano, iniziò a osservare i libri della biblioteca, estraendone altri sia da quella del pianterreno, sia dallo scaffale che aveva posto in camera sua, quando aveva modificato totalmente l’arredo della casa, una volta che era stato dimesso dal San Mungo.
Quando ebbe finito era quasi tempo per recarsi a Londra. Fece una rapida colazione, poi prese in mano le lettere che aveva scritto la sera precedente e si recò a Diagon Alley per usare il servizio di posta.
Quando giunse in stazione, il treno da Canterbury era annunciato in arrivo tra una decina di minuti. Ygraine gli sorrise non appena lo vide ad attenderla sulla banchina, ma Severus notò che la giovane donna era nervosa e incerta. Mentre uscivano dalla stazione, lo prese sottobraccio, la mano leggermente tremante e sembrò, per un breve istante sul punto di crollare.
«Ho dovuto promettere a Rebecca che stasera ti saresti fermato a cena. Voleva venire con noi, ma non è affatto saggio. Ho chiesto a mamma di portarla con lei al negozio.»
Ygraine strinse maggiormente il braccio di Severus. Sapeva che chiunque li avesse visti, li avrebbe potuti scambiare per una coppia, ma lei voleva unicamente sentire la sua presenza, prenderne coraggio. Quella mattina, quando aveva salutato Rebecca e i suoi genitori, le si era spezzata la voce. Almeno le parole che aveva rivolto a Severus erano uscite senza fatica, per quanto sentisse da sola che non riusciva a emettere la voce come prima della pozione di Taylor e Jane.
«In effetti, è l’unica soluzione sensata.»
L’uomo avrebbe voluto dire di più, trovare parole di conforto, ma sapeva che qualunque cosa avesse detto non avrebbe alleviato la tensione nervosa di Ygraine. La giovane donna, nonostante tutto, mostrò una calma invidiabile durante tutta la giornata, senza mai avere un attimo di cedimento evidente. Forse, avrebbe dovuto farla visitare da un Guaritore, che, almeno sarebbe stato più rapido dei Babbani nell’arrivare ad una conclusione.
Quando furono di nuovo in strada, Ygraine gli chiese di portarla subito a casa. Anche durante il tragitto dal luogo dove si erano Materializzati alla dimore degli Ainsworth, riuscì a mantenere la calma, ma non appena entrarono in casa si accasciò quasi contro di lui, nascondendo il volto contro il suo petto.
Severus sentì le lacrime scendere silenziose e bagnargli il cappotto. Non singhiozzava nemmeno, mentre si stringeva a lui, stremata dal peso di tutto quello che era accaduto e probabilmente sollevata per quello che le era stato detto quel pomeriggio. L’uomo posò le mani sulla schiena di Ygraine, sorreggendola quasi. Il corpo della giovane donna sembrava fragile e privo di forze e Severus era certo che nella mente di Ygraine si stesse mescolando tutto quanto era accaduto dal momento in cui aveva messo piede nell’appartamento di Jane Stanton.
Da venerdì non aveva avuto un reale momento di tregua, se non il giorno precedente che però doveva essere stato offuscato dalla preoccupazione per quello che sarebbe potuto accadere durante la giornata successiva.
Quando il corpo di Ygraine iniziò ad essere scosso dai singhiozzi, non poté fare altro che stringerla maggiormente a sé. Non credeva vi fosse nulla che potesse realmente compiere per allievare quel pianto che era al tempo stesso colmo di dolore e di sollievo, che era dovuto alla spossatezza e alla consapevolezza di poter ancora cantare.
Non c’era nemmeno nulla che le potesse dire.
Nulla, se non che condivideva il suo sollievo.
Nulla, se non che avrebbe voluto farsi carico del suo dolore.
Nulla, se non che avrebbe fatto qualsiasi cosa per poterle impedire di soffrire ancora in quel modo in futuro.
La stava ancora abbracciando e Ygraine stava ancora piangendo, quando Alfred Ainsworth si affacciò in salotto. L’uomo lo guardò per qualche breve istante e sorrise appena quando Severus annuì, comprendendo, con ogni probabilità, che la figlia sarebbe ancora stata il suo piccolo usignolo, come l’aveva chiamata il giorno precedente.
Il padre di Ygraine si ritirò nel suo studio, lasciandoli soli e, per quanto quella giornata si fosse conclusa in maniera positiva, Severus era felice che l’uomo non avesse fatto alcuna domanda. D’altronde, per le parole ci sarebbe stato tempo dopo. Avrebbe potuto dirgli di come nessuno pareva aver compreso cosa fosse accaduto al giovane soprano, di come la pozione di Ruprecht von Dittmar avesse logorato le corde vocali di Ygraine e di come il suo antidoto fosse riuscito a riparare il danno. Aveva dovuto ricorrere a un Confundus per evitare che i medici Babbani indagassero ulteriormente, che comprendessero che doveva essere accaduto qualcosa di strano e apparentemente inspiegabile.
Per alcuni terribili momenti, era quasi sembrato che Ygraine non potesse più cantare, ma, dopo ulteriori analisi, erano giunti alla conclusione che le occorreva un periodo di riposo di due mesi, durante il quale non avrebbe dovuto emettere alcuna nota.
Mentre stringeva a sé la giovane donna, avrebbe voluto posare un unico bacio sulla fronte di Ygraine, ma non lo fece, limitandosi a cullarla, come aveva visto fare, ma come non aveva mai fatto prima, sperando di poterne sollevare almeno un poco lo spirito.
E, quando la giovane donna smise di piangere, quando si staccò da lui, il suo volto non era spento e gli occhi nocciola non erano in nulla simili a quelli dell’incubo che l’aveva tenuto sveglio quasi tutta notte.
Il suo sguardo era luminoso e colmo di fiducia e di gratitudine, al pari del sorriso appena accennato che gli rivolse.
Le gote erano umide per le lacrime versate e gli occhi nocciola arrossati dal pianto, e la giovane donna appariva perduta. Per quanto fra due mesi sarebbe tornata a cantare, il peso dei giorni precedenti la stava schiacciando. Era stata torturata fisicamente e mentalmente nei giorni precedenti, prima da Taylor e dalla Stanton, poi, per quanto più per dabbenaggine che per volontà di nuocerle, dai due Auror.
«Severus, io… mi dispiace. Non so nemmeno perché sia crollata in questo modo… dovrei unicamente essere sollevata, dovrei…»
«Ygraine», la interruppe, mantenendo la voce calma. Vincendo la propria abituale titubanza, allungò una mano e le sfiorò una guancia, asciugando lievemente le lacrime che la giovane donna aveva versato. Aveva già compiuto un gesto simile, a casa sua, ma, in quell’occasione non aveva osato toccarla direttamente, ma utilizzare un fazzoletto. «Per qualche minuto hai creduto di perdere il canto e hai subito un dolore straziante nei giorni scorsi.»
Forse non erano le parole più consolanti che si potessero dire. Chiunque avrebbe saputo pronunciare delle frasi che sapessero trasmettere conforto e vicinanza. Eppure, mentre le asciugava, sentendosi totalmente inadeguato e goffo, l’altra guancia, notò che gli occhi di Ygraine si erano riempiti di gratitudine e di una fiducia luminosa.
«Severus, mi farebbe piacere se… potresti… so che mamma e papà saranno d’accordo, se tu sarai nostro ospite per qualche giorno.»
Ygraine avrebbe voluto che l’uomo non abbassasse la mano, dopo averle asciugato le guance, avrebbe voluto avere il coraggio di alzarsi in punta di piedi e di baciarlo, ma sapeva che sarebbe stato un gesto sconsiderato, che avrebbe potuto distruggere tutto, che avrebbe potuto allontanarlo.
In quel momento e nei giorni a venire voleva unicamente averlo al suo fianco, sentirne la forza, mentre lei tentava di lasciarsi alle spalle quello che aveva vissuto e sapeva che, per poterlo fare, avrebbe avuto bisogno della presenza rassicurante di Severus, di saperlo da qualche parte nella casa dei suoi genitori.
Gli sorrise, quando annuì alla sua richiesta, e si sentì più tranquilla e incredibilmente al sicuro.
E quella sensazione durò per il resto della giornata e la attraversò anche quando parlò con i suoi genitori, anche quando chiese loro consiglio su cosa fare ora che doveva occuparsi anche di Rebecca, se avrebbe dovuto trasferirsi in Francia a maggio, come aveva progettato, o, piuttosto, iscrivere la bambina alla scuola del paese e raggiungere il continente alla fine dell’anno scolastico, trasferendosi direttamente a Aix-en-Provence, dove avrebbe cantato Lohengrin, prima di trovare casa da qualche parte, più a nord. Quando era tornata a vivere con i suoi genitori, era andata a parlare con la preside della scuola di Londra, spiegandole, meglio che poteva, la situazione, e facendole vedere il documento in cui veniva nominata tutrice della nipote. Le era stato consigliato, considerando che si sarebbe trasferita in Francia prima della fine dell’anno scolastico, di scolarizzare Rebecca a casa e di sostenere un esame sul continente per poi iscriverla direttamente in quarta.
Le cose erano decisamente cambiate e doveva capire quale sarebbe stata la soluzione migliore per sua nipote.
Avrebbe dovuto telefonare al suo agente, per spiegargli che voleva rivedere il suo calendario per i prossimi anni e renderlo meno fitto, adducendo come scusa quella pausa per far riposare le corde vocali. Conosceva abbastanza bene la sua voce, da essersi resa conto che non era ancora tornata quella di un tempo e, anche se le era stata assicurato che sarebbe riuscita a cantare come prima, non voleva rischiare di forzare inutilmente le corde vocali. Poteva sostituire un titolo d’opera con un ciclo di recital, che poteva intercalare meglio e che non presupponeva un numero elevato di prove. Era certa che il suo agente non sarebbe stato convinto di quello che gli avrebbe comunicato, così come non lo era stato quando aveva già sfoltito i suoi progetti per essere una buona tutrice per Rebecca.
D’altronde, non voleva rischiare la salute della sua voce, né rendere inutile il modo in cui Severus si era occupato di lei, perché, sapeva perfettamente che, se poteva ancora cantare, lo doveva unicamente a lui e al suo antidoto.
Aveva già telefonato al teatro, quando si era calmata, dopo quel pianto quasi liberatorio, per spiegare che non poteva prendere parte alla produzione di Lohengrin perché doveva riposare le corde vocali.
Quando si rannicchiò sotto le coperte, si disse certa di non riuscire a dormire quella notte, preda com’era di sensazioni contrastanti, di sollievo e di spossatezza, del ricordo di quello che era avvenuto e dei progetti per il futuro. Invece, il sonno fu tranquillo e privo del men che minimo incubo.
E anche il giorno successivo trascorse in una sorta di pace, interrotta soltanto dall’arrivo di un gufo per Severus, da parte del Ministero della Magia con la convocazione per il processo a Taylor e Jane. Domenica l’uomo le aveva spiegato che lui sarebbe stato chiamato a testimoniare, ma Ygraine non aveva potuto fargli domande, considerando la presenza dei genitori all’arrivo del rapace notturno.
Nemmeno la consapevolezza che nel Mondo Magico stavano processando Taylor e Jane sembrò turbare Ygraine. Si sentiva stranamente distaccata, quel giorno, tranquilla, quasi stesse analizzando ogni cosa dall’esterno, quasi non fosse stata lei a essere costretta a ingerire quella terribile pozione e a essere vessata dagli Auror.
Sentiva lo sguardo preoccupato e sollevato di mamma e papà su di sé e aveva notato che anche Severus pareva osservarla, senza però far trapelare nulla nei suoi occhi neri.
Quella strana fredda calma crollò quando si ritrovò sola nella sua camera, mentre osservava la camicia da notte ripiegata sul letto. Per alcuni istanti le parve quasi di non riuscire ad emettere alcun suono, com’era accaduto nell’appartamento di Jane. Sentì il panico montare in lei, quando cercò di parlare e le parve di essere muta, che era stata tutta un’illusione, che non aveva compreso bene quello che le era stato letto. Frugò nella borsetta fino a quando non prese in mano il referto, che, però, sottolineava come avrebbe dovuto unicamente fermare la sua attività per due mesi.
Quando udì chiaramente un singhiozzo fuggirle dalle labbra, si rese conto che durante quella giornata aveva vissuto in una specie di calma apparente, che aveva tentato di ignorare quello che era accaduto, più di quanto non avesse fatto a casa di Severus o anche solo il giorno precedente quando era crollata contro di lui. Si sedette sul letto, cercando di riprendere la calma. Intrecciò i capelli, quasi meccanicamente, ma non si tolse il vestito che aveva indossato durante la giornata.
Si asciugò le lacrime, prima di alzarsi e scendere al piano di sotto, i piedi nudi silenziosi sul pavimento.
La casa era immersa nella tranquillità più assoluta. Mamma e papà erano andati a letto prima di lei e Rebecca dormiva tranquilla, come aveva avuto modo di verificare prima di entrare in camera sua. Probabilmente anche Severus era già immerso nel sonno, nella stanza degli ospiti, che un tempo era appartenuta a Gawain.
Quand’era piccola e non riusciva a dormire andava sempre in salotto e si sedeva accanto alla finestra che dava sul giardino, a guardare le stelle. All’epoca riusciva sempre a calmarsi, ma non credeva veramente che sarebbe stato quello il caso quella notte.
Entrò nella stanza in punta di piedi e si stupì nel trovare la luce ancora accesa.
Severus era immerso nella lettura di un libro, seduto sul divano. Altri volumi erano sparsi sul tavolino basso che si trovava davanti a lui. Ygraine rimase per qualche istante immobile, osservando il mago, sentendo nuovamente una certa tranquillità, grazie alla sua presenza. Era certa che si fosse accorto che era entrata, ma non disse nulla, nemmeno quando si andò a sedere accanto a lui.
Il silenzio li avvolse confortante, mentre Ygraine si sistemava meglio, rannicchiandosi quasi, sul divano, per sollevare i piedi dal pavimento, piuttosto freddo, del salotto. Quando si voltò verso di lui, notò che l’uomo aveva chiuso il libro.
«Credevo di essere riuscita ad accettare quello che è accaduto venerdì, di aver superato il dolore, ma stasera tutto è come improvvisamente crollato.», mormorò. Le sarebbe bastato poco per posare il capo contro la spalla di Severus, ma non lo fece, per quanto sapesse che quella vicinanza fisica le avrebbe dato conforto.
«Hai soltanto tentato di non soffermarti troppo su quanto ti è accaduto», disse l’uomo, posando il libro sul tavolino.
«Sono stata una sciocca… e stasera… per un istante ho creduto di non riuscire più a parlare, di aver frainteso quello che mi è stato detto… eppure, durante il giorno tutto sembrava così calmo. Sono anche riuscita a parlare con chiarezza al mio agente, a ignorare la sua insistenza perché non alleggerissi il mio calendario futuro. Invece, quando sono stata sola… era come se mi fossi ritrovata nuovamente in casa di Jane.»
Severus si voltò verso Ygraine e ne osservò il volto smorto e gli occhi stanchi, cercando inutilmente qualcosa da dirle, anche una sola frase che potesse darle sollievo, che potesse sollevarne lo spirito, senza ferirla.
Avrebbe voluto unicamente abbracciarla, in quel momento, ma non era certo che fosse la soluzione adatta a vincere lo sconforto di Ygraine.
Avrebbe voluto dirle che l’amava e che avrebbe continuato ad amarla per sempre, ma non sapeva nemmeno come articolare quelle parole.
Mai come in quel momento, si sentiva inadeguato nel riuscire ad offrire conforto e comprensione.
«Quello che ti è stato fatto, Ygraine, avrebbe messo alla prova chiunque», le disse, anche se gli sembrarono delle ben misere parole.
«Credevo che dopo ieri… invece sono terrorizzata al pensiero di perdere la voce, di salire sul palcoscenico e di non riuscire a cantare…»
La voce di Ygraine si spezzò, ma Severus era certo che non avesse nulla a che fare con la tortura che aveva subito. Era impaurita, come non era stata nemmeno quando si era stretta a lui, dopo che aveva schiantato e legato Taylor. Gli occhi apparivano stanchi e quasi spenti in quel momento.
Scacciò con forza il senso di colpa e la rabbia nei confronti di Taylor e della defunta Stanton, perché sapeva che erano totalmente inutili. L’ira non l’avrebbe portato da nessuna parte, se non a dire, forse, delle parole incaute. Quanto al senso di colpa, sapeva di non aver alcuna possibilità di controllare le scelte degli altri, che non era stato lui a incitare la Stanton o Taylor a colpire Ygraine e che non era stato lui a spingere la giovane donna a riporre tanta fiducia in lui.
«Non ti mentirò dicendoti che sarà facile tornare sul palcoscenico, che non sentirai il panico, ma credo che riuscirai a superare quei momenti, così come sei riuscita a superare l’incubo che ti ha svegliata alcune sere fa.»
Ygraine rimase per qualche istante in silenzio, mentre sentiva le parole di Severus avvolgerla. Sapeva che qualcuno le avrebbe definite prive di tatto, troppo brutali e poco rassicuranti, ma lei apprezzava che l’uomo non le mentisse, che non le desse false rassicurazioni. Il problema risiedeva tutto nel timore di perdere nuovamente la voce, di non riuscire nemmeno ad affrontare le prove al pianoforte di una nuova produzione o di un recital.
«Spero di essere abbastanza forte», mormorò, chiedendosi se non dovesse domandare a Severus di rimanere al suo fianco ad Aix-en-Provence, ma gli aveva già chiesto tanto e non voleva sfruttare la sua amicizia. «Non so nemmeno come reagirò quando mi troverò accanto ad un pianoforte… sai quello che ha tentato di fare Jane… e… dovrò trovare un nuovo pianista con cui rivedere le parti, ma non sono certa che riuscirò a fidarmi…»
«Ygraine», la voce di Severus era calma, quando la interruppe. «So che non ti sarà facile, che impiegherai tempo prima di sentirti veramente a tuo agio accanto ad un pianoforte, ma sai mantenere la calma in situazioni difficili. L’hai fatto quando ti hanno interrogato quegli Auror e l’hai fatto nell’appartamento della Stanton.»
«Ti ho quasi stritolato una mano, mentre Green… mentre gli spiegavi cosa fosse accaduto.»
«Per mantenere la calma, Ygraine, stringi con forza le pieghe della gonna, come hai fatto sabato poco prima di andare a parlare con i tuoi genitori. Come ti ho già detto, non ti dirò delle menzogne pietose, non ti dirò che tutto tornerà come prima, ma sei più forte di quanto tu creda.»
La giovane donna gli sorrise riconoscente, di quel suo sorriso luminoso che Severus aveva imparato ad amare. Forse avrebbe dovuto dirle delle frasi più rassicuranti, ma la rispettava troppo per mentirle. Non l’aveva mai fatto, nemmeno quando aveva creduto che frequentare zia e nipote gli potesse fornire una breve tregua, gli potesse far assaporare quella normalità che non aveva mai conosciuto.
Non poteva, in tutta coscienza, offrirle false speranze, perché sapeva che ritornare sul palcoscenico le sarebbe stato difficile, ma era certo che avrebbe affrontato quella paura con la forza d’animo e con la dignità che la contraddistinguevano. Non avrebbe rifiutato la vita che le si apriva dinnanzi come aveva fatto lui dopo essersi svegliato al San Mungo.
Non sarebbe stata così vigliacca.
«Grazie», mormorò Ygraine, fissandolo con i suoi occhi nocciola la cui fiducia sembrava essere diventata, se possibile, più profonda. «Per tutto, Severus.»
Non aggiunse altro, preferendo rimanere in silenzio, accoccolata sul divano accanto all’uomo che amava.
E quella sera, le sembrò che il suo amore fosse diventato più profondo, perché non aveva nemmeno tentato di consolarla con parole che si sarebbero rivelate soltanto delle menzogne. L’era stata a sentire e, quando aveva risposto, non aveva indorato la pillola e non poteva far altro che apprezzarlo per quello.
Si sentiva sollevata, più sicura di sé stessa, dopo le parole di Severus e le pareva di aver ritrovato parte della calma che aveva provato quel giorno, ma era una tranquillità diversa, non ovattata, non nata dal tentativo di allontanarsi da quanto era accaduto, ma dalla consapevolezza che sarebbe riuscita, seppure a fatica, a superare gli ostacoli che il ricordo di quello che le avevano fatto Jane e Taylor avrebbe posto sul suo cammino.
Solo in quel momento, in cui era più tranquilla, osservò con attenzione il tavolino basso e i libri che lo ingombravano.
«Stai lavorando ad una ricerca?»
«Sì, si tratta di un nuovo progetto», Severus distolse per un istante lo sguardo da Ygraine, portandolo sui libri e sugli appunti che sarebbero risultati incomprensibili a chiunque. Aveva scritto in fretta, abbreviando quasi ogni parola con delle sigle che probabilmente erano chiare unicamente a lui. «Ho iniziato a collaborare con un nuovo centro di ricerca in campo pozionistico, che ha sede in Francia, ma che mi permette di lavorare anche dall’Inghilterra, se non in alcune occasioni particolari.»
Non le disse che sarebbe stato decisamente più semplice andare a vivere Oltremanica, ma era certo che Ygraine comprendesse da sola per quale motivo non lo ipotizzasse nemmeno. Aveva visto la squallida casa in cui viveva e doveva aver notato come tutti i mobili fossero di seconda mano. Lo stipendio da insegnante di Hogwarts non era particolarmente elevato e, pensando di non sopravvivere alla guerra, aveva forse comprato un libro antico di troppo, senza mettere da parte molti risparmi. La pensione di guerra che gli passava il Ministero era risibile, ma non si era mai aspettato nulla di diverso, e il centro di ricerca per cui aveva lavorato pagava poco. Il Centre International de recherche dans le domaine des Potions era stato incredibilmente accomodante e, forse, in un futuro che vedeva lontano e fumoso avrebbe potuto trasferirsi, avrebbe potuto vivere più vicino alla giovane donna, che si sarebbe trasferita in Francia per portare avanti la sua carriera, che Severus sperava potesse darle unicamente soddisfazioni.
«Sembra una ricerca complicata», mormorò Ygraine, osservando i vari libri ammucchiati sul tavolino e i fogli di pergamena sparsi intorno.
«Si tratta di una pozione nuova. Occorre partire da zero, cercando qualche appiglio in libri antichi, che non sono stati più consultati da anni, perché ritenuti inaffidabili.»
Non le disse altro.
Non voleva spiegarle che il Centre International aveva chiesto, quando gli aveva mandato la lettera in cui accettava di assumerlo come pozionista, una sua opinione su un particolare antidoto ad una pozione che, come quella di Ruprecht von Dittmar, era stata inventata secoli prima. Non voleva, ora che era più calma, farle tornare alla memoria il dolore atroce che aveva dovuto sopportare.
Aveva dato, come richiesto, la sua disponibilità nella sua lettera di risposta, a cui aveva allegato il contratto firmato, sottolineando che si sarebbe messo immediatamente al lavoro. I tempi di corrispondenza non sarebbero stati rapidi come quando si mandava un gufo da Londra a Spinner’s End, considerando che si passava dai servizi di posta magica internazionale e aveva preferito preannunciare che avrebbe iniziato subito a cercare una soluzione.
«Sono felice che tu abbia ottenuto questo lavoro.»
Il volto di Ygraine rispecchiava le sue parole e, mai come in quel momento, gli parve luminoso. E di fronte a quella luce, sentì gravare il peso di quei tre anni gettati al vento.
«Avrei potuto ottenerlo tempo fa, se, una volta ritrovatomi in vita dopo la guerra, non fossi stato così vigliacco da evitare di affrontare la vita.»
«Tu non sei un vigliacco, Severus», protestò Ygraine e, nonostante la voce fosse ancora fioca, all’uomo parve che le sue parole rimbombassero nella stanza.
«Lo sono stato, invece. Ho preferito guardare unicamente al mio passato, ho trascorso tre anni a macerarmi nei ricordi, senza osare guardare avanti, senza osare afferrare la possibilità che mi era stata offerta», Severus si interruppe, osservando il volto della giovane donna, i suoi occhi fiduciosi, privi di qualsiasi forma di pietà, privi di qualsiasi forma di giudizio. «Se Rebecca non mi avesse chiesto un fazzoletto, se tu non mi avessi chiesto di bere un tè, sarei ancora intrappolato nella non vita che avevo deciso scientemente di vivere. Io…», la voce gli morì, per un istante. Fissò gli occhi della giovane donna per poter trovare la forza di esprimere almeno la sua gratitudine. «Tu mi hai ringraziato più volte di quanto non meriti, Ygraine, e io non ho mai saputo fare altrettanto e tu meriti più ringraziamenti di quanti sarò mai capace di dirti o di dimostrarti.»
Severus chinò il capo, incerto delle parole che aveva appena pronunciato. Si era già messo a nudo davanti a Ygraine, le aveva già palesato molto del suo animo, ma gli era stato quasi facile parlare del sangue che aveva versato, del modo in cui aveva distrutto sé stesso, di quanto fosse giunto a odiarsi. Non le aveva, invece, mai detto nulla del genere, non l’aveva mai ringraziata per tutte le volte in cui gli aveva donato il perdono, per tutte le volte in cui gli era stata vicina, per come lo avesse spronato a non detestarsi più come aveva fatto per tanti anni della sua vita.
«Sono felice che tu abbia accettato di venire a bere quel tè, Severus», l’uomo alzò lo sguardo verso la giovane donna e la vide sorridergli dolcemente e in quelle poche parole e in quel sorriso lesse che aveva accettato la sua gratitudine.
Rimasero entrambi in silenzio per diverso tempo, mentre un orologio ticchettava sulla parete del salotto. Era un silenzio tranquillo, come tanti che aveva condiviso. Era un silenzio in cui, si rese conto Severus, veniva espressa più profondamente quella gratitudine che aveva provato a dire a parole.
«Quando sei stato convocato a Londra?»
Era qualcosa che avrebbe voluto chiedergli nel corso della giornata, ma non aveva mai avuto occasione. Forse non avrebbe dovuto domandarlo, ma voleva avere un pretesto per continuare a rimanere in salotto, per continuare a rimanere accoccolata sul divano, al suo fianco.
«Dovrò andare dopodomani», Severus osservò il volto tranquillo di Ygraine, prima di dirle quanto avrebbe dovuto già fare da giorni. Forse avrebbe dovuto attendere ancora, ma era certo che più faceva passare il tempo, più la notizia sarebbe stata difficile da riferire. «C’è una cosa che devo comunicarti, che avrei dovuto dirti già sabato. Quando ho parlato con Potter, mi ha informato che Jane Stanton si è suicidata in carcere.»
«Ha lasciato un foglio di addio?»
«Non che io sappia», avrebbe voluto dirle che non esisteva alcuno scritto, ma, se era ragionevolmente certo che Potter non le avrebbe detto nulla, non poteva dire altrettanto di Green e della Thomson, per quanto sperasse che non incontrassero più Ygraine, nemmeno da lontano.
«Non riesco a capire cosa provo ora che Jane è morta», mormorò la giovane donna, facendosi più vicina a lui. «So che dovrei essere dispiaciuta, ma non… mi sento unicamente indifferente e sollevata. Questo fa di me una cattiva persona?»
Mentre parlava, Ygraine appoggiò il capo sulla spalla di Severus, quasi temesse di osservarne il volto. O, più probabilmente, voleva unicamente sentire maggiormente la sua presenza al suo fianco. Notò come avesse iniziato a cercare più di frequente la vicinanza fisica con l’uomo, almeno da quando gli aveva parlato nello studio del padre.
«Non essere dispiaciuta perché la donna che ti ha torturata è morta non ti rende una cattiva persona, Ygraine. Potresti anche odiarla e questo non ti renderebbe meno innocente.»
«Non so se la odio», disse la giovane donna, rannicchiandosi quasi contro Severus. «Mi sento però sollevata nel sapere che non potrà più nuocere a nessuno. So che sarebbe rimasta in carcere, ma… dopo sabato, non riesco… avevo paura che potessero assolverla, che riuscisse a convincere i giudici della sua buona fede.»
Severus poteva comprendere quella paura, soprattutto dopo che gli Auror avevano trattato in quel modo Ygraine, che almeno ignorava che Green aveva permesso alla Stanton di bere, quando lo aveva proibito alla giovane donna.
«Non avrebbero potuto far altro che condannarla e sono certo che condanneranno Taylor», mentre parlava, spostò il braccio e posò la mano sulla vita di Ygraine, permettendole di appoggiarsi maggiormente a lui. Soltanto, in un secondo momento, si accorse di aver compiuto quel gesto, di non aver nemmeno esitato, nell’offrire il suo conforto alla giovane donna. Era come se, progressivamente, manifestare fisicamente il suo affetto fosse diventato meno difficoltoso, per quanto una parte di lui continuasse a esitare. «D’altronde, Green e la Thomson non hanno nemmeno tentato di rassicurarti in proposito.»
«Mi sono sentita umiliata dalle loro domande», Ygraine non specificò a quali domande facesse riferimento, ma Severus era certo che stesse pensando alle ultime poste dagli Auror. «Era come se stessero parlando Jane e Taylor… quando… quel pomeriggio, erano così colmi d’odio, soprattutto la Stanton. Ero terrorizzata fin da quando ha iniziato a parlare di Tristan… e poi di te… le ho anche detto che avevi salvato la vita a suo nipote, ma non mi ha creduto. E ogni minuto che passava, mi sentivo più impaurita e impotente, ma sapevo che tu saresti arrivato, che…»
«Sarei potuto arrivare troppo tardi, Ygraine.»
Quando gli aveva raccontato quello che era accaduto, dopo che l’antidoto aveva fatto effetto, non era scesa in tutti i dettagli, non si era messa così a nudo, non aveva fatto cenno alla paura provata allora, per quanto Severus l’avesse letta nel suo sguardo non appena aveva posto fine alla sua immobilizzazione.
«Ma non l’hai fatto ed è questo che conta. Sei arrivato e… non ho visto molto di quello che è accaduto, ma so che… mi hai salvata e, dopo, sei stato colmo di gentilezza… sei riuscito a fermare il dolore e a farmi nuovamente parlare, a permettermi di cantare ancora», la voce di Ygraine si perse nel silenzio del salotto.
Severus non disse nulla, limitandosi a tenere la giovane donna contro il suo fianco. Non era in grado di mormorare parole di conforto. O, forse, non ce n’era bisogno, non in quel momento.
Avrebbe dovuto suggerire a Ygraine di tornare in camera e di riposarsi, ma non lo fece. Forse era tremendamente egoista in quel momento, ma gli sembrava di star ricevendo dalla giovane donna lo stesso conforto che lui stava tentando di offrirle.
E, mentre la teneva contro di sé, si chiese se non dovesse tentare di esprimere i suoi sentimenti, se non dovesse dirle che l’amava, anche se questo non l’avrebbe portato da nessuna parte, anche se Ygraine lo avrebbe respinto.
Non credeva che fosse quello il momento per pronunciare parole del genere. La giovane donna era troppo scossa da quello che era accaduto e dalla consapevolezza delle prove che l’avrebbero attesa e non voleva che confondesse la gratitudine nei suoi confronti per un sentimento più profondo.
Chiuse qualche istante gli occhi, mentre sentiva il respiro di Ygraine farsi più regolare, e si rese conto che riusciva ad accettare completamente di non aver nessuna responsabilità per quello che era accaduto nell’appartamento della Stanton, di poter lasciare andare la voce insinuante della colpa, almeno per quanto era accaduto quel giorno. E, mentre si perdonava per quello che era accaduto a Ygraine, gli pareva che il gelo che lo aveva avvolto per tanto tempo continuasse a perdere la sua presa.
Era come se si stesse sciogliendo grazie alla luce luminosa dell’animo puro della giovane donna.
Riaprì gli occhi, chinando appena il capo. La giovane donna si era addormentata, con la testa appoggiata sulla sua spalla, in un gesto che ancora una volta esprimeva la sua più totale fiducia.

