Il Calderone di Severus

Alaide - Una partita a Gobbiglie, Genere: Introspettivo - Altro Genere: Drammatico- Tipologia: One-shot - Rating: per tutti - Avvertimenti: AU - Epoca: Post 7 anno - Personaggi: Severus Piton, Nimphadora Tonks, Teddy Lupin

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view post Posted on 26/10/2022, 12:09
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Autore/data: Alaide – ottobre 2022
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One-Shot
Rating: Per tutti
Personaggi: Severus Piton, Nimphadora Tonks, Teddy Lupin, Harry Potter
Genere: Introspettivo, drammatico
Pairing: nessuno
Epoca: Post 7 anno
Avvertimenti: AU
Riassunto: Aveva riconosciuto la scoperta fatta da Teddy immediatamente.
Come avrebbe potuto non farlo, quando le aveva viste tante volte, in quella stessa soffitta?
Erano le Gobbiglie di sua madre.

Nota: Storia scritta per l’iniziativa 15 anni con Severus. Sfida del mese di ottobre. Scuola: Durmstrang. Ruolo: Portatore d’insegne.
Il titolo deriva da un verso della Fanciulla del West di Puccini dove la protagonista pronuncia le parole Una partita a poker
Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
Lunghezza: 38.732 caratteri

Una partita a Gobbiglie



2 aprile 2004


«Come puoi anche solo pensare che sia una buona idea, Potter?»
Harry si era aspettato quella reazione. Non importava nemmeno che, con il tempo, il suo rapporto con l’uomo si fosse fatto, se non cordiale – perché non poteva definirlo tale –, di certo meno teso. D’altronde, avevano collaborato in più di un’occasione da quando era diventato Auror ed era riuscito ad ottenere che Severus Piton diventasse il loro consulente esterno riguardo qualsiasi tipo di pozione.
In quelle occasioni gli era piaciuto lavorare con l’uomo, forse, perché non era più un suo studente o, più semplicemente, gli riusciva di comprenderlo meglio, ora che erano trascorsi sei anni dalla fine della guerra.
«Non so cos’altro fare», ribatté il giovane. «Ho provato a dire ai Guaritori del San Mungo di provare a contattarti, ma hanno detto che, se loro non sono riusciti a trovare quale incantesimo abbia colpito Tonks, nessun altro può farlo.»
La giovane donna era stata data per morta durante la battaglia di Hogwarts, il corpo caduto accanto a quello del marito, ma, in seguito, si era scoperto che Nimphadora Lupin non era affatto deceduta, ma era stata colpita da un incantesimo che l’aveva lasciata esanime.
Ma non era stata fortunata come lui.
O, almeno, non lo era stata a partire da quattro anni a quella parte.
«Immagino che abbiano analizzato i ricordi della loro paziente utilizzando un Pensatoio.»
«Sì, hanno detto di averlo fatto, ma non si riesce a vedere il momento preciso in cui viene lanciato l’incantesimo, perché la scena è molto confusa. Remus era appena caduto.»
«Quindi tu credi che, dopo quattro anni di tentativi, io possa miracolosamente capire quale sia il problema?»
«Non sarebbe la prima volta che accade. L’anno scorso nessuno aveva compreso perché il signor Johanson stesse impazzendo fino a quando non ti abbiamo consultato e hai scoperto che gli stavano somministrando quella rara pozione allucinogena.»
Potter aveva la stessa espressione che assumeva quando andava a parlargli di un caso in cui doveva assisterlo. La prima volta si era trattato di un furto ai danni di un commerciante di ingredienti rari, a cui aveva accettato di collaborare unicamente perché alcune delle sostanze rubate gli sarebbero servite per uno dei suoi esperimenti.
«Non è la stessa cosa, Potter, immagino che tu lo sappia. Se non si conosce la maledizione utilizzata, è impossibile per chiunque trovare una cura», affermò, anche se non credeva di poter convincere il giovane mago a desistere. «D’altronde, non mi hai detto cosa ne pensa la diretta interessata.»
Il volto di Potter si era rabbuiato, ma Severus poteva perfettamente immaginare quali sentimenti stessero attraversando in quel momento la giovane donna.
Li aveva provati sulla sua pelle, quando si era risvegliato al San Mungo dopo mesi che, a detta dei Guaritori, era stato più volte tra la vita e la morte. E dopo quel giorno, era trascorso quasi un anno prima che potessero dimetterlo, prima che potesse tentare di raccattare i cocci della sua esistenza.
«A volte sembra sul punto di voler arrendersi; altre volte, quando osserva Teddy, dice che non si è ancora data per vinta. Andromeda le ha parlato, ma non so se sia stata lei a convincerla ad accettare questo tentativo.»
Harry tentò di comprendere cosa stesse pensando realmente il suo interlocutore, ma l’uomo non lasciava trasparire nulla. Era però certo che Piton non credesse che la sua fosse una buona idea.
E con ogni probabilità aveva ragione.
Tuttavia, voleva sperare che Tonks potesse salvarsi, che non perdesse anche a lei come aveva perso Sirius, Remus o Edvige.
«Se dovessi accettare di prendere parte a questa follia, devi capire, Potter, che, con ogni probabilità, non troverò nessuna soluzione.»
Severus osservò il ragazzo annuire, per quanto potesse leggere fin troppo facilmente la speranza in quegli occhi verdi che, un tempo, aveva voluto unicamente vedere colmi dell’odio che sapeva di meritare. Era stata la lunga convalescenza al San Mungo a portarlo a ripercorrere con mente stranamente fredda, nonostante il dolore della ferita in via di guarigione, il suo passato, a permettergli di fare realmente i conti con la morte di Lily e con quella, più recente, di Albus.
Non era riuscito, com’era ovvio che fosse, a mettere a tacere il senso di colpa, ma si era detto che sarebbe stato ancora più colpevole se non avesse saputo trarre profitto dalla sua insperata sopravvivenza.
E, forse, il rapporto professionale che lo legava, da tre anni, a Potter faceva parte di quella nuova vita, in cui non doveva più misurare ogni gesto e ogni parola.
«Sì, lo so», affermò il giovane uomo, senza però risultare realmente convincente. «So che è un tentativo estremo, ma… la verità è che non voglio perdere qualcun altro, non quando tutto sembra essere così tranquillo.»
«Ma potrebbe accadere ugualmente, Potter.»
Harry annuì. Sapeva che le parole di Piton corrispondevano a verità, ma non poteva far altro che sperare. Era convinto che, se c’era anche solo una possibilità di salvare Tonks, questa l’avrebbe trovata l’uomo che aveva di fronte. Non lo aveva detto esplicitamente, ed era certo che il pozionista lo avesse compreso da solo, ma si stava rivolgendo anche perché riteneva che potesse essere l’unico a essere in grado di comprendere quale magia oscura fosse stata utilizzata.
«Quindi accetti?»
Severus rimase ad osservare per qualche istante il volto di Potter, prima di portare lo sguardo verso il sole che illuminava la strada dissestata su cui si affacciava la sua abitazione.
Aveva probabilmente saputo fin dall’inizio quale sarebbe stata la sua risposta.
D’altronde non avrebbe mai potuto rifiutare, considerando che, anche se la speranza di successo era minima, non si sarebbe mai perdonato di non aver potuto salvare una persona avendone l’occasione.





