Capitolo VIII
Rückblick
Es brennt mir unter beiden Sohlen,
Tret' ich auch schon auf Eis und Schnee,
Ich möcht' nicht wieder Atem holen,
Bis ich nicht mehr die Türme seh'.
Hab' mich an jeden Stein gestoßen,
So eilt' ich zu der Stadt hinaus;
Die Krähen warfen Bäll' und Schloßen
Auf meinen Hut von jedem Haus. […]
Kommt mir der Tag in die Gedanken,
Möcht' ich noch einmal rückwärts seh'n. […]
(Mi brucia sotto i piedi,
cammino già su ghiaccio e neve,
non voglio riprendere fiato,
fin che non veda più le torri.
Ho sbattuto su ogni sasso,
affrettandomi fuori dalla città;
le cornacchie gettavano sporcizia e grandine
sul mio cappello da ogni casa. […]
Se mi viene in mente il giorno,
voglio ancora una volta guardare indietro. […]) [1]
Londra, 21 dicembre 2001
Un ultimo raggio di sole di quel venerdì [2] di dicembre penetrò all’interno del museo, sfiorando per un istante l’immagine di Sancta Lilias, posandosi sul giglio candido che teneva in mano. Severus fissò gli occhi su quel punto, sul candore di quel fiore che tanto contrastava con la lordura della sua anima, che si rifletteva dal suo passato e si proiettava nel suo futuro.
Ogni giorno arrivava al museo, ogni giorno se ne allontanava per ritornare a Spinner’s End. Ogni giorno rifletteva e meditava davanti a quell’immagine immobile, a quella Lily che non era Lily, ma che gli ricordava ciò che era stato, le sue colpe, le sue scelte. Richiamava con sé, come in quel momento, in cui all’esterno iniziava a calare la sera, ricordi, immagini ben vivide di quello che era stato, di quello che egli aveva compiuto, macchiandosi per sempre l’anima.
Ogni giorno portava con sé il voltarsi indietro, l’impossibilità di vedere altro nel suo futuro, se non un continuo sguardo volto al passato, a quel passato che non poteva dimenticare, che non voleva dimenticare. Era una riflessione tormentosa e dolorosa, una riflessione necessaria, perché il tormento faceva parte della sua anima, giusta ricompensa per quelle colpe incancellabili.
Lo scorrere dei suoi pensieri, il ritornare sempre verso i ricordi, quasi non gli permise di notare che gli addetti del museo stavano posizionando delle sedie nel centro della sala, se non quando registrò il rumore. O forse ricordò di aver visto un pianoforte in un angolo della sala. Sapeva che alcuni venerdì, quando il museo chiudeva più tardi, alle volte venivano organizzati dei concerti. Ma quella era la prima volta che accadeva in quella sala. [3]
Rimase ancora per qualche istante a fissare davanti a sé, osservando il volto chino di Sancta Lilias e la sua promessa di un perdono che non sarebbe mai arrivato, poi si alzò in piedi, allontanandosi dal quadro.
Aveva quasi raggiunto la porta della sala, quando una voce lo fermò. Forse non si sarebbe voltato, se non avesse riconosciuto la voce della bambina che gli aveva scritto la lettera.
«Signore, scusi.» Rebecca rimase immobile, chiedendosi se non fosse stata terribilmente maleducata a chiamare così l’uomo. Forse sua zia si sarebbe arrabbiata con lei, perché non era rimasta accanto al pianoforte, come le aveva detto. Ma aveva visto il signore che le aveva prestato il fazzoletto e le sembrava brutto non salutarlo. Solo quando l’uomo si voltò, si disse che aveva fatto bene a fermarlo. «Volevo ringraziarla di persona.»
Severus si ritrovò a fissare nuovamente gli occhi pieni di fiducia ed innocenza della bambina, quell’innocenza che traspirava dalla lettera che gli aveva fatto dare dalla zia. Era un’innocenza che pareva scontrarsi in maniera assoluta con le sue colpe, con l’innocenza che lui non aveva mai avuto, nemmeno quando aveva l’età di Rebecca.