 
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Capitolo XXIII - Parte II

Die Nebensonnen



Gran Bretagna, 28 marzo – 6 aprile 2002


Harry stava quasi correndo attraverso i corridoi del Ministero della Magia, per riuscire a raggiungere Piton. Il processo era appena terminato e Taylor era stato condannato al carcere a vita, ma il Wizengamot aveva deciso di non concedere nessun risarcimento alla signorina Ainsworth, nonostante le azioni dell’ex Auror l’avessero costretta a interrompere la sua carriera per due mesi e, forse, avrebbero potuto comprometterne il futuro.
Una decisione che chiunque avrebbe dovuto trovare ingiusta, come altri aspetti di quello che era appena accaduto nell’aula.
Riuscì a raggiungere l’altro mago unicamente all’esterno dell’edificio, quando Piton rallentò di poco il passo.
«Vorrei parlarti», disse, quando riuscì ad affiancarlo.
«Lo so, Potter», rispose l’altro, continuando a camminare e addentrandosi nella Londra Babbana.
Harry non disse nemmeno che avrebbe potuto almeno aspettarlo, invece di farlo quasi scontrare con un mago dall’espressione austera poco prima di uscire dall’edificio. Ripensò con attenzione al percorso che lo aveva portato sulle tracce di Piton che era uscito rapidamente dall’aula del Wizengamot. Fu solo, mentre l’uomo apriva la porta di un caffè, dai tavolini occupati per lo più da studenti universitari, che si rese conto del numero di giornalisti presenti durante il processo e poi nei corridoi del Ministero.
«Hai inviato la lettera?»
«Sì, è la prima cosa che ho fatto lunedì mattina.»
Piton annuì soltanto, mentre ordinava un tè, prontamente imitato da Harry, che si prese qualche tempo per guardarsi intorno. Nessuno aveva guardato in direzione sua e dell’altro mago, ma, nel mondo Babbano nessuno aveva idea di chi lui fosse o di chi fosse l’uomo seduto davanti a lui.
«Cosa farai se la lettera di risposta confermerà l’identità del suonatore di organetto?»
«Quello che ti ho già detto, Potter. Troverò il modo di parlare con lui, senza alcuna interferenza esterna.»
Severus aveva riflettuto a lungo sulla questione dopo aver intuito l’identità del suonatore di organetto e poteva perfettamente capire la rabbia che doveva averlo spinto ad essere coinvolto in quel piano criminale. E sapeva perfettamente che denunciarlo agli Auror sarebbe stato controproducente.
«Senza nemmeno un appoggio?»
«Non ho detto che l’incontrerò in un luogo deserto nel cuore della notte, Potter, né che sarò completamente solo. La cosa importante è che lui creda che non ci sia nessuno con me.»
Prima di conoscere Ygraine e Rebecca non gli sarebbe importato di morire. Anzi, forse avrebbe accolto con gioia la morte che lo aveva fuggito nella Stamberga Strillante. In quel momento, invece, voleva vivere, anche se questo avesse significato poter amare da lontano Ygraine e non poter essere pienamente un padre per Rebecca. Sapeva, d’altronde, che zia e nipote tenevano a lui e non desiderava infliggere loro un altro dolore.
«Quindi, come faremo?»
«L’ideale è portarlo in un luogo frequentato. Se avesse voluto nuocere a Ygraine avrebbe potuto farlo in più di un’occasione e avrebbe potuto anche coinvolgere i Babbani che camminavano ignari per le strade di Londra. Ritengo che il suo solo interesse sia colpire chi lo ha privato di tutto.»
Harry annuì, impedendosi di ribattere a quell’ultima affermazione, per quanto fosse consapevole, e sperava che lo fosse anche l’altro mago, che erano ben altre le persone che avevano privato di tutto il suonatore di organetto. Preferì immergersi nella pianificazione di quello che sarebbe potuto accadere una volta che gli fosse arrivata la lettera di risposta. Doveva ammettere che il piano escogitato da Piton era ben più sottile di qualsiasi idea fosse mai venuta in mente a lui e credeva che l’uomo potesse riuscire nel suo intento. Con ogni probabilità aveva ragione a non voler coinvolgere l’intera squadra, considerando soprattutto quello che era accaduto quel giorno al processo.
«Mi dispiace per come siano andate le cose, oggi», affermò, quando ebbero analizzato ogni minima variabile. Harry si chiese come dovesse essere lavorare insieme a Piton, se l’uomo avesse mai avuto l’idea di cambiare vita e diventare un Auror. Sarebbe stato uno dei loro migliori elementi, se non il migliore. «Ad un certo punto ho avuto l’impressione che non stessero più processando Taylor, ma che stessero accusandoti per quello che è avvenuto.»
«Non è accaduto nulla che io non mi aspettassi», la voce dell’uomo era straordinariamente calma, mentre Harry aveva ribollito per l’intera durata della testimonianza di Piton. Un membro del Wizengamot sembrava voler credere ad ogni parola della lettera di Jane e aveva insinuato alcune cose molto sgradevoli sulla signorina Ainsworth a cui l’altro mago aveva replicato con una freddezza che Harry aveva invidiato. «Credevi veramente che non avrebbero avuto dubbi su di me?»
«Non avrebbero dovuto. Quando ti hanno processato, dopo la battaglia finale, sembravano essere tutti incredibilmente ben disposti. Credevo che ti avrebbero dato un Ordine di Merlino.»
«Perché avrebbero dovuto? La maggior parte delle famiglie ha visto soffrire uno dei suoi figli a Hogwarts, troppe persone hanno visto morire un loro caro durante la guerra. Credi che non ci sarebbero state proteste? Il Ministero ha fatto quello che doveva.»
La voce di Piton era assolutamente ragionevole e Harry sapeva che aveva ragione, così come si rendeva conto che anche il ragionamento di Hermione sul fatto che l’uomo non fosse un eroe rassicurante aveva senso, ma non poteva impedirsi di pensare che fosse ingiusto che l’uomo che aveva permesso a tutti loro di vincere non vedesse riconosciuti i suoi sacrifici.
«Questo posso capirlo, anche se non mi sembra giusto, ma, oggi, non avrebbero dovuto porti quelle domande, né offendere in quel modo la signorina Ainsworth.»
Severus fissò per qualche istante il ragazzo, che sembrava essere particolarmente scosso da quello che era accaduto al processo. Quanto a lui, si era aspettato che lo attaccassero, che non si fidassero della sua parola, che gli ponessero molte più domande di quanto fosse necessario per il caso in questione.
Dopo sabato, aveva anche messo in conto che qualcuno avrebbe potuto avere in serbo delle parole offensive su Ygraine. Eppure, questo non gli aveva impedito di sentire la furia montare in lui per come alcuni membri del Wizengamot mostrassero fin troppi pregiudizi nei confronti dei Babbani e di come altri non fossero riusciti a non infangare il nome di una persona ben più meritevole di tutti loro. Era riuscito a non lasciar trapelare la sua rabbia, a mantenere la stessa calma che aveva manifestato davanti all’Oscuro Signore, ogni volta che aveva mentito o che aveva manipolato delle informazioni. Eppure, in alcuni momenti del processo, si era accorto di faticare a fingere che quelle parole non gli facessero nessun effetto.
«Taylor ha ricevuto la condanna che meritava», disse soltanto, decidendo di mettere fine al discorso. «Non sarà nemmeno la prima volta che vedrai qualcosa del genere, durante la tua carriera da Auror.»
Le parole di Piton si spensero nel silenzio del caffè, mentre il cielo si faceva improvvisamente scuro e alcune gocce di pioggia iniziavano a cadere sulla capitale.
Il maltempo parve colpire tutta l’isola e Ygraine si ritrovò a fissare la pioggia bagnare insistente il giardino dei genitori. Rebecca era con papà che le stava insegnando il francese. Avrebbe potuto farlo lei, ma il padre sembrava felice di poterlo fare e lei poteva comprendere che l’uomo volesse trascorrere più tempo possibile con la nipote, prima del loro trasferimento in Francia.
Dopo averne parlato con la mamma, Ygraine aveva deciso di trasferirsi oltremanica già a maggio. Quella mattina, dopo che Severus era partito per Londra, aveva iniziato a cercare, sul vecchio computer dei genitori, il luogo migliore in cui andare a vivere. Aveva già pensato di scegliere un piccolo villaggio dotato di scuola elementare. Rebecca sarebbe poi andata a Hogwarts o nella scuola magica presente in Francia; quindi, non era particolarmente utile avere a portata di mano una scuola media. Credeva, anche, che la bambina sarebbe riuscita a integrarsi meglio in una piccola comunità.
In quel momento, mentre osservava le gocce cadere insistenti, si chiedeva se non dovesse chiedere consiglio a Severus, ma non le sembrava l’idea migliore. Prima di fare un passo del genere, avrebbe dovuto parlargli dell’idea che aveva iniziato ad accarezzare da tempo, da prima di quello che era avvenuto nell’appartamento di Jane.
Sapeva di doverlo fare quanto prima, di non poter procrastinare troppo a lungo, ma, quando l’uomo tornò da Londra non disse nulla in proposito. Parlarono brevemente del processo e Ygraine si sentì sollevata nell’apprendere che Taylor era stato condannato, che non avrebbe più avuto a che fare con gli Auror.
Si sentiva decisamente più tranquilla, dopo aver acquisito la consapevolezza che l’unico sopravvissuto dei due complici che avevano ucciso quelle due povere persone e aggredito lei si sarebbe trovato dietro le sbarre della prigione magica, un luogo su cui non aveva osato fare nemmeno una domanda a Severus.
Quel senso di tranquillità si estese alle successive che portarono alla fine di marzo e all’inizio di aprile. Ygraine si era lasciata cullare da quella calma e aveva continuato ad evitare di parlare con Severus dell’idea che le frullava nella testa da tempo. Aveva continuato ad attende al punto che era giunto l’ultima sera, quella di Pasqua [1], in cui era rimasto a dormire a casa dei suoi genitori, e anche quel giorno era trascorso, senza che lei dicesse una parola sulla questione.
Era stato strano, il giorno dopo, non saperlo nella stanza degli ospiti, non poter parlare con lui dopo cena, quando tutti gli altri si erano ritirati per riposare e la cosa doveva essere sembrata strana anche a Rebecca, dato che la nipote era riuscito a convincerlo a fermarsi a cena il tre.
Eppure, nonostante quella prospettiva, si rendeva conto che le mancava quella quieta presenza, che doveva trovare il coraggio di chiedergli se avesse voluto andare a vivere in Francia con loro. Le aveva detto che il nuovo centro di ricerca per cui lavorava si trovava oltremare e Ygraine credeva che quella fosse un’ottima motivazione per tentare di convincerlo ad accettare. Tuttavia, continuò ad esitare.
E sapeva perfettamente perché stesse continuando a posticipare.
Era semplicemente timorosa che quella richiesta gli sembrasse inaudita, che potesse allontanarlo da sé, invece di avvicinarlo.
La mattina del tre aiutò mamma in cucina, per quanto la giovane donna sapesse di essere una pessima cuoca, prima di salutare la donna che stava andando ad aprire il negozio e di attendere insieme a Rebecca l’arrivo di Severus. Per un istante avrebbe voluto essere spontanea come la nipote che era corsa ad abbracciarlo come faceva ogni volta che l’uomo varcava la soglia della casa dei genitori, ma, per quanto avesse cercato un contatto fisico con Severus nei giorni subito successivi al ventidue marzo, non riusciva a farlo così casualmente, quando non era palese che stesse cercando il conforto che soltanto lui sapeva darle.
Rimasero per qualche tempo in salotto, prima che Rebecca trascinasse quasi Severus in giardino per farsi spiegare se alcuni dei fiori della nonna fossero utili per qualche pozione. Ygraine preferì rimanere dentro, perché voleva permettere all’uomo e alla bambina di godersi quei momenti in cui si erano, a tutti gli effetti, un padre e una figlia. Rimase per qualche istante davanti alla finestra, mentre osservava Severus e Rebecca intorno ad un cespuglio di lavanda, di cui sua madre andava particolarmente orgogliosa.
«Ygraine, possiamo parlare?»
La giovane donna si voltò verso il padre che aveva il volto stranamente serio. Non l’aveva nemmeno sentito avvicinarsi e, in quel momento, stava osservando Severus con un’espressione dubbiosa che non gli aveva mai visto prima. Si chiese se avesse scoperto quello che era accaduto veramente a casa di Jane. Forse uno degli Auror, per quanto non ne avesse nessun motivo, era andato a casa loro certo di trovarla lì e aveva parlato con i genitori. Era già un miracolo che mamma e papà avessero accettato le sue vaghe parole e che Rebecca non avesse mai detto nulla, ma la bambina non era a conoscenza di tutto quello che era accaduto.
«Certo, papà.»
«Andiamo nel mio studio.»
Ygraine seguì il padre, chiedendosi che cosa dovesse dirle. Mamma era ancora in negozio e la casa era silenziosa e vuota.
«Cosa sai di preciso del signor Piton?»
«Perché mi stai ponendo questa domanda?»
Ygraine osservò il padre farsi pensieroso mentre si avvicinava alla finestra dello studio osservando il giardino, dove si trovavano Severus e Rebecca.
«Credo di averlo già visto prima del giorno in cui l’hai portato qui. Immagino che ricorderai della morte degli Hancock.»
La giovane donna annuì soltanto. Sperava sinceramente di non essere impallidita. Non riusciva nemmeno a comprendere come fosse possibile che suo padre potesse collegare Severus a quello che era avvenuto agli Hancock, quella notte di Natale.
«Era il 1982, la notte di Natale ed io non riuscivo a dormire. Sai che a volte mi accade e, come faccio sempre, sono andato a piedi fino alla chiesa ed è là che ho visto qualcuno sulla tomba degli Hancock. Era una notte stranamente luminosa ed io mi sono fermato ad osservare. Non credo che lui mi abbia visto, quando si è allontanato dalla lapide. Era giovane, ma devi ammettere che il signor Piton ha un volto particolare», Ygraine non disse una parola, ma poteva immaginare che andare sulla tomba degli Hancock fosse una sorta di tortura autoinflitta. «Ho pensato che fosse un qualche parente di quella povera famiglia e, forse, avrei continuato a pensarlo, se l’anno successivo non mi fossi accorto che intorno al giorno di Natale erano comparsi dei fiori freschi. Non so nemmeno perché l’ho fatto, ma nell’ottantaquattro sono andato fino alla chiesa e ho visto di nuovo quell’uomo, fermo sulla tomba degli Hancock e così tutti gli anni successivi fino al Natale del novantasei. Il Natale dopo non si è presentato e nemmeno quello del novantotto. Ma da quello seguente, per quanto non mi sia mai recato ad osservare, sono ricomparsi i fiori freschi il giorno di Natale sulla tomba degli Hancock. E questo mi ha dato da pensare. Ci sono stati momenti in cui ho creduto che fosse saggio andare alla polizia.»
«Non è un reato portare fiori su una tomba.»
Ygraine sperava che la voce non le fosse uscita strozzata e che, se così fosse, papà pensasse che fosse legato a quello che le era accaduto, per quanto, negli ultimi giorni, le sembrava che la voce stesse sempre più migliorando, che stesse tornando come prima.
«Lo so, Ygraine, ma quei fiori e quelle piante avevano tutte un unico significato: il rimorso e la colpa. E tuo fratello ha detto a tua madre qualcosa sul signor Piton, che Mary ha ritenuto un’esagerazione, ma adesso… ho avuto la certezza che fosse lui l’uomo sulla tomba degli Hancock due giorni fa, quando è tornato dal giardino con Rebecca che faceva già buio. Il modo di muoversi, il volto illuminato dalle luci stradali e dalla luna erano esattamente gli stessi. Cosa sai veramente di lui?»
«Papà, non devi preoccuparti, davvero. Forse…»
«Forse, signor Ainsworth, dovrebbe porre le sue domande direttamente a me.»
Severus vide il padre di Ygraine sobbalzare e la giovane donna voltarsi verso di lui. Nessuno dei due si era accorto del suo arrivo e lui non si sarebbe nemmeno avvicinato allo studio dell’uomo se la signora Ainsworth non fosse tornata poco prima e non gli avesse chiesto il favore di andare a chiamare il marito.
«Quanto ha sentito?»
«Non molto, ma da quel che ho potuto intuire, mi ha visto portare dei fiori sulla tomba degli Hancock.»
Sapeva che avrebbe potuto mentire facilmente, ma non l’avrebbe fatto. Non gli importava del giudizio del signor Ainsworth, per quanto stimasse quell’uomo, ma non voleva deludere Ygraine, non voleva che lei credesse che fosse un vigliacco che fuggiva dalle sue responsabilità. O, forse, come uno sciocco, sperava che, un giorno, potesse ricambiare i suoi sentimenti, che potesse desiderare di illuminare ogni singola ora le sue giornate.
«Severus, non…»
«Devo a tuo padre una risposta, Ygraine.»
Alfred Ainsworth avrebbe voluto non aver parlato con la figlia, ma era preoccupato per lei e, forse, voleva sentirsi dire che l’uomo che aveva visto non era il signor Piton, che non era l’uomo con cui parlava di letteratura medievale, che non era l’uomo di cui sua figlia si era innamorata e che sua nipote considerava un padre.
«Cosa vuole sapere, signor Ainsworth?» la voce del mago era sorda, notò l’uomo e Ygraine gli si era fatta più vicina.
«Quei fiori… immagino lei sappia quale sia il loro significato.»
«Li ho scelti per il loro significato», Alfred non commentò quella frase, mentre osservava il volto di Piton che pareva nascondere con cura ogni possibile emozioni e quello espressivo della figlia che sembrava incredibilmente preoccupata. Ygraine posò la mano sul braccio dell’uomo, un gesto lieve, un gesto di vicinanza. «Li ho scelti perché ero presente la notte in cui la famiglia Hancock è stata uccisa.»
Il silenzio si posò soffocante sulla stanza. Ygraine avrebbe voluto dire a Severus che non era necessario parlare, che avrebbe potuto inventare una bugia plausibile e avrebbe voluto dirgli che lo ammirava per quello che stava facendo, perché non stava mentendo, perché stava mostrando ancora una volta la sua forza d’animo e il suo silenzioso e doloroso coraggio.
E avrebbe voluto dirgli che lo amava ancor di più per come si stava mettendo a nudo di fronte a suo padre.
«Sono… è stata la magia a ucciderli?»
«La magia può uccidere, signor Ainsworth. Noi maghi siamo unicamente degli uomini, così come lo siete voi Babbani. Ed entrambi abbiamo trovato il modo per fare del male», la voce di Severus era quasi inespressiva, ma Ygraine era certa che i suoi occhi fossero colmi del rimpianto e della colpa. «Ed io ho tolto una vita quella notte. Non ero solo, ma questo non diminuisce la mia responsabilità.»
Alfred Ainsworth osservò il volto dell’uomo e i suoi occhi neri, cupi e imperscrutabili. Ygraine gli si era fatta più vicina, quasi lo volesse sorreggere, quasi lo volesse proteggere da qualsiasi cosa lui avesse detto dopo quella confessione. Osservandola meglio, notò che la figlia doveva già essere a conoscenza di quel fatto, che la sua bambina sapeva e che, nonostante quella consapevolezza, rimaneva vicina al signor Piton.
Riportò la mente a quei fatti lontani. La signora Hancock era stata una donna gentile che aveva gestito il negozio di fiori del villaggio e suo marito aveva insegnato matematica in un liceo di Canterbury. Ricordava l’orgoglio di entrambi quando avevano detto che il figlio maggiore era stato accettato in una scuola esclusiva in Scozia.
«Il figlio maggiore, Robert, era come Rebecca?»
«Sì. Era un Nato Babbano.»
Alfred tentò di non rabbrividire, ma rammentava il giorno della morte degli Hancock. Il villaggio era stato colto dalla paura, mentre i giornalisti avevano iniziato a porre domande a tutti, in cerca di qualche oscuro segreto o di una storia perversa, ma i colpevoli non erano mai stati trovati e l’interesse della stampa era scemato di colpo. Non credeva, però, che gli abitanti del villaggio si fossero mai del tutto ripresi. O, almeno, lui non si era mai del tutto ripreso da quello che era accaduto quella notte. Aveva dovuto parlarne con i bambini e aveva dovuto consolare Ygraine che, pur essendo la minore, era quella che sembrava aver compreso meglio cosa fosse accaduto. Le aveva anche parlato dell’altro grande mistero di quella notte e, in quel momento, mentre osservava il signor Piton, si chiese quanti anni dovesse aver avuto all’epoca. Doveva essere poco più di un ragazzo.
«Qualcuno chiamò la polizia quella notte, la stessa persona che sistemò i cadaveri. Immagino sia stato lei, signor Piton.»
Ygraine notò che il padre sembrava solamente stanco in quel momento, ma non aveva fatto più cenno all’idea di recarsi alla polizia. E sperava che non ci pensasse più, perché avrebbe fatto di tutto per impedirglielo, anche fuggire in una terra lontana, con Severus e Rebecca. Avrebbe anche abbandonato il canto pur di impedire che il mago pagasse ancora per qualcosa per cui aveva già immensamente pagato.
«Sono stato io, signor Ainsworth, ma nessun gesto io abbia compiuto potrà mai ripagare il male che ho fatto.»
«Dovrei fare il mio dovere e denunciarla alla polizia», Severus annuì soltanto, interrompendo qualsiasi parola stesse per uscire dalle labbra di Ygraine. Si era illuso, aveva sfiorato la pace, ma era stato uno sciocco a pensare che il suo passato non venisse a chiedere il conto. «Ma se lo facessi, perderei il rispetto di mia figlia e, probabilmente, anche quello di mia nipote. Forse non avrei nemmeno dovuto dire nulla, ma ero preoccupato per Ygraine. Temevo che non sapesse nulla, che non avesse idea... Invece, mi pare chiaro che il mio piccolo usignolo sia a conoscenza di quello che deve essere accaduto quella notte di Natale.»
Alfred Ainsworth vide la figlia rilassarsi e il signor Piton osservarlo con attenzione. Non sapeva nemmeno lui come spiegarlo, ma erano state le parole del mago stesso a farlo desistere da qualsiasi volontà di rivolgersi alla giustizia.
E non erano state solo le parole, ma anche qualcosa nella sua voce, quando aveva ammesso di aver telefonato alla polizia, quando aveva ammesso di aver dato una qualche dignità ai cadaveri, che lo aveva fatto desistere da qualsiasi pensiero di andare dalla polizia, come avrebbe dovuto fare, come si era ripromesso di fare se i suoi sospetti fossero stati veri.
Il signor Piton gli era parso quasi rassegnato, mentre Ygraine sembrava pronta a combattere, a difendere il mago a qualunque costo. Sua figlia non aveva detto una parola, ma la conosceva troppo bene per non saper leggere ogni suo movimento.
Alfred era felice di aver deciso di non dire nulla a Mary prima di parlare con Ygraine. La moglie sarebbe stata meno comprensiva o, forse, non avrebbe compreso come la figlia potesse rimanere accanto ad un uomo che aveva ucciso in passato.
«Papà…»
«Non dire nulla, Ygraine, e perdonatemi entrambi se ho rivangato quella vecchia storia.»
La voce di Alfred Ainsworth era sincera, notò Severus, e l’uomo era certo che il filologo avesse agito spinto unicamente dalla preoccupazione per la figlia ed era sempre per la figlia che gli permetteva di rimanere in casa sua. Avrebbe potuto cacciarlo, anche se era giunto alla conclusione di non denunciarlo, ma non lo aveva fatto e di questo gli era grato.
«Non ha nulla di cui farsi perdonare, signor Ainsworth.»
L’uomo osservò per qualche istante il signor Piton, prima di annuire, senza commentare oltre, senza dare l’impressione di aver notato le parole che non erano state pronunciate.
In quel momento, si rese conto di essersi lasciato accecare dalla preoccupazione per Ygraine, di non aver considerato appieno il significato di quei fiori, che esprimevano il rimorso e la colpa.
E capì perché la sua bambina fosse rimasta accanto al mago, perché gli si fosse fatta così vicina poco prima.
E mentre usciva, non poté far altro che dirsi orgoglioso del suo piccolo usignolo.
«Severus, mi dispiace», mormorò Ygraine, dopo che il padre chiuse la porta dello studio alle sue spalle. «Non credevo che papà…»
«Era una possibilità. Chiunque nel villaggio avrebbe potuto vedermi quelle notti.»
«Hai portato i fiori anche questo Natale?»
Rebecca gli aveva già parlato pe la prima volta e aveva già saputo quale fosse il nome dell’uomo che era stato così gentile con la nipote. Era stato poco prima di Natale, quando aveva cantato, accompagnata da Jane, un concerto al museo.
Per un istante si chiese se la pianista si fosse accorta allora che aveva parlato con Severus, ma scacciò quel pensiero dalla mente.
«Sì, come ogni anno, tranne quello in cui ho usurpato la presidenza di Hogwarts e l’anno successivo perché mi stavo ancora riprendendo dalle ferite di Nagini», Ygraine strinse entrambe le mani di Severus tra le sue, mentre cercava di immaginarlo ogni notte di Natale in piedi, solitario, davanti a quella tomba. «So che non serve a cancellare quello che ho fatto, ma è un modo per mostrare almeno il mio rispetto.»
