Il Calderone di Severus

Ele Snapey - Accanto al cespuglio di rose selvatiche, Tipologia: one-shot - Rating: per tutti - Genere: introspettivo - Personaggi: Severus Piton, Ninfadora Tonks - Pairing: nessuno - Epoca: 6° anno - Avvertimenti: nessuno

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view post Posted on 25/10/2022, 14:23
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Titolo: Accanto al cespuglio di rose selvatiche
Autore/data: Ele Snapey - Ottobre 2022
Tipologia: one-shot
Rating: per tutti
Genere: Introspettivo
Personaggi: Severus, Ninfadora Tonks, Albus Silente
Pairing: nessuno
Epoca: 6° anno
Avvertimenti: nessuno

Riassunto: Severus non avrebbe immaginato come, rilevare la casa di Spinner's end in cui aveva trascorso l'infanzia, si sarebbe rivelato così sorprendente...

Nota: Storia scritta per la Sfida di Ottobre, nell’ambito della “15 anni con Severus”.

Campione della Scuola di Beauxbatons

Caratteri: 31.447

Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I personaggi originali, i luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.






ACCANTO AL CESPUGLIO DI ROSE SELVATICHE





Al termine della riunione mi sorpresi ad osservarla di nuovo, senza dare nell’occhio, per capire quale fosse il motivo della sua espressione immusonita e spenta.
Eravamo ormai tutti abituati alla sua allegria maldestra, un po’ fastidiosa ma tutto sommato tollerabile, che concedeva pause di leggerezza durante gli incontri fra i membri dell’Ordine.
Le sue sortite, piuttosto infantili, erano spesso fuori luogo, ma almeno avevano il pregio di riuscire a stemperare le tensioni.
Quella sera, invece, sembrava addirittura un'altra persona.
Silente decretò la conclusione della riunione a cui, in assenza di complicazioni, avrebbe fatto seguito la pausa estiva.
Mentre ci alzavamo lei indugiò ancora, seduta al proprio posto, raccogliendo con mesta lentezza i quattro fogli di appunti sparsi davanti a sé.
Le lanciai un’altra rapida occhiata. Notai come il suo sguardo leggermente ansioso andasse in direzione di Lupin che, in un angolo della sala riunioni, stava concludendo un discorso con Moody.
Inizialmente avevo supposto che la sua condizione dipendesse da quello che era successo la settimana prima al Ministero. Ma ora sembrava che il problema fosse un altro.
– Severus, torni con me al castello o vai a Spinner’s End?
La voce del preside mi distolse dalle riflessioni.
- Se non ti dispiace preferirei andare direttamente là. Ho un sacco di cose da sistemare, e vorrei sfruttare questo weekend per farlo. – Risposi, salutando con un cenno del capo Dedalus Lux prima che questi imboccasse l’uscita.
- Ti capisco, figliolo… - Commentò, annuendo: - Nei prossimi giorni sarò anch'io piuttosto impegnato, e spero non si verifichino urgenze. Sono comunque felice che tu sia riuscito a rilevare la casa dei tuoi. Approfittane per godere di qualche giorno di pausa.
Gli rivolsi un sorriso fugace. Quella abitazione conservava una montagna di ricordi anche se, certamente, non tutti piacevoli. Ma lì avevo pur sempre trascorso la prima parte della mia misera esistenza.
Ed era lì che esisteva ancora la mia stanza: il piccolo rifugio in cui mi rintanavo con il cuore gonfio di infelicità durante le sfuriate di mio padre, ma che poteva anche trasformarsi in un angolo di paradiso, quando mi isolavo tra le sue pareti per riassaporare la gioia profonda di un intero pomeriggio trascorso con Lily.
– Starò lontano tre o quattro giorni. In caso di bisogno sai dove trovarmi. – Aggiunsi, ma mi accorsi che nel frattempo l’attenzione di Albus era stata calamitata dal passaggio di Tonks.
La fermò con espressione affabile.
– Fanciulla mia, non dovresti tornare a riproporre i capelli di quel bel colore acceso? Intendo dire quel rosa vivace che ti donava tanto! – Osservò, prendendo in modo affettuoso le mani della ragazza tra le sue.
Tonks abbassò lo sguardo, leggermente imbarazzata.
- Credo, Albus, che Ninfadora sia abbastanza grande, per riuscire a decidere da sola riguardo il colore dei capelli. – Intervenni, con la consueta vena di sarcasmo, e colsi un lampo di insofferenza nelle iridi scure della giovane strega.
– Sì, può darsi, Severus… - Rispose il vecchio poco persuaso, lasciando libere le sue mani. Sembrò volesse aggiungere qualcosa in risposta alla mia considerazione, ma disse solo: – Scusami, cara, potrai mai perdonare la sciocca osservazione di un vecchio inopportuno?
– Ci mancherebbe, professor Silente. - Esclamò lei, ritrovando un pizzico dell’antico slancio.
- Cerca di trascorrere vacanze serene. E soprattutto riposati, ne avrai bisogno. Ricorda di portare i miei saluti ai tuoi.
Tonks annuì, abbozzando un sorriso piuttosto dimesso. Poi mi rivolse un’occhiata che non seppi definire.
– Arrivederci a settembre, professor Piton… Spero che la pausa estiva possa giovare anche a lei… e alla sua spiccata sensibilità. – Il tono che aveva usato mi restituì la nota sottile di scherno che le avevo indirizzato qualche secondo prima.
– Farò il possibile… - Sogghignai, con un lieve cenno del capo, e il mio sguardo affilato la accompagnò fino all'ingresso, dove si congedò da Molly e Arthur.
Lasciai che fra me e lei si interponesse qualche minuto.
Poi presi la piccola borsa da viaggio che avevo portato appresso, accomiatandomi dai pochi rimasti, e sgusciai rapidamente fuori dal Quartier Generale.
Mi smaterializzai in un vicolo poco più in là…