«Si fermerà al concerto?» domandò la bambina, rompendo un silenzio che le sembrava si stesse prolungando da troppo tempo. Forse non avrebbe dovuto, si disse subito dopo. I suoi genitori le avevano insegnato che essere insistenti non era affatto educato.
«Per quale motivo dovrei fermarmi al concerto?» chiese Severus, continuando a fissare gli occhi della bambina, che in quel momento si fecero leggermente perplessi, quasi fosse in cerca di una risposta sensata da dargli. C’era qualcosa di strano in quello che aveva aggiunto la bambina dopo averlo ringraziando nuovamente, un ringraziamento che di certo non meritava tanta fatica.
«Mi farebbe piacere se lei si fermasse.» rispose Rebecca, sperando di non aver fatto qualche errore nel formulare la frase. Suo nonno ne sarebbe stato terribilmente deluso, considerando che aveva passato diverso tempo ad insegnarle come rivolgersi gentilmente ed educatamente a qualcuno.
Severus non disse nulla per diverso tempo. Gli occhi della bambina parevano fissarlo, adesso, con quell’estrema fiducia che già gli aveva rivolto quando gli aveva chiesto il fazzoletto, una fiducia che sarebbe scomparsa, ne era certo, se Rebecca avesse saputo la verità su di lui.
Una fiducia che non meritava, ancor più considerando l’innocenza di quella bambina.
Distolse per qualche istante lo sguardo da Rebecca, portandolo su Sancta Lilias, ora lontana, sulla parete opposta della sala. Eppure, anche a quella distanza, credeva di vederne gli occhi verdi inclinati verso terra, di distinguerne il volto colmo di una promessa irrealizzabile. La bambina, si accorse, quando tornò a fissarla, era ancora davanti a lui, in attesa. Si era aspettato che si stancasse di attendere, oppure che insistesse insopportabilmente, invece stava soltanto aspettando la sua decisione.
Forse, fermandosi, avrebbe avuto, per qualche breve istante, un momento in cui i ricordi non sarebbero giunti in massa a gridargli le sue colpe imperdonabili. Oppure la musica avrebbe avuto su di lui lo stesso effetto di quella volta che, camminando, gli erano giunte delle parole in francese che gli aveva parlato della morte di Silente e di Lily. Eppure la possibilità che, per qualche breve minuto, la sua mente potesse focalizzarsi sul presente, sull’adesso e non solo sul passato gli pareva alettante. Forse fu per quello che prese quella decisione. Forse fu per lo sguardo colmo di fiducia e attesa della bambina. Forse fu perché sperava invece che la musica gli permettesse di trovare nuove strade con le quali ripercorrere il suo passato.
«Mi fermerò.» disse soltanto.
Rebecca gli sorrise.
Accanto al pianoforte, Ygraine stava riguardando gli spartiti. Le pareva ancora strano che, proprio il giorno in cui era andata a rendere il fazzoletto all’uomo di Sancta Lilias, il direttore del museo le avesse chiesto di incontrarlo per proporle un concerto quel venerdì. Aveva ovviamente accettato e Rebecca l’aveva facilmente convinta a portarla con sé. Era stato più difficoltoso convincere Gawain e Margaret, ma, alla fine, si erano arresi all’entusiasmo della figlia. Alle volte il fratello e la cognata parevano essere diffidenti nei confronti della musica, quasi che potesse aumentare l’abitudine a fantasticare della bambina.
«Dov’è Rebecca?» domandò Jane, che aveva alzato il capo da uno degli spartiti che stava sistemando.
Ygraine si guardò intorno e notò subito sua nipote, ferma poco distante dalla porta, davanti all’uomo di Sancta Lilias. Li osservò per qualche istante, notando che la bambina stava indicando le sedie disposte al centro della sala, dove già qualche visitatore si stava sedendo.