«Andrai anche il prossimo Natale?»
L’uomo annuì soltanto. Quella degli Hancock era l’unica tomba che visitava. Non era mai stato sulla lapide di Lily, né era mai andato su quella di Silente. Non sapeva se fosse la gravità di quello che aveva fatto, di come fosse giunto ad uccidere un bambino oppure se vi andava perché quella era stata la prima volta in cui si era reso conto del baratro in cui era precipitato, in cui si era reso conto di che razza di mostro fosse diventato.
«Mi permetterai di accompagnarti, Severus?»
«Ygraine, tu non hai commesso alcuna colpa.»
Avrebbe voluto dirle che aveva un animo troppo puro per poter condividere quel momento con lui, che era troppo luminosa per poter rimanere accanto alle sue tenebre.
«Vorrei soltanto che tu non fossi solo quella notte.»
Le parole di Ygraine erano quasi un lieve sussurro, ma gli parve che riuscissero, in parte, a donare sollievo al suo animo. Tentò di immaginarsi in piedi davanti alla tomba degli Hancock, mentre depositava quei fiori, con la giovane donna al fianco. Forse sarebbe crollato, ma non temeva di perdere il controllo delle sue emozioni davanti a Ygraine. Oppure, sarebbe riuscito a fare i conti con quell’evento del suo passato, perché la giovane donna sarebbe stata lì con lui.
C’era un altro modo per affrontare direttamente quello che aveva compiuto quella notte di Natale e sapeva che quello doveva farlo da solo.
«Se, quando sarà il momento, vorrai ancora venire con me, potremo andare insieme.»
Ygraine gli sorrise e forse avrebbe aggiunto qualche altra parola, se Rebecca non fosse entrata nella stanza per annunciare che la cena era pronta. Durante il pasto, il signor Ainsworth fu sorprendentemente amichevole con lui, ma forse, si disse Severus, l’uomo era decisamente simile alla figlia. Era certo che Mary non sarebbe stata altrettanto tranquilla intorno a lui, dopo quello che aveva scoperto quel pomeriggio.
Quando l’uomo lasciò la casa, quella notte, spirava un vento furioso, che parve quietarsi durante le giornate successive, che parevano aver trovato uno strano schema fisso. Ogni giorno Severus andava a casa loro, spesso nel primo pomeriggio e vi rimaneva fino all’ora di cena. A volte si fermava a mangiare; altre preferiva rincasare prima.
Anche quel sabato, l’uomo era giunto nel primo pomeriggio ed era rimasto con lei e Rebecca per diverso tempo, fino a quando non era stato consultato da papà su un manoscritto che stava studiando e che portava una versione particolare della storia della fata Melusina. Severus le aveva confidato che, con ogni probabilità, era un testo scritto da un mago del XII secolo, ma era un’informazione che suo padre non avrebbe mai potuto conoscere, per evitare il rischio che nell’eccitazione di spiegare una variante testuale non rivelasse l’esistenza del Mondo Magico a tutti i suoi colleghi.
Ygraine approfittò dell’assenza di Severus per far vedere a Rebecca alcuni villaggi francesi dove avrebbero potuto andare ad abitare, ma quando tornò in salotto, da sola, dato che la bambina aveva deciso di fare alcuni esercizi che le aveva dato il nonno per imparare la nuova lingua, del mago non c’era traccia.
Suo padre non aveva idea di dove fosse, ma le disse che l’uomo aveva accettato l’invito a cena che lui stesso gli aveva fatto. Fu la mamma a indicarle la strada per cui l’aveva visto andarsene, uscendo dalla porta sul retro e dal cancello del giardino. Ygraine indossò rapidamente un soprabito, prima di uscire e ripercorrere la via indicatale dalla madre.
Il vento soffiava lieve, simile ad una brezza, sulla campagna inglese, ma lei parve non farci quasi caso. Il suo unico scopo era raggiungere Severus ed avere il coraggio di fare quello che si era riproposta giorni prima. Avrebbe dovuto farlo da tempo, soprattutto considerando che non aveva nulla da fare in quei giorni, se non capire dove volesse stabilirsi e poi iniziare a contattare alcune agenzie immobiliari. Avrebbe potuto parlargli dopo quella conversazione dolorosa che Severus aveva avuto con suo padre.
Invece, aveva continuato a rimandare.
Ma, ormai, non aveva più molto tempo.
Aveva fissato un recital il 29 giugno a Tours, un primo appuntamento, alcune settimane prima del Lohengrin ad Aix-en-Provence, in modo da capire se la voce avrebbe retto un’intera opera, in modo da capire se sarebbe riuscita a salire su un palcoscenico senza essere colta dal terrore di non riuscire ad emettere un solo suono.
Per allora, sarebbe già stata in Francia da alcune settimane, perché voleva che Rebecca si ambientasse, che iniziasse a parlare la lingua che papà le stava insegnando. Avrebbe anche tentato di comprendere se iscrivere Rebecca sul finire dell’anno scolastico o se fosse meglio aspettare direttamente l’anno successivo. Sarebbe dovuta andare a parlare con le maestre e spiegare loro in parte la situazione, senza scendere nei particolari, inventando un’altra motivazione alla scelta del fratello, di cui nemmeno mamma e papà avevano molte notizie. Sapevano soltanto che lui e Margaret si trovavano a New York, dove Gawain aveva trovato da lavorare come avvocato, ma i contatti erano pochi e scarsi.
Si fermò soltanto un attimo, quando raggiunse la casa degli Hancock. I vetri erano rotti e alcune scritte erano comparse sulle pareti. Appariva chiaro che nessuno vi avesse abitato da anni. La porta era aperta, come si era aspettata, quando mamma le aveva indicato per quale strada Severus si fosse allontanato.
E lo trovò in quello che doveva essere stato il salotto.
La stanza era vuota – papà le aveva detto che alcuni parenti degli Hancock si erano portati via i mobili – se non per una sedia rimasta lì, probabilmente dimenticata.
L’uomo era immobile, una macchia nera nella stanza illuminata dal sole di quel giorno di aprile.
«Severus», lo chiamò piano, quasi temesse di spaventare i ricordi che dovevano agitarsi nella sua mente.
L’uomo si voltò verso di lei, il volto una maschera di fredda quiete. Ygraine gli si avvicinò di qualche passo, osservando gli occhi neri vuoti e allo stesso tempo colmi della colpa.
«Erano qui, riuniti. Stavano ridendo prima che entrassimo. Erano…»
«Usciamo, Severus.»
L’uomo scosse il capo, tornando a voltarsi verso la stanza spoglia. Sentì la mano di Ygraine posarsi lieve sull’avambraccio sinistro, dove rimaneva il segno sbiadito del Marchio Nero, dove la giovane donna aveva visto il grumo nero della sua orribile scelta.
E anche quella volta gli parve che la sua innocenza potesse mettere a tacere il senso di colpa per il male che aveva portato, che potesse lavare le sue colpe e purificare quel simbolo di magia oscura.
Sapeva di non aver alcun motivo per andare alla casa degli Hancock, ma aveva creduto che rivedere quel luogo potesse in qualche modo portarlo a lasciar andare, almeno in parte, il peso di quella colpa, della colpa più orribile che avesse mai commesso.
Invece, gli era solo sembrato di rivedere la famiglia intorno al tavolo del salotto, mentre ridevano felici ed ignari dei tre mostri che sarebbero entrati in casa loro. Rivedeva davanti agli occhi il volto del ragazzino che aveva ucciso e rivedeva i suoi compagni assassinare e torturare gli altri membri della famiglia, mentre lui rimaneva fermo, immobile e sconvolto da quello che era diventato.
«Severus…»
La voce di Ygraine era poco più di un sussurro gentile e puro, come i raggi del sole che accarezzavano il pavimento impolverato della stanza.
«Credevo che venendo qui sarei riuscito a fare realmente i conti con il mio passato, ma ho trovato unicamente il senso di colpa e il ricordo di quella notte di Natale.»
«Forse hai trovato soltanto ciò che volevi trovare», la voce di Ygraine era sempre gentile. Si era fatta più vicina a lui e la mano era scivolata a stringere la sua. «Stai ancora cercando di pagare per quello che hai fatto, anche quando hai già pagato così duramente.»
«Non abbastanza, Ygraine. Ho causato troppo dolore nella mia vita. Ho distrutto troppe famiglie, a partire dagli Hancock… so che tu non me ne fai una colpa e credimi se ti dico che sono consapevole che non ho alcuna responsabilità diretta in quello che ti è accaduto, ma non sono riuscito a salvare i Berenger, non ho potuto far altro che vederli morire, che vederli torturare. Ho ucciso io stesso uno di loro ed era l’unica cosa che potessi fare, l’unico modo per fermare la tortura a cui era sottoposto.»
Severus si aspettò quasi che la giovane donna togliesse la mano dalla sua, invece la strinse con più forza, con la stessa forza con cui i raggi del sole entravano dalle finestre rotte della casa degli Hancock. O forse era Ygraine stessa ad illuminare la stanza con la sua purezza.
«Hai solo compiuto un gesto pietoso, l’unico che tu potessi compiere in quel momento», Ygraine avrebbe voluto andare a chiedere ai maghi e alle streghe che avevano conosciuto Severus e che dicevano di essere dalla parte del bene, come avessero potuto non capire, come avessero potuto non dubitare nemmeno per un attimo dopo che aveva ucciso il Preside, come avessero potuto lasciarlo solo ad affrontare tutto quel dolore. Sapeva che Severus era in grado di fingere alla perfezione, ma se qualcuno avesse provato per lui anche solo un barlume di amicizia, avrebbe dovuto porsi almeno qualche domanda. «Hai però salvato la vita ad uno dei figli di Hugh e Mathilde Berenger. So che per te non è abbastanza, ma quel ragazzo può vivere con i suoi nonni unicamente grazie a te.»
L’uomo strinse a sua volta la mano di Ygraine, quella mano che gli offriva lo stesso perdono delle sue parole, cercando di ignorare la convinzione di aver salvato e, al tempo stesso, distrutto la vita di William Berenger. Chiuse per un breve istante gli occhi, concentrandosi unicamente su quanto la giovane donna gli stava donando.
E quella volta non fuggì dal perdono come aveva fatto quella mattina ventosa in casa di Gawain Ainsworth, ma lo accettò, perché rifiutarlo avrebbe voluto dire far tramontare uno dei soli che illuminavano la sua vita, uno dei due soli che stavano lentamente sciogliendo il ghiaccio dell’inverno del suo animo.
Quando riaprì gli occhi, la stanza gli parve meno carica di fantasmi. I ricordi, il senso di colpa e il peso di quello che aveva compiuto rimanevano, ma sembravano meno opprimenti.
E per qualche breve istante si permise di sperare in un futuro che non sarebbe stato privo della consapevolezza di ciò che era stato, ma che avrebbe potuto essere almeno rasserenato.
«Usciamo.»
Avrebbe potuto dire altro, ringraziarla, confessarle financo il suo amore, ma non riuscì a dire altro, per quanto avesse già espresso malamente, in un’altra occasione, la propria gratitudine alla giovane donna. Ciononostante, Ygraine gli sorrise, quasi le fosse bastato che lui ricambiasse la sua stretta di mano.
La lasciò andare soltanto quando furono all’aperto.
Il sole pomeridiano illuminava la tranquilla campagna di quell’angolo di Inghilterra. Da dove si trovavano si vedevano alcuni alberi solitari e in lontananza il campanile della chiesa del villaggio.
«Ti andrebbe di fare una passeggiata?»
Annuì soltanto, osservando il volto della giovane donna, incorniciato dai capelli che aveva raccolto in una crocchia, quel giorno. La seguì lungo un sentiero laterale che non aveva visto, mentre camminava da solo verso la casa degli Hancock.
Non parlarono mentre si addentravano per il sentiero, fino a fermarsi ai piedi di un vecchio ciliegio che si trovava solitario in mezzo alla campagna.
«C’è una cosa di cui vorrei parlarti», la voce di Ygraine era tranquilla, per quanto gli sembrasse di sentire una lieve incertezza. «Ci ho riflettuto a lungo da quando Gawain ha affidato a me la custodia di Rebecca. Avrei dovuto parlartene da tempo, ma ho sempre rinviato… non so nemmeno perché l’abbia fatto. So che Rebecca ti ha detto che stiamo cercando casa.»
La voce della giovane donna si spense nella lieve brezza, che pareva voler giocare con i capelli, raccolti in una crocchia. Severus non disse nulla, attendendo che proseguisse e impedendosi di formulare qualsiasi ipotesi.
Ygraine stava evitando di guardarlo, preferendo fissare un punto indeterminato nella campagna.
«Io… vorrei chiederti se vuoi venire a vivere con noi in Francia.»
La giovane donna lanciò un’occhiata a Severus, ma l’uomo non la stava guardando. Forse era stata precipitosa o una sciocca.
«Non è una scelta saggia, Ygraine», affermò l’uomo continuando ad evitare il suo sguardo.
«Invece, è logica. Mi hai detto che lavorerai per un centro di ricerca in Francia e possiamo cercare una casa abbastanza grande lì vicino. So che può sembrare una richiesta insolita, ma…»
«Può sembrarti logica adesso, Ygraine», la interruppe Severus, posando lo sguardo sul volto della giovane donna, che almeno non sembrava ferita da quel rifiuto che faticava financo a pronunciare. Il suo cuore e il suo animo lacerato avrebbero voluto accettare, ma la ragione imponeva di intraprendere un’altra strada. «Ma non hai alcuna idea di quello che ti riserverà il futuro, né puoi dirti certa che riusciremmo a vivere nella stessa casa per più di qualche giorno.»
«Nulla mi fa pensare che non sia possibile», la voce di Ygraine si era fatta incerta, in quel momento.
«E anche se fosse possibile, cosa accadrà, quando incontrerai una brava persona con cui dividere per sempre la tua vita, non solo spinta dall’amicizia, ma da sentimenti più profondi?»
Severus distolse nuovamente lo sguardo da Ygraine e dai suoi occhi luminosi. Sapeva che lei avrebbe ribattuto e che il suo sguardo avrebbe potuto portarlo a cedere, perché, in fondo, l’unica risposta che avrebbe voluto dare era di accettare, di lasciare la casa di Spinner’s End e i suoi tristi ricordi e di andare a vivere in Francia con lei e Rebecca, ma non voleva condannarsi a vedere costantemente Ygraine felice con un altro, né condannare lei alla sua miserevole presenza. Sarebbe andato in Francia più volte all’anno e in quelle occasioni avrebbe potuto vedere la giovane donna, avrebbe potuto scriverle anche e sarebbe stato contento della sua futura felicità, ma non sarebbe mai riuscito a vederla ogni giorno insieme ad un altro.
«Severus… quello… non accadrà mai.»
Ygraine avrebbe voluto aggiungere altro, avrebbe voluto dirgli che non sarebbe mai accaduto perché esisteva già una brava persona con cui avrebbe voluto dividere per sempre la sua vita, ma non ci riuscì, non quando non riusciva a togliersi dalla mente il quadro davanti a cui aveva incontrato Severus e la cerva che le aveva mandato e che, lo sapeva, rappresentava la madre di Harry.
«Come puoi esserne certa, Ygraine?» la voce di Severus era incredibilmente sorda in quel momento, ma il volto era ancora rivolto verso il suolo, nascosto dai capelli neri. «Non puoi sapere quale sarà il tuo futuro, ma so che meriti di incontrare un uomo buono, che possa renderti felice, e dubito che quest’uomo potrà essere contento delle mia… e anche se lui sopportasse la mia presenza, io non potrei mai riuscire a vivere…»
Severus si interruppe di colpo, deglutendo a vuoto. Si sentiva incredibilmente incerto, in quel momento, ma sapeva che doveva a Ygraine la più assoluta sincerità, che doveva farle comprendere il motivo per cui non avrebbe potuto accettare la sua proposta, anche se questo avrebbe significato perdere la sua amicizia.
«Severus…»
«Ygraine, lasciami finire, ti prego», la giovane donna fece un passo verso l’uomo che le apparve in quel momento incredibilmente vulnerabile. «Vorrei accettare il tuo invito, credimi, ma non posso agire come un egoista… so che tu credi in quello che hai detto, ma, un giorno potrebbe accadere… e ne sarei felice, perché tu meriti ogni felicità, ma, Ygraine, non potrei mai vivere accanto a te, non potrei mai farti il torto di accettare il tuo invito per vivere come un parassita vicino a te, per impedirti, forse, in futuro di essere felice, perché sono stato così egoista da non saper rinunciare a vivere accanto alla donna che amo.»
Le sue parole parvero perdersi nella brezza di quel giorno di primavera, illuminato dal sole. Nella quiete di quell’angolo di campagna inglese si sentiva unicamente il cinguettio di alcuni uccelli e il lieve stormire dei rami.
E il fruscio dell’erba sotto i piedi di Ygraine, che si era fatta più vicina a lui.
«Severus, quando ti ho detto che non ci sarebbe mai stato il rischio che io potessi incontrare una brava persona in Francia con cui dividere per sempre la mia vita, non ho mentito, né ho esagerato», il mago non osò alzare lo sguardo, nonostante la voce di Ygraine fosse dolce, nonostante non vi fosse nulla che lasciasse presagire un rifiuto. «Ho già incontrato quella persona, ma credevo di non avere alcuna speranza, che l’unico modo per starti vicino fosse chiederti di venire con me e Rebecca in Francia, di accontentarmi della tua amicizia e di vederti ogni giorno, di vivere, in qualche modo, accanto all’uomo che amo.»
«Ygraine…», la voce gli si spezzò, mentre sollevava lo sguardo dal suolo per posarlo sugli occhi della giovane donna.
E vi lesse l’incrollabile fiducia.
E vi lesse la gioia.
E vi lesse l’amore.
«Avrei voluto dirti quello che provo da giorni», riuscì a dire con una facilità che non si aspettava. Non aveva nemmeno osato sperare, quando Ygraine aveva cominciato a parlare che lei potesse amarlo. Allungò una mano e le sfiorò delicatamente una guancia, scostandole una ciocca di capelli, che si era liberata dalla crocchia con cui li aveva raccolti. «Ma non volevo che tu… eri vulnerabile, dopo quello che ti era stato fatto e temevo che potessi agire spinta da una riconoscenza che sapevo di non meritare.»
«Non sarebbe accaduto, Severus», mormorò Ygraine, osservando gli occhi neri dell’uomo, che parevano fissarla con una dolcezza che non aveva mai notato prima sul suo volto. «Mi ero accorta di amarti da tempo, da prima che Gawain agisse in quella maniera sconsiderata. Ed ero certa che il tuo cuore appartenesse a un’altra, che non sarei mai riuscita a competere con una donna morta. So che non mi hai mai detto nulla, in proposito, ma… prima del giorno in cui hai dato il fazzoletto a Rebecca, ti avevo visto altre volte sempre davanti a Sancta Lilias ed io…»
«Quella di cui ero infatuato non era nemmeno più Lily», affermò l’uomo. Avrebbe voluto unicamente baciare Ygraine, ma credeva di doverla rassicurare in proposito, di non lasciare spazio a malintesi futuri. «Era la donna che io avrei voluto incontrare, ma che non avevo realmente incontrato. E più ti conoscevo, più avevo a che fare con te o con Rebecca, più il fantasma che avevo costruito nella mia mente, ha iniziato a mostrare la sua evanescenza. L’ultima volta che ho parlato con Lily non avevo nemmeno finito la scuola e per anni ho creduto che…»
«Severus, non…»
«È giusto che tu sappia, Ygraine», la giovane donna annuì soltanto, quando Severus la interruppe. «Per anni ho alimentato quello che era stato l’amore di un ragazzo perché era l’unica cosa che mi facesse sentire la mia umanità. Tu sai quello che ho fatto per scelta e quello che ho dovuto e voluto fare per porre rimedio a quella scelta. Credo che mi servisse un simbolo, qualcosa a cui appigliarmi… e quel simbolo poteva essere soltanto Lily che per qualche anno mi era stata amica.»
Ygraine allungò una mano e strinse quella di Severus. Sentì l’uomo ricambiare subito la stretta, senza nessuna esitazione, senza nessuna titubanza. Non fece altro, non lo abbracciò come avrebbe voluto fare, né disse nulla, per quanto avrebbe voluto dargli conforto. Sapeva già che aveva condotto una vita solitaria, ma sentirgli dire quelle parole sembravano unicamente centuplicare quella solitudine.
«Per anni ho creduto… ho voluto credere che l’amicizia con Lily fosse finita a causa mia, che avessi oltrepassato il segno e che quello che aveva detto fosse imperdonabile.»
Ygraine strinse maggiormente la mano di Severus, mentre parlava di quel giorno lontano. Avrebbe voluto dirgli di smettere e avrebbe voluto prendere a schiaffi la madre di Harry per come si era comportata, per come era stata cieca, per come non avesse voluto capire perché Severus avesse detto quella parola.
Avrebbe voluto piangere e avrebbe voluto abbracciarlo e abbracciare il ragazzo che era stato. E mentre le rivelava anche quella parte della sua vita, si rese conto di quanta forza di carattere possedesse e in quale solitudine avesse vissuto e avesse maturato le sue scelte. In quella solitudine era caduto, ma sempre in quella solitudine era riuscito a trovare il coraggio di rivolgersi a Silente, di sopportare, poi, il dolore che il cammino che aveva scelto per espiare gli aveva posto davanti.
«Prima che Rebecca mi chiedesse quel fazzoletto, prima che tu mi invitassi a bere quel tè, non avevo mai incontrato qualcuno che non mi avesse già giudicato prima ancora di parlarmi», Severus si interruppe per qualche breve istante, prima di riprendere, la voce esitante, mentre metteva ancora più a nudo il suo animo. «Quando ho accettato il tuo invito… e ti prego di perdonarmi, Ygraine, l’ho fatto perché volevo provare a capire cosa volesse dire essere una persona come tutte le altre. Volevo unicamente trovare un attimo di tregua ai miei pensieri che fuggivano sempre verso il passato.»
«Non hai nulla di cui farti perdonare, Severus», disse la giovane donna, la voce dolce e colma di affetto. «Ero una sconosciuta, allora.»
«Vi stavo usando, Ygraine, stavo…»
«Non credo che tu lo stessi facendo veramente, Severus», lo interruppe, prima che potesse denigrarsi. «Hai spiegato a Rebecca perché le accadevano quelle strane cose ed io, anche se non sapevo nulla di te, se non il tuo nome, mi sono accorta che mi fidavo istintivamente di te.»
«Sei… siete state…», Ygraine strinse anche l’altra mano di Severus che, come quando le aveva dichiarato il suo amore, appariva vulnerabile e insicuro. «Quella fiducia, Ygraine… non so se mi sono innamorato di te per quello, non so nemmeno quando sia accaduto… ma so che quella fiducia che non crollava mai, quando mi aspettavo che accadesse, ha distrutto l’immagine fittizia a cui mi ero aggrappato, quell’immagine che avevo cercato in un quadro Babbano per rimanere aggrappato al passato, per cercare un perdono che per primo non riuscivo a concedermi. Ero certo che tu mi avresti disprezzato quando ti ho svelato il mio passato, che mi avresti odiato… e quando non l’hai fatto, sono cominciate a comparire le prime crepe e più tu mi offrivi il tuo perdono, più tu mi spronavi a perdonarmi, più mi rendevo conto di non amare più Lily da tempo, forse da prima della fine della guerra. E, quando ho compreso questa verità, ho capito di amarti, Ygraine.»
«Sei ben più coraggioso di me, Severus. Se tu non avessi detto nulla, io non avrei mai osato rivelarti i miei sentimenti…», mormorò la giovane donna. «Ogni volta che avrei voluto farlo, ero intimorita… e pensavo al tuo Patronus, alla tua cerva e a quello che Rebecca mi aveva spiegato su quell’incantesimo.»
«Immagino che Rebecca ti abbia anche spiegato che i Patronus possono cambiare forma.»
Severus lasciò andare una mano di Ygraine per afferrare la bacchetta, quando la giovane donna annuì alle sue parole. L’uomo si rese conto che si sentiva finalmente in pace, che, per quanto la strada del perdono fosse ancora lunga, gli pareva di intravedere una speranza. Mentre evocava il Patronus, gli parve, quasi che il sole brillasse più luminoso e che gli occhi di Ygraine esprimessero ancora più profondamente i suoi sentimenti.
«Un cigno…»
Ygraine non riusciva a staccare gli occhi dal Patronus, che le sembrò incredibilmente luminoso ed elegante, mentre volteggiava intorno a loro. Lo seguì per qualche istante con lo sguardo, prima di tornare ad osservare il volto di Severus e i suoi occhi neri.
«Ygraine…», le parole gli morirono in gola, mentre allungava una mano e sfiorava una guancia della giovane donna.
Sentì una mano di Ygraine scostargli i capelli dal volto, con la sua delicata purezza, mentre il sole sembrava farsi più luminoso e i rami del ciliegio ondeggiavano leggermente.
Rimasero entrambi immobili per qualche istante, silenziosi, illuminati dalla luce dorata del sole e da quella argentea del Patronus.
Severus posò le mani sulla vita di Ygraine, prima di chinare il capo e sfiorare le labbra della giovane donna con le sue.