******



La sagoma nera della ciminiera fu la prima cosa che si palesò ai miei occhi, svettante contro il cielo blu cobalto in cui si stavano affievolendo gli ultimi bagliori arancioni del tramonto.
La strada appariva deserta; i muri crollanti della vecchia fabbrica in disuso biancheggiavano, inquietanti, nell’oscurità che iniziava a calare sui tetti delle villette a schiera identiche tra loro.
Guardai le acque nere che scorrevano limacciose tra sponde trascurate, piene di erbacce e rifiuti; pensai a come nemmeno la bellezza di quella calda serata estiva fosse riuscita a mitigare tanta desolazione.
Io lì ci ero cresciuto, ma ogni volta che tornavo avevo sempre bisogno di un po’ di tempo per abituarmici di nuovo.
Mi incamminai lungo la via, accompagnato da un silenzio quasi innaturale. Solo i miei passi risuonavano secchi sul selciato sconnesso.
Un gatto mi tagliò velocemente la strada, rifugiandosi nell’ombra tra due edifici; procedetti comunque, senza rallentare, oltrepassando file di portoncini tutti uguali.
Raggiunsi il termine della via e mi fermai davanti all’entrata dell’ultima casa.
Le finestre sprangate e l’uscio scrostato mi rimandarono un senso opprimente di solitudine.
Era davvero un sacco di tempo che non tornavo. Ma avrei fatto in modo di rendere abitabile quella che adesso era ufficialmente diventata abitazione di mia proprietà, così da poterla sfruttare nei periodi in cui mi sarebbe tornato utile sparire dalla circolazione.
Cavai di tasca una grossa chiave, la infilai nella serratura corrosa ed entrai.
Mi accolsero subito il buio soffocante e un sentore sgradevole di umidità misto a leggero marciume.
- Lumos.
Alla tenue luce della bacchetta feci scivolare lo sguardo sulla vecchia poltrona logora e sul piccolo divano gemello che occupavano quasi per intero il minuscolo soggiorno; poi analizzai la libreria desolatamente vuota, il caminetto annerito e la tappezzeria strappata in più punti.
Uno strato di polvere spessa era posata su gran parte del misero arredo, mentre grosse ragnatele pendevano tra soffitto e pareti.
Effettuai un rapido sopralluogo nel cucinino sporco, dove il cattivo odore si era fatto ancora più pungente; poi imboccai la scala che saliva al piano superiore, accompagnato da sinistri scricchiolii, e diedi un’occhiata alle camere.
Fissai il mio lettino su cui era ancora posato il copriletto color malva - l’unico che avessi mai avuto - sdrucito e impolverato.
L’arredamento, già abbastanza spartano ai tempi in cui abitavamo la casa, si era ridotto a una seggiola con la seduta in paglia rosicchiata probabilmente dai topi e a un comodino sgangherato.
Nella stanza dei miei trovai invece, oltre al letto matrimoniale, un armadio che sembrava ancora in buono stato.
Tornai sul piccolo ballatoio e le malconce assi di legno del pavimento protestarono sotto il peso dei miei passi.
- Ci sarà molto lavoro da fare… - Borbottai, tra me, mentre scendevo di nuovo nel soggiorno domandandomi da dove avrei dovuto iniziare.
Andai a cercare qualcosa per far luce, e trovai lampade a olio e candele nella vecchia credenza in cucina.
Iniziai quindi a ripulire il grosso della sporcizia.
Il Tergeo si rivelò molto efficace, e più volte ringraziai mentalmente mia madre che aveva provveduto ad insegnarmelo quando ero bambino.
A mezzanotte passata decisi che era arrivato il momento di andare a riposare. Sulla casa era scesa una quiete sepolcrale, disturbata solo dal tenue frinire di un grillo stabilitosi nel giardinetto sul retro.
Mi sentivo a pezzi; era stata una giornata decisamente faticosa, a cui la sessione di grandi pulizie aveva apposto il sigillo definitivo.
Optai per usare la camera dei miei, crollando sul lettone senza nemmeno spogliarmi.
Prima di scivolare nel sonno mi sembrò solo di avvertire un leggero cigolio provenire dall’armadio, ma non vi feci caso, e mi addormentai profondamente.
Quando riaprii gli occhi mi accorsi che energiche lame di luce si incuneavano tra le tavole di legno che sbarravano le finestre, e mi resi conto che il mattino doveva essere sorto da un po'.
Balzai giù dal letto, pronto a recuperare il tempo perduto, e nel farlo mi trovai di fronte all’armadio.
Notai che una delle ante era accostata, ma fui quasi certo che entrambe fossero chiuse quando mi ero coricato… O forse ricordavo male.
Mi avvicinai, incuriosito, e spalancai i battenti: un paio di grembiuli appartenuti a mia madre erano ancora appesi alle grucce. Provai una piccola fitta al cuore e rimasi a fissarli, malinconico.
Mi tornarono alla mente i giorni in cui si metteva a cucinare o a preparare il dolce per le occasioni importanti. Erano quei rari momenti di serenità in cui si festeggiavano i pochi soldi che mio padre riusciva a portare a casa, anziché scolarli al pub.
Un leggero fruscio attirò la mia attenzione. Alzai lo sguardo verso l’ultimo ripiano su cui erano stipate un paio di coperte ammuffite e una scatola di legno, dove probabilmente c’erano tarli al lavoro.
Incuriosito mi allungai per afferrare quello che sembrava una sorta di scrigno, con tanto di lucchetto, impreziosito da delicati intagli floreali.
A dispetto delle dimensioni risultò piuttosto pesante, ma ciò che mi colpì fu la sensazione che all’interno si stesse muovendo qualcosa.
Appoggiai il contenitore sul letto. Lo osservai per qualche secondo con una certa diffidenza.
Quando soffiai il leggero strato di polvere che si era accumulato sul coperchio, al centro apparvero due lettere incise.
– Vuoi vedere che… - Presi il cofanetto e scesi al piano di sotto.
Lo posai sul tavolino della cucina, andai a recuperare la bacchetta, quindi la puntai contro il lucchetto.
- Alohomora.
La fragile serratura saltò: indugiai qualche istante prima di alzare il coperchio, infine rimasi a fissare il contenuto con un mezzo sorriso. Come avevo immaginato, all’interno dello scrigno erano conservate le preziose Gobbiglie di mia madre.
Ad un tratto le piccole sfere iniziarono a roteare dolcemente e a mutare colore, per poi sollevarsi e uscire dal raccoglitore.
Le osservai affascinato mentre, assumendo miriadi di sfumature differenti, una dopo l’altra abbandonavano lo scrigno per andare a sistemarsi con ordine preciso sul tavolo.
Quindi presero a rotolare graziosamente sul piano di formica, cambiando posizione e tonalità, fino a formare una serie continua di combinazioni geometriche.
Ero al corrente dell’esistenza di Gobbiglie dotate di poteri particolari - perfino divinatori, in certi casi - e come, a seguito di ciò, si fossero venuti a formare gruppi ristretti e poco conosciuti di maghi appassionati alla loro lettura.
Ma non avevo mai preso in considerazione l’eventualità che mia madre ne facesse parte.
Le biglie intanto avevano proseguito a formare una sequenza di composizioni molto belle da guardare, ma impossibili da decifrare.
Il giochetto durò ancora per alcuni minuti sotto i miei occhi incuriositi; infine si fermarono, e le rimisi con cura nel cofanetto.
Abbassai il coperchio, mentre rimuginavo sulla possibilità di farle interpretare.
Sapevo come non sarebbe stato facile trovare qualcuno in grado di leggerle correttamente, ma a quel punto avevo deciso che le avrei portate con me, al mio rientro al castello: Albus senz’altro avrebbe saputo suggerire a chi rivolgermi…


