Il Calderone di Severus

Lonely_Kate : Il Gatto e il Mago, Genere: mistery, drammatico, introspettivo – Personaggi: Severus Piton, Aberfoth Silente, Hermione Granger - Rating: per tutti - Pairing: nessuno – Epoca: post HP7 - Avvertimenti: AU

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view post Posted on 21/1/2022, 21:42
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Dalla terra dove s'intrecciano misteri, magie e leggende.

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Titolo: Il Gatto e il Mago
Autore: Lonely_Kate
Data: novembre/dicembre 2021
Beta: Chiara53
Previewer: Starliam, Mitsuki91
Tipologia: racconto one-shot
Genere: mistery, drammatico, introspettivo
Rating: per tutti
Personaggi: Severus Piton, Aberforth Silente, Hermione Granger
Pairing: nessuno
Epoca: post HP7
Avvertimenti: AU
Nota: scritto per la celebrazione dei “15 anni con Severus “ del Calderone di Severus, sfida di gennaio 2022 (Aberforth Silente, Lago Nero di Hogwarts, Scope, Grattastinchi)

Ruolo: Campione Scuola di Hogwarts
Punti lunghezza (battute 80993): 4 x2: 8

Nota 2: le piante indicate nella storia sono reali come pure le loro documentate proprietà. Purtroppo non sono magiche e mi sono presa delle libertà sul loro ciclo vitale ai fini della storia. Inoltre, siliqua e baccello sono sinonimi per descrivere la forma dell’appendice che ricorda quella delle leguminose.

Riassunto: Severus si rigirò tra le dita quella forma oblunga e bitorzoluta.

Cara Chiara, grazie,
non solo per tutto quello che hai fatto… ma per avermi fatto sentire che valeva la pena farlo.
Care Stella e Sara, grazie per i vostri preziosi suggerimenti.

Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling ed a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.

I GIORNO: neve e morte


“Per la barba di Merlino, chi disturba ancora le mie capre!?”
Un attutito latrato echeggiò nella fredda notte di inizio gennaio. Nel cielo la luna era solo uno spicchio calante, oltre l’ultimo quarto.
“Questa è la terza notte, non posso andare avanti così! “, Aberforth Silente si alzò a fatica dal letto e sospirò per i suoi dolori: quelli dell’artrosi, ormai suoi fedeli compagni, ma soprattutto per il dolore di dover abbandonare il suo caldo e accogliente giaciglio.
Indossò in fretta il cappotto di pelliccia, afferrò la bacchetta magica e si tuffò nella notte, spalancando l’uscio di casa con violenza. Fredde tenebre lo accolsero: una nuvoletta di vapore gli uscì da narici e bocca.
“Chi è là?!” Gridò, ma ricevette in risposta soltanto l’eco di un abbaiare lontano.
Neppure un belato provenne dalla stalla in fondo al piccolo cortile della sua casa: una casupola rustica a un tiro di schioppo dal pub “Testa di Porco”.
Il vecchio affrontò il buio. Il Lumos della sua bacchetta lottava tenace contro tenebre fitte e gelide: la fioca luce emanata non riusciva a farsi largo in quella densa oscurità.
Arrancando nella neve caduta di fresco, giunse all’ingresso della stalla: nessun belato né scalpiccio di zoccoli. Avanzò piano in quell’oscuro silenzio di morte.
La paglia sul pavimento scricchiolò a contatto con i suoi scarponi ghiacciati; nell’aria si sollevò un aroma penetrante di fieno e pelo di animale.
Aberforth conosceva le sue capre una ad una, riusciva a distinguerle con una sola occhiata o anche con un’annusata: amava affondare il naso nella ruvida pelliccia bruna, screziata di nero e bianco, che ricopriva la fine e morbida lanugine sottostante.
“Smokey? Pan? Babe? Ramsey?” Chiamò preoccupato.
Nell’aria aleggiava un altro odore che non conosceva: un tanfo animale, selvatico e feroce, che iniziò a punzecchiargli il fondo della gola.
Si inoltrò all’interno dell’edificio: l'improvviso chiarore rivelò la crudele origine del silenzio: i piccoli corpi delle sue amatissime capre - le sue predilette- erano adagiate in un angolo della stalla, l’uno sull’altro, semicoperti da strati di paglia. Le povere creature avevano forse provato a difendersi stringendosi tra loro, inutilmente.
Aberforth si avvicinò rapidamente a quello spettacolo orribile. Ripeté i nomi delle caprette e, con la mano sinistra, sfiorò i corpi scuri e contorti: erano gelidi. Alitò forte su di loro, iniziò ad accarezzarli nel disperato e vano tentativo di riportare il calore della vita.
Un distinto crack lo immobilizzò.
Si voltò cercando la fonte del rumore nel buio. Un indefinibile terrore iniziò a prendere il sopravvento. Non aveva più motivo di restare inginocchiato accanto alle sue fedeli amiche: avrebbe dato loro sepoltura l’indomani.
Un altro crack, più forte, esplose alle sue spalle. Si voltò ancora, ma non vide nulla di insolito.
Aberforth non era uno che si faceva intimorire, tuttavia il senso di autoconservazione lo spinse ad andarsene, a tornare indietro e trovare riparo mentre aspettava la luce del giorno.
Si smaterializzò e riapparve nell’ingresso della sua casa.

II GIORNO: il baccello blu


Aberforth Silente si era trasferito nella nuova piccola dimora poco dopo la fine della seconda Guerra Magica. L’ex appartamento, al piano superiore del pub ‘Testa di Porco’ gli era improvvisamente diventato estraneo, come appartenente a un’altra vita. Ne aveva viste di cose da quando lavorava lì: chi avrebbe potuto immaginare che un pub dalla fama ambigua e sinistra sarebbe stato un palcoscenico per tante vicende umane fatte sia di malvagità, che di amicizia e coraggio. Ricordava molto bene quei giorni concitati: era come se un treno gli fosse passato addosso, trascinandolo via dal tunnel dell’indifferenza -conquistata dopo anni di dolore- per catapultarlo di nuovo nell’orrore e nella paura. Fosse stato per lui avrebbe lasciato tutto al caso; non se la sentiva più di combattere, preferiva rassegnarsi all’ineluttabilità degli eventi. Ma la forza e l’ardimento di quei ragazzi gli avevano fatto cambiare idea.
Ora strani accadimenti lo tormentavano e di nuovo fu costretto a rinunciare alla quiete e alla pace.

La mattina che seguì, un sonoro tonfo svegliò l’anziano mago di soprassalto: un grosso blocco di neve era caduto dal tetto proprio davanti alla sua camera da letto. Aberforth aveva tentato di restare vigile durante il resto della notte appena passata, ma alla fine si era arreso alla stanchezza e si era ritrovato, con ancora indosso il cappotto di pelliccia, sul pavimento accanto alla finestra da cui aveva cercato di tenere sotto controllo l’esterno.
Immagini terribili apparvero nella sua mente ancora mezza intontita dal sonno. Senza indugio si precipitò fuori per verificare che tutto non fosse stato un incubo.

La neve era fresca e morbida, segno che più nevicate si erano susseguite nelle ultime ore. Non vi era traccia di orme recenti: neppure le sue erano più visibili.
Fece il giro intorno all’edificio, le due piccole finestre laterali erano chiuse; si arrampicò sul tetto adoperando una scala traballante, ma neppure lì scoprì tracce di un eventuale predatore notturno… o di una creatura magica.
L’ingresso della stalla era chiuso e bloccato da un cumulo di un candore luccicante. Non ricordava di aver chiuso la pesante porta di legno di pino; né sapeva con chiarezza quanto accaduto tra quelle pareti alte poco più di tre metri, ma un’immagine gli si era stampata sulle retine: le sue adorate creature erano imprigionate in un groviglio di morte che, magra consolazione, le aveva colte vicine.
Il dolore tornò violento; a stento trattenne le lacrime -Cosa diavolo era successo lì dentro? Pensò.
Entrò e andò ad accarezzare le testoline di alcune piccole amiche sopravvissute: “Misty, Babe, se voi poteste parlare…” .
Si fece coraggio e spostò i corpi di Smokey, Pan e Baartok. Proprio sotto di loro, sul pagliericcio gelido, spiccava uno strano baccello bitorzoluto, di un vivido colore bluastro.
Non sapeva a quale pianta appartenesse, ma era certo che non ne crescessero di simili nei dintorni della sua proprietà. -Come c’era finito lì nella stalla e sotto i corpi delle sue capre? Forse ne avevano mangiato per poi restarne avvelenate? A gennaio quale pianta riusciva a crescere sotto la neve?
D’inverno nutriva i suoi animali solo con fieno fresco e profumato, non andavano certo al pascolo!
Osservandole con attenzione giunse alla conclusione che le capre sembravano proprio avvelenate da una sostanza magica, ma lui non era in grado di spiegare il come né il perché. Inoltre, ignorava l’origine di quello strano baccello blu.
Non aveva mai avuto l’istinto del ricercatore: era un uomo semplice dedito alla buona tavola e alla cura delle sue capre; lo studioso di famiglia era suo fratello Albus.
Pensò a lui intensamente, richiamandolo alla memoria per l’istintivo desiderio di chiedergli consiglio: di certo avrebbe avuto una risposta ai suoi mille interrogativi. Suo fratello se ne era andato, come aveva fatto Ariana, lasciandolo solo. Come ogni volta che pensava a lui lo invidiò: Albus si era finalmente liberato dal dolore, dal peso del passato e dei ricordi. Ricordi e rimpianti che, invece, restavano custoditi nel suo petto.

III GIORNO: ritorno a Hogwarts


Quel pomeriggio Severus Piton aveva corretto meno compiti del solito; i suoi pensieri continuavano a tornare al messaggio ricevuto via gufo poche ore prima. -Cosa voleva quell’uomo da lui?
Non aveva avuto molte occasioni di incontrare Aberforth Silente fuori dal ‘Testa di Porco’. Durante l’anno prima dell’epilogo della seconda grande Guerra Magica non si era più recato in quel locale dove il barista lo serviva sempre in silenzio e gli dedicava la stessa attenzione che avrebbe avuto per un granello di polvere sul bancone.
Solo una volta lo aveva scacciato in malo modo e Severus non lo aveva dimenticato.
Impossibile che, dopo tre anni, il vecchio volesse affrontarlo per parlargli di Albus.
-Cosa poteva esserci allora di così urgente?
Severus piegò con cura l’ultimo elaborato dei suoi allievi: aveva scritto una grossa O in fondo alla pagina; era la terza quel pomeriggio. Le ipotesi erano due: o quell’anno seguiva una classe più brillante e attenta, o lui si era rammollito. Sbuffò.
Aveva accettato di malavoglia l’incontro. Se possibile evitava di rievocare il suo passato più doloroso, d’altra parte quando mai aveva avuto dei ricordi davvero felici a cui attingere? L’unica soluzione era non pensare e andare avanti. Ma dimenticare, mai.
Con estrema lentezza e molta sofferenza stava imparando a non crogiolarsi più nel dolore, a non rimuginare sugli errori e scelte fatte, col solo risultato di continuare a farsi del male. Non era facile, ma cresceva in lui, ogni giorno, la consapevolezza che era sopravvissuto per uno scopo.
L’incontro di quella sera era forse un’altra prova a cui sottoporsi? Stava per incontrare una sua nemesi, forse la peggiore rimasta in vita.
Montava in lui una fastidiosa inquietudine… e forse anche paura: non era abituato alla pace, però si era ormai adattato a una vita lenta, fatta di ordine e sicurezze.
Probabilmente si stava rammollendo davvero.
Appoggiò la schiena alla poltrona e intrecciò le mani davanti a sé; chiuse gli occhi, sospirò e attese.

***


No, non avrebbe voluto, non avrebbe affatto voluto prendere quella decisione. Sbuffava e camminava, camminava e sbuffava. Il vecchio attraversò le strade di Hogsmeade brontolando tra sé.
Giunse al punto che aveva scelto per la smaterializzazione e in un attimo sparì.
Si ritrovò in mezzo al bosco con il corpo sommerso nella neve fin quasi alla vita.
- Maledizione a questa assurda regola magica sui luoghi in cui uno può smaterializzarsi. Aberforth odiava questo modo di spostarsi, preferiva le Passaporte o la Metropolvere, ma Lui non gli aveva concesso di apparire direttamente nel camino del suo ufficio. Sapeva che quell’uomo non era proprio un tipo ‘caloroso’. Be’, poco male, gli piacevano le maniere spicce e finanche i modi bruschi. Riusciva a tollerare anche il sarcasmo poiché anche lui ne aveva da vendere. Tuttavia Aberforth Silente odiava i Mangiamorte, redenti oppure no: nascevano assassini e restavano tali per tutta la vita. Ne aveva serviti a centinaia negli anni; erano clienti come gli altri, certo, ma restavano feccia.