---

[1] Nel 2002 Pasqua era il 31 marzo

 
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Capitolo XXIV

Der Leierman



Drüben hinterm Dorfe steht ein Leiermann
und mit starren Fingern dreht er, was er kann.
(Al limitare del paese c'è un uomo con l'organetto;
con le dita indurite gira la manovella.)
[1]

Gran Bretagna, 13-14 aprile 2002


A Severus sembrava che le giornate trascorressero calme e pacifiche dopo quel primo bacio sotto il ciliegio solitario. Da allora, si erano concentrati sulla futura partenza per la Francia e sul luogo dove andare a vivere. Ygraine aveva gestito i contatti con l’agenzia immobiliare e, alla fine, avevano trovato un’abitazione piuttosto isolata, vicino a Villandry.
Ogni sera si separava da Ygraine e tornava nella solitudine di Spinner’s End e ogni giorno si recava nuovamente nel Kent e viveva quei momenti di una pace che non aveva mai sperimentato prima. Non era soltanto la consapevolezza di essere amato da Ygraine a renderli tali, ma, forse, il modo in cui quelle giornate trascorrevano quiete, insieme alla giovane donna o a Rebecca che si sistemava fra loro o si sedeva sulle sue ginocchia. E in quei momenti tranquilli riusciva quasi a vedere il futuro che avrebbe vissuto accanto alla bambina che considerava una figlia e alla donna che amava.
Tuttavia, quella pace inusitata, quella tranquillità lo rendeva, a volte, inquieto. Temeva che quella pace, che quell’improvvisa e insperata calma potessero spezzarsi da un momento all’altro.
Anche quella sera, mentre sedeva su una panchina da giardino, fuori dalla casa degli Ainsworth, con Ygraine rannicchiata contro di lui, il capo posato sulla sua spalla, non riusciva a togliersi dalla mente che tutto potesse finire. Si trattava semplicemente del fatto di non aver mai sperimentato nulla del genere in tutta la sua vita e, ora che era riuscito ad afferrare qualcosa di molto simile alla pace che aveva sempre cercato, non riusciva ad impedirsi di temere di perderla.
Un tempo, quando aveva rischiato quotidianamente la vita, non aveva avuto nulla da perdere, se non la propria esistenza e, all’epoca, era tale il disgusto che provava per sé stesso e che voleva che gli altri provassero per lui da non importargli nulla della morte, da desiderarla quasi.
E le cose non erano cambiate molto quando si era ritrovato vivo. Non era più presente il rischio quotidiano, ma era rimasto il disgusto e l’odio. In quei giorni, dopo aver confessato i propri sentimenti a Ygraine e averne ricevuto una risposta insperata, si rendeva conto di non odiarsi più, di non provare più disgusto quando ripensava al suo passato.
Nulla avrebbe cancellato le sue colpe, ma aveva iniziato, lentamente, a mettere ogni sua minima azione in prospettiva, ad analizzarla con mente fredda. Sentiva sempre gravoso il peso di quello che aveva compiuto, ma riusciva a sentire anche il dolce sollievo del perdono e non era più soltanto il perdono che gli donava Ygraine, ma anche quello che stava lentamente concedendo a sé stesso.
La giovane donna si mosse leggermente al suo fianco, stringendosi maggiormente a lui.
Non era la prima sera che trascorrevano nel giardino dei signori Ainsworth. Era diventato una specie di rituale. A volte parlavano, a volte rimanevano in silenzio, come in quel momento, in cui Severus si concesse di assaporare la pace, nonostante quel senso di inquietudine.
Era consapevole, d’altronde, come quell’inquietudine, fosse dovuta anche alla mancanza di notizie circa il suonatore di organetto. Sperava soltanto che Potter ricevesse al più presto una risposta alla lettera che aveva inviato, perché, allora, anche la questione del suonatore di organetto sarebbe stata risolta, perché, allora, forse, il suo animo sarebbe stato meno inquieto.
«Cosa ti preoccupa, Severus?»
La voce di Ygraine era poco più di un sussurro che si perse nel crepuscolo di quel giorno di aprile. La giovane donna si era staccata da lui, forse per cercare di osservare il suo viso, illuminato dalla tenue luce che gli Ainsworth avevano posto in giardino.
«So che avrei dovuto parlartene prima», Ygraine cercò di osservarlo in volto, ma la luce era fioca e Severus risultava in ombra. «Il suonatore di organetto non è nessuno dei due che sono stati arrestati.»
La giovane donna tentò di non farsi prendere dal panico, di non pensare che un complice di Jane e Taylor era ancora libero. Si rannicchiò di nuovo contro Severus e si sentì più tranquilla quando il mago la strinse maggiormente contro di sé.
«Credo di aver capito chi sia, ma mi serve un unico particolare per confermarlo.»
«E quando avrai quel particolare, lo denuncerai?»
A Ygraine parve che il silenzio la cullasse per qualche lento momento, mentre Severus posava un bacio lieve sulla sua fronte.
Poi l’uomo iniziò a parlare e le spiegò i suoi sospetti. La giovane donna sperò che avesse torto, che si fosse sbagliato, ma era certa che Severus aveva riflettuto a lungo sulla questione e che quella fosse l’unica reale risposta all’identità del suonatore di organetto. E mentre il mago parlava, Ygraine riuscì anche a comprendere per quale motivo Severus volesse parlare con lui e quella consapevolezza le permise di ammirare ancora di più l’uomo di cui si era innamorata e che, contrariamente alle sue convinzioni, la riamava.
Il silenzio tornò a cadere su di loro, quando Severus smise di parlare, ma la quiete fu ben presto rotta dall’apparire del Patronus di Harry che pronunciò poche parole - la lettera è arrivata - che fecero improvvisamente preoccupare la giovane donna.
Nessuno dei due disse nulla, per qualche tempo, e furono silenziosi anche quando si alzarono dalla panchina e andarono verso l’ingresso. Severus avrebbe potuto Smaterializzarsi anche da lì, ma aveva notato fin da subito l’occhio attento della signora Honeychurch e quello altrettanto vigile della sua concorrente per quel che riguardava i pettegolezzi del paese. Avevano già entrambe fermato più volte mamma per chiedere chi fosse l’uomo misterioso – perché non del villaggio – che pareva ronzare intorno a casa loro.
Quando furono sulla soglia, come ogni altra sera, si baciarono e, come le altre sere, Ygraine rimase per qualche istante ferma, osservando Severus che si allontanava lungo la via. Ma quella notte non riuscì a dormire sonni tranquilli, come le era capitato le altre volte. Si dibatté in un succedersi di incubi orribili in cui Severus soccombeva di fronte al suonatore di organetto e, quando si svegliò all’alba, non riusciva a togliersi dalla mente l’immagine di Severus che moriva a causa di una ferita al ventre, mentre lei lo teneva tra le braccia e tentava inutilmente di fermare il sangue.
Rebecca sembrò sentire la sua preoccupazione perché rimase rannicchiata contro di lei, mentre le spiegava che cosa avesse imparato il giorno scorso con il nonno. E quando, più tardi, nel primo pomeriggio, Severus entrò in caso, Ygraine lo abbracciò e le parve di starsi sincerando che l’uomo fosse veramente lì, davanti a lei.
Soltanto, allora, si tranquillizzò e fu felice quando uscì dalla casa dei genitori insieme al mago, dopo che Rebecca andò nello studio del nonno per studiare francese.
Camminarono uno accanto all’altro, fino alle ultime case del villaggio e poi lungo il sentiero che avrebbe portato fino alla casa abbandonata degli Hancock e di lì fino al ciliegio dove si erano baciati la prima volta. Erano passati pochi giorni da allora, ma, a volte, la giovane donna non riusciva quasi a credere di essere amata da Severus. Si era detta per troppe settimane di non avere alcuna speranza che faticava ancora ad afferrare pienamente che il mago l’amava.
Eppure, in quel momento, mentre avanzano l’uno accanto all’altro, la mano di Severus nella sua, la verità di quelle parole la avvolgeva come un manto.
«Stamattina ho parlato con Potter», disse l’uomo, rompendo il silenzio di quella giornata nuvolosa. «Tra due giorni avverrà l’incontro.»
Severus sentì la mano di Ygraine tremare nella la sua. Forse avrebbe dovuto tacere, ma non voleva nasconderle nulla. Era qualcosa che aveva immaginato da bambino, prima ancora di incontrare Lily. Aveva sognato un matrimonio tranquillo, basato sulla fiducia e sulla sincerità e, ora che aveva trovato una relazione come quella che aveva vagheggiato allora, non voleva iniziare a mentire a Ygraine.
«Mi prometti che non correrai rischi inutili?»
Mentre parlavano erano giunti ad un bivio del sentiero. Sulla loro sinistra si ergeva la casa abbandonata degli Hancock, mentre alla loro destra iniziava la stradina che portava al ciliegio solitario. Severus si fermò e si voltò ad osservare il volto della giovane donna, con i suoi occhi sempre così espressivi, che manifestavano l’amore, la fiducia e la preoccupazione che stava provando in quel momento.
«Non intendo far altro che parlargli. Sai perfettamente che…», Ygraine sobbalzò quando la voce del mago fu interrotta dalle note dissonanti di un organetto.
«Severus…»
Il volto di Ygraine era pallido, mentre la melodia di morte si diffondeva nell’aria solitamente silenziosa di quell’angolo di campagna. L’uomo prese in mano la bacchetta, mentre si guardava rapidamente intorno, in cerca della sagoma del suonatore. Lo individuò non molto lontano dal ciliegio sotto il quale le aveva dichiarato il suo amore. Doveva mettere al sicuro Ygraine, un’impresa tutt’altro che facile, considerando che erano allo scoperto e che il suonatore si trovava in una posizione di vantaggio.
Per un breve istante la musica si interruppe.
Severus si gettò a terra, trascinando con sé Ygraine, coprendo il corpo della giovane con il suo. L’incantesimo, lanciato dal suonatore, andò a perdersi contro le pareti della casa degli Hancock. Non aveva nemmeno idea di quale incantesimo avesse intenzione di lanciare, ma gli era apparso chiaro che avesse interrotto la melodia per mettere mano alla bacchetta. Probabilmente non aveva idea di come incantare uno strumento musicale o, forse, non ci aveva pensato. Avrebbe anche potuto contrattaccarlo, ma non voleva rischiare in alcun modo che Ygraine potesse essere colpita.
«Ti sei fatta male?»
Ygraine scosse il capo, senza osare dire una parola. Forse si era sbucciata le ginocchia, ma non le importava, non mentre il suonatore ricominciava a far risuonare della sua nenia di morte i campi intorno a loro. Non seppe cosa accadde, ma sentì nuovamente la musica fermarsi.
«Corri verso la casa degli Hancock.»
Il tono della voce di Severus era colmo di urgenza e Ygraine non pensò nemmeno a ribattere, a dirgli di stare attento, di raggiungerla. Gli obbedì unicamente, la porta della casa era ancora aperta, come l’aveva travata alcuni giorni prima. Si lasciò scivolare per terra, appena oltre l’uscio. Da fuori non si sentiva nulla, né la musica, né le voci. Aveva visto diverse volte Severus usare la magia per sapere che non pronunciava gli incantesimi ad alta voce, ma non aveva idea se lo stesso potesse dirsi per il loro assalitore.
Quel silenzio la inquietava e riuscì a sentirsi sollevata soltanto quando Severus entrò a sua volta nella casa.
«L’ho solo rallentato», disse l’uomo, osservandola negli occhi. «Cerca una porta sul retro, Ygraine, e torna a casa.»
«Severus…»
«Promettimi una sola cosa, Ygraine… se le cose dovessero andare male… promettimi che non rimarrai ancorata nel passato, che riuscirai ad amare nuovamente.»
«Severus… possiamo fuggire entrambi, non è necessario che…»
«Invece lo è», avrebbe voluto stringerla fra le braccia e Smaterializzarsi a casa degli Ainsworth, ma non sarebbe servito a nulla, se non a posticipare il momento in cui avrebbe dovuto avere a che fare con il ragazzo. Il piano studiato con Potter era andato in fumo e dubitava che fosse realizzabile ormai. «Promettimelo, Ygraine.»
«Te lo prometto… ma tu tornerai… sono sicura che lo farai…»
Le prese il volto fra le mani e la baciò con passione, prima di staccarsi da lei e uscire.
Il ragazzo aveva agito come si era aspettato e aveva perso tempo a spegnere le fiamme che avevano avvolto l’organetto, ma si era fatto più vicino, la bacchetta in pugno, per quanto a Severus sembrasse che gli stesse tremando leggermente la mano.
Si trovava ormai al bivio, dove si erano fermati lui e Ygraine pochi minuti prima.
Non gli ci volle molto per respingere il primo degli incantesimi del ragazzo e per disarmarlo, mentre il cielo si faceva grigio e alcune volute di fumo si alzavano da quel che era rimasto dell’organetto.
«Mi ucciderai, adesso, come hai fatto con la mia famiglia?»
«Non ho nessuna intenzione di ucciderti, William», affermò Severus, avvicinandosi al ragazzo, fino a quando non gli fu di fronte. «Così come non ho mai desiderato la morte della tua famiglia.»
«Non è vero… non è vero», ribatté il ragazzo. «Ho sentito la tua voce quella notte. L’ho riconosciuta chiaramente e… e quando sono entrato nella casa erano tutti morti. Mamma, papà, Annabel e il piccolo Luke.»
William Berenger si odiò per come gli stesse tremando la voce, per come fosse stato facile all’altro mago disarmarlo e per la paura che lo stava attanagliando in quel momento. Zia Jane gli aveva detto che Piton avrebbe tentato di discolparsi, che non doveva fidarsi di un uomo che era riuscito ad ingannare anche Harry Potter.
«Lo so», almeno quella volta quel maledetto assassino non aveva pronunciato il suo nome. «Ma non ti sei mai chiesto come tu sia riuscito a sopravvivere quella notte?»
«Sono caduto nel capanno degli attrezzi. Ero sul punto di uscire, ma sono inciampato e ho sbattuto la testa. Quando sono tornato in me, non c’era più nessuno. Non so chi fossero gli altri, ma so che tu eri presente, Piton. Era impossibile non riconoscere una voce che avevo sentito per quattro anni…»
Non lo disse, ma Pozioni era stata la sua materia preferita e gli era dispiaciuto quando, durante il suo quarto anno, il professore era cambiato. Per quanto in pochissimi avessero condiviso la sua opinione, a lui piaceva avere Piton come insegnante in quella particolare materia. Lo aveva stimato, anche. Invece, l’uomo aveva ucciso e torturato la sua famiglia.
«Ed è qui che ti sbagli. Se hai sentito la mia voce è soltanto perché ci eravamo avvicinati al capanno degli attrezzi. Li ho convinti ad andare verso la casa, mentre io controllavo che non ci fosse nessuno», il ragazzo era pieno di rabbia e gli si era avvicinato, mentre parlava. Lo sguardo di William Berenger doveva essere in tutto e per tutto simile al suo, quando aveva scelto di diventare un Mangiamorte. Era per quello che aveva deciso di parlargli, perché non voleva che quel ragazzo, a mala pena ventenne, commettesse i suoi stessi imperdonabili errori. «Ti ho schiantato e ti ho chiuso lì dentro. Se avessi potuto, avrei salvato anche tua sorella e tuo fratello e i tuoi genitori.»
«Non è vero… zia Jane sa che sei un bugiardo. Me l’ha ripetuto molte volte.»
«E tua zia ti ha anche fatto credere che uccidere due persone innocenti fosse necessario per vendicare la morte dei tuoi cari?»
William non lo avrebbe mai ammesso con Piton, ma lui non era mai stato d’accordo con quella parte del piano, nonostante la zia gli avesse ripetuto più e più volte che era un passo necessario se volevano farla pagare all’unico degli assassini dei suoi familiari di cui conoscevano l’identità. Cristopher avrebbe voluto fare del male anche alla bambina, ma su quel punto lo erano stati ad ascoltare.
«E ti ha anche detto che era giusto torturare un’altra persona innocente?»
«La tua puttana aveva causato un grande dolore a mia zia.»
Severus non reagì alle parole del ragazzo. Sapeva che era la Stanton a parlare, ad avergli inculcato l’idea che il rapporto tra lui e Ygraine fosse così triviale. Eppure, nello sguardo di William riuscì a leggere il dubbio, per quanto fosse sommerso dalla rabbia e dal desiderio di vendetta.
«Eppure, Ygraine non aveva fatto nulla di male né a te, né alla tua famiglia. Non avevate motivo di farle bere quella pozione. Ti hanno detto quali erano i suoi effetti?»
Il ragazzo scosse il capo e subito dopo si diede dello stupido per averlo fatto. La zia l’aveva messo in guardia di fronte alle capacità persuasive di Piton, quando gli aveva spiegato cosa dovesse fare nel caso in cui il piano che avevano messo a punto, quando non erano riusciti ad accusare Piton dei due omicidi al museo, fosse fallito. Era stata lei a indicargli dove vivessero i genitori della signorina Ainsworth, quando le aveva fatto presente che la cantante non sembrava più trovarsi a Londra. E aveva avuto modo di seguire i movimenti della giovane donna e dell’uomo, aspettando con pazienza che si allontanassero dalla casa e dal villaggio.
«Causa un dolore indicibile, mentre logora le corde vocali di chi l’ha bevuta. Se non fosse stato trovato un antidoto, Ygraine sarebbe morta.»
William non disse nulla. Non poteva riflettere troppo su quello che aveva appena detto Piton, non quando era stato lui a distillare la pozione per la zia e Cristopher. Non si era nemmeno chiesto a cosa servisse. O forse era stato certo che fosse destinata a Piton perché sarebbe stata una vendetta perfetta, sapere che un pozionista sarebbe stato distrutto da una pozione. Se quello che l’uomo gli stava dicendo era vero, aveva, invece, creato qualcosa che aveva fatto soffrire una giovane donna che non gli aveva fatto nulla.
Sua zia, però, l’odiava e zia Jane gli era stata sempre vicino da quando erano morti i genitori. Era stata lei a convincere la famiglia di sua madre a lasciarlo andare in Spagna con i nonni paterni, non appena la guerra era finita. Era stata lei a vegliare su di lui quando non riusciva a dormire nelle settimane successive alla morte dei genitori e dei fratelli.
Doveva molto alla zia e a Taylor
Aveva pianto la morte della donna, quando era arrivata la notizia ai nonni materni. Non sapeva cosa fosse accaduto, ma era certo che la zia non avesse retto all’orrore di sapersi in prigione, quando Piton era libero, nonostante il male che aveva fatto.
Ignorò la voce che gli diceva che anche la donna aveva fatto del male, che non era mai stato necessario nuocere alla giovane cantante.
Eppure, zia Jane odiava Ygraine Ainsworth, anche se William non credeva che la giovane donna fosse realmente colpevole del suicidio del fratello.
Quanto a lui, la riteneva una sciocca che si era infatuata del peggiore degli uomini, dell’uomo che l’aveva privato della sua famiglia.
Un tuono ruppe il silenzio, che era calato tra i due maghi, e che sembrava avvolgere minaccioso l’intera campagna inglese.
Ygraine tremò a quel rumore improvviso.
Dopo che Severus era uscito, non era riuscita a muoversi. Riusciva soltanto a sentire ancora le mani dell’uomo sul volto e le sue labbra sulle sue.
Le era sembrata troppo simile ad un bacio d’addio e lei non voleva che lo fosse.
Forse avrebbe dovuto insistere maggiormente, ma sapeva per quale motivo Severus volesse parlare con William Berenger. L’aveva capito non appena le aveva rivelato l’identità del suonatore di organetto.
E lo ammirava per quello.
E lo amava per quello.
Sbirciò dalla finestra che si trovava accanto alla porta e vide che Severus era ancora fermo, in piedi, davanti al ragazzo. Sapeva che sarebbe dovuta andare via, ma non riusciva a farlo. Forse, credeva che, se fosse rimasta, a Severus non sarebbe accaduto nulla di grave.
Un altro tuono rombò sulla campagna del Kent, minaccioso, mentre le nubi sembravano diventare più cupe, cariche com’erano di pioggia.
«So cosa stai cercando di fare, Piton. Vuoi convincermi delle tue menzogne, ma io non sono la signorina Ainsworth che devi aver ingannato a tal punto che non si è mai allontanata da te.»
William era vicino all’uomo, più vicino di quanto non si fosse aspettato. Mentre intorno a loro il vento scuoteva l’erba e i rami degli alberi solitari che punteggiavano i campi, mise una mano in tasca, cercando di trovare lucidità e freddezza.
«Non pretendo che tu mi creda, William», al ragazzo sembrò di udire una nota sorda nella voce di Piton, quasi che l’uomo stesse provando qualcosa di simile al rimpianto, ma non doveva lasciarsi ingannare, si disse. «Vorrei soltanto che tu ti chiedessi se tutta la sofferenza che avete causato sia servita a qualcosa, Nulla potrà riportare in vita i tuoi cari.»
William non voleva sentire quelle parole.
Sapeva che erano vere, che, a volte, quando Jane e Cristopher avevano progettato l’omicidio dei due Babbani, le aveva pensate lui stesso.
Per qualche breve attimo esitò, ma poi si disse che era proprio quello che l’uomo voleva, che non doveva dar retta all’assassino dei suoi genitori e dei suoi fratelli.
Sapeva anche che nulla glieli avrebbe ridati, ma poteva vendicarli. Estrasse lentamente il pugnale dalla tasca.