******



Silente sfiorò le piccole rotondità con la punta delle dita.
- Queste Gobbiglie sono molto rare e ricercate. Valgono parecchio, Severus: tua madre ti ha lasciato un’eredità non indifferente.
- A quanto pare. Ma non è mia intenzione venderle. Non per ora, almeno. Voglio semplicemente che qualcuno sia in grado di interpretarle. – Specificai dalla poltroncina, di fronte alla scrivania, su cui mi ero accomodato.
- Uhm… Non è così semplice trovare Lettori competenti…. – Chiarì, accarezzandosi la barba: - perfino io, da giovane, iniziai per diletto a studiarne il linguaggio. Ma poi lasciai perdere: era un impegno che mi avrebbe sottratto troppo tempo.
Si appoggiò allo schienale alto dello scranno, i gomiti puntati sui braccioli con l’imbottitura di velluto. Unì le mani davanti al volto, guardandomi con espressione sorniona, quindi aggiunse:
- Credo però di sapere chi potrebbe farlo…
Lo sguardo brillante dietro gli occhialini abbinato al tipico sorrisetto soddisfatto mi preoccuparono. Mi agitai sulla poltrona, perché per un attimo temetti fortemente volesse spedirmi dalla Cooman.
Tuttavia il vecchio, che sembrava avermi letto nel pensiero, ridacchiò.
- Tranquillo, parlo di un'altra persona… - Fece una piccola pausa ad effetto, lasciandomi appeso all’incertezza, e poi svelò: - Si tratta di Tonks.
- Ninfadora?! – Sbottai, fulminandolo con lo sguardo.
- Mi sembra proprio di ricordare che Dora abbia frequentato, un paio di anni fa, un corso avanzato per la lettura delle Gobbiglie, superando brillantemente gli esami di ultimo livello.
Inarcai il sopracciglio, palesando a pieno il mio scetticismo.
- Non fare quella faccia, Severus. Dora è una strega in gamba… a dispetto di quanto ne pensi.
- Non è necessario che perori la sua causa, Albus. La conosco molto bene, purtroppo.
- Il fatto che non fosse un fulmine di guerra in Pozioni non giustifica che tu debba disprezzarne in toto le capacità.
Quindi, ignorando la mia espressione scontrosa, prese una pergamena, impugnò la piuma e iniziò a scrivere.
– Voglio indovinare: stai chiedendole se può interrompere il soggiorno dai suoi per occuparsi delle mie Gobbiglie. – Il mio tono mordace non lo scoraggiò per nulla.
– Sono colpito dalla tua perspicacia, figliolo. – Ribattè, continuando a riempire il foglio con la sua scrittura minuta e ordinata: - La conosco bene anch’io, e sono certo che si presterà volentieri a darti una mano.
– Non lo darei così per scontato.
- Fidati, e seguimi. - Si alzò, dopo aver arrotolato la pergamena, e si diresse verso la porta.
Durante il tragitto verso la Guferia mi parlò di tutt’altro. Fece notare come la fioritura del giardino quell’anno fosse particolarmente rigogliosa, grazie al nuovo concime che aveva usato Pomona.
Mi confidò che aveva già provato a contattare Lumacorno, senza però aver ottenuto ancora alcun riscontro; infine, indicando in direzione del campo da Quidditch, osservò come la struttura avrebbe avuto bisogno di una bella sistemazione.
Giungemmo alla torre ed entrammo nell’ambiente saturo di odore di guano. La Guferia era abbastanza sguarnita di volatili: molti studenti avevano scelto di portare con loro il gufo, dovendo rientrare in famiglia per le vacanze estive.
Silente si inerpicò senza indugio per la scala in pietra che portava ai livelli superiori, e si fermò davanti alla celletta in cui sonnecchiava una splendida civetta delle nevi.
– Ma… Non è quella di Potter?
– Speravo di trovarla qui. Harry sta passando vacanze tranquille alla Tana, perciò ha preferito lasciare Edwige libera di decidere dove trascorrere le proprie.
Si avvicinò al pennuto e lo accarezzò, sussurrando qualche complimento.
– Per rapidità e puntualità è imbattibile; ho giusto avuto modo di rendermene conto in questi giorni… - Specificò, legando la missiva alla zampina; quindi la ragguagliò circa le coordinate necessarie a raggiungere la casa dei Tonks. Infine infilò una mano nella tasca della veste, estrasse una Gelatina Tuttigusti e gliela tese.
– E’ abituata ogni tanto a ricevere qualche piccolo incentivo. Va matta per le Tuttigusti all’hamburger, ma non disdegna neanche quelle ai fagioli e alle more. – Silente ridacchiò, osservandola mentre prendeva delicatamente nel becco la caramella. Alzai gli occhi al cielo.
Edwige finalmente partì. Seguimmo per un po’ il suo volo elegante da una delle ampie feritoie della Guferia, fino a che la voce pimpante del preside interruppe la piccola pausa.
– Bene, ora attendi la risposta… - Decretò, scendendo le scale in pietra consunte e semi ricoperte di escrementi senza troppa prudenza.
Mi affrettai a seguirlo, prestando solo metà dell’attenzione a quanto stava pianificando riguardo la ristrutturazione del campo da Quidditch, mentre l’altra metà era concentrata sulle Gobbiglie e su quello che forse avrei potuto aver rivelato…


******




Due ore più tardi Edwige era già di ritorno.
Mi venne a cercare appena fuori dalle Serre, dopo che vi avevo fatto una rapida incursione a caccia di baccelli di Fagiolo Sopoforoso.
Si posò con un garbato frullio d’ali sul muro del chiostro, quasi a volermi permettere di ammirare la bellezza del piumaggio, e attese impettita che mi avvicinassi a lei.
Sfilai la missiva dalla zampina e la srotolai con una certa impazienza.

“Buongiorno, professor Piton,
rispondo volentieri di sì alla richiesta, rivolgendole però prima di tutto una domanda: dove ha trovato le Gobbiglie?”


Mi accigliai. Ero soddisfatto che avesse accettato, ma mi chiesi che bisogno c’era di ficcanasare sull’origine del ritrovamento.
Sbuffai, infastidito e, brontolando a mezza voce, rientrai nelle Serre in cerca di una penna nell’ufficio di Pomona.
Quindi scarabocchiai nervosamente due righe sotto quelle scritte dalla ragazza.

“Non so per quale motivo ti serva sapere dove le ho trovate… e comunque non a Hogwarts.
Grazie per la disponibilità, rimango in attesa.”


Tornai da Edwige, che ripartì non appena le ebbi affidato la pergamena; poi mi diressi nei Sotterranei per riporre i baccelli in dispensa.
Non passarono due ore che ricomparve.
Picchiettò il becco sul vetro dell’aula di Difesa contro le Arti Oscure, dove mi trovavo per riorganizzare il materiale necessario alle lezioni che avrei iniziato a tenere da settembre.
Andai ad aprire la finestra e le permisi di entrare. Mi rivolse uno squittio lieve, tendendo la zampina a cui era annodata la risposta di Tonks.

“Le Gobbiglie “parlano” solo quando si trovano nel luogo in cui sono state rinvenute.
E “comunque” era semplicemente questo il motivo della mia richiesta.
Resto anch’io in attesa di indicazioni più precise. Sempre che abbia ancora intenzione di farmele avere.
La saluto!”