6 aprile 2004


Tonks rimase per qualche istante immobile quando arrivò davanti all’abitazione di cui Harry le aveva dato l’indirizzo.
Forse non avrebbe dovuto trovarsi lì, ma il ragazzo era stato decisamente convincente, quando le aveva parlato di quella sua idea alcuni giorni prima. E mamma lo aveva appoggiato con ancor più convinzione.
In quel momento, però, era titubante e si voltò verso la strada dissestata come per richiamare il taxi che l’aveva condotta fino lì, insieme a Teddy e che se ne era andato non appena l’aveva scaricata.
I Guaritori del San Mungo le aveva proibito di usare qualsiasi tipo di spostamento magico, perché avrebbe potuto spossarla. Tuttavia, si sentiva comunque debole, mentre si avvicinava alla casa, tenendo per mano il figlio. Non sapeva come avesse fatto Harry a convincere Piton a ospitare anche Teddy, ma gliene era incredibilmente grata, perché, almeno, avrebbe avuto il bambino accanto.
Quasi inciampò in una crepa dell’asfalto, mentre raggiungeva l’abitazione dell’uomo che era stato, un tempo, suo insegnante, che era stato membro dell’Ordine della Fenice, che aveva ucciso Silente e che si era rivelato uno dei loro migliori alleati.
Sentì lo sguardo di Teddy su di lei, mentre si fermavano davanti alla porta. La giovane donna, però, non alzò la mano per bussare. Si voltò verso il figlio e notò che sembrava fin troppo maturo per la sua età.
D’altronde, il bambino sapeva di non poter nemmeno ricordare il padre perché era morto durante la guerra e che lei era stata colpita da un incantesimo che pareva divorarla, per quanto, chiunque l’avesse vista in quel momento, con i capelli lilla e il volto tranquillo e riposato, non lo avrebbe mai detto.
Si sentiva debole, in quel momento, ma non spossata come il giorno precedente, ma sapeva che era dovuto unicamente alla pozione che le avevano dato al San Mungo prima di dimetterla. I Guaritori l’avevano guardata con malcelata pietà quando era uscita dall’edificio, ma li aveva sentiti discutere e sapeva che per loro la sua situazione era priva di speranze, che presto si sarebbe spenta senza che potessero comprenderne il motivo.
Ed era quello che credeva anche lei, ma non aveva avuto il coraggio di dirlo a mamma o a Harry, che stava prendendo il ruolo di padrino di Teddy con grande serietà.
Scacciò quei pensieri dalla mente e portò lo sguardo sulla porta. La casa di Piton era simile alle altre della via, per quanto sembrasse meno decrepita, ma di certo non in ottimo stato.
«Siamo arrivati, mamma?»
La voce di Teddy era perplessa. O, forse, timorosa che lei stesse improvvisamente male, che, come le accadeva sempre più spesso, non riuscisse più a fare un passo.
«Sì. Bussa pure tu.»
Non dovettero aspettare molto, prima che la porta venisse aperta. Piton era come lo ricordava, ma il volto sembrava meno di duro di quanto non fosse stato in passato. L’uomo si fece da parte e li fece entrare, senza dire una parola.
L’interno contrastava completamente con l’esterno, un po’ trasandato, e con l’aria cadente della via, a partire dalle pareti imbiancate e dagli alti scaffali che ospitavano un numero spropositato di libri.
«Possiamo sederci?»
A parlare era stato il bambino, notò Severus. Era chiaro che Teddy Lupin fosse preoccupato per la madre, per quanto nulla nell’aspetto della giovane donna lasciasse presupporre che fosse afflitta da una maledizione che la stava progressivamente spegnendo, a quel che aveva letto sui referti che si era procurato al San Mungo.
«Naturalmente.»
Tonks si avvicinò lentamente ad una delle poltrone e vi si sedette, imitata dal figlio, che sembrava ben più maturo di lei, considerando che non era riuscita a pronunciare una sola parola.
«Potter è passato stamattina e ha lasciato qui le vostre cose.»
La giovane donna annuì, cercando qualcosa da dire.
Un tempo, era stata molto più spontanea ed aveva sempre parlato apertamente, ma, da quando era rimasta vedova, madre e orfana di padre, non si riconosceva più nella persona che era stata. Il primo anno, dopo la morte di Remus e papà, era stato il più difficile, al punto che mamma era stata veramente in pensiero per lei. Non era riuscita nemmeno a modificare di un millimetro la lunghezza dei suoi capelli, ma nulla le trasmetteva l’idea di usare, come aveva fatto un tempo, il suo dono di Metamorphmagus. Aveva avuto altri momenti in cui la prostrazione per un lutto o l’incertezza avevano messo come in una sorta di limbo quella sua capacità, ma nulla era paragonabile a quel periodo.
E non aveva avuto di certo l’animo di giocare con la forma del volto come aveva fatto un tempo davanti a Ginny e a Hermione. Non ci era riuscita nemmeno con il piccolo Teddy, nonostante sua madre credesse che potesse essere una buona idea, considerando che il bambino era un Metamorphmagus esattamente come lei.
Soltanto durante l’anno successivo, quando il figlio aveva superato da tempo l’anno d’età, aveva iniziato a insegnargli alcuni trucchi, ma nulla che potesse ricordare quella che era stata un tempo. In quel periodo, aveva vissuto a corrente alternata. Alcuni giorni era stata piena di vita, dimostrandolo con un colore particolarmente brillante dei capelli; altri era ritornata completamente spenta come nel periodo di lutto precedente.
«Spero… mi auguro che non saremo di peso.»
Severus non commentò le parole di Nimphadora Lupin, preferendo osservarla attentamente, mentre spiegava a lei e al figlio – un bambino fin troppo tranquillo – dove avrebbero riposato e come avrebbero proceduto.
Notò ben presto che la giovane donna sembrava sempre più stanca, per quanto stesse facendo di tutto per non darlo a vedere. Aveva anche modificato alcuni tratti del volto, per nasconderlo meglio.
«Immagino che tu non veda l’ora di sistemare i bagagli.»
Tonks alzò il capo verso Piton, che aveva parlato con indifferenza, anche se a lei sembrò che le sue parole fossero quasi gentili o, quanto meno, una maniera elegante per dirle di andare a riposare al piano superiore, dove l’uomo aveva spiegato che avrebbero dormito lei e Teddy.