L’anziano mago era stanchissimo quando arrivò ai cancelli coi Cinghiali Alati. Non aveva più fiato e minuscole stalattiti ghiacciate erano comparse sul profilo dei baffi intorno al naso e alla bocca.
Un elfo gli aprì l’imponente portone del Castello e subito sgattaiolò via. Nessuno ad accoglierlo o salutarlo, ma andava bene così, non aveva tempo da perdere.
Dovette prestare molta attenzione nel percorrere la strada che l’avrebbe condotto allo studio del professore di Pozioni. Si guardò intorno per orientarsi: erano tanti, troppi gli anni che mancava da Hogwarts. - Per Merlino, questo posto è proprio come la testa di mio fratello: un labirinto incomprensibile lastricato di una magia ridicola che lui avrebbe, senza troppi giri di parole, definito ‘divertente’. Sì, si stava proprio divertendo a farsi trasportare a destra e manca da quelle scale impazzite cercando di liberarsi da fantasmi molesti.
Una volta arrivato nei sotterranei imprecò per la temperatura dell’ambiente: lì si gelava!
Rabbrividendo, bussò risoluto a una massiccia porta in quercia sormontata da un grosso battente in argento. Dopo pochi secondi la porta si aprì senza alcun cigolio, rivelando una stanza semibuia.
“Aberforth, prego, accomodati”, una voce dal timbro basso e modulato si levò dall’interno della stanza.
Il vecchio mago avanzò oltre la soglia ma non riuscì a scorgere nessuna figura umana. Il debole chiarore era tuttavia sufficiente per ammirare la singolare bellezza di quell’ampio locale dai soffitti ad arco: una via di mezzo tra un laboratorio e una camera privata. Era arredata sobriamente con bei mobili in legno massello, anche se vecchi e un po’ tarlati; tutte le pareti erano occupate da scaffali ingombri di vasi in vetro dal misterioso contenuto. Non ne ricordava così tanti nei suoi anni ad Hogwarts. Immaginò che il proprietario avesse una maniacale dedizione all’ordine, alla conoscenza… e anche al mistero. Aberforth pensò di trovarsi nel posto giusto, anche se non si sentiva di certo a suo agio.
Guardandosi ancora una volta intorno chiamò: “Piton! Dove sei, che scherzo è questo?”
Di nuovo la voce distaccata e profonda rispose: “Scherzo? Nessuno scherzo, caro Aberforth. Non essere impaziente, del resto sei un Silente… Dov’è finita la proverbiale calma propria del tuo sangue?”
I due uomini non si erano ancora incontrati che già Aberforth aveva iniziato a spazientirsi.
“Non sono qui per perdere tempo con giochetti infantili, Piton, sono congelato e, se possibile, vorrei concludere presto la mia visita e tornarmene a casa: una casa normale dove c’è un normale camino acceso a scaldarmi le ossa! Dove sei? Fatti vedere!”
“Il camino? È questo che ti rende insofferente? Ecco, bastava chiedere”. Severus alzò la bacchetta e, con un piccolo pop, una fiamma alta e vibrante iniziò a divampare irradiando una luce aranciata e mobile. Il fuoco appena acceso delineò i contorni spigolosi di un’alta figura comodamente seduta su una vetusta poltrona Chippendale, alle spalle di un’imponente scrivania piena di libri e calderoni.
Aberforth quasi sussultò alla vista del mago: “Usi accogliere sempre così i tuoi ospiti?”
Severus si alzò in piedi, il mantello ondeggiante lo seguiva come un’ombra e gli conferiva un aspetto imponente, quasi intimidatorio. Tuttavia le parole che pronunciò all’indirizzo di Aberforth furono pacate e quasi gentili. “So fare di meglio, offro loro anche un bicchiere di Whisky Incendiario”, disse e fece apparire un tumbler sulla scrivania. “Liscio o con ghiaccio?” chiese.
“Con ghiaccio”, rispose il vecchio burbero.
Piton sollevò ancora la bacchetta e fece tintinnare del ghiaccio nel drink di Aberforth
“Alla maniera Babbana, allora. Io lo preferisco liscio” aggiunse con la sua calda voce di seta: un altro bicchiere apparve su un bracciolo della poltrona di Severus.
I due uomini si stavano studiando. Avevano scelto due modi differenti per affrontarsi: Aberforth era deciso a non farsi condizionare dal fare mellifluo del mago in nero e aveva assunto un atteggiamento brusco e risoluto. Severus, dal canto suo, avrebbe voluto muoversi circospetto ma la presenza del fratello di Silente minava la sua maschera di imperturbabilità, doveva sapere.
“A cosa devo la tua visita, Aberforth? Vorresti forse scambiare ricordi comuni di Albus? Sappi che non sono in vena!” Esclamò sulla difensiva Severus, guardando in occhi azzurri tanto simili a quelli che ricordava anche troppo bene, poi chinò il capo e bevve un sorso di whisky aspettando una risposta che non si fece attendere.
“Certo che no”, affermò Aberforth “non ho alcuna intenzione di parlare o ricordare Albus, men che meno con te e non mi interessa neppure conoscere la verità o la menzogna che si nasconde dietro gli eventi che lo hanno portato a volare giù dalla Torre di Astronomia”. Aggiunse con durezza: “Resta il fatto che tu sei qui e mio fratello giace sotto una lastra di marmo bianco!”.
La luce delle fiamme riflessa nelle iridi nere di Severus improvvisamente scomparve. Aberforth si voltò verso il camino quasi credendo che il fuoco si fosse spento, ma era ancora acceso e scoppiettante: si volse verso Piton e lo guardò fisso negli occhi scuri e profondi come la notte, una notte senza stelle.
“Siediti” gli sibilò Piton.
Aberforth obbedì come se non fosse dotato di volontà propria.
“Allora, parlami dei motivi per cui sei qui” sussurrò Severus, scandendo una ad una le sillabe delle parole pronunciate.
Il vecchio mago deglutì, poi rispose guardando fisso Piton: “Le mie capre sono morte, non tutte, no, solo alcune, le mie preferite. Mi sono svegliato spesso le ultime notti con una strana sensazione, ma quando mi sono alzato e sono andato fuori a vedere non c’era niente. L’ultima notte, invece, ho trovato i corpi delle mie capre nella stalla: morte… “
“Le tue capre?”
“Sì, le mie capre”.
Piton si alzò, si avvicinò con studiata lentezza prima alla scrivania, dove poggiò il suo bicchiere vuoto di whisky, poi si parò davanti ad Aberforth Silente osservandolo dall’alto in basso. Nei suoi occhi le fiamme erano ricomparse più furiose di prima. Non era certo di aver capito bene. No, non era sicuro se quello che provava fosse sollievo o… delusione. Si rivolse all’uomo con curiosità e un filo di sarcasmo: “E tu sei venuto qui, da me, dall’uomo che ha ucciso tuo fratello, e che ritieni il colpevole della sua morte a parlare delle tue capre?”
Aberforth distolse lo sguardo e ribatté con forza: “Sappi, Piton che quegli animali sono molto importanti per me”.
“Più importanti di tuo fratello… “, suggerì Severus cercando lo sguardo dell’altro uomo.
“Ho detto che non sono venuto qui per parlare di lui!” Replicò irato Aberforth.
“Allora…” Severus avvicinò improvvisamente il volto a quello del vecchio e sperò che non scorgesse il tumulto che avvertiva dentro di sé, “voglio sapere il vero motivo della tua visita”, sibilò minaccioso.
Aberforth infilò lentamente una mano nella tasca del suo soprabito di pelliccia. Sollevò il pugno chiuso sotto il naso adunco di Piton, poi aprì la mano.
Gli occhi di ossidiana del mago ebbero un guizzo: “Dove l’hai trovato? Dove hai preso questo baccello?!”
“Sotto i corpi delle mie capre” Rispose Aberforth.
Severus fece per strappare il baccello dalla mano dell’altro uomo, ma questi immediatamente chiuse il pugno e portò il braccio dietro la schiena. “No! Prima di dartelo voglio che tu mi aiuti a capire cos’è questo coso e perché potrebbe essere responsabile della morte delle mie capre!”
Piton si voltò dando le spalle a quell’uomo cocciuto e irragionevole. Procedette lungo le pareti del suo laboratorio scorrendo l’indice sulla superfice polverosa di tutti i recipienti che si accumulavano sui numerosi ripiani, poi ad un tratto sparì, uscendo rapidamente dalla stanza: la porta dello studio sbatté con tale forza da far tintinnare i cubetti di ghiaccio nel bicchiere di Aberforth che guardò prima la porta, poi il bicchiere e tracannò in un sol sorso la bevanda forte e aromatica.

Piton aveva letteralmente rivoltato il suo armadio segreto delle scorte. Niente. Una pianta così rara, una fonte di sostanze indispensabili nel laboratorio di un esperto pozionista; per Salazar, doveva averla!
Sapeva di aver preso la decisione sul da farsi nello stesso istante in cui Aberforth gli aveva mostrato la siliqua -nome spesso dato ai baccelli più pregiati e rari- o forse era stato poco prima: quando l’anziano mago aveva varcato la soglia della camera e il suo cuore aveva perso un battito. Somigliava tanto ad Albus, tranne per l’altezza e per l’assenza, nei pur lucenti occhi azzurri, di quello scintillio astuto e gioviale tipico del suo vecchio mentore e amico: una luce che ti penetrava l’anima, ammaliandoti al punto da costringerti a metterti completamente a nudo al suo cospetto.
Piton aveva provato a difendersi dal dolore che gli era esploso nel petto col sarcasmo e l’indifferenza: era riuscito a stento a trattenersi dall’usare parole taglienti per scuotere la coscienza di quello strano uomo che sembrava preoccupato più di salvare i suoi animali che di recuperare il ricordo di suo fratello per far soffrire e opprimere l’uomo che aveva di fronte.
Intuiva il sacrificio di Aberforth, ma il vecchio aveva un obiettivo, era venuto da lui solo per ottenere l’aiuto di un esperto.
Qual era invece il suo scopo? Voleva davvero aiutare Aberforth a salvare le sue capre? Perché questa considerazione non gli era di conforto ma lo sprofondava di più nella frustrazione?
Due desideri giocavano al tiro alla fune nel cuore di Severus: voleva fortemente quella pianta rara e preziosa, ma, ancora di più, bramava il perdono di Aberfoth Silente, il perdono del fratello di Albus.

***

“Per Merlino, che sta succedendo?” L’anziano mago era appena stato svegliato da un rumore improvviso.
“Stavi dormendo”, Severus ghignò. Era tornato nel suo studio e aveva trovato il vecchio addormentato.
“Maledizione, Piton, sono stanco morto! Tu, invece, dove ti eri cacciato?” Esclamò Aberforth appena sveglio.
“Ho accertato che né nelle mie scorte, né nel mio armadio segreto ne avevo conservato un campione. Sappi che quel baccello è una rarità. Dovrei studiarlo e … ”
Aberforth assentì e aggiunse: “Mi sembrava di essere stato chiaro, sono disposto a dartelo, ma voglio il tuo aiuto in cambio”
Severus lo fissò con tale intensità che Aberforth fu costretto, suo malgrado, ad abbassare gli occhi. Piton fece passare alcuni minuti, giocherellando indifferente con una provetta, infine confermò poi con noncuranza: “Va bene, in cambio di questo ti aiuterò”.
A questo punto il vecchio era sinceramente curioso: “Bene. Allora, cosa diavolo è questo coso?”
Piton strinse gli occhi, le sopracciglia aggrottate per la concentrazione: “È una siliqua… Appartiene a una pianta magica molto rara. Esiste un’antica leggenda che la riguarda. Pare cresca solo nei pressi di laghi con determinate caratteristiche: giuste concentrazioni di nitrati e fosfati che ne distinguono i nutrienti algali, la quantità di argilla e sabbia sospese nell’acqua; le peculiari macrofite e fitoplancton ed anche alcune creature magiche che li popolano, come i Maridi. È quasi impossibile da trovare… “
“Aspetta, aspetta, possibile che non esista un lago che potrebbe somigliare a quello che hai appena descritto in tutta l’Inghilterra o in Scozia? Un luogo dove vivono creature magiche e mostruose…”
Severus rispose alla domanda immediatamente: “Certo che esiste: il Lago Nero di Hogwarts pullula di creature magiche, ma sembra troppo facile!” esclamò Severus.
Aberforth sollevò le sopracciglia e sorridendo disse: “A volte la verità sta nelle cose più semplici, Piton”.