Abbassai la missiva, ritrovandomi a guardare la civetta dritto negli occhi: in effetti le sfere non si erano attivate quando le avevo fatte vedere ad Albus.
Vergai un po’ seccato il nuovo messaggio in risposta, dopo averci rimuginato sopra per diversi minuti. Il pensiero di essere costretto ad ospitarla a Spinner’s End mi disturbava, e non solo perché la trovavo irritante.
C’entrava forse il fatto che, nonostante fossi riuscito a rimettere abbastanza in sesto l’abitazione, sussistessero ancora ottimi motivi per non aver piacere di mostrarle il grigiore in cui avevo vissuto.
Tuttavia le diedi precise informazioni per raggiungere il posto, fissando l’appuntamento per il pomeriggio del sabato successivo.
– Coraggio, piccola: è l’ultima consegna della giornata. Vai! – Mormorai a Edwige, mentre legavo di nuovo la pergamena alla zampetta.
Ma il volatile rimase impassibile a guardarmi con grandi occhi attenti.
– Che ti prende adesso? – Sbottai. Poi mi venne un'intuizione: stava aspettando l’incentivo.
Incrociai le braccia e le scoccai un’occhiata inflessibile:
– Non se ne parla nemmeno... vai!
Edwige emise una sorta di pigolio contrariato, e si rassegnò a spiccare il volo.
Io invece tornai a dedicarmi alla sistemazione dei libri di testo…