8 aprile 2004


«Hanno già esaminato i miei ricordi.»
Quella mattina la donna aveva i capelli violacei, per quanto Severus non riuscisse a capire se ne fosse cosciente o se fosse un tratto legato al suo umore o, più semplicemente, il bisogno di mantenere vivo un aspetto di sé stessa.
«Lo so e ho letto le loro conclusioni, ma non è questo che voglio sapere», affermò l’uomo. «Quando hai iniziato a sentire gli effetti della maledizione, hai fatto qualcosa di insolito?»
«No, nulla», rispose Nimphadora, scuotendo leggermente il capo. «Tutto sembrava star andando per il meglio. Stavo anche per ritornare al servizio attivo. Avrei abbandonato la scrivania dietro cui avevo chiesto di stare per riprendere a fare il mio dovere di Auror sul campo.»
«Hai partecipato anche ad una sola missione?»
«Stavo per farlo quando sono svenuta la prima volta. Ero già pronta... ricordo che avevo riso guardandomi allo specchio: aveva i capelli corti e di un marrone piuttosto orrendo, ma gli occhi erano di un azzurro bellissimo.»
«E durante i giorni precedenti?»
«Nulla di strano. Teddy era appena guarito da una malattia infantile di cui non ricordo il nome, ma non credo…»
«Mamma», il bambino entrò quasi di corsa nella stanza, arrossendo poco dopo, di fronte all’occhiata che gli lanciò Piton. Tonks quasi rise di fronte all’espressione contrita del figlio, che almeno non aveva ereditato la sua goffaggine. Era certa che il loro ospite fosse sollevato ad averla quasi sempre a letto, in modo da evitare che inciampasse in uno spigolo della libreria, facendo cadere tutti i volumi. «Guarda cos’ho trovato!»
«Dove l’hai preso?»
Tonks fu quasi soddisfatta di sé stessa, dal momento che aveva anticipato Piton.
«Io… mi stavo annoiando e… insomma, l’importante è che non entri nel laboratorio, però della soffitta non ha detto nulla, signore…»
Il bambino teneva tra le mani qualcosa, notò l’uomo, che lo stava ancora fissando, cercando di capire se, oltre alle ragnatele, avesse anche dei ragni tra i capelli violacei come quelli della madre.
«Avresti dovuto chiedere il permesso», decise di dire.
«Lo so e mi dispiace.»
«Almeno non hai distrutto nulla o avremmo di certo sentito cadere il vecchio armadio di mia nonna.»
Tonks notò che le gote di Teddy si erano fatte ancora più rosse, ma sembrava anche celare un sorriso, forse perché aveva capito che nessuno gli avrebbe tolto ciò che aveva trovato.
«Possiamo giocarci?»
«Solo dopo che ti sarai lavato», disse Tonks, dopo aver lanciato un’occhiata a Piton, ma l’uomo sembrava osservare con un’espressine pensosa le Gobbiglie che Teddy teneva in mano.
«Grazie.»
Il bambino posò con cura il gioco sul tavolino, poi uscì quasi correndo dalla stanza, ma Severus parve quasi non farci caso. Aveva riconosciuto la scoperta fatta da Teddy immediatamente.
Come avrebbe potuto non farlo, quando le aveva viste tante volte, in quella stessa soffitta?
Erano le Gobbiglie di sua madre.
Ma non le aveva mai toccate, se non di nascosto, quando, da bambino, si intrufolava in soffitta per non sentire le continue liti tra i genitori o per evitare l’ira di suo padre.
D’altronde, Eileen non gli aveva mai insegnato le regole di quel gioco che sembrava non appassionare quasi più gli studenti di Hogwarts. Glielo aveva chiesto, ma era stato come se la donna avesse voluto cancellare la memoria di quello che era stata da giovane.
Oppure, banalmente, non le era importato di condividere quella parte della sua vita con lui.
«Hai altre domande, prima che Teddy torni?»
Tonks si sentiva meglio, quel giorno, forse grazie alla pozione che Piton le aveva preparato. Le pareva più potente di quella che le avevano dato al San Mungo solo due giorni prima. Tuttavia, sapeva che, quando fosse finito l’effetto, la spossatezza sarebbe tornata.
«Non al momento. Avevo unicamente l’impressione che la maledizione utilizzata da Bellatrix potesse essere, da un certo punto di vista, attivata da una particolare azione.»
«Nel corso per Auror ci hanno parlato di maledizioni simili, ma ci hanno detto che non sono mai state particolarmente in voga, perché troppo specifiche e non sempre efficaci.»
Tonks si chiese se l’uomo avrebbe commentato le sue parole, se Teddy non fosse rientrato proprio in quel momento nella stanza.
«Possiamo giocare, mamma?»
La donna annuì e si mise a sedere meglio, in modo che il bambino potesse rannicchiarsi di fronte a lei. Piton si alzò dalla poltrona su cui si trovava e uscì dalla stanza, probabilmente diretto in cucina, come se non volesse disturbarli.
O, forse, si sentiva a disagio, per quanto Tonks fosse certa che non l’avrebbe mai ammesso.
Non sapeva nemmeno cosa pensare di lui.
Un tempo, quando aveva tenuto a distanza tutti o si era rivolto in maniera brusca a tutti loro, in maniera, a volte – o forse il più sovente – umiliante, era stato tutto chiarissimo, ma, in quel momento, nulla lo era.