IV GIORNO: la scopa e il lago


In Scozia, nelle fredde albe di gennaio, la radiazione luminosa del sole è bianca quasi quanto quella della luna. L’opalescente chiarore è presagio di giornate limpide e senza nuvole, illuminate da un lucore quasi accecante per via della neve a ricoprire il mondo.
Sottili barbagli di quella candida luce destarono un Aberforth Silente più dolorante del solito.
Gli ci volle un bel po’ di tempo per recuperare scioltezza nei movimenti, specie del collo.
Aveva dormito su una poltrona nello studio di Piton, che al momento non c’era.

Nel frattempo, qualche piano più su in Sala Grande, Severus sorbiva il suo tè bollente. Era più distante e taciturno del solito e si era isolato da tutti quella mattina. Dal canto loro, i colleghi avevano da tempo imparato a rispettare i suoi rocciosi silenzi; ora però non si perdevano in sinistre congetture su ciò che si nascondeva dietro gli occhi talvolta foschi, talvolta sfavillanti di Severus Piton. Al timore e soggezione di lui avevano sostituito comprensione e pena per tutto quello che il mago aveva dovuto sopportare. Severus aveva smesso di detestare questo atteggiamento, non gli importava più: erano finiti i tempi in cui si sforzava di piacere agli altri, era lontano quel tempo, molto, molto lontano. Ora aveva un problema più urgente da risolvere: mettere a tacere il suo cuore. Aveva commesso un grave errore, si era scoperto troppo presto. Doveva recuperare subito la sua proverbiale diplomazia. La strategia migliore era lasciare al suo ospite l’impressione di poter condurre il gioco, impedendogli però di dettare le regole dell’incontro. Lo avrebbe aiutato, avendo così modo di trascorrere del tempo col vecchio.
Per il momento era necessario ricacciare indietro il dolore e soffocare nel suo cuore il desiderio più importante.

Nei sotterranei e nel laboratorio di Pozioni, Aberforth borbottava. Parlottava a mezza voce come una tuba stonata: “Quel Piton non mi piace, no, proprio non mi piace… Sarà andato a farsi una lauta colazione lasciandomi qui a congelare. Albus mi raccontava che al Castello si mangia in modo divino. Non mi dispiacerebbe un tè bollente e del pudding caldo...”
“Eccoti accontentato”.
Il vecchio sussultò alla voce improvvisa che lo aveva interpellato.
Piton appellò un elfo che, sollecito, portò quanto richiesto da Aberforth.
“Allora, come ci muoviamo?”, chiese l’anziano mago tra una cucchiaiata di pudding e l’altra.
Ci?”
Silente alzò gli occhi dalla ciotola: “Certo, ci. Il baccello è ancora nella mia tasca e resterà lì fino a che non avremo trovato risposta alle mie domande”.
Il sopracciglio di Piton si sollevò: “Non è mia abitudine avere altri tra i piedi durante una ricerca”
“Che ti piaccia o no, questa volta dovrai rassegnarti” ribatté Aberforth. “Anche io detesto l’idea di essere qui a chiedere il tuo aiuto, ma non ho alternative. Prima di partire, però, devo tornare a casa: stanotte le capre sopravvissute sono rimaste incustodite e temo per la loro incolumità”
“Non c’è tempo per andare dai tuoi animali, è necessario partire per il Lago Nero, adesso!”
“No, devo prima andare a casa… “
“La soluzione è semplice: consegnami il baccello blu, va dalle tue capre e, quando sarai di ritorno, troverai il mio aiuto ad attenderti”
“Non mi fido di te, Piton! Se vuoi puoi venire con me a verificare che le capre rimaste stiano bene, poi potremo andare al Lago Nero insieme. Sbrighiamoci, però, perché camminare nella neve fin oltre i confini di Hogwarts è tremendo con questo freddo. Poi c’è altro cammino da fare prima di arrivare a casa mia. Non voglio che mi vedano con te… Forse sarebbe il caso di usare una Passaporta”.
Piton, sforzandosi di essere paziente, ribatté: “Ho un’altra idea, più semplice, che ci consentirebbe comunque spostamenti rapidi e non vincolati da Smaterializzazioni o Passaporte illegali”
“Ovvero?”
“Potremmo volare”
“Volare?!”
“Sai usare una scopa?”
“Una sco… Ma sei impazzito!? Non volavo su una scopa nemmeno quando ero studente ad Hogwarts: un passatempo inutile e pericoloso!”
Piton chiuse gli occhi ed emise un sospiro simile a uno sbuffo. Ignorò le proteste del vecchio: “È deciso allora, andiamo, seguimi”.
Percorsero scale, corridoi lunghi e bui, cortili illuminati dal candore accecante del sole riverberato dalla neve, fino a giungere al deposito delle scope della scuola.
“Scegli”, Severus indicò una fila di lustre scope: alcune erano nuove, altre erano state ripulite e rimesse in sesto.
“Dovrei scegliere per peso, dimensione, lunghezza delle setole, o cosa?”, ironizzò l’anziano mago.
Senza farsi notare, Severus sospirò-sbuffò di nuovo: “Ne prendo una io per entrambi” gli disse, “andiamo fuori”.
“Gli studenti ci vedranno” obbiettò Aberforth.
Piton fece spallucce e disse: “Non ci vedrà nessuno a quest’ora, in pieno inverno ci sono meno partite e allenamenti di Quiddich. Seguimi”.
Incredibile! Lasciandosi trascinare in questo pasticcio, Severus non aveva messo in conto contrattempi di tale genere: addirittura doveva aiutare il vecchio a volare con una scopa! Ma che accidenti stava facendo?
Il mago si sentiva diviso: voleva trovare quella pianta, voleva… ma avrebbe dovuto tener duro e pazientare. Aberforth gli era palesemente ostile e non sarebbe stato facile lavorare con lui. Piton non era un tipo collaborativo, la sua natura solitaria cozzava con la sola idea di spendere del tempo - che si poteva rivelare molto lungo- insieme ad una persona come l’anziano mago, ma era fermo nella sua decisione, non si sarebbe tirato indietro e per più di una ragione.
Non poté fare a meno di pensare che con Albus sarebbe stato tutto diverso. Tuttavia, si gettò il triste pensiero alle spalle e sperò che la sua fatica non si rivelasse una vana perdita di tempo.

Dopo interminabili ore di tentativi, la strana coppia era pronta a spiccare il volo.
“Stai dietro di me” disse Severus ad Aberforth, “tieni gli occhi fissi sulla mia schiena e concentrati solo a tenere sollevata l’impugnatura della tua scopa”.

Poche ore di volo più tardi Aberforth era stanco. Gli dolevano le braccia e non sentiva più le dita per il freddo. Nonostante ciò non mancò di apprezzare la vista del mondo dall’alto: era stupefacente! Era passato troppo tempo da quando ragazzo si librava su di una scopa: non aveva mai giocato nella squadra di Quiddich, ma aveva dovuto imparare ugualmente. Tutto sommato avrebbe potuto riprendere quell’attività ora che aveva rispolverato le sue capacità con una scopa.
I due uomini affiancarono uno stormo di anatre delle nevi: la luce del sole faceva risplendere di bagliori dorati le loro candide ali. Era una sensazione bellissima!

Giunsero finalmente a destinazione. Atterrarono, in modo alquanto rocambolesco, nello spazio antistante la casa del vecchio mago. Aberforth si precipitò verso la stalla e, spalancando gli alti scuri, scoprì con terrore che il male aveva colpito ancora: anche Arabella e Misty giacevano morte l’una sull’altra.
“Non le toccare!” Gli ingiunse alle spalle Severus preoccupato.
Il mago si avvicinò alle carcasse, le esaminò con occhi attenti, poi, con un colpo di bacchetta le fece levitare a mezz’aria. Sotto i corpi c’era un altro baccello blu di grandi dimensioni.
“È accaduto ancora!” gemette Aberforth seduto sul pagliericcio reggendosi la testa con le mani “non dovevo lasciarle da sole stanotte!”.
Mentre il povero vecchio si disperava Severus si rigirò tra le dita quella forma oblunga e bitorzoluta. Uscì dalla stalla, esplorò il perimetro, ma niente, non un indizio.
La faccenda era alquanto misteriosa. Non vi era razionalità nel gesto dell’assassino, non era chiaro se fosse stato in carne ed ossa oppure no. Severus era forse il più grande mago vivente esperto di Arti Oscure, ma non era ancora in grado di dare un nome agli eventi che si stavano svolgendo sotto i suoi occhi. Quale arcano, quale formula o oscuro incantesimo era quello?
“È ora di andare, Aberforth!” disse Piton al vecchio mago che era ancora accasciato al suolo nella stalla.
Il vecchio si alzò a fatica, diede un ultimo sguardo d’addio alle sue adorate amiche e raggiunse Piton all’esterno dell’edificio. Lo sconforto lo spinse alle lacrime: “Che diavolo succede, per Merlino?”
“Merlino non ti darà le risposte che cerchi, Aberforth, dobbiamo andare al Lago Nero, subito!” Severus non era bravo ad offrire conforto, nessuno lo aveva mai fatto per lui, ma lo sfogo dell’anziano mago lo aveva colpito e avrebbe voluto essere capace di consolarlo.
Risolvere il mistero era l’unico modo che conosceva per aiutarlo.
“Va bene”, disse l’uomo, asciugandosi le lacrime dal volto con un rude gesto del dorso della mano.

Questa volta né il freddo né i dolori alla schiena distrassero l’anziano mago; ora volava teso ed era amareggiato. Severus lo osservava da lontano, pensieroso.
I due uomini scivolarono dolcemente tra gli alberi in una radura poco lontana dalle rive sassose del grande Lago Nero. La zona era silenziosa. La maggior parte delle creature che popolavano i margini del bosco si tenevano lontane dalle rive del lago: un luogo oscuro, freddo e profondo dove vivevano strani e pericolosi esseri.
“Dobbiamo iniziare a cercare. Non siamo in possesso di indicazioni precise su dove trovare questa rara pianta” disse Severus.
“Le mie capre sono allora destinate a morire tutte, non ho modo di difenderle!?”
“Non so perché questa… cosa abbia deciso di puntare proprio le tue capre” sbottò pensieroso il Maestro di Pozioni.
“Ma cosa fa questa pianta alle mie bestie, Piton, vorrei proprio saperlo!”
“Questa pianta si chiama Decaisnea Fargesii o Pianta dalle dita Blu. In fioritura forma dei grappoli giallo-verdastro; in autunno-inverno seguono i classici baccelli cadenti dalla colorazione blu. Il frutto di questa pianta ha una polpa gelatinosa contenente dei semini nerastri disposti lungo il baccello. La polpa ha forti proprietà rinvigorenti, viene utilizzata come antinfettivo e come potente tonico in condizioni di grave deperimento, ma non i semi neri. Quelli sono tossici, molto velenosi… non per tutte le specie viventi però”
“Quale specie è immune al veleno?” chiese curioso l’altro mago.
“I gatti” rispose asciutto Severus.
“Cosa? Un animale stupido come un gatto è immune alla tossina di questa Decafrage… qualcosa?”
Piton accennò ad un pallido sorriso. “Per te l’unico animale degno di stima è la capra, vero Aberforth? Del resto hai ragione, ho sempre sentito dire ‘stupido come una capra’, ma non ‘stupido come un gatto’”
“Sta zitto! Non sai quello che dici!” Affermò Aberforth infastidito. Le sue capre non erano affatto stupide!
“Preparati a trascorre la notte qui” aggiunse cupo Severus, “non possiamo permetterci di andare avanti e indietro. Dovremo custodire bene le nostre scope con un incantesimo di disillusione e iniziare a cercare nel bosco a ridosso del Lago dividendolo in settori per non lasciare nessuna porzione inesplorata”
“Ci vorrà una vita intera! Non possiamo usare la magia?”
“No, non servirebbe purtroppo, dobbiamo individuare la pianta, estirparla alla radice e recuperare i baccelli freschi, estrarre la tossina e darmi così la possibilità di creare un antidoto da somministrare alle tue capre sopravvissute per difenderle. Questa è una scoperta stupefacente!”
“Me ne frego della tua scoperta sensazionale! Non c’è tempo per cercare la tua pianta maledetta!”
“Rassegnati, Aberforth, non è possibile fare altrimenti”. Quell’uomo era proprio esasperante col suo fare irruente e litigioso, non avrebbe potuto essere più diverso da Albus, pensò Severus, sempre più in conflitto con la sua natura e con i suoi desideri.
“Usiamo almeno le scope!” chiosò Aberforth.
“Va bene, la zona del bosco la esploriamo a piedi, le radure con le nostre scope; è già un minimo di condivisione del lavoro. Noto con piacere che stai iniziando a far funzionare il cervello invece che il cuore; in questo somigli a tuo fratello Albus. Lui faceva sempre prevalere la ragione sui sentimenti”.
Cosa che, nonostante le apparenze, Severus non era mai riuscito veramente a fare.