«Sta andando a sedersi.» rispose soltanto la donna, senza aggiungere altro, tornando ad aiutare Jane con gli spartiti.
La pianista lanciò una rapida occhiata a Rebecca e notò l’uomo che si stava sedendo accanto a lei.
«Conosci quell’uomo?» domandò Jane, voltandosi verso Ygraine.
«Sì.» rispose soltanto la giovane, senza aggiungere altro. L’ultima cosa che voleva era dover rispondere alle domande della sua pianista, che, per qualche strano caso, nonostante l’espressione perplessa, non commentò.
Ygraine non aveva intenzione di spiegare quello che era successo, forse perché Jane l’avrebbe redarguita, dicendole che non avrebbe mai dovuto lasciare Rebecca da sola con uno sconosciuto quella domenica, forse perché riteneva che quanto accaduto fosse qualcosa che riguardava unicamente lei, la nipote e l’uomo. Ed era certa, ancora una volta, che Jane avrebbe potuto darle della sciocca o dell’ingenua. V’erano momenti in cui la pianista assomigliava terribilmente a Gawain e la giovane sapeva perfettamente che, come quest’ultimo, nemmeno Jane avrebbe approvato.
Lanciò un’occhiata alla nipote e all’uomo, prima di posare gli spartiti, in perfetto ordine, sul leggio. Rebecca era silenziosa, così come lo sconosciuto. Ma, in fondo, Ygraine non gli aveva sentito pronunciare più di due frasi e non credeva che avesse detto molto di più alla nipote. V’era qualcosa in quel silenzio che le faceva credere quella fosse una persona degna di fiducia, una persona che non avrebbe mai fatto del male alla nipote.
Il tempo parve passare lentamente, mentre gli addetti del museo posavano sulle sedie, o distribuivano, i fogli con il programma e le traduzioni di Lieder ed arie. Severus osservò per qualche istante l’elenco di titoli in tedesco, italiano e francese che stavano sulla prima pagina. I pensieri che inondavano la sua mente e la sua anima continuavano a rincorrersi, un continuo sorgere di memorie, di colpa e rimorso. Un continuo susseguirsi di volti, di momenti del suo passato che pareva continuare a rivivere all’infinito. La bambina al suo fianco era silenziosa e tranquilla, cosa di cui era decisamente grato, e sembrava, in quel momento, immersa nella lettura dei testi di ciò che si sarebbe cantato.
Poi, improvvisamente, quando le sedie erano ormai state tutte occupate, alcune note echeggiarono al pianoforte.
E per un istante il circolo dei pensieri di Severus si bloccò, gelato dalla musica, mentre leggeva rapidamente il testo. Non v’era nulla di inquietante in quelle parole, nulla se non un racconto quieto di un amore infelice, nulla di disperato, nulla di sconvolgente, nulla che facesse sorgere ricordi. Forse per quel breve lasso di tempo la sua mente sarebbe stata sgombra dal rincorrersi dei suoi pensieri.
Scorrean i rivi tra le zolle in fior, [4]
Lily sedeva accanto al fiume, con lui.
Un tempo lontano, prima di andare ad Hogwarts. Prima di perderla. Quando ancora, forse, sperava.
Fu un lampo.
Rapido e baluginante, emerso dalla musica. Severus non riusciva a comprendere cosa potesse aver evocato quella breve immagine. Il testo non avrebbe dovuto farlo, non aveva nulla a che fare né con lui, né con Lily. Forse v’era qualcosa nella musica o nel canto, quella musica che assomigliava ad una nenia malinconica, una nenia che pareva lasciar emergere immagini di un tempo lontano. Non sapeva dirselo. Ma riusciva a rendersi perfettamente conto che, alla fine, i ricordi emergevano sempre, in un modo o nell’altro, perché di quello era fatto il suo presente.
Di un continuo voltarsi indietro.