******



Guardai oltre i vetri della finestra, in cucina, e la vidi aggirarsi per strada con aria smarrita, controllando tutti i portoncini delle villette.
Indossava jeans con una maglietta a righe orizzontali azzurre, sulle spalle portava uno zainetto in tela di sacco color verde militare, e i capelli ostentavano ancora una avvilente tonalità grigiastra.
Rimasi ad osservarla, sorseggiando con calma il thè; quindi appoggiai la tazza sul piattino che reggevo e li deposi nel lavello.
Mi diressi all’ingresso, spalancai la porta e la chiamai.
Tonks si voltò, con aria imbarazzata; corse verso di me, inciampando nel primo dei tre scalini davanti all’uscio.
- Ehm, pensavo che la casa fosse quella… - Si giustificò, mentre riusciva a mantenersi miracolosamente in equilibrio.
- Di fronte, certo… – La apostrofai in tono pungente. Intanto lei era entrata in soggiorno.
- Le mie indicazioni non erano abbastanza chiare? – Domandai, caustico; ma lei, ignorando la domanda che le avevo rivolto in modo molto poco cordiale, iniziò a guardarsi attorno.
- Confortevole. – Approvò, in tono gentile.
Le scoccai un’occhiata diffidente, indeciso se pensare che lo avesse detto perchè ne era convinta, o volesse prendermi in giro.
- Questa libreria è notevole. – Continuò, facendo scorrere lo sguardo sul dorso dei volumi che riempivano gli scaffali.
In effetti ero riuscito a rendere l’ambiente meno squallido anche grazie alla gran parte di libri, che dal mio alloggio a Hogwarts avevo deciso di trasferire qui.
– E quando anche il camino sarà acceso, questo posto sarà ancora più accogliente. – Sembrava sincera.
– Sì, ma c’è… ancora tanto da sistemare. – Mormorai, bruscamente, e la precedetti nel cucinino.
Indicai la teiera che sonnecchiava sui fornelli.
- Vuoi una tazza di thè?
– Per il momento no, grazie… – Diresse lo sguardo sul cofanetto posato sopra il tavolo e si illuminò.
– Sono in argento. – Specificai, quasi con noncuranza.
- E sono molto rare e preziose. – Riconobbe lei, sollevando il coperchio.
Non appena la luce proveniente dalla finestra le lambì iniziarono a roteare con grazia, assumendo sfumature diverse, poi uscirono dalla custodia.
Come in precedenza andarono a posarsi sul ripiano. Rotolarono piano, sfiorandosi con un leggero tintinnio, quindi presero a replicare le geometrie che avevo già visto la prima volta.
Tonks si voltò a guardarmi. Sorrise, ma rimaneva una vena di malinconia nello sguardo.
– Le danno il bentornato in questa casa piena di ricordi.
Le rivolsi un rapido cenno di approvazione; intanto le Gobbiglie avevano cambiato di nuovo posizione e colore.
– La invitano a ripercorrere il sentiero delle memorie, e adesso…
Si interruppe, accigliandosi leggermente.
– Adesso parlano del giardino sul retro… - Seguì con attenzione lo spostamento delle piccole sfere: - dove c’è un passaggio che porta a un altro giardino…
Lo stomaco si strinse in una morsa.
– E’ un posto dove giocavano i bambini… e dove cresce e fiorisce un cespuglio di rose selvatiche…
Tonks si concentrò, perché ora le combinazioni si stavano alternando in fretta.
– C’è qualcosa… non riesco a capire… indicano qualcosa di non visibile, di nascosto… da cercare proprio accanto a quel cespuglio di rose…
Il cuore prese a battere forte. Ricordavo bene le siepi dietro le quali mi nascondevo per spiare Lily, e tra le quali cresceva anche un cespuglio di rose selvatiche.
La giovane donna staccò gli occhi dalle Gobbiglie che pian piano si stavano fermando, e mi fissò.
- Qualcosa di prezioso… molto prezioso… - Mormorò. Dopo una piccola pausa aggiunse: - Ha idea di che cosa possa essere?
Ricambiai lo sguardo, in silenzio, annuendo piano. Poi mi voltai senza proferir parola; andai alla porticina sgangherata che dava sul retro e la spalancai.
Abbracciai con un’unica occhiata ciò che restava del giardinetto di casa: mi ero ripromesso di ripulirlo non appena terminato di sistemare l’interno.
Mia madre, ai tempi, era perfino riuscita a ricavare un minuscolo orto a ridosso della rete semi distrutta che lo delimitava; ora quel confine era quasi del tutto coperto dalla vegetazione.
Raggiunsi il punto dove c’era stato l’orto e passai a fatica attraverso un grosso buco presente nella recinzione, lo stesso che da bambino varcavo senza il minimo sforzo quando volevo sgattaiolare fuori di casa.
Proprio da lì partiva il piccolo sentiero incolto che, attraverso un campo abbandonato, portava al luogo in cui mi ero fermamente imposto di non tornare più.
Tuttavia, a dispetto dei buoni propositi, ripercorsi la medesima scorciatoia che avevo fatto, in passato, centinaia di volte. Avevo il cuore in gola.
Raggiunsi in pochi minuti la piccola area dove l’erba aveva quasi del tutto ceduto il posto al terreno polveroso, e osservai il parchetto inondato dalla luce calda del pomeriggio.
Era tutto fermo, nemmeno un alito di vento.
Assalito da un profondo senso di abbandono rimasi a fissare le altalene, appese alla robusta traversa di legno scurita dagli anni tramite le lunghe catene ormai arrugginite.
Le ombre si stagliavano nette sul terriccio, assieme a quelle della piccola giostra reclinata su un lato e dello scivolo pieno di foglie secche mai spazzate via.
E i ricordi iniziarono a scaturire, feroci.
Immagini e suoni ripresero vita, tornarono a riempire il giardino che una volta aveva accolto grida e risate di bambini, mentre l’altalena si librava di nuovo verso il cielo, sospinta dallo slancio vigoroso di una ragazzina dai lunghi capelli rossi che rideva, felice.
Mi obbligai a distogliere lo sguardo, rivolgendo l’attenzione alle siepi, cresciute in modo disordinato, che tracciavano il confine del parco giochi: il cespuglio di rose selvatiche era ancora là, carico di fiori e di reminiscenze.
Mi diressi meccanicamente verso il punto che avevano indicato le Gobbiglie, e il delicato profumo dei boccioli mi fece rivivere quanto negli anni avevo tentato, invano, di rimuovere.
Guardai il terreno ancora umido per la pioggia caduta il giorno prima; nello stesso istante un petalo si staccò da uno dei fiori, andando a posarsi con leggerezza poco più in là.
Mi inginocchiai, iniziando a rimuovere la terra nel punto in cui si era adagiato, e quasi subito le mie dita incontrarono una resistenza.