V GIORNO: carpe


Il lavoro di ricerca iniziò alle prime luci del mattino dopo una notte passata all’addiaccio, con Silente che creò un fuoco magico con un Incendio. Piton era in piedi da ore e scrutava l’orizzonte sul lago; le notti insonni non erano una novità né un peso per lui, ma avrebbe preferito riposare, pur senza dormire, su di un giaciglio più caldo e confortevole del sottobosco gelato per la neve caduta.
“Oggi andremo verso sud. Con le nostre scope voleremo a zig zag, cercando di non tralasciare neppure un centimetro di terreno. Sei pronto?”
“Certo, prendo le scope”.
Le setole delle Nimbus erano gelate e non si staccarono dal suolo, così Severus, con un tocco di bacchetta, fece sciogliere un po’ del ghiaccio che le appesantiva.
Le ore di quella prima giornata di ricerche si susseguirono lente e infruttuose. Aberforth era frustrato: non sapeva bene cosa cercare e il suo continuo sollecitare Severus era esasperante. Come se non bastasse, si stancava molto presto. Non era mai stato un ragazzino spensierato e voglioso di avventure: sempre troppo preso ad occuparsi della sua famiglia, a sostituire il padre quando fu arrestato, ad aiutare la madre con la sorella Ariana, mentre Albus spendeva le sue giornate sui libri con la testa piena di sogni assurdi. E anche questa volta Aberforth arrancava dietro le elucubrazioni mentali di un altro scienziato sognatore che lo aveva forse illuso di volerlo aiutare a salvare le sue capre.

Alla sera, sfiniti, i due uomini si sedettero di nuovo accanto al fuoco: non avevano pensato a procurarsi da mangiare!
“Vado io” disse Aberforth, rinvigorito al pensiero del cibo. L’anziano mago sapeva di essere bravo a pescare: con un Accio ben mirato avrebbe raccolto prede succose. Piton ne sarebbe rimasto di certo stupito. L’uomo aveva presto capito che il suo compagno era un personaggio difficile, pedante e poco incline al cameratismo, insomma un pessimo soggetto da bar e Aberforth, di questo, se ne era accorto già molto tempo prima. Per tutta risposta, Severus sollevò il sopracciglio e sibilò beffardo: “Attento a non pescare un Avvincino”.
Piton, rimasto da solo, sospirò sopraffatto da una nuova ondata di malinconica. Di tanto in tanto guardare Aberforth gli provocava una stretta allo stomaco: Albus gli mancava molto, soprattutto in situazioni come queste. Lui sì sarebbe stato un eccellente punto di confronto e conforto: gli avrebbe sorriso, lo avrebbe preso in giro oppure avrebbe dimostrato ancora una volta il grande mago che era; forse con lui non sarebbe stato necessario trascorrere notti al freddo sentendosi continuamente sotto esame, giudicato e… condannato.
Intuiva che Aberforth aveva avuto la sua buona dose di patimenti dalla vita, ma sembrava che i dispiaceri lo avessero incattivito, non rafforzato e aperto alla luce come avevano fatto con Albus. Del resto di cosa si lamentava? Lui, Severus Piton, si era comportato allo stesso modo: il dolore gli aveva chiuso il cuore; il nero, l’oscurità, la solitudine erano diventati il suo unico rifugio.

***


Dopo quasi due ore di assenza, Severus si spazientì. Di malavoglia si incamminò verso le rive del Lago Nero reprimendo il brivido di preoccupazione che lo aveva colto.
Il buio era fitto, denso come pece liquida. Nessun grido di uccelli notturni lo accompagnava mentre si avvicinava all’acqua nera, scura di notte quanto lo era in pieno giorno.
Si accorse di essere arrivato così vicino alla riva da farsi quasi lambire la punta degli stivali dall’acqua. Più lontano, un’increspatura alterò la piatta superfice lacustre. Poco a poco, l’increspatura divenne un dorso curvo che emerse dalle profondità; si avvicinava verso la riva, sempre più velocemente.
“Piton!” un grido lo scosse e Severus si voltò in direzione della voce, mentre la sagoma tornò rapidamente ad immergersi nelle acque fredde e limose.
“Dove eri finito, Aberforth?” pronunciò Severus tra il preoccupato e l’inquieto: la sua voce risuonò nel silenzio della natura diventata ancora più ostile. Per tutta risposta il vecchio mago sollevò un braccio per mostrare tre grosse carpe: le loro squame bruno verdastre scintillarono alla luce della bacchetta di Severus.
Poco dopo il fuoco illuminava i volti dei due uomini che mangiavano in piacevole e confortante silenzio. Entrambi chiusi nei loro pensieri.
Nessuno dei due pronto a esprimerli all’altro.

VI GIORNO: illusioni


“Oggi ci dirigeremo a nord fino al primo pomeriggio. Quando la temperatura inizierà a calare, verso il tramonto, ci sposteremo di nuovo a sud. Cerchiamo di tenere le nostre scope più salde spalmando sulle mani uno speciale unguento: il freddo ricopre di ghiaccio i manici delle scope e le rende scivolose. Faremo anche più pause se necessario, anzi, potremo alternare esplorazioni dall’alto con altre a piedi per riposare braccia e schiena” Disse Severus, ben consapevole ormai delle difficoltà dell’altro uomo.
“Sono d’accordo”. Aberforth era accigliato e cupo quella mattina: era passata ancora un’altra notte e forse anche questa aveva portato con sé nuove vittime innocenti tra le sue capre.

Verso mezzodì uno stormo di anatre delle nevi incrociò la strada nei cieli dei due esploratori. Il vecchio mago lo interpretò come un segno propizio. Infatti, accingendosi a scendere di quota per effettuare la fase di perlustrazione a piedi, lanciò un urlo acutissimo: “Eccola!” gridò indicando un arbusto.
Severus frenò brusco sollevando il manico della sua Nimbus 2001 e per poco non investì Aberforth che, invece, si era fermato di botto. Scesero entrambi in picchiata. L’atterraggio di Piton fu rapido e preciso; Aberforth ruzzolò per una manciata di metri sollevando una nuvola di nevischio e foglie morte.
“Attento! Potresti aver schiacciato la pianta con la tua goffaggine!” gli si rivolse Piton
“Ehi, calmati … la pianta l’ho avvistata io!” Rispose il vecchio mentre si rialzava e scrutava il bordo del lago.
“Allora vediamo, dove sarebbe?” Severus sembrava dubbioso.
“Eccola” Aberforth aveva allungato il braccio in direzione di uno strano cespuglio che sembrava composto da un groviglio di rami alla cui estremità stavano strane sfere biancastre a forma di occhi. Severus, circospetto, avvicinò occhi e naso allo strano vegetale: “Maledizione!” sibilò.
“Cosa succede?”
“Questo è solo un arbusto di Actaea pachypoda, non è neppure lontanamente simile alla pianta che cerchiamo!” pronunciò con fastidio
“Basta, sono stanco” sbottò Aberforth a quel punto, “siamo entrambi esausti, con le ossa rotte, congelati e affamati. Per quanti giorni ancora dovremo andare avanti? Siamo solo al secondo giorno di ricerche e sembra passata una settimana intera!”
“Con questa tecnica di esplorazione, che tu hai suggerito, riusciamo a sondare ampie porzioni di territorio. Non ci vorrà molto a finire il lavoro” Lo confortò Severus che non era affatto stanco, anche se avrebbe preferito essere sul suo divano con un libro e un bicchiere di whisky.
“E se non la troviamo? Se questa pianta non esistesse e forse è proprio solo una leggenda come hai detto tu stesso?” Aberforth parlò con un filo di disperazione nella voce.
“Impossibile che la pianta non esista, da dove sarebbero spuntati fuori i baccelli blu trovati sotto le tue capre?” disse consolatorio Severus. Provava una specie di pena per quell’uomo rude e forte, ma tanto affezionato alle sue bestiole.
“E se ce li avessero portati? Se qualcuno, o qualcosa, li avesse conservati e utilizzati quando necessario ai suoi scopi malvagi e incomprensibili?” Chiese l’altro ormai scoraggiato.
Severus ammutolì e iniziò a riflettere su quella nuova e plausibile eventualità. Si rifiutava però di figurarsi una situazione come quella descritta da Aberforth. Per lui non aveva alcun senso che chiunque dotato di senno, che custodisse i semi di una pianta così preziosa, li utilizzasse per uccidere delle capre, a meno che questo qualcuno non stesse portando avanti una personale vendetta con Aberforth.
“Va bene, consideriamo la possibilità che i baccelli siano stati recuperati e conservati in precedenza, sebbene non abbiano l’aspetto di germogli secchi. È pure molto improbabile, se non impossibile, che qualcuno sia riuscito a coltivare da sé questa pianta”. Severus tacque un istante pensieroso, poi proseguì “A questo punto, l’altra opzione che abbiamo è verificare la parte della storia che si perde nelle nebbie della leggenda”
“E sarebbe?”
“Qui entrano in ballo i tuoi amici gatti”.
“Non sono miei amici, detesto quelle bestiacce” affermò Aberforth
Piton guardò il vecchio e sorrise sornione: “Invece ora ti dovranno piacere perché dobbiamo procurarcene uno e subito”.
“Spiegami, di grazia, perché ora è diventato così importante avvalerci della collaborazione di un felino; perché non ci hai pensato appena siamo arrivati qui e perché vai sempre di fretta: ora, subito, adesso?!”
“Credevo fossi tu quello ad avere fretta. Se vuoi salvare le tue adorate caprette credo che dovrai rinunciare ad avere risposta a tutte queste domande” Severus squadrava Aberforth con il solito sopracciglio alzato e con una luce furba negli occhi.
“Non sono le mie adorate caprette, quelli sono animali straordinari poco compresi da tutti!” sbraitò il vecchio, poi aggiunse sconfitto: “E va bene, dove lo troviamo questo gatto?”
“Non ci serve un gatto qualsiasi ma uno con doti magiche e con un certo istinto felino”, Gli chiarì Severus, che aveva già una mezza idea di dove trovarlo.
“Se è una battuta non fa ridere!” Borbottò Aberforth.
“Ora riposiamo, mangiamo e cerchiamo di dormire. Domani si va a caccia di gatti”. Replicò Severus con un sorrisetto soddisfatto.

VII GIORNO: il gatto


“Quale sarà la nostra meta oggi?” Chiese Aberforth ormai remissivo.
“Bisogna chiedere a una persona in prestito il suo gatto e dovrai farlo tu”. Severus con un colpo di bacchetta fece distrattamente sparire i residui del cibo consumato la sera precedente. Ogni tanto allungava lo sguardo verso il lago: avvertiva una sensazione di strisciante inquietudine. Quella mattina era il suo turno di essere pensieroso: la vicenda stava prendendo una piega inattesa. Oltre ad essere stranamente preoccupato si sentiva anche sciocco: da giorni correva dietro a un problema che pareva irresolubile, ora avrebbe dovuto inseguire anche una leggenda?! Inoltre, l’anziano mago non si mostrava affatto disponibile a condividere memorie e rievocare eventi che lo coinvolgevano, nemmeno dopo quel periodo di convivenza forzata. Eppure Severus in fondo al cuore coltivava la speranza che l’uomo avesse capito, fosse in grado di comprendere i motivi e la situazione che aveva portato a fare di lui un assassino dell’unico amico e mentore che avesse avuto.
Severus non aveva avuto il coraggio di rompere il silenzio e iniziare una conversazione su Albus durante la sera trascorsa a mangiare insieme davanti al fuoco. Non aveva neppure ringraziato Aberforth per aver pescato e cucinato le carpe. Il problema forse era proprio lui e il suo ermetismo, la sua ostinazione e incapacità a instaurare un rapporto cordiale con un altro essere umano. Ci era riuscito solo con Albus e si era illuso di poter fare lo stesso con suo fratello.
“Chi è questa persona e perché io?”. Chiese Aberforth, che dal canto suo si sforzava di restare impassibile: si era ripromesso più volte di non cedere al tono di sottile provocazione che Piton usava quando gli si rivolgeva.
“La conosci” lo aiutò Severus, “le hai già parlato. Anni fa ti ha convinto a usare il tuo pub per ‘certe’ riunioni, dovresti ricordarlo… Ora sarai tu a convincerla, ti deve un favore”.
“Si tratta di una lei?”, Aberforth era perplesso “E l’ho già incontrata dici? La mia consuetudine con le donne non è di certo passata alla storia, dovrò fare uno sforzo di memoria notevole”.
“Non spremerti le meningi quando è superfluo farlo, Aberforth, scoprirai di chi parlo una volta giunti a destinazione. Prendi la tua scopa”.
“Dove andiamo?” Domandò l’anziano mago sempre più confuso.
“Agli uffici del Ministero della Magia”. Rispose asciutto Severus.