11 aprile 2004


Tonks sentì il liquido colpirle la mano che aveva portato davanti al volto. Appena aveva fatto la sua mossa aveva compreso di aver sbagliato qualcosa. Teddy ridacchiò, forse perché lui sembrava molto più ferrato in quel gioco.
Si chiese se non dovesse chiedere a Piton di giocare lui con suo figlio, ma l’uomo pareva sparire ogni volta che Teddy prendeva in mano le Gobbiglie. Non era mai nemmeno riuscita a chiedergli a chi fossero appartenute, considerando che le sembravano piuttosto antiche, per quanto non fosse di certo un’esperta in materia.
«Credo di aver capito quale sia il problema», la voce di Piton la colse di sorpresa. Alzò la testa di scatto, un’azione di cui si pentì poco dopo. Almeno non aveva dato prova della sua abituale goffaggine e non aveva mandato in terra le gobbiglie. «L’incantesimo entra in conflitto con le tue caratteristiche di Metamorphmagus.»
Il tono di voce utilizzato dall’uomo era straordinariamente tranquillo, ma la giovane donna intuì che c’era qualcosa che non voleva dire, forse perché nella stanza era presente anche il bambino e, per quanto potesse sembrare strano, Severus era stato bravo con Teddy e più paziente di quanto lei non avrebbe mai immaginato.
«Ed esiste una soluzione?»
«Non lo so.»
Poche parole, si disse Tonks, ma dannatamente sincere.
«Mamma…»
Teddy appariva insicuro, mentre osservava le gobbiglie, pronto a fare la prossima mossa, il volto decisamente mento schizzato dal liquido delle piccole biglie magiche rispetto al suo. Forse sarebbe stato meglio a casa con sua madre o con Harry, ma non aveva avuto cuore di non portarlo con sé.
«Ti consiglio di fare la tua mossa.»
Il bambino sorrise appena, ma Severus si rese conto che era un sorriso tirato. D’altronde, era certo che Teddy fosse perfettamente cosciente di quello che stava accadendo e di quanto fossero critiche le condizioni della madre, così come doveva aver capito che, per quanto fosse riuscito a comprendere quale incantesimo avesse colpito la donna, non aveva idea se esistesse una soluzione. Si allontanò dal tavolo che si trovava in un angolo della stanza d’ingresso e si sedette su una delle poltrone.
Quando era stato dimesso dall’ospedale, una delle prime cose che aveva fatto con la cospicua pensione di guerra che gli aveva attribuito il Ministero, insieme ad un Ordine di Merlino di Terza Classe, era stata quella di rendere veramente abitabile la casa malandata in cui era cresciuto e in cui aveva vissuto.
Non sapeva nemmeno perché non l’avesse venduta per cercare un luogo migliore.
O, forse, non voleva ammettere che, per quanto la strada fosse sempre più malmessa, nonostante la cittadina stessa si stesse lentamente spopolando, era troppo legato a quel luogo per pensare di andarsene.
Era stato lì che aveva conosciuto Lily.
Era stato tra quelle mura che aveva maturato, in maniera definitiva, la decisione di diventare un Mangiamorte.
Era sempre stato lì che aveva stretto il Voto Infrangile.
E sarebbe stato lì che avrebbe potuto, per quanto il più delle volte ne dubitasse, salvare la vita di Nimphadora.
«Teddy se n’è andato», la voce della giovane donna era debole, ma non fragile come in altre occasioni, per quanto avesse notato come la strega tendesse a nascondere la propria spossatezza di fronte al figlio per crollare, quasi, poco dopo. Ma quel giorno sembrava meno afflitta dalla maledizione che l’aveva colpita. Non era nemmeno dovuta rimanere a letto, com’era accaduto il giorno precedente. «Come hai capito che l’incantesimo che mi ha colpita sia legata al mio essere una Metamorphmagus?»
«Quando ti sei accorta che qualcosa non andava, ti stavi preparando per una missione in cui dovevi usare in maniera massiccia le tue abilità e, conoscendo Bellatrix, non mi stupisce che abbia voluto colpirti in questo modo», affermò l’uomo, alzandosi dalla poltrona e sedendosi sulla sedia che era stata occupata dal bambino. Il gioco giaceva ancora sul tavolo. «Ricordo anche che, in altre occasioni, in passato, di fronte a un lutto, i tuoi poteri sono diventati quasi inesistenti. L’unica ipotesi sensata era che tu abbia incominciato a utilizzare massivamente la tua dote intorno al periodo in cui ti sei accorta di essere stata colpita da una maledizione sconosciuta.»
Tonks annuì soltanto. Il discorso di Piton non faceva una grinza e si chiese come mai nessuno avesse fatto il collegamento.
«Non ho mai sentito parlare di una maledizione creata contro i Metamorphmagus… siamo troppo pochi perché possa risultare utile. Diamine, l’unico altro che conosco è Teddy.»
«Non per un mago romano che ha inventato questo incantesimo dopo la battaglia di Teutoburgo, convinto che i Germani avessero a loro disposizione almeno un Metamorphmagus e che fosse anche per questo che Varo cadde in quell’imboscata. Da quel che ho letto, l’incantesimo indebolisce il corpo di colui che ne viene colpito quanto più questi utilizza la sua abilità.»
Nimphadora avrebbe voluto che Piton indorasse in qualche modo la pillola, che non fosse così dannatamente sincero in quella sua spiegazione.
O, forse, era meglio sapere tutta la verità fin da subito.
Non sapeva nemmeno lei quale fosse l’opzione migliore. Di certo non avrebbe mai voluto sentirsi dire quelle parole, non avrebbe mai voluto avere la conferma che quella maledizione la stava portando lentamente, ma ineluttabilmente alla morte.
«Non esiste alcuna speranza, dunque?»
«Non necessariamente», la voce dell’uomo parve a Tonks quasi gentile o, almeno, meno fredda del solito. «Si possono percorrere due strade, per quanto nessuna delle due garantisca una riuscita: inventare una contro-maledizione oppure tentare di bloccare per sempre il tuo stesso essere.»
Severus vide la giovane donna impallidire e poteva comprenderne pienamente le ragioni. In fin dei conti, la strega aveva vissuto la sua intera esistenza come Metamorphmagus ed era certo che ne utilizzasse le possibilità senza quasi rendersene conto. Era una parte di quello che era, lo era sempre stata.
La ricordava perfettamente a scuola, come una Tassorosso del primo anno, che non era in grado di controllare appieno i suoi poteri. La rammentava anche come una ragazza dell’ultimo anno, quando aveva ottenuto i suoi M.A.G.O., di come fosse certa di voler diventare un’Auror, di come si fosse impegnata in tal proposito, nonostante la sua tendenza al non rispetto delle regole della scuola.
«Cosa accadrebbe se limitassi…»
«Sei certa di esserne in grado? Forse non te ne rendi conto, ma quando sei con tuo figlio, modifichi l’aspetto del tuo volto perché non appaia indebolito o sofferente.»
Tonks non disse nulla, ma, forse, non ce n’era bisogno. Sapeva che non sarebbe mai riuscita a rinunciare al suo stesso essere. Quelle volte in cui il suo essere Metamorphmagus si era spento erano state dettate da sensazioni e sentimenti persistenti, non di certo dalla sua stessa volontà.