Fece per sferrare il colpo, ma sentì una mano stringergli il polso. William cercò di divincolarsi, di muovere la mano e di affondare la lama, ma la presa di Piton era più forte di quanto si sarebbe aspettato. L’uomo gli torse leggermente il polso, facendogli mollare la presa. Il pugnale cadde a terra con un tonfo sordo.
La presa di Piton si allentò un attimo e William ne approfittò per gettarsi per terra. Sperava quasi di trascinare l’altro mago con lui, ma l’uomo lasciò andare la presa. Quando raggiunse il luogo dov’era caduto il pugnale, il ragazzo si diede dello stupido. Piton aveva avuto tutto il tempo per far schizzare il pugnale dal suolo e farlo finire tra le sue mani.
Aveva fallito, si disse.
«Alzati», Severus allungò la mano che non teneva la bacchetta verso il ragazzo. Non credeva che William la accettasse, ma sperava che quel gesto gli facesse almeno capire che lui non aveva alcuna intenzione di fargli del male. «Ti sei almeno chiesto per quale motivo abbia deciso di parlarti invece di schiantarti, legarti e chiamare gli Auror?»
«Non sono in grado di seguire il ragionamento di un assassino.»
Il ragazzo continuava a rimanere in terra, senza osare alzare gli occhi verso Piton. Sapeva di aver parlato con odio, di essere lui stesso complice di due assassini, ma non voleva pensarci.
Zia Jane e Cristopher avevano sempre messo logicamente a tacere le sue proteste e loro erano due persone che lo avevano sempre amato. Taylor era stato il migliore amico dei suoi genitori e lo aveva visto molte volte nella loro casa. Era stato a lui, prima ancora che ai genitori, che aveva confidato il suo sogno di diventare, un giorno, Guaritore.
Un rombo di tuono infranse nuovamente il silenzio, mentre William si metteva in ginocchio. La mano di Piton era ancora tesa verso di lui, ma il ragazzo quasi non la vide, mentre affondava con forza il coccio di vetro appuntito, che aveva trovato per terra, nella gamba dell’uomo.
Quando il mago vacillò e cadde in ginocchio davanti a lui, si sentì incredibilmente potente.
Sperò che il vetro si fosse infilato in profondità, che Piton lasciasse andare la bacchetta, di riuscire in qualche modo a riprendere almeno il pugnale o la bacchetta, che l’uomo gli aveva sottratto.
Quello era solo il primo passo per fare quello che aveva progettato con Jane e Cristopher.
E mentre cercava di capire come colpirlo ancora, quasi non sentì un urlo echeggiare nella campagna, né si rese conto che qualcuno di stava avvicinando correndo.
«Severus…», William quasi sobbalzò quando sentì una voce femminile. La signorina Ainsworth sembrava essere comparsa dal nulla ed era inginocchiata accanto a Piton.
«Non dovresti essere qui, Ygraine», nella voce dell’altro mago non c’era nessuna traccia di rimprovero, notò il ragazzo.
«Ti ho visto cadere… pensavo...»
William rimase inebetito, senza nemmeno ascoltare le altre parole che vennero scambiate, mentre la giovane donna aiutava Piton a rialzarsi in piedi. Il sangue bagnava i pantaloni dell’uomo, dove aveva affondato il vetro. Si rialzò a sua volta. Non aveva alcuna possibilità, si disse, a meno che non riuscisse a distrarre l’altro mago, usando la signorina Ainsworth.
Poteva essere un buon piano, ma non riuscì nemmeno a chiedersi come potesse metterlo in pratica.
Non riusciva a distogliere lo sguardo dal volto della giovane donna, dal modo in cui stava aiutando il mago a non far gravare il proprio peso sulla gamba ferita. Alcune lacrime bagnavano il volto della Babbana, ma non furono queste a colpirlo, né il fatto che Piton non gli aveva scagliato contro alcun incantesimo, dopo quello che aveva fatto.
Era piuttosto il modo in cui la signorina Ainsworth stava osservando l’altro mago, che lo fece indietreggiare di un passo.
Anche mamma aveva guardato in quel modo papà.
E non era affatto quello che gli aveva detto zia Jane.
Non era lo sguardo infatuato di una sciocca, ma uno sguardo innamorato.
«Perché lo hai colpito, quando Severus non ti ha torto un capello?»
La voce della giovane donna era stranamente ferma, notò William, nonostante le lacrime che le rigavano il volto e lui non sapeva nemmeno cosa risponderle.
L’aveva fatto per vendicare la sua famiglia e, se ne avesse avuto la possibilità, lo avrebbe colpito ancora al ventre e al petto, ma, in quel momento, mentre vedeva quella Babbana minuta aiutare l’altro mago a reggersi in piedi, mentre vedeva il volto di Piton farsi più pallido di quanto non fosse, mentre le prime gocce di pioggia iniziavano a cadere su di loro, non seppe cosa rispondere.
«Io…», provò a dire, ma non riuscì a fare altro che a fissare le mani macchiate del sangue che doveva essere schizzato dalla ferita che aveva inferto a Piton.
«So che volevi vendicare i tuoi familiari», Severus concentrò tutta la sua attenzione sul volto del ragazzo. Mente prima aveva notato un lieve dubbio nel suo sguardo, in quel momento poteva vedere quanto questo lo stesse rodendo. «Hai ogni ragione per odiarmi e non ho mai preteso che tu potessi perdonarmi per quel che è accaduto, né che tu potessi credermi, quando ti ho detto quel che ti è accaduto quella notte.»
«Aspettavi che perdessi la testa, che ti colpissi… così ora hai… così puoi denunciarmi…»
«Ti sbagli, William. Voglio unicamente impedirti di compiere i miei stessi errori.»
La pioggia stava cadendo copiosa sulla campagna inglese, lavando le lacrime di Ygraine e il sangue che colava dalla ferita alla gamba. Il vetro era conficcato in profondità e Severus sapeva che non poteva ignorarne oltre il dolore, né poteva continuare ad appoggiarsi in parte alla giovane donna.
Quando l’aveva vista correre verso di loro, aveva temuto che Berenger potesse trovare il modo di colpirla, ma il ragazzo sembrava aver perso ogni contatto con la realtà, dopo che era riuscito a coglierlo di sorpresa afferrando un vetro dal terreno. Sapeva che avrebbe dovuto rimproverarla per non essere corsa al sicuro, ma non riusciva a non essere grato per la sua presenza al suo fianco, in quel momento.
«Io…»
«Cos’hai provato quando mi hai colpito?»
Severus sentiva le gambe cedergli, ma lottò con sé stesso per rimanere fermo, in piedi, senza appoggiarsi troppo pesantemente a Ygraine. Aveva subito di peggio, in passato, si disse.
«Mi sono sentito potente per qualche attimo, quando l’ho vista cadere.»
Un fulmine squarciò il cielo, seguito da un tuono vigoroso. Severus sentì Ygraine stringersi maggiormente a lui, mentre la pioggia sembrava farsi, se possibile, più violenta.
E quel fulmine fu ben visibile anche dalle finestre della casa degli Ainsworth. Rebecca rabbrividì, mentre lo osservava dallo studio del nonno.
«Credi che la zia e Severus siano ancora là fuori?»
«Forse hanno trovato un riparo, mentre tornavano a casa», rispose il nonno, ma la bambina non riuscì a togliersi dalla mente che stesse accadendo qualcosa di brutto.
Avrebbe voluto che Severus e la zia non fossero usciti per fare una passeggiata. Quando lo avevano fatto era stata felice. Le piaceva vedere l’uomo che considerava come un padre e zia Ygraine così palesemente innamorati. Non vedeva l’ora di andare in Francia, nella casa che avevano scelto, di vivere con quella nuova famiglia.
Non pensava nemmeno più a Gawain e Margaret, se non in rarissime occasioni, e, quando lo faceva, non li rimpiangeva, perché il suo nuovo papà era di gran lunga migliore di quello vecchio e la sua nuova mamma era più paziente di quanto la vecchia non fosse mai stata.
«Non dovremmo andarli a cercare?»
«Non credo che sia necessario, Rebecca», Alfred Ainsworth sorrise rassicurante alla nipote, anche se in realtà era preoccupato.
Quel temporale era particolarmente violento e gli sembrava strano che il signor Piton non avesse usato quel modo di viaggiare magico di cui gli aveva parlato la figlia un giorno, prima che lui avesse riconosciuto nell’uomo, la persona che portava i fiori sulla tomba degli Hancock. Ma forse non era sicuro utilizzare quella magia con la pioggia, si disse, per rassicurarsi.
D’altronde, era certo che il signor Piton non avrebbe mai messo in pericolo Ygraine.
Anche se nessuno dei due aveva detto nulla, si era accorto di come fosse cambiato il loro rapporto, di come l’amore represso in entrambi fosse ora visibile. Era impossibile non notarlo nel suo piccolo usignolo, mentre era più discreto nell’uomo, ma, osservandolo con attenzione, si notava che il suo volto si addolciva quando guardava Ygraine, così come accadeva con Rebecca, anche se per ragioni totalmente diverse.
Un altro lampo illuminò la campagna, facendo baluginare per un istante le luci elettriche e quel lampo per poco non colpì il ciliegio presso il quale si trovavano i resti anneriti dell’organetto, ma Ygraine quasi non lo notò, mentre aiutava Severus a sedersi in quello che era stato il salotto della casa degli Hancock, l’unica stanza che avesse ancora i vetri alle finestre.
William Berenger non aveva fiatato, quando lei aveva proposto di trovare un riparo. L’aveva aiutata, sempre senza dire una parola, a sorreggere Severus, fino a quando erano entrati in quella stanza, con la sua unica sedia in un angolo.
Il cielo era talmente buio che sembrava quasi notte. Un altro lampo illuminò la stanza, rendendola quasi spettrale, mentre Ygraine sentì i vestiti asciugarsi rapidamente. Poco dopo una luce si irradiò dalla bacchetta di Severus, illuminando meglio anche la ferita alla gamba.
«Quello che hai provato, William», le parole dell’uomo sembrarono rimbombare nella stanza, la stessa stanza dove Ygraine sapeva che erano morti gli Hancock. Posò una mano sul braccio di Severus per quello che quel luogo rappresentava e per le parole dolorose che avrebbe dovuto pronunciare per aiutare quel ragazzo smarrito. «Quel senso di onnipotenza, lo conosco bene e l’ho provato in passato e, quando mi sono reso conto di quel che avevo fatto, è stato troppo tardi perché non si possono riportare in vita coloro a cui la si è tolta.»
Il ragazzo si era seduto di fronte al professor Piton e alla giovane donna. Non sapeva cosa rispondere a quelle parole. Zia Jane e Cristopher non gli avevano mai detto nulla del genere. Al contrario, gli avevano fatto credere che uccidere fosse, a volte, un male necessario.
In quel momento, si sentiva totalmente spaesato, come una bambola di pezza scossa da un vento simile a quello che stava soffiando feroce al di fuori di quella casa abbandonata.
«Io… zia Jane mi aveva rassicurato… Cristopher…»
«Ti hanno detto unicamente delle menzogne. Uccidere ti distrugge lentamente, ma inesorabilmente… e non importa il motivo per cui lo si fa», lo interruppe Severus. «Ci si può anche dire che lo si fa per una giusta causa, ci si può convincere della sua necessità, ma il tuo animo ne uscirà lacerato. So che sei arrabbiato e posso capire la tua rabbia. Posso anche comprendere per quale motivo mi volevi uccidere con quel pugnale. Non posso nemmeno condannarti per questo. Non sono riuscito a salvare i tuoi genitori, non ho potuto fare nulla perché i miei compagni non torturassero i tuoi fratelli. L’unica cosa che sono riuscito a fare è stato uccidere Annabel, per evitarle altra sofferenza. Se avessi potuto, li avrei messi in salvo, come ho fatto con te.»
Ygraine sentì le lacrime pungerle gli occhi, ma le ricacciò indietro. Il nipote di Jane, invece, stava piangendo e, in quel momento, sembrava molto più giovane dei suoi anni, ma doveva essere terribile scoprire di essere stato ingannato da chi avrebbe dovuto, invece, proteggerlo.
Jane e Taylor avevano voluto bene ai genitori di William e avrebbero potuto dargli un supporto, invece lo avevano solamente danneggiato. Non l’avevano aiutato, come avrebbero dovuto, a vivere il lutto, a cercare un conforto, ma avevano alimentato la sua rabbia fino a coinvolgerlo in quel piano di vendetta.
«E i miei genitori? E Luke?»
«Ho dovuto scegliere uno di loro.»
William sentì chiaramente il rimorso nella voce dell’uomo e si chiese come avesse fatto a dare retta a sua zia, come avesse fatto a non porsi nemmeno una domanda sul modo in cui era sopravvissuto quel giorno.
Aveva quasi colpito il professor Piton, avrebbe potuto anche ucciderlo con il pugnale, se l’uomo non l’avesse fermato. E l’aveva comunque ferito.
Non voleva nemmeno pensare a quello che avrebbe potuto subire Annabel se l’altro mago non l’avesse uccisa.
Si asciugò le lacrime con il dorso di una mano, mentre cercava qualcosa da dire, ma ogni parola gli sembrava inutile. Come avrebbe potuto chiedere perdono a quell’uomo che aveva appena rischiato la vita per farlo ragionare?
«Dobbiamo curarle la gamba, professore.»
«Prendi», William deglutì a vuoto, quando l’uomo gli porse la bacchetta che gli aveva sottratto, dopo aver posato a terra la sua, che, con un Lumos particolarmente potente, illuminava la stanza. «Conosci l’incantesimo con cui estrarre quel vetro?»
Il ragazzo scosse il capo. Aveva frequentato gli ultimi due anni in una scuola magica in Spagna, ma la sua mente era stata così colma di rabbia, da non impegnarsi realmente ed ottenere risultati pessimi in tutti i voti finali, con la sola eccezione di Pozioni e Trasfigurazione. Un tempo, aveva sognato di diventare un Guaritore. In quel momento, non sapeva nemmeno quale sarebbe stato il suo destino.
Cercando di vincere l’orrore per quello che aveva fatto, scoprì la ferita dell’uomo e notò che il vetro si era conficcato a fondo, come lui, ricordò con disgusto, aveva sperato che accadesse. Si tirò indietro, mentre la stanza diventò improvvisamente buia, dopo il Nox di Piton. William si avvicinò nuovamente all’uomo e pronunciò un incantesimo che non si era immaginato di dover usare quel giorno. La punta della sua bacchetta spandeva una luce più debole di quella evocata dal professore, ma il ragazzo credeva che bastasse. Non seppe come l’uomo riuscì a non emettere nemmeno un gemito, mentre estraeva da solo il pezzo di vetro appuntito che lui gli aveva conficcato nella gamba.
«Severus…», la voce di Ygraine ruppe, gentile, il silenzio. Severus sentì la giovane donna tamponare la ferita con un pezzo di tessuto. William Berenger stava osservando con orrore il pezzo di vetro che era caduto con un tonfo per terra, sporco del suo sangue, che aveva appena estratto dalla sua gamba, per quanto sarebbe stato preferibile che quell’incantesimo fosse eseguito da un’altra persona.
«Immagino tu non conosca nessun incantesimo di guarigione», il ragazzo scosse nuovamente il capo. «Osserva con attenzione.»
I libri sconsigliavano di auto-medicarsi con la magia, ma Severus aveva iniziato a sperimentare per poter fare da sé. La prima volta era stato a casa, quando suo padre lo aveva gettato contro alcune bottiglie vuote, provocandogli più di un taglio. Non era stato particolarmente preciso, allora, ma con il tempo era migliorato. Scostò gentilmente le mani di Ygraine e con gesti rapidi e sicuri, rimarginò la ferita.
«Pomona aveva detto che volevi diventare Guaritore.»
«Non posso accedere agli studi in tal senso, considerando come sono andati gli esami finali in Spagna.»
«Credo che tu sappia che puoi sostenere nuovamente gli esami finali, sia in Spagna che qui in Inghilterra.»
William osservò con attenzione l’uomo e notò che la signorina Ainsworth gli stava sorridendo e in quel sorriso lesse l’amore che aveva visto quando la donna era arrivata.
«Ma, come potrò diventare un Guaritore, dopo… credevo che zia Jane e Cristopher avessero ragione… io… hanno progettato tutto per anni e, quando mi hanno chiesto di aiutarli… non so perché zia Jane abbia pensato a travestirmi da suonatore di organetto, né perché mi abbia fatto acquistare dei trucchi teatrali per mascherarmi. Ma ero felice che mi avessero coinvolto e ora… avrei potuto ucciderla e sono stato io a preparare quella pozione… la zia…»
«Jane ti ha ingannato», la voce della signorina Ainsworth era incredibilmente calma. William portò lo sguardo su Piton e notò il modo in cui pareva ammirare la giovane donna, il modo in cui sembrava amarla a sua volta. «Ti ha usato per i suoi scopi. Forse credeva veramente di essere nel giusto, ma non avrebbe mai dovuto coinvolgerti. Anche quello che è accaduto oggi, era parte dei suoi piani?»
«Mi avevano detto cosa avrei dovuto fare se loro avessero fallito», Severus notò che il ragazzo si stava fissando le mani. «Io… credevo veramente che fosse la cosa giusta da fare… come posso diventare un Guaritore… avrei potuto ucciderla, oggi, professor Piton.»
«Ma non l’hai fatto.»
«Soltanto perché lei me lo ha impedito… e avrei potuto evitare anche solo di provarci se avessi ascoltato realmente quello che mi stava dicendo.»
Severus riconobbe il senso di colpa nella voce del ragazzo e il rimorso. Forse, poteva impedirgli di commettere un altro dei suoi innumerevoli errori, di rimanere ancorato al passato, di alimentare incessantemente quei sentimenti.
«So che adesso ti sembra impossibile riuscire ad andare avanti e che deve esserti parso così anche dopo la morte dei tuoi genitori. Ti sentivi in colpa per essere sopravvissuto e tua zia ha fatto leva su questo per dare fuoco alla tua rabbia e so che ti senti in colpa anche ora perché sei stato suo complice.»
«Come… come si riesce a superare tutto questo?»
«Non ti mentirò dicendoti che sarà facile, William», Ygraine strinse una mano a Severus. L’uomo le aveva confidato durante una delle loro sere in giardino che aveva iniziato a lasciare andare in parte il senso di colpa, che, forse, sarebbe riuscito a perdonarsi, per quello che di perdonabile c’era. E lei ne era stata lieta, ma poteva comprendere come rispondere a quella domanda sarebbe stato complesso. «Non ti mentirò dicendoti che il tempo guarirà questa ferita, né che ti verrà naturale perdonarti, un giorno. Devi essere consapevole, però, che, non importa quanto tempo ci si impieghi, potrai riuscire a superare quello che provi in questo momento, ma non potrai mai compiere questo cammino da solo. I tuoi nonni ti aiuteranno e…»
«E lei, professore? Potrò scriverle?»
«Se lo riterrai necessario», Severus non era certo di poter essere una buona guida per il ragazzo da quel punto di vista. Era riuscito a impedirgli di precipitare nello stesso abisso in cui era caduto lui, ma non sapeva come insegnargli a perdonarsi, quando lui stesso faticava a farlo.
«Ritiene veramente che potrò diventare comunque un Guaritore?»
L’uomo annuì soltanto, cercando di ignorare il disagio per la gratitudine che era apparsa sul volto di William Berenger. Rimase in silenzio, mentre Ygraine poneva alcune domande al ragazzo, delle domande semplici e quasi banali sul percorso che avrebbe dovuto seguire per diventare Guaritore, ma che sembrarono infondere nel ragazzo una qual certa fiducia nel futuro.
E mentre parlavano, la pioggia iniziò a scemare e un lieve raggio di sole illuminò la stanza.
Quando si alzò in piedi, stando attento a non forzare la gamba che aveva guarito da poco, si chiese se non vi fosse un che di simbolico nell’aver parlato con William proprio nel luogo in cui si era reso conto di quale mostro fosse diventato.
Il ragazzo fu il primo ad andarsene, promettendogli di scrivergli non appena fosse giunto in Spagna presso i nonni paterni.
«So che avrei dovuto fare quello che mi avevi chiesto, ma non ci sono riuscita», mormorò la giovane donna, mentre uscivano dalla casa.
«Sono felice che tu non l’abbia fatto.»
Severus era perfettamente consapevole che, un tempo, non avrebbe mai detto una frase del genere e, probabilmente, non l’avrebbe fatto con un’altra persona. Ygraine meritava unicamente la sua sincerità. D’altro canto, si era reso conto che più i giorni passavano più gli risultava facile parlare con lei ed esprimere quello che provava. Non si sentiva nemmeno vulnerabile quando lo faceva, né inadeguato.
«Quando ti ho visto cadere… ho pensato che ti avesse colpito più gravemente. Ho temuto di dover tener fede alla promessa che ti avevo fatto.»
«Mi dispiace, Ygraine. Non avrei mai voluto…»
«Lo so», lo interruppe la giovane donna, la voce dolce, colma dell’amore che provava per lui.
Non dissero altro, fino a quando non giunsero alla casa degli Ainsworth. Quando aprirono la porta, Rebecca corse loro incontro e tentò di abbracciarli entrambi. Severus lasciò andare la mano di Ygraine e si inginocchiò davanti alla bambina, ignorando il lieve dolore che ancora sentiva alla gamba. La prese in braccio, come aveva fatto quando l’aveva portata via dai suoi genitori, e la portò nel salotto illuminato dalla luce del sole.
Quando si sedette la bambina si sistemò sulle sue ginocchia e Ygraine si sedette al loro fianco. Con una mano la strinse a sé e mentre abbracciava la donna che amava e la bambina che considerava come una figlia, riuscì a credere che gli si apriva davanti un futuro di pace.
E di perdono.