Scavai più a fondo, fino ad estrarre l'oggetto delle dimensioni di una scatola di fiammiferi.
- Sapevo che ti avrei trovata ancora qui… - Sussurrai al minuscolo contenitore avvolto in un residuo di stagnola, probabilmente già usato per proteggere qualche merenda.
Ripulii la carta argentata dal terriccio; quindi, con mani tremanti e infinita delicatezza, liberai il piccolo contenitore dalla stagnola.
Feci scorrere il coperchietto e rimasi a fissare il minuscolo coccio di vetro brunito - appartenuto a una bottiglia di birra gettata per strada - la cui forma ricordava vagamente quella di un cuore.
C’erano anche due anelli di alluminio, recuperati da lattine vuote, e un pezzetto di carta strappato da un quaderno a quadretti, su cui la grafia ordinata e un po’ infantile di Lily aveva scritto: “Insieme, per sempre!”.
Piccoli scampoli di una promessa solenne pattuita fra due bambini convinti che, sotterrando quel tesoro prezioso ai piedi del cespuglio, nessuno avrebbe potuto portarsi via il loro sogno.
Nessuno tranne la vita, ovviamente.
Serrai forte le palpebre per impedire alle lacrime di traboccare; poi presi delicatamente la scatolina tra le mani e mi rialzai.
All’improvviso il silenzio fu incrinato dal cigolio dell’altalena.
Il cuore prese a martellare e dimenticai di respirare: lasciai trascorrere qualche istante, prima di voltarmi, per recuperare la calma persa al pensiero di ciò che mi sarebbe apparso.
Ma quando mi girai tutto quello che vidi fu Tonks, che mi guardava dall’altalena, dondolandosi svogliatamente.
– Da quanto tempo sei lì? – Domandai, aspro.
– Da un paio di minuti… L’ho seguita dopo che mi ha mollato in cucina per andare nel giardino sul retro e ha attraversato la recinzione. – Si giustificò, a disagio, bloccando l’oscillazione del seggiolino.
Nascosi la scatolina in tasca e mi avvicinai a lei.
- Ha trovato quello che cercava? – Chiese, timidamente, sbirciandomi da sotto in su. Notai le profonde occhiaie che si combinavano a meraviglia con i capelli color polvere.
- No. Probabile che qualcuno sia arrivato prima di me. – Risposi, evasivo, per non incoraggiarla a rivolgermi altre domande.
Annuì, fece vagare lo sguardo triste sul parco e lasciò la mente sguarnita per una discreta manciata di secondi, dandomi la possibilità di percepire con chiarezza ciò che la tormentava.
Tornò a guardarmi, sorridendo debolmente: aveva intuito che sapevo.
Tuttavia non avrebbe nemmeno potuto immaginare come fossi anche in grado di comprendere l’abisso di infelicità in cui era sprofondata.
A quel punto un inspiegabile impulso mi spinse, quasi senza rendermene conto, a sedermi sull’altalena accanto a quella occupata dalla ragazza.
- Ninfadora… - Attaccai, ma mi corressi subito: - Dora…
Lei si aggrappò al mio sguardo, speranzosa.
Forse si aspettava che avessi qualcosa di importante da rivelarle, come ad esempio di aver sentito Remus, anche solo di sfuggita, fare riferimento a lei. Qualsiasi cosa, pure banale, sarebbe stata meno mortificante del suo disinteresse.
Considerai la possibilità di parlarle, sentendo di avere parecchie cose da dire a quella giovane donna scoraggiata, che aveva rinunciato troppo in fretta a lottare.
Avrei potuto farle notare come l’esistenza fosse realmente ingiusta e avara, ma non per questo doveva arrendersi.
In nessun caso avrebbe dovuto rinunciare ai propri sentimenti, anzi: sarebbe stato necessario combattere per ciò che desiderava, sempre, senza dare mai nulla per scontato.
Perchè questa era l’unica opzione possibile per evitare, se non altro, di essere costretta ad affogare nei rimpianti per tutta la vita.
Invece rimasi in silenzio a guardarla, mentre i suoi occhi iniziavano a riempirsi di lacrime e il mento a tremare, fino a che scoppiò in un pianto inconsolabile.
– Mi dispiace… Perdonami… mi sento così stupida, ma non sai quanto male sto provando! – Gemette, con la voce spezzata dai singhiozzi, stringendo forte in pugno le catene dell’altalena: non si era neanche accorta di avermi dato del tu.
– Oh, invece lo so… lo so bene, Dora. – Mormorai, talmente piano che fui certo non avesse inteso.
La quiete del parchetto fu scossa dai suoi singhiozzi per qualche minuto e io attesi – con pazienza inverosimile rispetto ai miei livelli di sopportazione - che la crisi si esaurisse.
Infine mi alzai dall’altalena, ergendomi davanti a lei con le braccia incrociate al petto e lo sguardo serio.
– Spiacente, ma in qualità di tuo ex insegnante sono obbligato a rammentarti che piangersi addosso non è la soluzione. Inoltre non sei più una ragazzina: ora hai delle responsabilità. Perciò asciugati gli occhi, scollati da quel seggiolino e andiamocene da qui. – La esortai, cercando di smorzare un po' il tono abbastanza sbrigativo.
- Sì… - Si staccò dall’altalena, cavando dalla tasca dei jeans un fazzoletto appallottolato.
- Al momento non ho molto da offrirti, se non la tazza di thè che hai rifiutato poco fa. Credo però che ti farà bene.
- Sì… - Soffiò il naso e mi seguì, docilmente, mentre riprendevo la scorciatoia.
Quindi con un piccolo scatto mi precedette, frapponendosi tra me e il sentiero.
Alzò gli occhi espressivi, cercando i miei, cupi e inaccessibili.
- Grazie, professore. – Sussurrò, arrossendo leggermente.
Distinsi una spruzzata di rosa acceso spuntare come un piccolo miracolo tra i suoi capelli spenti, e un sorriso lieve mi increspò le labbra, stemperando la mia espressione chiusa.
- Credo sia anche venuto il momento di abolire ogni formalità. Da tempo non sono più il tuo professore, ormai. – Borbottai, ostentando un distacco che in realtà non sentivo.
- Allora grazie, Severus…
- Anche a te, per aver dedicato tempo alle mie Gobbiglie.
– Spero ne sia valsa la pena. – Indicò la tasca in cui avevo infilato la scatola di fiammiferi, con un sorrisetto allusivo, e si incamminò per il viottolo.
La osservai, divertito, mentre mi precedeva, incespicando di tanto in tanto.
Quindi mi voltai per dare ancora un’occhiata al parchetto che si stava allontanando da me.
E cogliendo il riflesso del sole sulle lamiere delle giostre, ebbi la certezza che quella sarebbe stata l’ultima volta.
 