Sapeva che trovare una contro-maledizione sarebbe stato praticamente impossibile. Non aveva idea di quanto tempo le restasse prima che si spegnesse del tutto, ma riteneva che non fosse molto. In quei quattro anni, si era sempre più indebolita ed aveva utilizzato in maniera massiccia – consapevolmente o meno – il suo dono.
D’altronde, quella maledizione era particolarmente crudele, considerando che colpiva un aspetto che non riusciva in alcun modo a controllare del tutto.
Era un lento logorio che l’avrebbe portata alla morte, unicamente perché era nata Metamorphmagus.
E, quel pensiero, la riempì di una rabbia cieca che non poteva più sfogare contro la colpevole di tale sofferenza, una donna con cui condivideva il sangue e che aveva scelto quell’incantesimo per punire sua madre e il suo sangue non perfettamente puro.
Piton era ancora nella stanza, poco discosto da lei, in silenzio.
E la sua presenza sembrò aumentare quella rabbia improvvisa e bruciante.
«Perché?» biascicò, rompendo il silenzio.
«Dovresti essere più precisa se vuoi una risposta.»
Le parole erano brusche, ma il tono di voce non aveva nulla di velenoso.
Eppure, la giovane donna si sentiva piena di una rabbia che forse non aveva mai espresso fino a quel momento e che, lo sapeva perfettamente, non era nemmeno realmente diretta all’uomo che le stava di fronte.
«Perché sei qui, vivo, senza nessuna conseguenza… perché altri sono morti… altri… perché io devo morire… perché…»
«Credi veramente che non mi sia mai posto queste domande?» la interruppe Severus, notando che la rabbia iniziale della giovane donna, pareva essersi progressivamente spenta, quasi quanto la sua voce e il volto. Era come aver davanti la Nimphadora Tonks che si stava scoprendo innamorata di Lupin, quella stessa giovane donna che lui aveva volutamente umiliato – una delle tante azioni riprovevoli che macchiavano il suo passato – quando si era reso conto che il suo Patronus stava mutando. «So che sono morti molti che avrebbero meritato di vivere e sono sopravvissuti molti che avrebbero meritato di morire. E so anche che tu non meriti questa sorte, così come io non merito realmente la mia.»
Tonks avrebbe voluto rimangiarsi quelle parole impulsive, ma ormai le aveva pronunciate e non poteva farci nulla.
Avrebbe dovuto riflettere più a lungo, ma la sua situazione, i lunghi anni precedenti, la preoccupazione per Teddy, che sarebbe rimasto orfano anche di madre, l’avevano sopraffatta e aveva scaricato tutti quei sentimenti su una persona che, se era stata crudele con lei un tempo, se aveva trattato malamente persone a cui teneva, in quel momento stava tentando di trovare una soluzione al problema che l’affliggeva.
«Mi dispiace, io… non ero nemmeno arrabbiata con te», decise di dire, mentre osservava il volto dell’uomo che aveva di fronte. Le era sembrato diverso in quei giorni che aveva vissuto nella sua casa. Aveva accolto lei e suo figlio con tranquillità e non era mai sembrato infastidito da Teddy. Non l’aveva nemmeno rimproverato realmente per essere andato in soffitta e aver frugato fino a quando non aveva trovato le Gobbiglie. «Forse ho abusato troppo a lungo della tua ospitalità.»
«Una delle frasi più stupide che ti ho mai sentito pronunciare», ribatté l’uomo, con voce secca.
Tonks osservò il volto calmo dell’uomo che pareva contrastare con il tono utilizzato. Rimase a lungo in silenzio, cercando qualcosa da dire, qualcosa che non fosse altrettanto stupido. D’altronde, non sapeva nemmeno cosa pensare di Piton.
E, forse, non era mai riuscita a farsene un’idea.
Era possibile che avesse sempre seguito le impressioni di altri?
Oppure, più semplicemente, la fine della guerra aveva cambiato qualcosa in un uomo che era stato sempre dalla loro parte, anche quando aveva ucciso Silente, facendo credere a tutti loro di averli sapientemente ingannati.
«Non avrei, però, dovuto dire quelle parole», decise di dire.
«Forse», rispose l’uomo, notando come la donna sembrasse aver ritrovato un po’ di vita, che i capelli erano tornati del rosa sgargiante che aveva sfoggiato dal suo risveglio, anche se questo voleva unicamente dire che la maledizione stava agendo più rapidamente. «D’altronde, quelle parole contengono un fondo di verità e lo sappiamo entrambi.»
«Ma non avrei dovuto rivolgerle a te…», mormorò la donna. «Non dopo quello che hai fatto perché vincessimo.»
Severus non rispose alle parole di Nimphadora. Le aveva già sentite pronunciate da altre persone, da Potter, da Minerva e da altri suoi vecchi colleghi, ma questo non le rendeva meno dolorose. Per quanto avesse fatto i conti con ciò che aveva dovuto fare, con le vite che aveva tolto, con le vite che non aveva salvato, questo non eliminava in nessun modo il senso di colpa legato a ciò che aveva scelto di diventare prima di capire che la strada di Mangiamorte era colma di orrore, prima di ricevere la spinta necessaria per rivolgersi a Silente.
«Non è che tu avessi molte altre persone a cui rivolgerle», affermò. Il bambino si trovava in cucina, intento a colorare un disegno che Severus trovava incomprensibile, ma credeva che il piccolo Teddy avesse capito, una volta finita la partita a Gobbiglie, che lui e la madre avrebbero voluto rimanere da soli, per discorrere della sua scoperta.
«Mi dispiace di averlo fatto.»
«Come hai già ripetuto più volte», ribatté l’uomo, portando l’attenzione sul gioco che si trovava sul tavolo, dopo che Teddy aveva vinto contro la madre. «D’altronde, non posso aspettarmi altro da una strega che perde contro un bambino ogni volta che prende in mano una Gobbiglia.»
«Troppa strategia», disse la donna con un sorriso, che sembrava aver fatto scomparire il dispiacere sincero di poco prima. «Però, potrei provare a batterti… sempre che tu conosca le regole.»
«Impossibile non conoscerle, considerando tutte le volte che tu e il bambino avete giocato.»
Tonks sorrise di nuovo, sentendosi improvvisamente più leggera, dopo l’improvvisa rabbia che l’aveva assalita solo pochi minuti prima. Sperava che Teddy, che era sparito in cucina, non avesse sentito nessuna delle parole che aveva pronunciato senza nemmeno riflettere. Forse avrebbe dovuto ribadire che non erano realmente rivolte a Piton, ma non era certa che fosse una buona idea.
«Quindi, accetti di giocare?»
L’uomo annuì soltanto.
Non fu una partita particolarmente lunga, perché Piton era di gran lunga migliore di Teddy, al punto che Tonks si chiese se non avesse trascorso anni ad allenarsi a Gobbiglie, per quanto lo immaginasse più portato per gli scacchi, magici o Babbani che fossero.
Alla fine, la strega si trovò ancora più bagnata dal liquido che le Gobbiglie schizzavano ogni volta che si commetteva un errore. Stava per alzarsi dalla sedia, sentendosi stranamente rivitalizzata, quando Teddy sbucò dalla cucina con un sorriso sulle labbra, i capelli simili ad un arcobaleno sbilenco e un disegno in mano, che rappresentava alcune gobbiglie.
Mentre si recava verso le scale, le parve di sentire lo sguardo di Piton su di sé, ma quando si voltò lo vide intento ad osservare con attenzione il disegno di Teddy e a scambiare qualche parola appena mormorata con il bambino.