Si smaterializzarono a Londra, attenti a nascondersi alla vista dei Babbani: li accolse una pioggerella fredda che fece rabbrividire entrambi.
Si diressero verso l’ingresso per i visitatori del Ministero nascosto da una cabina telefonica.
Per Aberforth era tutto sconosciuto, lui amava la vita all’aria aperta e gli spazi liberi: il Ministero era stato sempre e soltanto una presenza fastidiosamente incombente nella sua vita fin da ragazzo.
“Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche”, rispose Severus alla voce incorporea che li aveva accolti all’interno della cabina “la persona che incontrerai lavora in quell’Ufficio, precisò rivolto ad Aberforth: si tratta di Hermione Granger, la ricordi adesso?”
“La Granger eh! Non ho un appuntamento con lei, e se si rifiutasse di incontrami?” Il mago più anziano era scettico e dubbioso.
“Non lo farà, si chiederà, piuttosto incuriosita, cosa potresti mai volere dopo tutto questo tempo. Per come la conosco fin dai tempi di scuola non si lascerà scappare l’occasione di incontrarti”.

Il vecchio non era mai stato in quel luogo, si guardava in giro esitante. Vi erano una miriade di piani, decine di corridoi e centinaia di porte. Strani aeroplanini di carta svolazzavano in giro senza una meta apparente.
Per fortuna la giovane donna aveva accettato di vederlo, ed ora un tipo vestito di verde e viola lo stava scortando nel suo ufficio. Si chiese se fosse rimasta la stessa ragazzetta magra, con folti e ispidi capelli: ancora giovanissima gli aveva dimostrato di cosa fosse capace e di quale coraggio e intraprendenza fosse fornita.
Il messo dell’Ufficio lo lasciò di fronte ad una porta laccata di rosso con una targhetta dorata su cui era scritto:” Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche”.
Bussò.
La stanza in cui entrò, piuttosto piccola, era un ingresso dove si aprivano tre porte. Ogni porta aveva un colore diverso: Creature piccole, azzurro; Creature medie, arancione; Creature grandi, rosso.
Aberforth vide Hermione: era diventata un po’ più alta. Indossava un tailleur rosso granata e portava i capelli legati in un complicato ed elegante chignon. La giovane e impavida adolescente aveva lasciato il posto ad una donna affermata e sicura di sé. Aberforth pensò ad Ariana, come avrebbe potuto essere se fosse stata viva, se fosse stata amata e accettata dal mondo magico, se avesse avuto l’appoggio e il conforto di Albus oltre che il suo.
L’anziano mago socchiuse gli occhi e sospirò. Ariana era solo una tela dipinta, un quadro fermo nel tempo, putroppo.
Una voce squillante lo riscosse.
“Signor Silente, è un piacere rivederla, a cosa devo la sua visita?” Lo accolse Hermione sorridendo.
“Ho bisogno del tuo gatto” disse imbarazzato Aberforth. “Tu hai un gatto, ricordo.”
“Come? Non capisco, cosa c’entra il mio gatto?” Ribatté la ragazza stupita e confusa.
Era da molto che Hermione non incontrava il fratello di Albus Silente e all’improvviso se lo trovava davanti con un’improbabile richiesta.
“Non sono tipo da girare intorno alle questioni” confermò il vecchio. “Hai ancora quel gatto rosso con un nome incomprensibile? Dovresti prestarmelo per qualche giorno: è per le mie capre”
Hermione aveva sempre giudicato quell’uomo come una persona piuttosto rude, di carattere difficile e poco empatico rispetto a quello molto più giocoso e sornione del fratello maggiore. Ma, a differenza di Albus, suo fratello era di certo meno sorprendente, avrebbe forse dovuto cambiare parere? “Mi scusi, Signor Silente, ma io ho bisogno di capire di cosa stiamo parlando”. Disse la ragazza esprimendo tutta la sua perplessità. “Intanto venga, si accomodi, le va del tè?”
La ragazza notò un impercettibile cambio di luminosità negli occhi azzurri identici a quelli del suo ex Preside di Hogwarts. “O forse preferisce qualcosa di più forte? Ho del Whisky Incendiario, me ne hanno giusto regalato una bottiglia ieri. Io non ne bevo ma penso che lei possa gradirlo”, gli sorrise gentile.
Aberforth, sospirando, si accomodò sulla poltrona accanto alla scrivania; si lasciò versare una generosa dose della bevanda scura e profumata di legno e cuoio e iniziò a raccontare.

La Granger l’aveva presa bene, tutto sommato. Non sembrava contrariata o arrabbiata, ma solo sconcertata. Fece un balzò dalla sedia quando sentì pronunciare il nome di Piton.
“Lei e Severus Piton state lavorando insieme?”
“Sì, diciamo che stiamo collaborando a questa folle impresa. Ho bisogno del suo aiuto come esperto di piante rare e come pozionista. Non è stato facile convincerlo”
“Credevo che lei lo detestasse”
“Sono passato sopra ai recenti rancori perché… Allora cos’ha deciso per il suo gatto?”
Aberforth stava cercando di capire il motivo della sua reticenza. Aveva raccontato alla ragazza la storia per sommi capi, omettendo tutto quello che riguardava i suoi sentimenti. Non gli importava se la giovane strega lo giudicasse freddo e insensibile, un egoista preoccupato solo di raggiungere uno scopo ai più incomprensibile, scendendo a patti con l’uomo che gli aveva ucciso il fratello.
La Granger lo guardava titubante, forse chiedendosi se non avesse perso il senno: non perché voleva salvare le sue capre, ma per aver scelto Severus Piton come alleato.
“Non credo che Grattastinchi vi seguirà ubbidiente. Non è quello che si dice un gatto sottomesso” sorrise Hermione compiacente.
“Somiglia alla sua padrona, allora”. Disse Aberfort ridendo.
“A questo punto dovrebbe accompagnarmi a casa a prendere Grattastinchi” continuò Hermione. “Anzi, credo che mi aggiungerò alla vostra avventura. Il gatto seguirà me docilmente e la caccia mi incuriosisce”.
“Non è una buona idea, signorina Granger, Piton non ne sarà contento”
“Bene, allora se non ne sarà contento è deciso, andiamo”. E rise apertamente.

“Cosa ci fa lei qui?” Esclamò Severus.
“Professor Piton, o devo chiamarla Preside, è un piacere rivederla” Hermione si parò di fronte a Severus, incrociò le mani dietro la schiena e sollevò il mento con un’aria quasi di sfida.
“Non sono più il Preside di Hogwarts, lo sa benissimo, signorina Granger, o devo chiamarla signora Weasley?
Hermione continuò imperterrita: “Aberforth Silente mi ha detto che lei ha bisogno del mio gatto per uno strano esperimento. Io ho acconsentito a lasciarglielo prendere in cambio della mia partecipazione al vostro progetto”.
Severus Piton si produsse in una delle sue migliori facce di bronzo, riuscì anche a tenere il sopracciglio al suo posto; piantò le iridi nere in quelle nocciola della giovane donna: voleva scoprire se lei facesse sul serio o lo stesse prendendo in giro. Tra tutte le persone che erano venute a conoscenza delle reali motivazioni del suo agire, ormai tre anni fa, Hermione Granger era la sola che lo trattasse con una tale empatia da rasentare la mancanza di rispetto. Nelle rare occasioni in cui l’aveva incontrata, per di più di sfuggita, era sempre stata sorridente, socievole, quasi irriverente. A Severus piaceva; preferiva decisamente questo comportamento all’accondiscendenza farcita di biasimo di tutti gli altri.
“Andiamo a prendere il suo gatto, signorina Granger” rispose laconico Severus facendo spallucce.

***


La giovane sposa Weasley viveva col marito Ronald a Ottery St. Catchpole, in una di quelle casette basse, col tetto in paglia thatched roof. Ron non era in casa.
Severus e Aberforth si fermarono sulla soglia del salotto: in un angolo della stanza, acciambellato su un cuscino blu dall’aria soffice, spiccava il pelo fulvo del gatto della ragazza: Grattastinchi.
Il grosso gatto rosso non fu felice dell’improvviso trambusto: Hermione lo infilò a forza in un trasportino e lui iniziò a soffiare.
“Avevi detto che ti avrebbe seguita docilmente…” Aberforth aveva un’espressione tra il preoccupato e il divertito.
“Lo farà”, disse Hermione chiudendo con forza lo sportello del trasportino. “Non perdiamo altro tempo; prendo solo un paio di cose di sopra e partiamo”.
Severus colse l’occasione al volo: “Non è necessario prendere alcunché, signora Weasley, lei resta qui, il gatto viene con noi. Mi consegni quella gabbietta, questa è una questione di vitale importanza”.
Da buona Grifondoro, la ragazza si scaldò subito: “Io vado dove va il mio gatto, Professore. Senza di me lei o il signor Silente potreste ritrovarvi coperti di graffi e senza un occhio e poi sono curiosa di vedere dove vi condurrà la ricerca”.
Severus conosceva bene la caparbietà della ragazza, ma ugualmente si oppose con fermezza: “Le ribadisco che la sua presenza è inutile e inopportuna. Non sono venuto qui per intavolare una contrattazione, signorina. Se avessi potuto avrei evitato di disturbarla. Purtroppo è il suo gatto che ci serve, non lei”.
Hermione non si perse d’animo, anche se sapeva già di aver perso la partita: “Serve a lei, Professore o al signor Silente?” il guanto della sfida era stato gettato.
Aberforth, con la fronte imperlata di sudore, si intromise: “Per favore, signorina Granger, come le ho raccontato, la vita delle mie capre è in pericolo. Il suo gatto sarà trattato con la massima cura. Ogni minuto è prezioso. Ce lo lasci, la prego”.
Hermione, dopo una manciata di minuti, tolse Grattastinchi dal trasportino e lo porse ad Aberforth.
Il vecchio mago, diffidente, allungò pian piano le braccia per prendere quella creatura arruffata con le orecchie schiacciate sulla testa che emetteva un sommesso miagolio. Il grosso gatto, a contatto con le forti mani dell’uomo, iniziò a soffiare, mostrò i lunghi e affilati canini, scoprì i ricurvi artigli.
“Lo prendo io!” Piton intervenne prima dell’inizio della baruffa. Prese il gatto e lo scrutò fisso negli occhi. Grattastinchi si immobilizzò. Il suo pelo si afflosciò e la coda smise di sembrare uno scovolino da bottiglia.
Hermione e Aberforth rimasero a bocca aperta, sbalorditi.
“Bene, ora possiamo finalmente andare. Signorina Granger, la gabbia” ordinò Severus.
Hermione lo guardò e si ripromise di chiedergli come fosse riuscito a calmare l’animale soltanto con uno sguardo.

***


Il volo di ritorno al Lago di Hogwarts procedé tranquillo e senza imprevisti. Piton volava tenendo la scopa con una sola mano, mentre con l’altra stringeva la gabbia di Grattastinchi. Il pelo e i baffi dell’animale, per il vento, fluttuavano in tutte le direzioni.
Giunti nella foresta al limitare del lago, Severus consegnò la gabbia ad Aberforth, non prima di aver dato un’altra occhiata alle pupille a fessura del gatto rosso.
L’anziano mago afferrò il manico del trasportino con la punta delle dita. Lo poggiò in terra ritirando veloce la mano.
Il sole era già tramontato e i due uomini decisero di accamparsi subito. Accesero un bel fuoco e quella sera Aberforth avrebbe pescato pesce per tre.