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W. Mueller, Der Leierman (l'uomo dell'organetto), vv. 1-2. La traduzione è stata tratta dal programma di sala di Santa Cecilia

 
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view post Posted on 8/11/2022, 11:33
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Epilogo



Villandry, 8 settembre 2014


La casa sembrava fin troppo silenziosa da alcuni giorni a quella parte e Severus credeva che, se non fosse stato per la voce di Ygraine che stava preparando un nuovo ruolo, quel silenzio gli sarebbe risultato quasi insopportabile.
La musica risuonava anche nel laboratorio, dove stava scrivendo con cura quello che aveva osservato durante l’ultima fase di una ricerca piuttosto complessa di cui il centro di ricerca di Tours l’aveva incaricato. Il brano cantato da Ygraine era decisamente drammatico, come d’altronde si presentava tutta l’opera che avrebbe debuttato a ottobre alla Staatsoper di Monaco di Baviera.
Non si accorse quasi dell’aprirsi della porta e dei passi che gli si avvicinavano.
«Credevo di trovarti insieme alla mamma.»
Rebecca non era più la bambina che aveva tenuto un tempo sulle ginocchia, ma una giovane strega che aveva concluso i suoi studi e che aveva iniziato da qualche mese a collaborare con il centro di ricerca di Tours.
«Ygraine sta provando per la nuova opera.»
«Secondo me, papà, state soltanto cercando di tenervi occupati», affermò la ragazza, avvicinando a lui. «Credo che dovremmo andare, invece, tutti insieme in salotto. Sono certa che la tua relazione sia più che completa.»
Rebecca sorrise quando papà annuì. Le sarebbe piaciuto essere ancora una bambina, in quel momento, per poter accoccolarsi contro di lui, sul divano, con il suo pupazzo preferito tra le mani, mentre leggevano un libro insieme.
Era accaduto ogni sera, fino a quando non era andata a Hogwarts.
«Renaud mi ha fatto notare ieri che in casa nostra ci sono poche foto», disse, quando si sedettero entrambi sul divano. Mamma stava ancora cantando nella stanza dove avevano sistemato il pianoforte quattro anni prima, quando Brigitte, la pianista con cui aveva iniziato a lavorare quando si erano trasferiti, era andata a vivere più vicina ai figli.
«Sai perfettamente per quale motivo non abbiamo molte foto appese alle pareti.»
«Credi che dovrei dirgli che sono una strega?»
Severus notò che Rebecca era arrossita leggermente, ma non se ne stupiva neppure. A voler essere sincero, era stato certo che gli avrebbe rivolto quella domanda ben prima.
«Soltanto se ritieni che sia la cosa migliore da fare.»
«Sono certa di sì. In fin dei conti è stata la prima persona con cui ho fatto amicizia quando ci siamo trasferiti qui.»



Villandry, 3 maggio 2002


A Rebecca la casa sembrava bellissima. Era grande come si era immaginata e circondata da un giardino in cui si aspettava di trascorrere molto tempo con Severus.
Erano arrivati quattro giorni prima e stavano ancora sistemando le ultime cose del trasloco, anche se avere un mago esperto con loro era sicuramente un bene, considerando che aveva messo in ordine tutti i libri con pochi abili colpi di bacchetta.
«Posso andare in giardino?»
Severus e la zia erano in salotto, entrambi intenti a leggere, dopo aver finito di sistemare la cucina e una parte della stanza, nel seminterrato, che sarebbe diventato il laboratorio di pozioni, per quanto, nelle intenzioni di chi aveva costruito la casa, quella avrebbe dovuto essere una parte adibita a sala da pranzo e a stanza dei giochi.
«Naturalmente, Rebecca.»
Ygraine sorrise quando la nipote uscì dalla casa, che si trovava a circa un quarto d’ora di distanza a piedi dal centro di Villandry. La giovane donna si sentiva sfinita, nonostante gran parte del lavoro l’avesse fatto la magia. Chiuse il libro e si rannicchiò contro l’uomo, che l’abbracciò, pur continuando a leggere.
«Credi che Rebecca si troverà bene a scuola?»
Il mattino precedente era andata a parlare con l’insegnante di terza elementare e la donna le aveva consigliato di iscrivere subito la bambina, in modo tale che si ambientasse e potesse imparare meglio la lingua. Era stata decisamente gentile quando aveva risposto alla sua telefonata e aveva accettato di parlare con loro senza troppo preavviso. Aveva dovuto anche spiegare come meglio poteva la situazione di Rebecca, anche se, in quel caso, la presenza di Severus era stata determinante. L’uomo era riuscito a fare apparire tutto incredibilmente semplice, quando, invece, la questione era ben più complicata.
«La maestra sembra una persona che sa il fatto suo», commento l’uomo, chiudendo il libro. «La classe è piccola e Rebecca è tranquilla.»
Severus non aggiunse che riteneva che una bambina, che era riuscita a smuoverlo dal gelo di cui si era circondato, sarebbe stata sicuramente in grado di farsi degli amici. Lo preoccupava di più il momento in cui Rebecca sarebbe partita per Hogwarts, sempre che non decidesse, nel frattempo, di andare a Beauxbatons o in una più piccola scuola di magia che aveva aperto da una decina d’anni a Reims.
«Tra due giorni andrò a parlare con la donna di cui mi ha parlato la fornaia… la pianista», la voce di Ygraine si era improvvisamente fatta incerta. «Mi accompagnerai?»
La giovane donna si era staccata da lui e lo stava fissando con la stessa incertezza che aveva sentito nella sua voce. Nei giorni precedenti alla partenza non avevano avuto tempo di parlare della questione. William Berenger gli aveva effettivamente scritto una lettera non appena era rientrato in Spagna, intorno alla metà di aprile. Gli chiedeva consiglio su come parlare di quello che era accaduto ai nonni, aggiungendo anche alcune domande su come potesse fare a tentare nuovamente l’equivalente spagnolo dei M.A.G.O. Ygraine era con lui, quel giorno, nella casa di Spinner’s End, mentre preparavano i libri per il trasloco, e gli aveva detto che era certa che il ragazzo sarebbe riuscito a superare la manipolazione di Jane e Taylor unicamente grazie a lui. Allora, gli era sembrato che la giovane donna lo sopravvalutasse. E lo credeva ancora, per quanto fosse giunta il giorno prima un’altra lettera da parte del giovane Berenger, accompagnata da un’altra in cui i nonni Babbani del ragazzo lo ringraziavano per quello che aveva fatto per il nipote.
«Naturalmente. Dovrà venire anche Rebecca.»
«Lo so, ma non sono certa di riuscire ad andare da sola.»
Severus baciò Ygraine sulla fronte, sperando di darle il conforto di cui era certo la giovane donna avesse bisogno. Gli sorrise riconoscente, prima di tornare a rannicchiarsi contro di lui, come faceva ogni volta che rimanevano soli. La strinse a sé, mentre si guardava intorno, mentre si rendeva conto, dopo i giorni passati a sistemare la casa, che quella era la sua nuova realtà.
Aveva detto a Potter, quando gli aveva spiegato, brevemente quel che era accaduto con William, che si sarebbe trasferito in Francia. Aveva messo in vendita, con scarse speranze di successo, la casa di Spinner’s End, ma anche, allora, l’idea di trasferirsi in un altro paese, di vivere accanto a Ygraine e Rebecca non l’aveva realmente sfiorato. In quel momento, in cui teneva tra le braccia la giovane donna, sul divano del loro salotto, la realtà di quella nuova e insperata situazione lo colpì improvvisamente.
Ed ebbe altrettanto improvvisamente paura.
Non era più l’inquietudine che aveva provato nel giardino degli Ainsworth, ma la paura irrazionale che, in qualche modo, quella pace prendesse bruscamente fine. Sapeva che era un pensiero senza senso, ma era ben cosciente da dove nascesse quel terrore.
Da anni era stato certo di non meritare alcuna gioia, di non meritare né la pace, né il perdono.
In quel momento, invece, teneva tra la braccia la donna che amava e stava assaporando una felicità quieta, discreta, ma pur sempre presente.
«Sono contenta che tu sia qui con noi, Severus», mormorò Ygraine. «Quando Gawain mi ha affidato Rebecca, non sapeva cosa fare, se non immaginare di chiederti di seguirci, senza avere il coraggio di farlo se non molto più tardi.»
«Però l’hai fatto, Ygraine, e ora…»
Una risata infantile interruppe le sue parole. Poco dopo Rebecca entrò in casa quasi di corsa.
«Ho incontrato un bambino… è il figlio dei vicini. Può venire a giocare qui in casa? Fuori si sta annuvolando.»
«Ha il permesso dei suoi genitori?»
«Certo. Sua mamma sa bene l’inglese… però con Renaud sono riuscita a farmi capire lo stesso.»