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view post Posted on 27/11/2022, 19:45
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Ho amato la tua storia, Ele. L’idea di fondo, la descrizione degli ambienti, i dialoghi, il confronto fra i due protagonisti. Intensa la descrizione di Spinner’s End che ricalca ciò che Severus si porta nel cuore: grigiore, desolazione, ma anche amore. Un cuoricino fragile come vetro e un sentimento fortissimo seppelliti con la scatolina di metallo nella meravigliosa e struggente scena che dà il nome al racconto. Ma basta poco e dal mago viene fuori la luce nascosta sotto gli abiti scuri a colorare il mondo nelle sfumature dell’arcobaleno, proprio come fanno le magiche Gobbiglie (molto originale la proprietà divinatoria conferita alle sferette trasparenti). Piton comprende alla perfezione il dolore della giovane e, sebbene nella saga il mago risponda con sufficienza e biasimo all’intuizione dei sentimenti della strega per Lupin (mi riferisco alla scena del Patronus), non ho trovato immotivata l’empatia che infine le dimostra: è appunto la dimostrazione della sua natura più vera. Mi è piaciuta anche Dora, triste e chiusa in se stessa alla riunione dell’Ordine, ma di nuovo gioviale ed esuberante quando si ha bisogno di lei. Infine, la battuta in chiusura del brano è un colpo al cuore che tira giù la lacrimuccia a stento trattenuta. <3
 