Quella notte, nel dormiveglia, Piton si accorse che la gabbietta era vuota. “Aberforth, Aberforth, svegliati! Maledizione, il gatto è scappato!” esclamò scuotendo l’uomo dal suo sonno profondo.
“Cosa succede, perché mi scuoti così?!”
“Hai lasciato la gabbietta aperta e il gatto è scappato!” rispose Severus
“Io non ho lasciato la gabbia aperta, piuttosto tu… “
“Non è il momento di recriminare, andiamo a cercarlo, presto!”
Il vecchio mago appena sveglio non si trattenne: “Dimmi, Piton, non mi starai prendendo in giro? Non starai cercando l’occasione giusta per liberarti di me e portare avanti la ricerca abbandonando le mie capre al loro destino?”
“Cosa vuoi dire, di cosa stai parlando, Aberforth?” Severus si volse stupito.
“Io so chi sei, Severus Piton: una volta Mangiamorte, sempre Mangiamorte! Non mi fido di te, sei un traditore!”
Severus sbiancò: immobile, fissò l’uomo anziano davanti a sé.
Un gelido silenzio si allargò tra i due: era arrivato il momento del redde rationem con Aberforth Silente?
La somiglianza con il fratello ricordò a Severus il passato, un altro scontro violento, straziante, uno scontro avvenuto nella foresta proibita, un dovere a cui non si era potuto sottrarre a prezzo della sua anima. Era stato costretto ad uccidere un amico, l’unico amico che avesse, per amore, per non farlo soffrire, per non farne il giocattolo dei Mangiamorte: aveva ceduto alla volontà di Albus e si era dannato.
Severus scosse il capo, ora avrebbe potuto essere diverso, ma lo stesso non doveva permettersi di vacillare, non adesso.
Una delle ragioni che lo avevano condotto in questa strana avventura era stato conoscere i pensieri del fratello di Albus: forse avrebbe potuto spiegarsi, farsi capire e, per una volta, esprimere tutto lo strazio che aveva provato lanciando contro Albus la Maledizione che uccide. Chiuse gli occhi ed emise un respiro che non si era accorto di aver trattenuto.
“È un giudizio insindacabile o il tuo tribunale interiore ammette il diritto di replica?” le parole uscirono dalle labbra di Severus in un sussurro accarezzato da una evanescente nuvoletta di fiato gelido.
Anche Aberforth tratteneva il respiro, era stato più forte di lui: il suo rancore era esploso in faccia a quell’uomo eternamente vestito nero come un getto di vomito. Nonostante l’abituale freddezza dell’altro vide che i suoi occhi bruciavano di una fiamma senza calore. Era vergogna o dolore?
Pensò allora agli occhi del fratello Albus dopo la morte di Ariana, dopo il crollo delle sue illusioni e dei suoi sogni folli cullati con l’amico Grindelwald: la luce che sempre vi brillava si era spenta. Aberforth a quel tempo aveva voltato la testa dall’altra parte preferendo ignorare l’afflizione del fratello credendo di essere solo lui ad avere il diritto di provarne. Soltanto negli anni a seguire aveva lentamente iniziato a comprendere che forse la ragione non era tutta dalla sua parte. Albus aveva sbagliato, aveva commesso un tremendo errore, ma aveva trovato in sé la forza di andare avanti e tentare di rimediare. Perché l’uomo che aveva di fronte non avrebbe potuto fare lo stesso? Albus ne aveva stima e rispetto; del resto sapeva dell’accordo nefando che suo fratello aveva stipulato con Piton, perché negarlo?
Aberforth si allontanò in silenzio dal fuoco ormai spento. Severus restò immobile nell’oscurità; i battiti del suo cuore invece correvano ancora veloci.
Due luci ondeggiarono nelle tenebre. Aberforth si inoltrò nella foresta, Severus si diresse verso il lago.
Sbucando dai margini della radura, Piton lo vide: illuminato dal pallido chiarore di Selene, Grattastinchi stava seduto vicino alla riva, quasi a lasciarsi sfiorare dal profilo dell’acqua. Fissava il Lago Nero, immobile come una dea Bastet dal pelo rosso.
Fu impossibile allontanarlo da lì.

VIII GIORNO: il mostro


Trovare la Decaisnea Fargesii si stava rivelando un compito irrealizzabile.
Per l’imprevisto del gatto e lo scontro vissuti il giorno prima, i due uomini erano rimasti distanti e silenziosi per tutta la notte: Aberforth aveva dato le spalle a Severus fingendo di dormire; Piton, turbato e sfinito, aveva ceduto al sonno soltanto alle prime luci del mattino.
I due si destarono a sole ormai alto nel cielo: avevano udito un miagolio lungo e ripetuto.
Si diressero veloci verso il lago. L’acqua nera sembrava luccicare come vernice fresca.
Grattastinchi non c’era, ma il miagolio prolungato si percepiva ancora.
“Per la barba di Merlino, ma da dove viene questo verso inquietante, sembra un lamento di morte!” proruppe Aberforth
Piton si avvicinò all’acqua, si inginocchiò vicino alla riva e rispose: “Viene dal lago! Il miagolio si avverte più forte qui!”
“Com’è possibile?! I gatti odiano l’acqua; forse sapranno anche nuotare ma immergersi non direi proprio!”
“È strano ma è così. Stiamo assistendo a un evento fuori dal comune” Severus era impressionato: continuava a percepire un pericolo. Nella sua vita precedente da spia aveva sviluppato una sensibilità da aruspice. Continuava però a non capire che genere di magia oscura fosse questa – le arti oscure sono molte, varie, mutevoli ed eterne… si combatte ciò che è indeterminato, cangiante, indistruttibile- * Possibile che ne esistesse qualche forma di cui lui non era a conoscenza?
Era solo, doveva decidere il da farsi da solo.
“Piton, non sono affascinato da questa cosa incredibile e incomprensibile a cui tu ti riferisci. Noi dobbiamo risolvere questo mistero!”
Severus preferì tacere, avrebbe voluto dire ben altro al vecchio se glielo avesse permesso, se lo avesse ascoltato.

Le poche ore che li separavano dalla fine di quella giornata di infruttuosi risultati passarono veloci.
Una nuova notte calò come una coperta ampia e gelida sui due maghi che giacevano vicini al fuoco. La fiamma stessa fu avvolta dalle tenebre e si spense.
A diversi metri dalla riva, riapparve l’increspatura sulla superficie: questa divenne una forma più distinta che nuotava veloce verso i ciottoli lisci e lucenti. Sul dorso dell’indistinto essere c’era una gobba.
La creatura era ormai a un passo dalla riva: improvviso, un miagolio feroce come un ruggito irruppe nell’oscurità. Piton, con il sonno leggero, si mosse veloce, giusto in tempo per scagliare uno Stupeficium sulla forma scura che si stava precipitando minacciosa su Aberforth.
Con un balzo la gobba pelosa piombò su Severus, gli artigliò le unghie sulla schiena e stava per compiere un altro salto quando Piton lanciò verso il nulla un Lumos: “Non mi scappi più ora!” Esclamò, ritrovandosi tra le braccia uno spaventato Grattastinchi.
Anche Aberforth urlò: “Lumos!”
Intorno a loro tre non c’era nessun’altro.

IX GIORNO: la pianta dalle dita blu


Il baccello di un intenso blu-azzurro solleticava i baffi del grosso gatto rosso.
Severus era inginocchiato davanti al felino e pareva volergli far annusare quella bizzarra appendice.
“Quello è un gatto, Piton, non un cane. Non credo che partirà a razzo alla ricerca della pianta e ci condurrà da lei”
Aberforth Silente si sentiva impacciato per la prima volta nella sua vita. Il mago oscuro, l’ex Mangiamorte probabilmente gli aveva salvato la vita. Non aveva trovato soluzione migliore per rompere il silenzio con lui che esibirsi in una sciocca battuta.
“Stà zitto, Aberforth!” esclamò Severus: avrebbe voluto dirgli di avere fiducia. Perché quel vecchio testardo non riusciva a concedergliene un po’? Albus ne aveva riposta anche troppa in lui. Severus era stato capace di guadagnarsi la stima del grande vecchio mago; perfino Voldemort gli aveva dato credito, ma a quanto pareva Aberforth invece no! Severus si conosceva bene e ammise con sé stesso che non era facile: occorreva sporgersi oltre le apparenze, oltre la vetta del suo gelido sarcasmo, e lanciarsi nel vuoto senza paura. Inaspettatamente, chi avesse avuto il coraggio di saltare, però, sarebbe atterrato al sicuro accolto da forti braccia.
Severus sapeva mantenere una promessa.
Severus conosceva l’onore, la lealtà.
Severus sapeva amare.

***


Grattastinchi teneva le sue iridi gialle e luminose fisse in quelle nere di Severus, la coda spazzava l’aria con veemenza. Si voltò e iniziò a zampettare sinuoso, con la coda ritta, verso il lato sud del lago.
“Seguiamolo” disse Severus.
Il felino percorse un lungo tratto della radura lacustre fino ad arrivare a un anfratto ricoperto di arbusti che immergevano parte dei loro rami frondosi nell’acqua.
Piton raggiunse l’animale che si era fermato e decise di entrare in acqua facendo prima sparire il lungo mantello. Ed ecco: nascosta alla vista del mondo stava un folto ciuffo di Decaisnea Fargesii.
“Finalmente! Aberforth, guarda, l’abbiamo trovata!” Esclamò il mago più giovane.
Così come dettava la leggenda, la pianta andava raccolta a mano, estirpandone le radici con delicatezza: Piton venne fuori dall’acqua stringendo un grosso fascio di rami, foglie e baccelli blu.
Ad Aberforth parve che il compagno sorridesse. No, non era possibile, quell’uomo probabilmente non aveva mai sorriso in vita sua. Eppure al vecchio sembrò di scorgere sul volto di Severus la stessa gioia che ricordava dipinta sul volto di suo fratello quando era giovane ogni volta che scopriva una nuova magia. Una felicità semplice e pulita dettata dall’amore e dall’entusiasmo per la conoscenza.
“Ora viene la parte più difficile” disse Piton concentrato.
“Ora? E tutto quello che abbiamo fatto finora ti è sembrato facile? Maledizione, potevi pensare prima al gatto!”
“Il gatto era parte della leggenda, non avevamo prove che la storia potesse essere vera”. Con un rapido ed elegante colpo di bacchetta, Severus tornò asciutto. “Mano alle scope, torniamo ad Hogwarts! Ho bisogno del mio laboratorio”
“Io torno a casa. Voglio andare a controllare le mie capre”
“Bene, porta il gatto con te” gli suggerì Severus impassibile.
“No, no, hai visto l’ultima volta che ho provato a prenderlo com’è andata. Dovrai essere tu a portarlo” Aberforth era quasi spaventato da quel grosso gatto
“Questa volta sarà diverso, vero Grattastinchi?” Severus e il gatto si fissarono complici.
“Ma tu guarda, parla coi gatti adesso, e poi critica me che parlo con le capre” bofonchiò caustico Aberforth.

Quella notte nella stalla accanto alla casa poco fuori il villaggio di Hogsmeade, le capre sopravvissute di Aberforth Silente ebbero un singolare guardiano: un gatto rosso di nome Grattastinchi.

***


Nel laboratorio di Pozioni, nei sotterranei del castello, Piton si tuffò anima e corpo nell’elaborazione di un antidoto efficace. Dapprima estrasse il veleno contenuto nei semini neri avvolti nella sostanza gelatinosa che riempiva i baccelli blu. Nel frattempo, distillò e conservò le essenze preziose per il loro potente effetto rinvigorente e cicatrizzante.
Infine, dopo diverse ore di lavoro mise insieme almeno ventuno ingredienti tra cui polvere di elleboro, milza di pipistrello, infuso di artemisia, una goccia di sangue di unicorno e radice di mandragola. La sua sconfinata conoscenza dei segreti delle piante magiche, unita ad un istinto fenomenale, gli consentirono di ottenere una versione ‘rapida’ dell’antidoto.
Aveva lavorato alacremente non concedendosi neppure un attimo di riposo. Era entusiasta: poteva sentire ancora il brivido della scoperta; le sue giornate erano spesso così noiose e ripetitive. C’era una ragione però a tenerlo sulle spine: Severus era felice di aver rimpinguato le sue scorte con gli estratti magici della rarissima pianta, ma era ancora più trepidante per l’effetto che la creazione dell’antidoto avrebbe avuto su Aberforth. L’anziano mago lo avrebbe ringraziato se gli avesse dimostrato di essere degno di stima? Gli sarebbe stato finalmente riconoscente e gli avrebbe concesso la possibilità di chiarire il rapporto che lo aveva legato ad Albus e che lo legava ancora a lui, ben oltre i confini della morte?
Severus desiderava il perdono, lo bramava dall’unica persona che potesse concederglielo. In fondo al cuore riconobbe che era per questo che si era gettato in quell’avventura.
Lesto, rinforcò la sua scopa e si diresse verso la casa di Aberforth Silente.