Una breve pausa. Gli applausi. Poi un nuovo testo, letto velocemente. E di nuovo la musica e la voce.
Un altro testo apparentemente innocuo, che narrava una vecchia leggenda.
Es war ein König in Thule,
gar treu bis an das Grab,
dem sterbend Buhle
einem goldenen Becher gab
(C’era un re a Thule
Fedele fino alla tomba,
il suo amore, quando stava morendo,
gli donò una coppa d’oro) [5]
La foto di Lily. Un ricordo strappato.
Il quadro poco distante di lì.
Mentre il canto proseguiva, Severus si voltò verso Sancta Lilias, un falso ricordo di Lily, la Lily che non era Lily, ma che gli faceva aver davanti a sé Lily più di quanto non facesse la sua foto. Il canto continuava ad avvolgerlo, come i suoi ricordi. Gli pareva che, in quel canto malinconico, vi fosse impressa l’immagine di Lily. Il giorno in cui le aveva parlato per la prima volta. Il giorno in cui l’aveva persa. Il giorno in cui era morta. Il giorno in cui si era introdotto a Grimmauld Place ed aveva preso quella foto e quel pezzo di pergamena. Ogni giorno della sua vita in cui la ricordava, in cui l’amava.
Per sempre.
Come il re di quella vecchia leggenda.
Eppure, si disse, quando il canto tacque per qualche istante, v’era qualcosa di strano nel fatto che non fossero state nemmeno quella volta le parole ad evocare i ricordi, quanto la musica. Forse v’era qualcosa nelle note che riusciva ad evocare i ricordi, dando vita alle parole, parole che sulla carta sembravano lontane da lui.
Decisamente più colme di innocenza di quanto non fosse mai stato lui. Era così per le parole cantate da Desdemona – un’innocente -, così per la leggenda del re di Thule – un uomo buono, a quel che si poteva intuire -, così, immaginava per tutte le altre poesie.
Eppure i ricordi arrivavano, sempre, inesorabili.
Forse era unicamente perché egli viveva nel passato, più che nell’oggi ed il suo sguardo era rivolto allo ieri più che al domani.
Quando la musica ricominciò a risuonare, accompagnando altre parole che non avrebbero avuto nulla a che fare con lui e che, per una volta, non scatenarono una ridda di ricordi, si concentrò unicamente sul canto. Forse, si disse, i ricordi sorgevano così vivi perché la zia della bambina cantava in quella maniera.
Osservandola, in quel momento, gli parve che fosse un tutt’uno con il personaggio che stava interpretando, che, come Margherita [6], fosse in preda ad una dolce follia – una follia ben diversa da quella che poteva provocare una Cruciatus -, per quanto nulla nel suo atteggiamento lo facesse intuire. Era pressoché immobile davanti al leggio e, di tanto in tanto, sfogliava lo spartito.
Era unicamente la voce a dar vita alle parole, a renderle così vivide da farle andare al di là del loro semplice significato.
Wer reitet so spät durch Nacht und Wind?
(Chi cavalca così tardi nella notte e nel vento?) [7]
Il nuovo canto parve risucchiarlo in un vortice tempestoso. Era come se si trovasse nuovamente, sbattuto dal vento, di fronte a Silente. Era come se udisse nuovamente l’uomo dire «Tu mi disgusti.».
Un disgusto che lo investì in quel momento, mentre la musica si faceva più drammatica, incalzante, come lo incalzavano i suoi pensieri.
Du liebes Kind, komm, geh mit mir!
(Tu, caro fanciullo, vieni, vieni con me) [8]
Le parole del re degli elfi era falsamente affascinanti. La Magia Oscura era falsamente affascinante. Come la musica era cullante, così era cullante il male. Attraeva come il miele, come il miele aveva attratto lui, colmo di sete di sapere e di senso di rivalsa. Ne era rimasto invischiato.