13 aprile 2004


«Giochiamo a Gobbiglie.»
Tonks si voltò verso Piton che era entrato nella stanza in cui la ospitava – e lei aveva la netta sensazione che fosse la sua e che lui dormisse in quella più piccola che aveva intravisto una volta –, seguito da Teddy, che teneva tra le mani uno dei libri per bambini che avevano portato con loro.
«Non mi sento particolarmente bene, oggi», mormorò.
Si era alzata completamente spossata. I giorni precedenti aveva tentato di non modificare nessun aspetto del suo corpo, ma aveva notato che le risultava impossibile. Non era in grado di impedirsi di cambiare alcuni aspetti del suo volto per rincuorare Teddy e, a quanto pareva, non era nemmeno capace di non colorare in maniera bizzarra i suoi capelli. Forse, se avesse posseduto l’autocontrollo di Piton ci sarebbe riuscita, ma non era mai stata in grado di tenere a bada le proprie emozioni e, un tempo, l’uomo che la stava aiutando l’aveva quasi derisa per quello.
«Lo so, Nimphadora», disse l’uomo e Tonks si chiese se l’avesse chiamata con quel nome orrendo in cerca di una reazione, ma era troppo stanca per potersi irritare per quello. «D’altronde, potrebbero risollevarti.»
«Di solito sei più allegra dopo che hai giocato, mamma», interloquì Teddy.
«O forse, tutti e due vi inorgoglite all’idea di battermi sempre.»
Né l’uomo, né il bambino risposero alle sue parole, ma notò che il figlio stava osservando Piton con un sorriso divertito sulle labbra. Era strano, d’altronde, come Teddy si fosse adattato a vivere in quella casa dall’aspetto lindo e ordinato, colma di libri e dotata di un laboratorio dove era stato loro interdetto di entrare. Era un luogo contradditorio, considerando l’aspetto dimesso dell’esterno e la strada malmessa in cui trovava e l’aspetto ben più accogliente del suo interno. Forse, si disse, ne rispecchiava, in parte, il proprietario.
«La prima mossa a te.»
La partita fu stranamente lunga, per quanto Tonks non si illuse nemmeno per un istante di vincere. Le pareva piuttosto che Severus la osservasse con attenzione, quasi che il modo in cui giocava a Gobbiglie fosse un qualche mistero da decifrare.
«Come ti senti adesso?»
Era una domanda decisamente bizzarra, si disse la strega, mentre il mago puliva con un colpo di bacchetta il letto che era stato schizzato dal liquido delle Gobbiglie e riponeva con cura il gioco nella sua confezione.
«Meglio», affermò. «Forse potrei scendere tra poco e cercare un libro da leggere.»
«Come immaginavo», commentò il mago. «Me ne sono reso conto due giorni fa, quando abbiamo giocato, ma avrei dovuto notarlo prima. Dopo le partite a Gobbiglie sembri più vitale e, a quanto pare, il primo ad accorgersene è stato tuo figlio.»
Tonks lanciò un’occhiata a Teddy che stava sorridendo in maniera sodisfatta. D’altronde era riuscito a comprendere un particolare che nessuno dei due adulti presenti nella casa di Spinner’s End aveva notato.
«Per questo ho fatto quel disegno, mamma. Le Gobbiglie ti fanno stare meglio e l’ho detto a Severus quando l’ho finito.»
«Dovrò studiare il liquido che viene sputato durante le partite, ma credo di riuscire a trarne una pozione che possa contrastare la maledizione», spiegò Piton. «Ogni schizzo di quel liquido ti permette di riacquistare vitalità, quindi una pozione, probabilmente una crema, può bloccare gli effetti della maledizione.»
«Potrò riprendere il mio lavoro di Auror?»
«Non credo che sia una buona idea, considerando che potresti essere sottoposta ad altre maledizioni e incantesimi nocivi che potrebbero annullare gli effetti della pozione.»
Tonks annuì.
Si era aspettata quella risposta, sempre maledettamente sincera.
«E, mamma, io non voglio che ti accade più nulla di male.»
Severus uscì discretamente dalla stanza, lasciando soli madre e figlio, con le loro speranze del futuro e il loro affetto.
Per un istante si chiese cosa ne sarebbe stato di lui, se avesse avuto dei genitori più simili a Tonks, ma fu un pensiero che scartò subito. Nulla avrebbe potuto cambiare il passato. Il male che aveva fatto sarebbe sempre rimasto impresso nella sua anima e, per quanto avesse impiegato i lunghi mesi della degenza per accettarlo, anche le poche azioni buone che aveva compiuto da quando era diventato una spia.