Aberforth si ripeteva come un mantra che Piton sarebbe tornato da lui. Invece temeva che avrebbe lasciato morire tutte le sue capre una volta ottenuta la pianta che tanto desiderava. Era stato uno sciocco sprovveduto ad affidargli la vita delle sue amiche?
Tuttavia, una vocina nella sua testa gli diceva di iniziare a riporre speranza nelle azioni di Severus Piton. L’uomo era spesso sprezzante e impassibile, ma il vecchio aveva percepito un magnetismo naturale, come un bagliore sprigionato dalla sua persona: una luce che brillava intensa quando lo scoprivi a guardarti con occhi rilucenti e onesti.
Non si sbagliava!
Piton giunse portando con sé un’ampolla.
“Probabilmente ci sarebbe voluto molto più tempo” gli disse tranquillo Severus. “Le pozioni più potenti possono richiedere settimane per essere pronte, ma questa è abbastanza concentrata da essere utile allo scopo”. Il pozionista porse all’anziano mago una capace fiaschetta ricolma di un liquido azzurrino.
Aberforth era sinceramente stupito. Il mago oscuro, l’ex Mangiamorte non aveva tenuto per sé la pianta, si era adoperato per preparare un antidoto per lui, era tornato ad aiutarlo.
“Noi di tempo non ne abbiamo più, Piton” disse l’anziano mago scuotendo la testa, “altrimenti delle mie capre non ne rimarrà viva neppure una! Stanotte non ci sono state vittime ma serve una soluzione definitiva. La tua pozione funzionerà, vero?”
“Lo spero” affermò Severus.

X GIORNO: l’antidoto


“Angus, Caramel, avanti, bevete. Doris, Polly, venite anche voi, mie adorate ragazze”
Aberforth era esaltato dall’operazione; impossibile capire se il suo farfugliare era un modo di comunicare con le sue capre o stava semplicemente parlottando con se stesso.
Severus vide soddisfazione e compiacimento nel comportamento del vecchio impegnato a curare i suoi animali. Sospirò e attese. La punta dello stivale sinistro batteva ritmica sul pagliericcio. Ad un occhio esterno sarebbe stato difficile capire se l’atteggiamento inquieto del mago dipendesse dai vezzeggiativi che il vecchio rivolgeva alle sue caprette, mentre somministrava loro il potente antidoto, dal flessuoso strusciare di Grattastinchi sulla sua gamba destra, oppure dall’attesa di conoscere l’effetto dei suoi sforzi.
Severus strappò la fiaschetta di mano ad Aberforth e si avvicinò ai corpi delle capre che apparivano morte: “Aberforth, ora lascia fare a me, mi è venuta un’idea”. Con una lunga pipetta aspirò pochi millilitri della sua pozione che infilò cautamente nella gola delle poverette.
“Che cosa fai?” chiese allarmato il vecchio, “sono morte, non sprecare la pozione, ho ancora altre capre a cui darla!”
Con una sola occhiata delle sue, Piton lo zittì: “Aspettiamo e vediamo, non abbiamo nulla da perdere di pozione ce n’è più che abbastanza”.
Nell’ora successiva non accadde nulla e i due uomini lasciarono la stalla per rientrare in casa.
Grattastinchi li seguì trotterellando.

L’interno della casa di Aberforth era piccolo ma completo delle parti essenziali. Le superfici spoglie, senza fronzoli, conferivano all’ambiente un aspetto di provvisorietà. Non c’era neppure un libro, ma un solo oggetto personale decorava la parete sul camino: era l’immagine sbiadita di una ragazzina abbastanza graziosa con lunghi capelli biondo cenere e occhi tristi.
Il fuoco danzava avvolgendo nelle sue spire grossi ciocchi di pino che sprigionavano il loro tipico aroma; minuscole scintille di brace si spegnevano sul pavimento non lucidato. In quella casupola faceva molto caldo.
Il vecchio mago indicò a Severus una logora poltrona accanto al focolare e appellò per entrambi un bicchiere colmo di Whisky Incendiario.
Grattastinchi si avvicinò a Piton con palesi intenzioni, ma questi gli lanciò uno sguardo minaccioso e al felino non restò che acciambellarsi sotto la sua poltrona.
“Questo whisky è invecchiato trent’anni, una vera delizia” Disse il vecchio.
Il profumo secco, legnoso e torbato del whisky si diffuse nelle narici di Severus, cullandolo in uno stato di benessere che non assaporava da tempo.
Sulla poltrona accanto alla sua, l’anziano mago era pensieroso: il capo era chino e i suoi lunghi e incolti capelli grigi gli nascondevano il volto.
Severus Piton sedeva ritto e fissava ora le fiamme ora Aberforth con la mente persa nei ricordi.
- Ormai non ho nulla da perdere, pensò tra sé. Trasse un respiro profondo: “Voglio parlarti di Albus e di ciò che ci teneva legati” sussurrò lentamente, lo sguardo perso nelle fiamme guizzanti. No, non era da lui parlare di sentimenti che spesso cercava di nascondere anche da se stesso, ma sentiva nell’intimo il bisogno di alleviare almeno un po’ il peso che gravava ormai da anni sulla sua anima. Niente lo avrebbe mai liberato dal ricordo e dalla colpa, ma confidarsi con l’unico uomo che avrebbe potuto comprendere e perdonare avrebbe forse lenito un po’ la pena.
Avrebbe potuto forse guardare avanti, lasciare nel passato una delle ferite più profonde della sua vita sbagliata.
“Non sono sicuro di volerti ascoltare”, la voce di Aberforth era bassa e roca.
Severus fissò l’uomo distogliendo lo sguardo dal fuoco, poi aggiunse: “Va bene, io parlerò e tu deciderai se ascoltarmi oppure alzarti e andartene”
“Siamo a casa mia” brontolò il vecchio.
Severus sospirò: “Fa un cenno della mano e sarò io ad andarmene” disse
“Ci sto”
E Severus iniziò a raccontare.

Alcune ore e alcune bottiglie di whisky dopo, i due uomini sedevano abbandonati sulle poltrone, ma ora esse erano rivolte l’una verso l’altra e non più in direzione del camino. Le fiamme si erano indebolite e la temperatura nella stanza era calata di diversi gradi. I due non avevano freddo: i sentimenti che si rimescolavano nei loro cuori non erano evaporati insieme all’alcol, ma ribollivano come l’acqua vulcanica di un geyser.
“Cosa accadrà ora, Piton? Cosa ne sarà di noi?” al vecchio mago girava la testa, era impressionato, turbato, non aveva mai sentito parlare tanto Severus; non immaginava che nel suo corpo magro e nervoso potesse nascondersi tutta quella sofferenza, strenuamente celata dalla sua castigata veste nera.
“Possiamo essere quello che vogliamo, Aberforth” rispose Piton con pacatezza.
“Non è da te questa filosofia, non dopo quello che mi hai raccontato”
“Gli uomini cambiano, Aberforth, la vita li cambia e l’errore più grande e non cambiare con essa; ostinarsi a rimarcare le ingenue e terribili follie del passato per non provare a lasciarsi qualcosa alle spalle e andare avanti”
Aberforth sollevò il capo e guardò il suo compagno di avventure, e di recenti bevute, con gli occhi azzurro cielo dei Silente: “Ti ho giudicato male, Severus, ho usato con te gli occhi del pregiudizio. Sei un brav’uomo e mio fratello lo sapeva. Albus era generoso e tollerante, anche se la bontà in lui non sempre faceva rima con verità. Aveva tanti, troppi segreti: erano la sua passione”. Tacque meditando. Poi riprese: “Ha sofferto anche lui, molto. Forse per questo ti capiva: entrambi avete pagato a caro prezzo la vostra ambizione, ma siete riusciti a fare ammenda con onore e avete provato a cambiare la vostra vita vivendo in giustizia e lealtà”.
Severus lo ascoltò in silenzio.
L’anziano mago continuò: “Mi sento in dovere di chiederti scusa per le infami accuse che ti ho rivolto. Albus lo ripeteva spesso, sono le scelte che facciamo, che dimostrano quel che siamo veramente, molto più delle nostre capacità §. In questi giorni pensavo che se ti avessi conosciuto prima forse alcune cose sarebbero potute andare in maniera diversa”
“Io detesto il ‘senno di poi’, Aberforth, ho imparato che non serve a niente. Non si torna indietro.
“Anche io ti ho giudicato male” continuò Piton, la voce un sussurro vellutato, “ho usato l’odio che provavi per me come uno scudo. Invece di tentare di capirti… “ Severus batté le palpebre, si guardò le mani e tacque.
“Sta tranquillo, non sono un gran chiacchierone neppure io” le labbra di Aberforth si atteggiarono in un sorriso sghembo. “Siamo molto simili io e te, Piton. Due caproni… scusa, due uomini ostinati e misantropi, chiusi nel loro piccolo grande mondo fatto di false illusioni, sogni infranti e sconfitte insanabili: due uomini disincantati a cui il mondo perdona e ha perdonato poco, insomma”.

Grattastinchi, tutto arruffato, si stiracchiò e decise di spostarsi in un luogo più caldo. Fece un altro tentativo, stavolta con Aberforth, saltandogli all’improvviso sulle gambe e facendolo sobbalzare.
“Sta nascendo un’amicizia” insinuò mellifluo Severus osservando il vecchio mago insieme al gatto rosso. L’espressione sul suo volto tornò mesta e aggiunse: “Non conosco la vera amicizia, forse non l’ho mai conosciuta,” dichiarò sottovoce “Nessuno tranne Albus mi è stato amico, sebbene anche lui mi abbia nascosto molte verità, fino all’ultimo respiro e oltre” soggiunse cupo.
Il disagio era palpabile e Severus si alzò in piedi dirigendosi verso la porta: “Aberforth, vado a vedere come stanno le tue capre”.
“Aspetta, Piton” esclamò l’anziano mago che sembrava seduto sui carboni ardenti. Grattastinchi, intanto, si rigirava arpionandogli le gambe con gli artigli alla ricerca di una posizione comoda per sdraiarsi.
“Dimmi, cosa pensi che sia successo alle mie capre allora? Come è potuto accadere tutto questo?”
“Purtroppo non sono in grado di dirtelo con certezza, Aberforth. Ho un sospetto ma non ho prove concrete” disse Severus pensieroso. “Credo che la creatura mostruosa che ha iniziato questa follia sia un Inferius creato attraverso il ramo magico delle Arti Oscure chiamato Necromanzia. Forse evocato da un mago che, per qualche ragione, potrebbe aver avuto un conto in sospeso con te, forse uno dei Mangiamorte che servivi nel tuo bar per rifarsi su di te di tuo fratello Albus. Gli Inferi hanno l'aspetto delle persone che erano in vita, solo sono più ossa che carne; rimangono creature altamente pericolose se non si sa come eliminarle o allontanarle e possono vivere nell’acqua.” Severus tacque un istante poi riprese” Gli Inferi hanno due grandi paure: la luce ed il fuoco; ho lanciato sull’essere che ci ha attaccato un incantesimo: Lumos, se ricordi, e all’improvviso non c’era più nessuno. Oppure la scelta delle tue capre potrebbe essere stata assolutamente casuale: forse erano gli unici animali mansueti e incauti che la cosa ha incontrato sul suo cammino di morte. L’entità malvagia, certo, è stata resa più potente e vigorosa dalla polpa dei baccelli, ha sfruttato la tossina venefica per i suoi ripugnanti scopi, con i risultati che conosciamo”
“Questa storia è una follia. Basta!” esalò Aberforth “Sono stremato. Andiamo a riposare. E tu, gattaccio, scendi!”, proruppe, alzandosi in piedi e facendo ruzzolare Grattastinchi.