Ma non v’era nulla di affascinante nell’uccidere. Non v’era nulla di dolce nel conoscere ciò che ne derivava.
Solo colpe e rimorso. Solo la consapevolezza di non poter più sperare nel perdono, perché aveva ceduto alle lusinghe della menzogna, una menzogna di cui forse era sempre stato consapevole e, alla quale, nonostante tutto, aveva voluto cedure.
Dem Vater grauset's, er reitet geschwind,
Er hält in Armen das ächzende Kind,
Erreicht den Hof mit Müh' und Not:
In seinen Armen das Kind war tot.
(Questo spaventa il padre, egli va al galoppo,
tiene tra le sue braccia il bambino che geme,
arriva nella corte con fatica e dolore.
Il bambino, nelle sue braccia, era morto.) [9]
Un padre stringeva il figlio morto. Assassinato. La morte raggiunse anche l’uomo.
Vittime che non era riuscito a salvare. Altro sangue che gli imbrattava le mani. Altre colpe che non avrebbero mai avuto perdono.
Il passato emergeva nella sua mente, con la stessa forza con cui la musica aveva evocato la cavalcata disperata del padre, che tentava di salvare inutilmente il figlio. E quella cavalcata disperata era diventata parte della sua vita, quella parte in cui non era riuscito a salvare gli innocenti. Quelle vite perdute che l’avevano reso ancora più colpevole, che avevano lordato sempre più la sua anima già nera.
Meine Ruh' ist hin,
Mein Herz ist schwer,
Ich finde sie nimmer
Und nimmermehr.
(La mia pace è perduta,
il mio cuore è pesante,
non la troverò mai
e mai più.) [10]
Mai.
Mai avrebbe trovato la pace. Da tempo era perduta. Da sempre forse, si disse Severus, mentre il canto continuava, per ritornare sempre a ripetere quelle parole, quelle parole che erano la sua vita.
Mai avrebbe trovato la pace, portata da un perdono che non poteva raggiungere, perché non v’era perdono per chi, come lui, aveva l’animo gravato da colpe terribili. Non esisteva alcuna possibilità di redenzione. Il perdono, promesso anche in quel momento da Sancta Lilias, gli sarebbe sfuggito per sempre, com’era giusto che fosse.
Non v’era pace nel suo cuore, in nessun momento, nemmeno quando sedeva accanto ad una bambina che lo fissava con occhi innocenti e fiduciosi, nemmeno quando ascoltava cantare testi che, per quel che narravano, nulla avrebbero dovuto avere a che fare con lui.
Eppure il passato emergeva sempre e costante.
Costante memoria delle colpe commesse, costante ricordo di ciò che egli aveva fatto della sua vita, una vita costruita dalle sue colpe, una vita vissuta nel rimorso, una vita in cui non vi sarebbe stata la pace, né il perdono.
Una vita in cui era straniero, in mezzo alla moltitudine.
Anche in quel momento, lì, tra quei Babbani, sapeva di essere solo nel suo cammino, un cammino che lo portava avanti, con lo sguardo volto sempre indietro, un cammino che si srotolava davanti a lui in pieno inverno. Era come se il suo viaggio fosse quello di un viandante che proseguiva sempre in un sentiero ricoperto di ghiaccio e neve, ma di un ghiaccio ed una neve brucianti, come le sue colpe, impresse a fuoco nella sua anima.
Dein Schwert, wie ist's von Blut so rot?
(La tua spada, perché è così rossa di sangue?) [11]
Le sue mani era lorde di sangue.
Davanti agli occhi di Severus parvero affastellarsi i volti di coloro che erano morti a causa sua. Non importava se li avesse uccisi lui personalmente o se non avesse potuto far nulla per salvarli. Era comunque sangue che insozzava le sue mani.
Il sangue di Charity Burbage, il sangue di tante vittime, il sangue di Lily, il sangue di Silente.