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view post Posted on 28/11/2022, 00:37
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Carissima Cate, sei sempre così affettuosa nei confronti delle mie storie! 3_3
Anche in questo caso sono davvero felice che tu abbia l'amata, e abbia colto e apprezzato il sentimento di empatia che porta Severus a comprendere a pieno la natura del dolore che sta provando Dora, una sofferenza che, anche se solo inizialmente, ha visto lo stesso percorso per entrambi.
Ti ringrazio di cuore per le bellissime osservazioni e per le parole di gradimento che, come ogni volta, mi regalano tanta soddisfazione <3
 
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view post Posted on 7/12/2022, 16:59
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Una buona storia, triste e commovente, in regola con i requisiti della sfida.
Però ho un po' di dubbi sul rispetto preciso del canone, che qui mi pare molto stiracchiato.
- Edvige in effetti ce l'ha Harry a Privet Drive: è citata nel capitolo 3 del 6° libro.
- Perche Piton dovrebbe rilevare Spinner's End? Se era di proprietà dei genitori era già sua per diritto ereditario. Se erano invece in affitto, non è molto credibile che sia rimasta sfitta per anni con dentro tutte le cose dei genitori. Qualcosa non mi quadra. Sarebbe meglio dire che Piton dopo una marea di anni ha deciso di usare di nuovo la casa, trovando una credibile motivazione.
Inoltre, nell'estate tra 6° e 7° anno, c'è Minus a casa di Piton. Si potrebbe però anche suppore che arrivi dopo qualche giorno dai fatti narrati. Sarebbe utile fare un accenno a questo fatto nella storia per sistemare la questione canone.

Ultimo accenno, tra canone e pensiero personale. Severus che all'inizio del 6° anno di scuola prende in giro la Tonks per la debolezza del suo Patronus non mi è mai piaciuto, però l'ha scritto la Rowling e devo farmelo andare giù. Dopo la lettura della tua storia, dove è evidente che Severus la paragona a se stesso per il suo amore infelice... il brano della Rowling mi piace sempre meno, ma, ovvio, non posso affermare che sia fuori canone.
 
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view post Posted on 8/12/2022, 19:50
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CITAZIONE (Ida59 @ 7/12/2022, 16:59) 
Una buona storia, triste e commovente, in regola con i requisiti della sfida.
Però ho un po' di dubbi sul rispetto preciso del canone, che qui mi pare molto stiracchiato.
- Edvige in effetti ce l'ha Harry a Privet Drive: è citata nel capitolo 3 del 6° libro.
- Perche Piton dovrebbe rilevare Spinner's End? Se era di proprietà dei genitori era già sua per diritto ereditario. Se erano invece in affitto, non è molto credibile che sia rimasta sfitta per anni con dentro tutte le cose dei genitori. Qualcosa non mi quadra. Sarebbe meglio dire che Piton dopo una marea di anni ha deciso di usare di nuovo la casa, trovando una credibile motivazione.

Scartabellando sul web alla ricerca di qualche notizia in più, non ricordo di preciso dove avevo letto che a un certo punto l'avesse rilevata. Però la tua osservazione non fa una piega: troverò una motivazione adeguata a rendere più credibile questo passaggio :b:

CITAZIONE (Ida59 @ 7/12/2022, 16:59) 
Inoltre, nell'estate tra 6° e 7° anno, c'è Minus a casa di Piton. Si potrebbe però anche suppore che arrivi dopo qualche giorno dai fatti narrati. Sarebbe utile fare un accenno a questo fatto nella storia per sistemare la questione canone.

Ok! :b: In effetti i fatti si svolgono appena prima dell'arrivo di Minus, nonchè di Bellatrix e Narcissa.


CITAZIONE (Ida59 @ 7/12/2022, 16:59) 
Ultimo accenno, tra canone e pensiero personale. Severus che all'inizio del 6° anno di scuola prende in giro la Tonks per la debolezza del suo Patronus non mi è mai piaciuto, però l'ha scritto la Rowling e devo farmelo andare giù. Dopo la lettura della tua storia, dove è evidente che Severus la paragona a se stesso per il suo amore infelice... il brano della Rowling mi piace sempre meno, ma, ovvio, non posso affermare che sia fuori canone.

Grazie per le considerazioni, Ida, e per aver sottolineato questo particolare che tenevo a mettere in luce! :*:
 
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4 replies since 25/10/2022, 14:23   139 views
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