Villandry, 8 settembre 2014


«Renaud ti manda i suoi saluti, papà, e ti ringrazia per il regalo che tu e la mamma gli avete fatto per il compleanno.»
«E non può farlo da solo?»
Rebecca scosse il capo, il volto illuminato da un sorriso. Ricordava perfettamente il giorno in cui aveva incontrato il figlio maggiore dei vicini. Renaud frequentava il primo anno di collège, ma era stato molto gentile con lei durante gli ultimi due mesi di scuola. La loro amicizia era sbocciata nel corso dell’estate ed era sopravvissuta durante i setti anni di Hogwarts, nonostante la lontananza e le menzogne che lei aveva dovuto dirgli.
«Credo che sia ancora intimidito da te», il pianoforte e la voce di zia Ygraine si spensero.
«Quello lo era nei primi tempi. Posso assicurati, Rebecca, che, mentre eri a Hogwarts, ha trascorso più di un pomeriggio qui a riempire me o Ygraine di domande su di te.»
La ragazza annuì soltanto. In effetti, Renaud si era fatto nuovamente timido nei confronti di papà in quegli ultimi tempi, soprattutto, da quando, due giorni prima, le aveva chiesto di andare a cena con lui a Tours. Rebecca sperò di non essere arrossita di nuovo, ma credeva che a papà e mamma Renaud piacesse, soprattutto a papà, anche se forse non lo avrebbe mai ammesso, dato che lo stava aiutando nella preparazione dell’agrégation[1] di inglese che Renaud avrebbe provato a sostenere di nuovo l’anno successivo.
«Mamma è bellissima in quella foto.»
Severus non commentò l’improvviso cambio di argomento di Rebecca. Ygraine era certa che Renaud avrebbe chiesto la mano della ragazza entro la fine dell’anno. Severus credeva, invece, che avrebbe aspettato fino al superamento del concorso.
Si concentrò sulla foto che Rebecca aveva indicato. Ygraine aveva i capelli sciolti e indossava un abito bianco, mentre camminava sulla scena. Era la sera del suo debutto in Lohengrin al Festival di Aix-en-Provence e, nonostante le paure, nonostante il panico che l’aveva presa in più di un’occasione durante le prove, era stata magnifica davanti al pubblico.
«E ricordi ancora il tempo trascorso a Aix-en-Provence?»
«Credi veramente che potrei dimenticarmene?»



Aix-en-Provence, 16 luglio 2002


Ygraine era bellissima con il suo abito di scena, candido come la sua anima, e bella era anche la sua risata cristallina. Non lo stava, però, guardando, in quel momento. I suoi occhi nocciola sembravano fissare continuamente il biondo e bel tenore che aveva interpretato Lohengrin.
Severus fece per avvicinarsi, ma dei rovi parvero bloccarlo.
«Credevi veramente di meritarla?», la voce di Lily era particolarmente sgradevole.
«Devo darle ragione, ragazzo mio», Albus lo stava guardando, fissandolo con attenzione. «Come potevi immaginare che un’anima così pura potesse essere tua?»
L’uomo non fu in grado di rispondere.
Riusciva unicamente a guardare Ygraine che si allontanava insieme al tenore biondo, dall’espressione gentile. Accanto a lei camminava Rebecca che non si voltò nemmeno per un misero istante.
«La tua anima è troppo nera per lei, Sev», disse Lily, utilizzando quel diminutivo che non gli era mai piaciuto, per quanto non avesse mai osato dirglielo.
«Sembravi esserne consapevole anche tu, quando ti ho chiesto di uccidermi.»
Severus aprì improvvisamente gli occhi, mentre la voce di Albus si perdeva nel silenzio di quella notte di luglio.
Trasse un lento respiro.
Sapeva perfettamente perché avesse avuto un incubo del genere.
Non era nemmeno la prima volta che gli accadeva di svegliarsi dopo un sogno del genere da quando era andato ad abitare in Francia.
Era la sua paura a farsi sentire, quella dannata paura di essere felice.
O, forse, era semplicemente la paura dell’ignoto.
Abbassò leggermente lo sguardo, mentre le ultime immagini dell’incubo svanivano.
Ygraine dormiva tranquilla, il capo sul suo petto.
I capelli biondi erano raccolti nell’abituale treccia, da cui, però, più di una ciocca era sfuggita.
Non aveva nessun motivo per dubitare del suo amore.
Ma non era nemmeno quella la ragione dei suoi incubi, che andavano a sovrapporsi a quelli vecchi.
Almeno quella notte non l’aveva svegliata.
Le accarezzò lievemente la schiena nuda, quasi a cercare di rassicurarsi di essere degno di lei e della quieta felicità che provava al suo fianco.
Quando avevano iniziato a vivere insieme era stato attraversato anche da altre paure. Era stato solo per troppi anni e aveva temuto di non potersi adattare a vivere con altre due persone. Invece, era stato incredibilmente facile.
Era stato altrettanto facile assaporare la felicità di quei giorni tranquilli.
E, in quel contesto più quieto e pacifico, lontano dall’Inghilterra, gli risultava più naturale iniziare a lasciare andare il senso di colpa che lo aveva schiacciato per tanti anni.
Non aveva nessun motivo per aver paura.
Lo sapeva perfettamente, ma quella gioia lo rendeva inquieto.
Lo terrorizzava.
Non c’era nessun pensiero razionale che potesse vincere quella paura. Era certo che, se avesse avuto dovuto affrontare un Molliccio, questo si sarebbe trasformato nella paura della felicità che stava provando ogni giorno.
Trasse un altro lento respiro, mentre cercava di ritrovare la calma.
Si concentrò sul respiro tranquillo di Ygraine, sui suoi capelli biondi, sul suo corpo contro il suo e, come era già accaduto dopo incubi simili, si sentì più tranquillo.
Sentì che quella paura irrazionale lo stava lentamente abbandonando.
Non aveva alcun motivo di temere che Ygraine potesse allontanarsi da lui, né che lo facesse Rebecca. Aveva anche avuto modo di conoscere il tenore che interpretava Lohengrin e, per tutto il tempo, non aveva fatto altro che parlare della moglie e del suo primogenito che era nato poche settimane prima.
Ygraine che si allontanava da lui non era un’immagine dovuta ad una gelosia totalmente inesistente. Si trattava unicamente del pretesto affinché le ombre spettrali di Lily e Albus gli ricordassero che lui non era degno di vivere insieme a Ygraine.
E quello era un pensiero che aveva nutrito da quando si era accorto di essersi innamorato di lei.
Ygraine si mosse appena, rannicchiandosi ancora di più contro di lui.
E quel gesto inconscio gli trasmise la tranquillità che era stata spezzata da quell’incubo.
La giovane donna si addormentava sempre in quel modo, da quando si erano amati per la prima volta nella casa di Villandry.
E trascorreva tutta la notte rannicchiata contro di lui, con il capo sul suo petto.
Chiuse lentamente gli occhi, lasciandosi cullare dal respiro tranquillo di Ygraine, ma quella notte altri incubi sorsero a tormentarlo. Si rivedeva mentre uccideva Albus e si rivedeva mentre osservava i Berenger morire e, quella volta, nella campagna del Kent, William non lo stava ad ascoltare e uccideva Ygraine.
Si svegliò nuovamente, il respiro affannoso.
E quella volta aveva disturbato anche il sonno della giovane donna.
«Severus», la voce di Ygraine era un lieve mormorio, mentre si scostava leggermente da lui e gli sfiorava il volto con una mano.
«Non volevo svegliarti.»
«Lo so», disse la giovane donna, mettendosi a sedere. Gli scostò delicatamente i capelli dal volto, poi si chinò a baciarlo. «Speravo che gli incubi si stessero facendosi più radi.»
C’erano state notti in cui aveva effettivamente dormito tranquillo, senza che nulla lo turbasse, senza che nessun incubo lo destasse. Le ultime notti erano state effettivamente tranquille, ma, per quanto stesse tentando di perdonarsi, per quanto stesse lasciando andare il senso di colpa, i fantasmi del suo passato e le paure irrazionali del presente non gli davano realmente pace nel sonno.
«Ho commesso troppe azioni orribili, Ygraine, perché possa sperare di dormire sonni tranquilli.»
«Hai anche compiuto molte azioni buone, Severus», ribatté Ygraine, mentre l’uomo si metteva a sua volta a sedere. Nella luce che filtrava dalle tende non riusciva a osservarne veramente il volto. «Non credo che esistano molte persone che avrebbero fatto quello che hai fatto tu con William Berenger. Alcuni lo avrebbero lasciato al suo destino, altri, la maggior parte temo, lo avrebbero semplicemente denunciato.»
«Perché continui a sopravvalutarmi?»
«Potrei porti la stessa domanda, Severus. Perché ti ostini a sottovalutarti?», quando l’uomo non ribatté, Ygraine continuò decisa. «Se non fosse per te, Rebecca non sarebbe la bambina serena che è adesso. È a te che si è affidata quando Gawain l’ha picchiata, in entrambe le occasioni. Se non fosse per te, io non potrei prendere parte alla produzione qui ad Aix e, se sono riuscita a vincere le crisi di panico con Brigitte a casa e sul palcoscenico qui, è stato unicamente perché sapevo che tu eri vicino a me, che mi avresti sostenuta. Non sto nemmeno parlando di quanto hai sacrificato durante i tuoi anni da spia e, per quanto tu mi potresti interrompere dicendomi che stavi unicamente pagando per i tuoi errori, ritengo che pochi altri sarebbe riusciti a sopportare quello che hai sopportato tu e ad uscirne sani. So che non ti piace sentirtelo dire, ma sei una brava persona, Severus, e mi dispiace che gli incubi continuino a tormentarti.»
L’uomo non disse nulla per diverso tempo. Avrebbe voluto ribattere che lo stava idealizzando, ma sapeva che Ygraine non aveva mai negato il male che lui aveva fatto. Avrebbe voluto dirle che non era una brava persona, ma era consapevole che la giovane donna era profondamente convinta di quell’affermazione. Avrebbe voluto spiegarle che non c’era nulla di speciale in quello che aveva fatto per William o per Rebecca o per lei, ma era certo che Ygraine avrebbe ribattuto nuovamente e, con ogni probabilità, aveva ragione.
Sapeva che i vicini di casa non potevano ignorare le botte di cui lo riempiva il padre, né lo potevano ignorare le maestre, né Lily o i suoi genitori, ma nessuno aveva alzato un dito, nessuno l’aveva portato via.
Era ben consapevole che nessuno degli insegnanti di Hogwarts aveva provato a parlare con lui, a fermarlo dal baratro in cui stava precipitando. Sapeva che la responsabilità di quello che aveva scelto di fare sarebbe sempre ricaduta unicamente su di lui, ma, forse, se qualcuno gli avesse parlato, se qualcuno lo fosse stato ad ascoltare avrebbe potuto credere che ci fosse qualcos’altro per lui nel mondo.
Era cosciente che, se non fosse stato guidato dal peso della colpa, dalla consapevolezza del male fatto, non sarebbe mai riuscito a reggere alla tensione degli anni in cui aveva dovuto spiare, degli anni in cui aveva dovuto lasciar morire degli altri esseri umani, in cui aveva dovuto uccidere degli innocenti per mantenere la sua copertura.
«Ygraine, io…», la voce gli si spezzò, mentre si accorgeva di avere gli occhi umidi di lacrime. Ricordò il modo in cui aveva pianto nell’appartamento di Gawain Ainsworth, di come si fosse aggrappato a lei. «Non so se posso definirmi una brava persona… probabilmente non mi sarà mai veramente possibile. Eppure, Ygraine, se sto iniziando a guardare il mio passato con uno sguardo diverso, è unicamente grazie alla tua vicinanza.»
Non le disse che nessuno gli era mai stato così vicino, che nessuno era mai stato in grado di offrirgli conforto come faceva lei.
D’altronde non credeva nemmeno che nessuno l’avesse mai amato come Ygraine, né come Rebecca.
Sentì una lacrima scendergli lungo una gota, seguita immediatamente da altre.
«Severus…», Ygraine si interruppe, quando notò che l’uomo stava piangendo silenziosamente.
Si mosse appena e lo abbracciò. In quelle lacrime, lo notò, mentre gli accarezzava lievemente i capelli, non c’era la disperazione di quelle che aveva versato dopo che le aveva detto ogni cosa di sé. Forse, c’era soltanto la consapevolezza, celata nelle parole che le aveva appena detto, di quanto fosse stata crudele la vita con lui. O, forse, erano lacrime liberatorie, perché stava iniziando a perdonarsi, come lasciavano intendere altre sue frasi.
«Ygraine», Severus si staccò appena da lei. Nella penombra della stanza riuscì a scorgere il suo sorriso e riuscì quasi a vedere gli occhi nocciola colmi di fiducia e amore. «Io…»
«Hai asciugato tante volte le mie lacrime», mormorò la giovane donna, allungando una mano ad accarezzargli una guancia ancora umida. «E non c’è nulla di male nel piangere. Sono certa che possa essere un balsamo, quando hai dovuto nascondere ogni tua emozione per tanti lunghi anni.»
Forse era per quello che si era innamorato di lei, si disse Severus, per il suo modo gentile di comprenderlo. Forse, aveva iniziato ad amarla quando le aveva rivelato ogni sua colpa e lei non era inorridita, ma l’aveva sorretto mentre crollava sotto il peso di tutto quello che era stata la sua vita fino a quel momento.
«Ti amo, Ygraine», mormorò, rendendosi conto di quanto fosse facile dirlo, di quanto fosse incredibilmente naturale. «E so che ti amerò per sempre.»
Mentre pronunciava quella frase si rese conto di quanto quel sempre fosse sostanzialmente diverso da quello che aveva pronunciato davanti ad Albus. Quello non era stato altro che una maschera, che un modo per nascondere, in definitiva, quello che provava. Quello che aveva appena sussurrato a Ygraine non era una menzogna, non era una maschera, né un appiglio per dirsi che possedeva ancora un briciolo di umanità.
«So che forse ti sembrerà incredibilmente affrettato», riprese poco dopo, osservando il volto di Ygraine nella semioscurità della stanza. Non era la prima volta in cui avrebbe voluto dire quelle parole, ma, fino a quella notte, gli erano sembrate premature. «So che ci conosciamo da pochi mesi, so che…», si interruppe, lasciando ripiombare la stanza nel silenzio. Alla luce dell’alba che penetrava dai tendaggi, riuscì a vedere gli occhi nocciola sempre così espressivi, sempre così colmi di amore. «Vorresti sposarmi?»
«Non credo che sia affrettato, Severus», rispose la giovane donna, con un dolce sorriso. «Non credo nemmeno che importi da quanto tempo ci conosciamo. Se dipendesse solo da me, ti sposerei domani, ma non credo che mamma e papà sarebbero particolarmente felici di non essere invitati.»
Ygraine vide un lieve sorriso, il primo che gli avesse mai visto, disegnarsi sul volto di Severus, mentre la luce dell’alba illuminava lieve il letto.
Rimasero per qualche istante immobili a fissarsi, prima di baciarsi, mentre un timido raggio di sole faceva capolino tra i tendaggi.



Villandry, 8 settembre 2014


Ygraine entrò in salotto, dopo aver congedato François, il suo nuovo pianista, e sorrise quando vide Severus e Rebecca sul divano. Era sempre straordinario osservare il legame particolare che li univa. Nessuno, in paese, aveva pensato che lui non fosse il padre di Rebecca e, quando doveva spiegare per quale motivo la bambina non portava il suo cognome, il suo interlocutore non riusciva a trattenere lo stupore.
D’altronde, Rebecca aveva iniziato a chiamarlo papà quando erano tornati a Villandry da Aix-en-Provence.
«Vieni a sederti con noi, mamma?»
Ygraine annuì soltanto. Rebecca aveva impiegato più tempo a chiamarla in quel modo, ma il loro rapporto era completamente diverso. Prima di diventare la sua tutrice – per quanto Rebecca odiasse quella parola – era stata la zia cantante che viveva in Francia, la zia con cui la nipote amava parlare. Credeva che fosse stato il matrimonio con Severus a farla decidere di chiamarla mamma, quando già prima chiamava l’uomo papà.
Quando si sedette dall’altra parte di Severus, gli strinse una mano. Sapeva perfettamente perché erano tutti e tre in salotto quel giorno di settembre.



Villandry, 30 giugno 2003


Quando Severus rientrò in casa, trovò Rebecca intenta a giocare con Renaud a quello che sembrava essere un gioco di società particolarmente intricato.
«Buonasera, Monsieur Piton», lo salutò il ragazzo.
L’uomo ricambiò il saluto, entrando in cucina e iniziando a sistemare la spesa che aveva fatto una volta ritornato da Tours, mentre, dall’altra stanza giungevano le chiacchiere dei due bambini. Renaud era un buon amico per Rebecca e pareva non farsi alcun problema a trascorrere molto tempo insieme ad una bambina, anche se aveva appena finito il secondo anno di collège.
«Mamma sta riposando», lo informò Rebecca quando ritornò in salotto.
L’uomo annuì, prima di lasciare da soli i due amici. Poco prima di aprire la porta della camera, si fermò un istante, mentre si rendeva conto di come tutto stesse diventando stranamente semplice nella sua vita.
Era come se, improvvisamente, tutti i sogni che aveva nutrito da bambino si stessero realizzando. All’epoca aveva sognato di avere una famiglia, di vivere accanto alle persone che avrebbe amato e che lo avrebbero amato. Si era anche immaginato come padre e si era visto interagire con i possibili amici dei figli. Crescendo, aveva iniziato a pensare che quel futuro non si sarebbe mai realizzato e, quando aveva conosciuto Ygraine, la realtà in cui era immerso in quel momento gli era sembrata totalmente estranea.
C’era qualcosa di stranamente rassicurante in quella vita. Gli abitanti di Villandry erano sempre cordiali con lui, per quanto all’inizio fossero incredibilmente incuriositi dalla famiglia inglese che aveva comprato quella casa sfitta da qualche mese, dopo che i proprietari si erano trasferiti in Martinica per motivi di lavoro. Poi, quella curiosità era scemata, ed era rimasta una quieta accettazione dei nuovi membri della comunità. Ygraine aveva anche cantato, una sera, nell’antica chiesa del paese, nella piazza accanto al castello, alcune arie d’opera, accompagnata dalla pianista che le aveva suggerito la fornaia quando erano arrivati.
Era tutto così semplice e tranquillo. Anche il suo lavoro a Tours, dove si recava una volta a settimana, era circondato da quella sensazione di pace, che un tempo, nei mesi successivi al loro arrivo in Francia lo aveva spaventato in maniera assolutamente irrazionale. Non provava più quella paura. Lentamente gli incubi legati ad essa erano scomparsi e quando Ygraine era diventata sua moglie, in un soleggiato giorno di ottobre dell’anno precedente, non li aveva più da giorni.
Aprì la porta e trovò Ygraine con in mano un libro. La moglie gli sorrise, i suoi occhi nocciola mostravano l’abituale fiducia e l’amore che sembrava non abbandonarli mai.
«Ti scrive William.»
Severus annuì soltanto, mentre si sedeva sul bordo del letto e si toglieva le scarpe. Il ragazzo aveva continuato a scambiare una fitta corrispondenza con lui, soprattutto dopo che, l’estate precedente era riuscito ad ottenere i M.A.G.O. necessari per intraprendere gli studi da Guaritore. In ogni lettera aggiungeva anche qualche frase per Ygraine e per Rebecca.
Anche quelle lettere gli davano uno strano senso di pace o, forse, la sensazione di aver fatto qualcosa di buono, di essere riuscito ad aiutare profondamente il ragazzo. In quegli scritti gli parlava spesso di quello che provava, di come stesse affrontando il senso di colpa, chiedendogli costantemente consiglio così come gli rivolgeva domande in merito agli studi che stava seguendo in Spagna, dove abitavano i nonni e lo zio Babbani.
«Rebecca ha detto che eri stanca», disse a Ygraine, mentre si sedeva accanto a lei, sul letto.
«Mentre eri a Tours, mi ha telefonato mamma. Mi ha detto che Gawain e Margaret stanno per tornare in Inghilterra. Dopo mesi che non si facevano sentire, hanno chiamato i miei genitori e quando mamma ha fatto loro notare che avrebbero potuto tenersi maggiormente in contatto, Gawain le ha rinfacciato di avermi preferito a lui. Credo che mamma abbia pianto poco prima di telefonarmi.»
Severus sperava di non incontrare Gawain e Margaret in futuro. Erano due persone grette, ancor più se avevano fatto piangere Mary e se avevano ferito anche Alfred. I genitori di Ygraine erano due brave persone e non meritavano l’ingratitudine del figlio.
«Spero che Gawain non la cerchi più.»
«Immagino che non lo farà, dopo che mamma gli ha detto che non era lei ad aver scelto noi, ma lui e Margaret ad aver lasciato tutti.»
«Hai parlato anche con Alfred?»
Severus attirò contro di sé Ygraine, mentre la moglie gli spiegava di come il padre fosse rimasto a sua volta scosso dalla telefonata di Gawain. Le aveva però anche parlato del nuovo poema di cui stava stabilendo l’edizione critica.
«La lettera di William è sul tuo comodino», gli disse, quando ebbe tentato di illustrare i vari manoscritti che suo padre stava studiando.
Ygraine osservò il volto di Severus mentre leggeva quella che sembrava essere una lettera interminabile. D’altronde credeva che William avesse iniziato a vedere nel marito una figura paterna, dopo quello che era accaduto nella campagna del Kent, dopo il modo in cui Severus gli aveva parlato, il modo in cui aveva esposto una parte del suo animo per aiutarlo.
Il ragazzo era stato l’unico invitato da parte di Severus al loro matrimonio. Era stata una cerimonia intima, con una manciata di invitati anche da parte sua. D’altronde era sempre stato così che aveva sognato di sposarsi. Non aveva mai desiderato avere un numero spropositato di invitati, ma unicamente coloro che le stavano maggiormente a cuore.
«Come stanno andando i suoi studi?»
«Sembrerebbe bene, ma non ne parla molto. Credo che sia stato influenzato da tuo padre, anche se probabilmente non si sono più parlati dopo il nostro matrimonio», mentre parlava Severus aveva posato una mano sul ventre arrotondato della moglie. «A quanto pare nessuno crede che riusciremo a trovare un nome ai nostri figli.»
«Papà ha proposto Lancelot, oggi, che di certo è meglio di Engrevain», Severus sentì uno dei due gemelli scalciare, mentre Ygraine parlava. Probabilmente era inorridito di fronte ai nomi che il nonno proponeva ogni volta che aveva occasione di parlare con loro. «Ha anche provato a dire che Leodagan è uno splendido nome, nel caso in cui fossero due maschi.»
«Nessun nome femminile, questa volta?»
«Sono sicura che per domani avrà trovato qualcosa con cui sostituire Enid.»
Alfred pareva convinto che i suoi nipoti dovessero avere un nome tratto dalle leggende arturiane e aveva argomentato dicendo che, considerando che Merlino era realmente esistito, dovevano essere necessariamente conosciuti nel mondo magico. Severus non aveva avuto cuore di dirgli che probabilmente nessun mago Purosangue sapeva che Leodagan era il nome del suocero di Artù.
Alfred era parso anche piuttosto deluso dal fatto che avevano deciso – ma la scelta era stata essenzialmente di Ygraine – di non voler conoscere prima della nascita il sesso dei bambini. Sapevano solo che erano due gemelli – e qui Mary aveva elencato tutti i suoi avi che avevano avuto dei gemelli – eterozigoti.
«Forse dovremmo iniziare a fare le nostre ipotesi, prima che papà ci convinca che Lamorak è un bel nome.»
«Ho pensato unicamente ai secondi nomi. Credo che anche tu abbia avuto l’idea di utilizzare Tristan se uno dei due fosse un maschio.»
Ygraine annuì soltanto. Nessuno dei due ne aveva parlato prima, ma era qualcosa che la donna aveva dato quasi per assodato. D’altronde non si aspettava che Severus scegliesse un secondo nome che avesse qualcosa a che fare con la sua vita. Quando aveva scoperto di essere incinta, il marito le aveva promesso, pochi giorni dopo, che non sarebbe mai stato come suo padre. Era stato allora che le aveva parlato per la prima volta della sua infanzia, della violenza di Tobias e dell’indifferenza di Eileen. Era l’unico aspetto di sé a cui aveva fatto solo vaghi cenni. Lo aveva rassicurato che non avrebbe mai potuto essere come suo padre, considerando che era un ottimo padre per Rebecca.
Ma, soprattutto, lo aveva ammirato ancora di più per come fosse riuscito a diventare l’uomo che era nonostante tutto quello che aveva vissuto, nonostante la solitudine in cui aveva trascorso quasi tutta la sua esistenza, nonostante non avesse ricevuto nemmeno l’amore dei suoi genitori.
«E per una bambina ho pensato a Euterpe.»
Era uno di quei gesti discreti con cui Severus le esprimeva il suo amore. Era un pensiero incredibilmente gentile pensare di dare ad una figlia il nome della musa della musica. Portò una mano su quella di Severus e, mentre dal salotto provenivano le risate di Rebecca e Renaud, Ygraine si sentì incredibilmente felice.