Era come se la disperazione di quella ballata, appena sussurrata dalla voce della cantante, diventasse la disperazione della sua vita, di quella vita priva di pace e priva di perdono. Quella vita macchiata per sempre.
Ich hab geschlagen meinen Vater tot!
(Ho battuto a morte mio padre!) [12]
Gli parve di essere nuovamente sulla torre di Astronomia. Si rivide alzare la bacchetta ed uccidere Silente.
Era come se il Museo fosse diventato Hogwarts, come se quella musica fosse stata presente, da qualche parte, in sottofondo, mentre egli toglieva la vita a chi era stato quanto di più simile ad un padre avesse mai avuto.
C’era qualcosa in quel canto che faceva emergere quei volti, qualcosa che gli faceva aver davanti gli occhi di Silente com’erano stati poco prima che morisse.
Der Fluch der Hölle soll auf euch ruhn
(Il cammino dell’Inferno devo sopportare) [13]
Davanti a lui non rimaneva che il cammino che doveva seguire, un cammino che doveva giustamente sopportare. Non gli rimaneva che un viaggio doloroso, un viaggio che l’avrebbe portato a immergersi sempre più nell’inverno gelido della sua anima.
Ed ancora una volta, per un istante, i volti delle sue vittime gli balenarono dinnanzi. Per un momento, poi il canto si dissolse, rimpiazzato dagli applausi.
Severus attese un nuovo canto, ma non venne.
Al suo fianco Rebecca si mosse leggermente sulla sedia e si voltò verso di lui. Le parve che l’uomo fosse rimasto immobile per tutto il tempo in cui sua zia aveva cantato. Ed anche in quel momento era fermo e non stava applaudendo.
Forse non gli era piaciuto. Oppure era troppo rapito dalla musica per muoversi. Era qualcosa che zio Tristan aveva detto spesso.
«Signore», la voce della bambina arrivò ovattata a Severus. I ricordi che la musica aveva evocato sfumarono sullo sfondo, senza però abbandonare la sua mente. L’uomo si voltò lentamente. «Le è piaciuto?»
C’era aspettativa sul volto di Rebecca, si accorse Severus, mentre intorno a loro, la gente si alzava in piedi e riprendeva a visitare il museo. Solo in quel momento si rese conto di non essersi adeguato alle circostanze. I ricordi l’avevano investito con una foga tale che gli era stato impossibile pensare ad altro. Oppure era stata l’attesa di un altro canto, di un altro fiotto ineluttabile di ricordi ad averlo staccato a tal punto dalla realtà? Non seppe darsi una risposta, mentre continuava a fissare la bambina.
«È stato intenso.» disse, infine, continuando a fissare Rebecca.
«Oh… è qualcosa che avrebbe detto zio Tristan.» si lasciò sfuggire la bambina, sorridendogli poi lievemente con fare di scusa.
Fu in quel momento che Ygraine raggiunse la nipote, fermandosi a breve distanza da lei, lanciando un’occhiata all’uomo di Sancta Lilias. La giovane aveva unicamente udito le ultime parole di Rebecca e avrebbe voluto non farlo. Ricordava perfettamente il giorno in cui aveva cantato il suo primo recital ed il gli incoraggiamenti del fratello. E le sue parole subito dopo il concerto. Scacciò rapidamente il pensiero dalla mente, cercando di concentrarsi sulla situazione.
«Rebecca, è quasi ora di andare», decise di dire, dopo aver tentato di formulare qualche parola da rivolgere all’uomo, parole che, però le parevano sempre sciocche ed inappropriate. Preferì rivolgergli un lieve sorriso di ringraziamento per aver assistito al concerto.
«Di già?» mormorò la bambina, lanciando un’occhiata alla zia.