24 aprile 2004


«Mi sento decisamente meglio», affermò Tonks, mentre entrava nella cucina di Spinner’s End, i capelli rosa e il volto privo di qualsiasi camuffamento per nascondere la sua debolezza. «Ancora più di ieri.»
«Cosa ti hanno detto al San Mungo?»
«Non molto. Hanno fatto diversi incantesimi diagnostici e hanno notato che ciò che mi stava spegnendo non ha più alcuna presa su di me.»
Severus annuì, dicendosi che aveva fatto bene ad accettare la proposta di Potter una ventina di giorni prima, che, in un qualche modo, quel luogo colmo di ricordi tutt’altro che felici poteva custodirne uno migliore, uno in cui aveva salvato una vita.
«Immagino che tornerai a vivere con tua madre, adesso.»
Tonks annuì, osservando la cucina della casa e l’uomo che aveva trovato, in un tempo incredibilmente breve, cosa l’affliggesse e come contrastarlo. Le sarebbe dispiaciuto lasciare quella casa e le partite a Gobbiglie, per quanto perdesse sempre.
«Non potrei tenerla ancora a lungo lontana da Teddy», disse, mentre il bambino entrava nella cucina, il gioco tra le mani.
«Com’è più che logico», commentò l’uomo.
«Non avrei mai detto che le Gobbiglie potrebbero rivelarsi così utili. E dire che le ho sempre credute un gioco sciocco», affermò. «Ti ringrazio per aver permesso a Teddy di giocarci.»
«Se volete potete tenerle.»
«Ma devono appartenere alla tua famiglia da molti anni e non…»
«Ritornerebbero in soffitta tra le ragnatele», la interruppe Severus. «Erano di Eileen, mia madre, e credo di mia nonna prima di lei, ma non sono mai state mie.»
Tonks si chiese cosa celasse quella frase.
O, forse, non voleva nemmeno pensarci, perché, da come aveva parlato della madre, era certa che fosse stata una donna quanto meno distante. Non riusciva ad immaginare a chiamare mamma per nome, né ad essere chiamata così da Teddy.
«Allora, ti ringrazio del dono e ogni volta che le guarderò penserò a come sia stata fortunata», disse con sorriso. «E non credere di liberarti di me. Harry mi ha detto che collabori con lui ad alcune indagini e mi sono offerta di assisterti. In questo modo potrò essere sul campo senza esserlo del tutto.»
Severus osservò con attenzione la giovane strega, ma Nimphadora sembrava unicamente sincera e, in effetti, non era un’idea peregrina, considerando che Potter pareva avere sempre tra le mani un caso da affidargli.
«Dovrò mettere al sicuro tutti i miei mobili, allora.»
«Non ne ho ancora fatto cadere uno, ma sono certa che tu non possegga un orrido portaombrelli.»
Era la prima volta che facevano realmente cenno al passato, oltre che durante lo sfogo della strega di alcuni giorni prima.
«Potrei procurarmene uno, unicamente per essere avvisato del tuo arrivo.»
Tonks scoppiò a ridere, una cosa che non faceva da tempo, si disse. Teddy li stava osservando perplesso, ma lui non poteva sapere a cosa stessero facendo riferimento.
«Ti ringrazio, per tutto», disse poco dopo.
Teddy sembrava essere incapace di parlare, ma corse verso Severus e lo abbracciò. Tonks sorrise di fronte alla gratitudine del figlio e alla goffaggine, con cui l’uomo che era riuscito a mentire a Tu-Sai-Chi e a trovare una cura che sembrava impossibile, stava ricambiando l’abbraccio di suo figlio.
«Potresti venire a cena da noi uno di questi giorni. Ti giuro che non ti avvelenerò.»
Era una proposta impulsiva, ma voleva trovare un modo per ripagare l’uomo. O, forse, voleva vederlo in un altro contesto, capirlo meglio di quanto non avesse mai fatto prima.
Presto o tardi avrebbero collaborato insieme e presto o tardi avrebbero dovuto affrontare il loro passato comune, ma, in quel momento, a Tonks bastava il rapporto che avevano iniziato a costruire in quella situazione complicata.
«Sì, sarebbe bello rivederci», interloquì Teddy, lasciando andare l’uomo. «E potrei sfidarti a Gobbiglie.»
«Se credi di poter vincere…»
Il bambino sorrise soltanto.
Poi venne il momento dei saluti e Severus si ritrovò da solo nella casa in cui aveva vissuto fin da piccolo, in cui aveva compiuto scelte orrende, in cui aveva salvato la vita di una donna che era stato certo di non rivedere più.