Villandry, 8 settembre 2014


«Quando credete che arriverà il gufo da Antonia ed Einar?»
«Il tuo è arrivato nel tardo pomeriggio, Rebecca.»
La ragazza quasi non riusciva, a volte, a credere di aver già finito gli studi. Le sembrava che fosse passato un tempo relativamente breve da quando era salita per la prima volta sull’Espresso per Hogwarts. Invece, erano già trascorsi dieci anni da quando aveva iniziato ad ambientarsi nel castello, cercando di ricordarsi che avrebbe dovuto scrivere i propri compiti in inglese. Per Antonia ed Einar sarebbe stato ancora più difficile, considerando che avevano vissuto la loro intera vita in Francia.
Papà aveva tentato di convincerli a scegliere Beauxbatons o la scuola di Reims, ma i gemelli erano sempre stati decisi a frequentare la stessa scuola del padre e della sorella maggiore. Ricordava ancora che papà aveva cercato di convincerla a non andare a Hogwarts e la sua preoccupazione, quando era partita perché temeva che, una volta che qualcuno avesse scoperto che l’uomo che lei chiamava papà era lui, l’avrebbero ostracizzata. Anche allora aveva compreso i motivi di papà, che le aveva spiegato più dettagliatamente il suo passato, pochi giorni dopo l’arrivo della lettera da Hogwarts. Rammentava anche come avesse temuto che Antonia ed Einar potessero rimanere delusi da lui, quando li aveva presi da parte, a inizio anno per spiegare loro il suo passato. Pareva che l’uomo continuasse a non accettare il fatto di essere un eroe. I fratelli gli avevano detto che erano orgogliosi di essere figli di un uomo così coraggioso e Rebecca era stata certa che papà fosse prossimo alle lacrime, mentre Antonia ed Einar lo abbracciavano.
«Mi chiedo perché non possano modificare le cose per quel che riguarda la posta internazionale degli studenti.»
Nessuno dei due adulti rispose e, forse, non aveva importanza, ma si ricordava che era stato frustrante dover aspettare che il gufo addetto alla posta internazionale della scuola partisse il primo venerdì disponibile e, non sarebbe nemmeno stato un gran problema, se il primo settembre del 2004 non fosse stato un giovedì. I Prefetti della sua casa le avevano spiegato come, in casi come quello, occorresse attendere il venerdì successivo. Aveva mandato una lettera ai nonni usando Hoffmann, ma aveva fatto promettere loro di non lasciarsi sfuggire con i genitori in che casa fosse stata smistata.



Villandry, 12-13 settembre 2004


Severus chiuse silenziosamente la porta d’ingresso, illuminando il salotto con la punta della bacchetta. La riunione a Tours era durata fino a notte inoltrata e Ygraine e i bambini dovevano già essere a letto da tempo. Era raro che accadesse qualcosa del genere, ma quella ricerca stava dando loro più di un grattacapo e sembrava che fosse imprescindibile trovare una soluzione entro la fine di quella giornata.
Si tolse le scarpe, prima di far ripiombare la casa nella semioscurità. Alla fine, avevano discusso e fatto ipotesi per ore, senza giungere ad una soluzione. Almeno, quell’idea non era venuta loro in mente il 28 agosto, quando Antonia e Einar avevano compiuto il loro primo anno d’età; né il 31, quando avevano accompagnato Rebecca in Inghilterra dai nonni.
Erano stati i signori Ainsworth ad accompagnare la bambina al treno. Sapeva che Rebecca avrebbe preferito che ci fosse lui, ma credeva che avesse compreso per quale motivo fosse meglio che a salutarla fossero gli anonimi nonni Babbani. L’ultima cosa che voleva era che Rebecca fosse in qualche modo ostracizzata per legame che aveva con lui. Non erano trascorsi ancora abbastanza anni dalla fine della guerra e molti dei ragazzi presenti a scuola dovevano aver conosciuto qualcuno che aveva perso tutto durante quel periodo orrendo o che aveva conosciuto uno degli studenti che aveva sofferto sotto la sua presidenza.
Era ormai giunto alla conclusione che, durante quell’anno, aveva fatto tutto quanto gli fosse possibile per proteggere i ragazzi, che agire in maniera diversa lo avrebbe portato a tradirsi e a consegnarli nelle mani di qualcuno di ben peggiore, ma non poteva ignorare che gli studenti avessero sofferto, non poteva ignorare in quale situazione impossibile l’aveva posto Albus, né poteva lasciar del tutto andare il senso di colpa che provava nei confronti degli studenti che aveva giurato di difendere.
Probabilmente se Ygraine non fosse stata impegnata nelle prove di Tannhäuser all’Opéra di Parigi, avrebbe accompagnato lei Rebecca, ma Alfred era sembrato decisamente felice di avere l’opportunità di salutare la nipote.
La porta della camera dei bambini era aperta, come al solito, e, come al solito, la luce fioca di una candela – una delle poche che avevano in una casa essenzialmente Babbana – illuminava il volto dolce di Antonia. I capelli neri della figlia si perdevano invece nella semioscurità della stanza e lo stesso sarebbe accaduto con gli occhi che aveva ereditato da lui. I lineamenti, però, erano quelli di Ygraine. Se n’era accorto già il giorno in cui era nata, il giorno in cui aveva deciso di chiamarla con il nome del personaggio che la moglie aveva interpretato la prima volta che l’aveva sentita cantare a teatro.
Einar si rigirò in quel momento nel suo lettino, ma il figlio, generalmente tranquillo, sembrava non riuscire a star fermo durante la notte. Era stata Ygraine a scegliere quel nome, dopo aver trascorso ore su un volume che le aveva prestato Alfred. Quando erano tornati a casa dall’ospedale aveva cercato quel nome insolito sul libro consultato dalla moglie ed era riuscito a capire perché l’avesse scelto, per quanto lui non riuscisse a vedersi realmente sotto quella luce, o quanto meno non completamente [2].
Non si stupì nemmeno quando sentì una mano lieve sulla schiena. Si era accorto che Ygraine era entrata nella stanza, i capelli stranamente sciolti, ma era rimasto fermo ad osservare i bambini e i loro volti pacifici.
Rimasero entrambi immobili per qualche tempo e Severus assaporò quella pace, come faceva ogni giorno. Si ritirarono insieme nella loro stanza, mentre le stelle illuminavano la notte francese, fino a quando non sorse un altro giorno.
Ygraine non avrebbe avuto alcuna prova fino al giorno dopo quando sarebbe stato il tempo dell’ante-generale. Severus sapeva che la donna stava tenendo un calendario leggero ed era certo che non fosse unicamente per stare accanto ai bambini. Per quanto le corde vocali non fossero state irrimediabilmente danneggiate dalla pozione che era stata obbligata a bere, preferiva essere cauta e non forzare troppo la voce.
«Domani rimarrai a dormire a Parigi?»
«No, le prove sono state anticipate e riuscirò a prendere il treno delle cinque», Ygraine distolse per un istante lo sguardo da Antonia e Einar che stavano giocando sul tappeto davanti al divano. «Rimarrò a Parigi per quattro sere. Fortunatamente canto in due pomeridiane.»
Il silenzio calò tra loro, mentre Ygraine si sistemava meglio sul divano, accoccolandosi, come faceva sempre, contro Severus. Antonia aveva interrotto il gioco e si era voltata a guardarli o, più probabilmente, stava guardando suo padre e forse, tra poco, lo avrebbe chiamato. Invece, rimase silenziosa, con i suoi occhi neri così simili a quelli di Severus, ma privi del peso del passato che aveva vissuto il padre. Erano occhi innocenti e fiduciosi.
«Papà, mamma.»
Einar stava indicando con insistenza qualcosa, gli occhi nocciola illuminati di curiosità, notò Severus. A quanto pareva il loro figlio era l’unico abbastanza attento da accorgersi dell’arrivo di un gufo. Fu Ygraine ad andare ad aprire la finestra, mentre lui sollevava il bambino sul divano. Einar si andò a posizionare subito sulle sue ginocchia, posando il capo, ricoperto dagli stessi capelli neri che condivideva con lui e con la sorella, contro il suo petto, in un gesto colmo di fiducia. Antonia, dopo che l’ebbe aiutata a salire sul divano, stando attento a non far cadere il figlio, si rannicchiò contro di lui, nello stesso modo in cui faceva Ygraine.
«Ci scrive Rebecca», annunciò la moglie, sedendosi accanto ad Antonia.
Cari mamma e papà,
mi dispiace tantissimo per l’attesa, ma era proprio come avevi detto tu, papà, e fino al 10 non ho potuto inviare la lettera.
Posso però scrivere molte più cose e non soltanto la casa in cui sono stata smistata.
Per prima cosa, il professore di Pozioni non ci ha ancora fatto fare nulla di pratico, ma ha solo tenuto dei discorsi di carattere teorico. Forse, la prossima volta inizieremo, finalmente, a lavorare ad una pozione. Ho preso il massimo dei voti nel primo compito, comunque. D’altronde ho passato molto tempo nel tuo laboratorio, papà, e sono certa di aver capito la differenza tra sminuzzare e frantumare.
Delle altre materie, ho delle difficoltà in Trasfigurazione e – e mi dispiace veramente molto, papà – in Difesa contro le Arti Oscure. La professoressa ci ha fatto fare subito pratica, ma i miei incantesimi non sembrano mai essere abbastanza efficaci. Come immaginavamo Erbologia è una delle mie materie preferite, ma abbiamo passato molte ore a curare il nostro giardino e, alla fine, non c’è un abisso tra dei fiori “normali” e delle piante magiche.
Ho anche fatto amicizia con una ragazza, Charlotte, e un ragazzo, Timothy. Nessuno dei due è nella mia stessa casa, ma non credo che sia un problema.
Il Cappello Parlante è stato piuttosto rapido – sono stata anche la prima a essere smistata, dato che per tutti continuo ad essere una Ainsworth… credo che la legge, a volte, sia molto stupida – e mi ha smistata a Tassorosso.
La sala comune è molto accogliente e la Professoressa Sprite mi piace tantissimo sia come Capocasa che come insegnante.
Spero che le prove stia andando bene, mamma, e che la tua ricerca stia finalmente dando i suoi frutti, papà.
Date un bacio ad Antonia ed Einar da parte mia.
Rebecca.



Villandry, 8 settembre 2014


Rebecca si alzò rapidamente dal divano, non appena vide il gufo picchiettare il vetro. Lei si era fatta una sua idea su quali case avrebbero accolto i fratelli. Antonia ed Einar, per quanto gli fosse stato spiegato due anni prima, che lei non era realmente la loro sorella maggiore, non l’avevano mai considerata come una cugina.
D’altronde, lei non ricordava più i volti di Gawain e Margaret. Sapeva che erano tornati in Inghilterra, ma non li aveva mai nemmeno incrociati o, forse, se lo aveva fatto, non li aveva riconosciuti. Era anche cosciente che non parlavano più nemmeno con i nonni e questo le dispiaceva perché era certa che loro fossero stati dei genitori eccellenti, proprio come erano Severus e Ygraine con lei e i gemelli.
Mentre portava le due lettere ai genitori, si rese conto di apprezzare la quieta felicità della sua casa e che le sarebbe dispiaciuto, in futuro, lasciarla.
Si sedette accanto a papà, mentre l’uomo apriva la lettera di Einar.
Papa et maman,
sono certo che Antonia scriverà molto più di me. Rebecca mi ha consigliato di tenere per ultimo il risultato dello smistamento, ma non mi sembra particolarmente sensato. Sono certo che leggerete comunque tutto quello che avrò da scrivervi.
Sono un Corvonero e ne sono felice. Spero che lo siate anche voi.
Posso già anticiparvi che mia sorella non è nella mia stessa casa, ma era una cosa che avevamo un po’ tutti messi in conto.
I professori mi piacciono tutti, anche se, devo ammettere, che papà spiega di gran lunga meglio della professoressa di Pozioni che, per lo meno, non è lo stesso insegnante che aveva Rebecca. Credo di essere entrato subito in sintonia con Difesa contro le Arti Oscure e Incantesimi. Su Trasfigurazione la penso esattamente come te, Rebecca. In Erbologia sono, come immaginavamo, un mezzo disastro. È stata la prima materia che abbiamo avuto e sono certo che la pianta che stavamo curando sia salva soltanto perché Rachel – una mia compagna di casa – pare essere brava quanto Rebecca e Antonia. Ho preso però il voto più alto nel saggio che ho dovuto scrivere per compito.
Mi dispiace soltanto di non poter visitare Monaco di Baviera con voi. Riuscirete a mandarmi una cartolina? Immagino che esista anche lì un quartiere magico.
Vi voglio bene,
Einar

Rebecca aveva creduto che il fratello sarebbe stato smistato a Tassorosso, ma, in effetti, poteva immaginarlo anche come Corvonero. Era anche certa che, per quanto non lo lasciasse trasparire, fosse quello che provava più nostalgia di casa. Lanciò un’occhiata alla lettera di Antonia che sembrava aver scritto ben più del fratello.
Papa, maman et grande sœur,
Come immaginavamo, io ed Einar non siamo nella stessa casa, ma abbiamo alcune lezioni insieme, tra cui Trasfigurazione. L’insegnante mi ha fatto i complimenti dopo la prima lezione – ho ottenuto anche 5 punti per la mia casa – mentre Einar è andato in difficoltà. Direi che ci siamo compensati in questo senso, dato che ho avuto più di un problema durante la lezione di Incantesimi. Ho chiesto all’insegnante se avrei potuto utilizzare gli schemi che mi avevi preparato, papà, ma non ne ha voluto sentir parlare. Gli altri insegnanti sono sembrati accomodanti, anche se alcuni di loro non sembravano nemmeno sapere cosa fosse la dislessia. È stato piuttosto umiliante doverlo spiegare, ma, a quanto pare, nel Mondo Magico nessuno si è mai interessato alla questione.
Il mio Capocasa mi ha assicurato che parlerà con l’insegnante di Incantesimi, quindi, papà, non devi preoccuparti.
Il professor Paciock sembrava quasi incredulo quando abbiamo avuto lezione e non per il modo in cui prendevo appunti – ma è veramente così inusuale costruire degli schemi mentre il professore spiega? –, ma perché non ho ucciso una delle sue piante come invece ha tentato di fare Einar. E dire che l'avevi messo in guardia... è anche strano pensare che un tuo ex allievo sia un mio insegnante, ma, forse, non è nemmeno l'unico, considerando che hai iniziato a insegnare così giovane.
Le mie compagne di casa sono rimaste stupite quando hanno visto che, tra le mie cose, c’era anche una viola. Ho dovuto spiegare a una di loro, una Purosangue credo, che cosa fosse (ho però avuto l’impressione che Judith sia l’unica che abbia avuto il coraggio di chiederlo). Sarai felice, mamma, di sapere che riesco ad esercitarmi tutte le sere. Il mio Capocasa mi ha indicato un’aula in disuso del secondo piano per farlo. A volte vengono anche Ambrose, un altro compagno di casa, e Judith.
Rebecca, come vedi, ho seguito il tuo consiglio e non ho ancora parlato dello smistamento.
Il Cappello Parlante mi ha smistata in Serpeverde. Sono fiera di essere nella tua stessa casa, papà, e sono felice che Einar sia un Corvonero.
Antonia Euterpe Piton.
P.S.: Ho mandato anche una lettera a William. Spero che Einar non se lo sia scordato. Io ho comunque scritto a nome di entrambi.

Severus osservò Ygraine sorridere, mentre ripiegava con cura la lettera della figlia. Il gufo che l’aveva portata stava ancora riposando in cucina e avrebbe aspettato fino a quando non avessero scritto le loro risposte. I bambini sembravano essersi inseriti bene all’interno della scuola, anche se era sempre stato certo che nessuno dei due sarebbe stato smistato nella sua stessa casa. Aveva immaginato che Einar potesse essere un Corvonero, ma si era preparato all’eventualità che Antonia tornasse a casa con i colori di Grifondoro.
Dei loro figli, era anche l’unica che avesse dimostrato una qualche affinità con la musica. Ad Einar piaceva ascoltare Ygraine cantare, ma Antonia aveva voluto imparare a suonare uno strumento e anche quello gli era mancato da quando i gemelli erano partiti.
D’altronde, sapeva che i bambini – lo avrebbero rimproverato se li avesse definiti così davanti a loro – sarebbero tornati a casa per le vacanze di Natale. Quell’anno Alfred e Mary sarebbero andati in Francia, considerando anche che Ygraine era impegnata in una serie di recital, di cui l’ultimo a Tours il 23.
E mentre ripensava agli anni trascorsi e agli anni a venire, si rendeva conto di come ormai la pace fosse il sentimento preponderante della sua vita.
Gli incubi non se n’erano del tutto andati e qualche volta, di notte, si svegliava ancora con l’immagine degli Hancock o di Albus o dei Berenger, ma si erano fatti più rari e distanziati nel tempo. Ygraine, che continuava a dormire con il capo appoggiato sul suo petto, si svegliava tutte le volte e, dopo parlavano o rimanevano in silenzio abbracciati.
Sentiva ancora presente il senso di colpa, ma si era fatto un peso lieve, che, forse, non l’avrebbe lasciato mai, ma che non gli impediva di assaporare il perdono che Ygraine continuava ad offrirgli ogni giorno e che lui riusciva a concedersi ogni giorno.
Rebecca si congedò poco dopo, probabilmente per andare a parlare con Renaud, e lui rimase da solo con Ygraine che si rannicchiò contro di lui, come faceva sempre.
Alle pareti c’erano soltanto altre due foto, oltre a quella di Ygraine in vesti di Elsa von Brabant. Una mostrava il loro matrimonio, l’altra era stata scattata da Alfred l’anno precedente e ritraeva Rebecca, insieme ad Antonia ed Einar. I suoi tre figli sorridevano felici in quella foto.
E Severus si rese conto di sorridere a sua volta, immerso nella pace di quella nuova vita e nell’amore che donava a sua moglie, ai suoi figli e ai suoi cari e nell’amore che riceveva da loro.



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[1] L’agrégation è il concorso pubblico francese per diventare insegnante alle medie e alle superiori. È una prova molto dura (quella di inglese prevede 4 scritti e 4 orali), che in pochissimi superano al primo tentativo.
[2] Einar è un nome scandinavo che significa solo/solitario e guerriero (quindi per estensione coraggioso).
 
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view post Posted on 8/11/2022, 12:06
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Come suggeritomi da Ida, lascio QUI il link alla discussione originaria, dove sono presenti i commenti ai vari capitoli.
 
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