«Mamma e papà ti aspettano e…» Ygraine si interruppe di colpo. Era certa che sua cognata stesse già brontolando con Gawain perché il concerto era durato troppo a lungo. Amava Margaret e suo fratello, ma sapeva che un qualsiasi turbamento della loro routine sembrava renderli nervosi, quasi che non sopportassero l’imprevisto. Forse era perché il fratello maggiore non aveva mai amato la vita che avevano condotto da bambini, seguendo il padre da una biblioteca all’altra. Forse era per il suo continuo girovagare da un teatro all’altro che Gawain pareva non approvare veramente la sua carriera. E Margaret era decisamente simile al marito. D’altro canto, però, non voleva far presente la questione a Rebecca, né men che meno all’uomo di Sancta Lilias. «Signore, sono felice di averla vista al concerto.» decise, infine di dire, dicendosi che, forse, quel sorriso di ringraziamento non era stato notato o, piuttosto, non era bastante.
Severus si era accorto del sorriso della giovane donna, un sorriso così simile a quello della nipote.
Un sorriso innocente rivolto ad un colpevole.
Un sorriso che sapeva di non meritare affatto.
Un sorriso che contrastava terribilmente con le sue colpe.
Un sorriso che si sarebbe spento se quella donna avesse saputo che aveva permesso alla nipote di sedersi accanto ad un assassino. Così come non avrebbe mai pronunciato quelle parole gentili, né sarebbe mai stata felice di vederlo ad un suo concerto.
«Scusi, sono di una maleducazione terribile…» la voce del soprano interruppe di colpo i pensieri dell’uomo «Ygraine Ainsworth.» si presentò, con un lieve sorriso «E mia nipote, Rebecca.»
L’uomo rimase per qualche istante in silenzio, osservando quel nuovo sorriso dell’innocenza, rivolto a chi l’innocenza l’aveva persa da così tanto tempo che, anche guardando indietro nel suo passato, non riusciva a trovare il giorno in cui l’aveva posseduta.
«Severus Piton.» disse soltanto, lanciando un’occhiata alla bambina che sembrava felice di aver conosciuto il suo nome.
Il nome di un assassino.
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[1] Wilhelm Müller, Rückblick (sguardo indietro), vv. 1-8; 17-18.
[2] Come sempre i giorni della settimana sono dedotti dal calendario perpetuo.
[3] Il venerdì di ogni settimana la Tate Britain chiude effettivamente alle 22,00, così come vi sono effettivamente dei concerti nelle sale. Non ho la certezza assoluta che fosse così anche nel 2001, nel qual caso si tratta di una licenza poetica.
[4] Arrigo Boito, Otello, Atto IV, scena I. Si tratta di alcuni versi della canzone del salice cantata da Desdemona, nell’opera di Verdi.
[5] Wolfgang Goethe, Es war ein Koenig in Thule, vv. 1-4. Il Lied è stato musicato da Schubert.
[6] Si tratta della protagonista femminile di Mefisofele di Boito. L’aria che canta Ygraine è L’altra notte in fondo al mare, che vede Margherita (la Gretchen di Goethe) in carcere, pazza, dopo aver annegato il figlio avuto da Faust.
[7] Wolfgang Goethe, Erlokoenig (il re degli elfi), v. 1. Il testo è stato musicato da diversi compositori. Quello che canta Ygraine è la più celebre versione di Schubert.
[8] Wolfgang Goethe, Erlokoenig (il re degli elfi), v. 9
[9] Wolfgang Goethe, Erlokoenig (il re degli elfi), vv. 29-32
[10] Wolfgang Goethe, Gretchen am Spinrade (Gretchen all’arcolaio, tratta dal Faust), vv. 1-4. Da questo momento in poi ciò che canta Ygraine si sussegue senza soluzione di continuità. È sottinteso che Severus legge la traduzione dei testi. Nel caso di questo Lied, la strofa che ho citato, ritorna come un ritornello nel corso della poesia.
[11] Johann Herder, Eward (tratto da una ballata scozzese), v. 1. Il testo è stato musicato da Loewe
[12] Johann Herder, Edward, v. 21
[13]Johann Herder, Edward, v. 53