 
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view post Posted on 27/11/2022, 20:22
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Mi ha intrigata la scelta di creare una maledizione particolare che Severus deve studiare e provare a curare: la passione per le diagnosi si è scatenata! Ma, obviously, non avrei mai potuto indovinare l’originale incantesimo che ha colpito Dora proprio nella sua natura di Metamorphmagus. Per la stessa ragione ‘scientifica’ non ho trovato strano che Tonks e Teddy si trasferissero a casa di Piton: il nostro mago, oltre ad essere un grande esperto di Arti Oscure è anche un abile osservatore della natura umana e le sue capacità intuitive avrebbero dato il massimo se avesse potuto studiare la giovane strega tutti i giorni. Toccante la tua Dora nel ruolo di madre il cui unico scopo è garantire al figlio una serenità non così scontata dopo una guerra e dopo la tragica perdita del padre. Ho trovato tenera e mai forzata l’interazione tra i tre protagonisti, soprattutto tra Piton e Teddy. Un bel lieto fine, cara Leonora, per una storia altrettanto bella e ben costruita. <3
 
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view post Posted on 28/11/2022, 11:16
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CITAZIONE (Lonely_Kate @ 27/11/2022, 20:22) 
Mi ha intrigata la scelta di creare una maledizione particolare che Severus deve studiare e provare a curare: la passione per le diagnosi si è scatenata!

Felice di averti intrigata, Cate.
CITAZIONE
Ma, obviously, non avrei mai potuto indovinare l’originale incantesimo che ha colpito Dora proprio nella sua natura di Metamorphmagus.

L'ispirazione è arrivata in maniera un po' contorta da un racconto di E.T.A. Hoffmann (l'idea di una caratteristica "innata" di una persona che, se usata, la porta alla morte)
CITAZIONE
Per la stessa ragione ‘scientifica’ non ho trovato strano che Tonks e Teddy si trasferissero a casa di Piton: il nostro mago, oltre ad essere un grande esperto di Arti Oscure è anche un abile osservatore della natura umana e le sue capacità intuitive avrebbero dato il massimo se avesse potuto studiare la giovane strega tutti i giorni.

Felice che ti sia sembrata una scelta logica.
CITAZIONE
Toccante la tua Dora nel ruolo di madre il cui unico scopo è garantire al figlio una serenità non così scontata dopo una guerra e dopo la tragica perdita del padre. Ho trovato tenera e mai forzata l’interazione tra i tre protagonisti, soprattutto tra Piton e Teddy.

Queste tue parole, mi rincuorano (avevo qualche dubbio sulla naturalezza delle interazioni tra i vari personaggi), quindi sono felicissima che tu non le abbia trovate forzate e che tu abbia trovato toccanto Dora come madre.
CITAZIONE
Un bel lieto fine, cara Leonora, per una storia altrettanto bella e ben costruita.

Grazie mille, Cate <3
 
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view post Posted on 7/12/2022, 16:14
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I ♥ Severus


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Una bella storia, coinvolgente e ben costruita, in cui tutti gli elementi della sfida trovano il loro posto in modo perfetto e qualificante (salvo Edvige).
La presenza di Teddy è più che ragionevole e non oscura Tonks, quindi nessun malus.
Tutto è ben amalgamato e la storia mi è piaciuta: un tocco di genio il liquido delle gobbiglie, così come la particolarissima maledizione (e la sua spiegazione storica). Ma ti sei inventata tu come si gioca?
 
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view post Posted on 7/12/2022, 17:03
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CITAZIONE (Ida59 @ 7/12/2022, 16:14) 
Una bella storia, coinvolgente e ben costruita, in cui tutti gli elementi della sfida trovano il loro posto in modo perfetto e qualificante (salvo Edvige)

Sono felice che la storia risulti ben costruita.
CITAZIONE
La presenza di Teddy è più che ragionevole e non oscura Tonks, quindi nessun malus.
Tutto è ben amalgamato e la storia mi è piaciuta: un tocco di genio il liquido delle gobbiglie, così come la particolarissima maledizione (e la sua spiegazione storica).

Felicissima che ti sia piaciuta la questione del liquido di gobbiglie e della maledizione (la spiegazione storica è merito di uno dei miei allievi a cui avevo fatto lezione parlando anche di Teotoburgo).
CITAZIONE
Ma ti sei inventata tu come si gioca?

Ho fatto una ricerca, ma ho unicamente trovato la questione del liquido che viene schizzato quando si perde un punto.
 
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