XI GIORNO: epilogo


Il sole non era ancora spuntato all’orizzonte ma Aberforth e Severus erano già da un po’ nella stalla. Senza quasi coprirsi coi loro mantelli erano corsi fuori: forti belati li avevano svegliati.
Grattastinchi li accolse sulla soglia con un’aria sorniona e facendo le fusa; per poco il gatto non venne travolto da una piccola mandria di caprette belanti che si erano precipitate all’ingresso dell’edificio percependo l’odore del loro padrone.
“Un miracolo!” esclamò Aberforth vedendole “sono vive, sono tutte vive!”
Si voltò all’istante verso Piton allargando le braccia: l’espressione e l’improvviso irrigidirsi del corpo del mago congelò la sua esuberanza.
“Sembri Hagrid” sibilò Severus, accompagnando queste parole a quello che sperava fosse l’ultimo sospiro-sbuffo della sua avventura.
Uscì in silenzio dalla stalla lasciando il vecchio a godersi felice le feste delle sue amate caprette. Severus aveva ipotizzato che i baccelli avessero soltanto messo in stasi le capre, facendole apparire morte, ma non aveva voluto illudere il vecchio mago.
Forse nel prossimo futuro ci sarebbe stata un’altra occasione per bere insieme dell’ottimo whisky incendiario e spiegargli che l’Inferius sarebbe tornato in seguito a completare l’opera e forse non si sarebbe accontentato delle capre.
Forse….
Grattastinchi lo seguì con la coda e le orecchie dritte.
“È il momento di andare. Cosa ne faccio di te?” Il gatto gli rispose con un lungo e sommesso miagolio.
“Ho capito, di sicuro preferisci tornare alle cure della tua padrona” Sollevò il gatto mettendolo in precario equilibrio sulla scopa e si allontanò in volo.

L’ insolita coppia, mago e gatto, attraversò il cielo terso di quel nuovo giorno di gennaio.
Una o forse più di una nuova e improbabile amicizia era nata: la vita, talvolta, riserva bizzarre sorprese.

FINE



* cit. HP7 I Doni della Morte
§ cit. HP2 La Camera dei Segreti

Edited by Lonely_Kate - 25/1/2022, 09:45
 
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view post Posted on 25/1/2022, 16:21
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I ♥ Severus


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Una storia molto lunga, che parte con ottime premesse ma poi si perde un po' per strada e il finale è un po' deludente nella sua incertezza su chi è, in effetti il colpevole, pecca da tenere in conto in un mistery.
Ottimo l'utilizzo di Aber, ben caratterizzato nell'amore per le sue caprette. Più difficile comprendere l'inportanza nel gatto nella storia: va bene, è immune al veleno della pianta, e poi? Nulla è detto sulle sue capacità di scovarla, anche se poi si ferma proprio vicino al posto in cui Severus troverà la pianta. Ho trovato il nesso logico molto labile.
Lo stile è buono e la storia molto variegata e interessante, anche se ho trovato un po' forzato il restare a dormire all'adiaccio attorno al lago, quando Hogwarts era a due passi. Ancor più forzato, al limite della violazione del canone, l'andare a Londra con le scope quando una smaterializzazione era più semplice e veloce.
 
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view post Posted on 25/1/2022, 17:26
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CITAZIONE (Ida59 @ 25/1/2022, 16:21) 
[color=#008000]Una storia molto lunga, che parte con ottime premesse ma poi si perde un po' per strada e il finale è un po' deludente nella sua incertezza su chi è, in effetti il colpevole, pecca da tenere in conto in un mistery.

Non era facile, restando in canone: pecca in più per me che ho una passione per il genere! La prossima volta mi farò suggerire da JKR ^_^

Edited by Lonely_Kate - 26/1/2022, 04:20
 
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view post Posted on 27/1/2022, 01:09
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Leggere la tua storia è stato come vivere una piacevolissima avventura, Cate.
Scritta e architettata molto bene, hai davvero lasciato volare la tua fantasia regalando, come è nel tuo stile, spunti deliziosi e divertenti alternati a momenti in cui il confronto tra Aberforth e Severus si fa molto duro; ed è allora che emerge la profondità di quanto hai scritto, e che si è obbligati ad abbandonare la leggerezza per dare spazio a una fase di riflessione, necessaria e doverosa, per meglio comprendere il dolore di entrambi.

Una vicenda che ho trovato bella, godibile e originale oltre che varia, variopinta, intrigante e ricca di contenuti e di sentimento. Sì, perché in questa lunga storia hai riversato tutta la forza dei tuoi sentimenti e della tua passione per lui, il mago più potente e capace del modo magico, regalandogli la possibilità di vivere un’esperienza fuori dagli schemi e quasi “catartica” grazie alla presenza di un Aberforth dirompente ma anche tanto tenero nel suo tentativo di salvare le adorate caprette (e sappi che ti ho perdonato l’ecatombe iniziale, grazie al rinfrancante finale) burbero e amabile, al quale non ci si può non affezionare.

Quel vecchio mago mai uscito prima dal confine di un piccolo villaggio, che hai voluto inserire con successo in un contesto nuovo alle prese con situazioni difficili, o anche solo complicate per un uomo semplice e diretto come lui, (come nel caso della visita al Ministero) e che ti entra direttamente nel cuore.
E’ un gran lavoro quello che hai fatto, Cate, che denota tutta la cura e l’attenzione che gli hai dedicato, che mi ha divertito ma anche toccato e in alcuni passaggi addirittura commosso, e per il quale ti faccio i miei più sinceri complimenti! <3
 
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view post Posted on 27/1/2022, 18:29
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CITAZIONE (Ele Snapey @ 27/1/2022, 01:09) 
Leggere la tua storia è stato come vivere una piacevolissima avventura, Cate.
Scritta e architettata molto bene, hai davvero lasciato volare la tua fantasia regalando, come è nel tuo stile, spunti deliziosi e divertenti alternati a momenti in cui il confronto tra Aberforth e Severus si fa molto duro; ed è allora che emerge la profondità di quanto hai scritto, e che si è obbligati ad abbandonare la leggerezza per dare spazio a una fase di riflessione, necessaria e doverosa, per meglio comprendere il dolore di entrambi.

Una vicenda che ho trovato bella, godibile e originale oltre che varia, variopinta, intrigante e ricca di contenuti e di sentimento. Sì, perché in questa lunga storia hai riversato tutta la forza dei tuoi sentimenti e della tua passione per lui, il mago più potente e capace del modo magico, regalandogli la possibilità di vivere un’esperienza fuori dagli schemi e quasi “catartica” grazie alla presenza di un Aberforth dirompente ma anche tanto tenero nel suo tentativo di salvare le adorate caprette (e sappi che ti ho perdonato l’ecatombe iniziale, grazie al rinfrancante finale) burbero e amabile, al quale non ci si può non affezionare.

Quel vecchio mago mai uscito prima dal confine di un piccolo villaggio, che hai voluto inserire con successo in un contesto nuovo alle prese con situazioni difficili, o anche solo complicate per un uomo semplice e diretto come lui, (come nel caso della visita al Ministero) e che ti entra direttamente nel cuore.
E’ un gran lavoro quello che hai fatto, Cate, che denota tutta la cura e l’attenzione che gli hai dedicato, che mi ha divertito ma anche toccato e in alcuni passaggi addirittura commosso, e per il quale ti faccio i miei più sinceri complimenti! <3

Cara Ele, leggo il tuo commento e la giornata cambia colore, prende una luce diversa, io stessa mi sento diversa: divento migliore. Non sto esagerando, non ti sto adulando, ma dicendo grazie. Ogni volta che dedichi alle mie storie le tue sempre straordinarie parole (e questa volta, lo ammetto, è stata una maratona :wacko: ), attraverso te Lonely_Kate matura un po' di più. Ho tanto da imparare e sono qui, scrivo, ci provo... e aspetto: critiche, elogi, suggerimenti, tutto ciò che serve per crescere. Poi arrivi tu e il mio cuore sorride, felice. <3
 
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view post Posted on 6/2/2022, 19:47
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Una storia originale, all'insegna dell'avventura. Complimenti, Kate, per l'idea che hai sviluppato. Mi è piaciuto molto il modo in cui hai fatto interagire Severus e Aberforth, il rapporto di amicizia che si crea tra loro piano piano, affrontando insieme la ricerca della soluzione a un mistero. Mistero che lasci in parte non risolto: un'apertura a un seguito? Potresti pensarci.😉
 
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view post Posted on 7/2/2022, 16:35
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CITAZIONE (Arwen68 @ 6/2/2022, 19:47) 
Una storia originale, all'insegna dell'avventura. Complimenti, Kate, per l'idea che hai sviluppato. Mi è piaciuto molto il modo in cui hai fatto interagire Severus e Aberforth, il rapporto di amicizia che si crea tra loro piano piano, affrontando insieme la ricerca della soluzione a un mistero. Mistero che lasci in parte non risolto: un'apertura a un seguito? Potresti pensarci.😉

Manu, carissima, grazie infinite per i complimenti <3 Sono felice che tu abbia gradito il modo che ho scelto per far relazionare tra loro due personaggi molto simili: entrambi condividono dei difetti, la cocciutaggine e la scarsa empatia, ma, se imparano a conoscersi e superano l'innata diffidenza, possono riscoprirsi legati da una profonda amicizia. Con due tipi così di tempo ce ne vuole però ed io l'ho ampiamente sfruttato! :wacko:
Un seguito? Non so, di certo farò in modo che sia una 'flash-fic' :lol:
 
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view post Posted on 8/2/2022, 09:32
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Un racconto scoppiettante e ricco di inventiva. Davvero complimenti per l'intricata trama nella quale sei riuscita a inserire tutti gli elementi, donandoci una storia piena di trovate originali ma anche di fitti dialoghi, in cui i due personaggi emergono, ciascuno con le proprie peculiarità.
Sei stata bravissima, Kate! <3
 
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CITAZIONE (Gabrix1967 @ 8/2/2022, 09:32) 
Un racconto scoppiettante e ricco di inventiva. Davvero complimenti per l'intricata trama nella quale sei riuscita a inserire tutti gli elementi, donandoci una storia piena di trovate originali ma anche di fitti dialoghi, in cui i due personaggi emergono, ciascuno con le proprie peculiarità.
Sei stata bravissima, Kate! <3

Gabri, sono felice che questa lunga avventura ti sia piaciuta. I tuoi complimenti rappresentano per me un gesto di amicizia come un forte abbraccio. Grazie! <3 <3
 
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view post Posted on 9/2/2022, 09:17
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Lonely Kate sboccia e presenta un racconto che è un mini romanzo d'avventura.
Complimenti Cate per l'originalità del soggetto e la conduzione della vicenda, presentata con la dovuta pacatezza per consentirci di assaporarla a pieno.
E' già stato detto, ma lo ripeto, si coglie la cura con cui è stata realizzata, le conoscenze messe in campo sia della saga, che personali. E si coglie la tanta voglia di fare bene: riuscitissima Cate.
Le scene che per me bucano lo schermo: i due dialoghi di Severus ed Aberforth, il primo denso di frizioni, di freddo e di reciproci pregiudizi, il secondo pregno di calore emanato dai ciocchi di pino e da due anime in fondo solitarie e dolenti che trovano conforto l'una nell'altra.
Grazie Cate, è stato un piacere.
 
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view post Posted on 9/2/2022, 15:50
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CITAZIONE (Anto67 @ 9/2/2022, 09:17) 
Lonely Kate sboccia e presenta un racconto che è un mini romanzo d'avventura.
Complimenti Cate per l'originalità del soggetto e la conduzione della vicenda, presentata con la dovuta pacatezza per consentirci di assaporarla a pieno.
E' già stato detto, ma lo ripeto, si coglie la cura con cui è stata realizzata, le conoscenze messe in campo sia della saga, che personali. E si coglie la tanta voglia di fare bene: riuscitissima Cate.
Le scene che per me bucano lo schermo: i due dialoghi di Severus ed Aberforth, il primo denso di frizioni, di freddo e di reciproci pregiudizi, il secondo pregno di calore emanato dai ciocchi di pino e da due anime in fondo solitarie e dolenti che trovano conforto l'una nell'altra.
Grazie Cate, è stato un piacere.

Oh, Anto carissima, mi trovi così... trasformata (maturata mi sembra troppo ;) )? Mi sono divertita e impegnata molto a scrivere questo 'mini romanzo d'avventura' come lo hai definito tu (grazie!). Devo di certo ringraziare tutte le mie compagne di Casa per i consigli (Chiara, in particolare, ha quasi perso un paio di diottrie per betarlo :lol: ).
Di strada da fare ne ho tanta e i tuoi elogi (così come gli altri) sono la spinta a cercare di migliorare ancora. TVB <3
 
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view post Posted on 13/2/2022, 13:56

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Ogni racconto che leggo mi fa essere sempre più convinta che tra Aberforth e Severus sia quasi impossibile che non nasca un amicizia, il tuo non fa difetto, anzi, mette ancora più in risalto questo concetto argomentandolo con ragioni che ho trovato perfette.
Storia affascinante all'inizio e nel prosieguo, sia per i paesaggi descritti, per il rapporto tra i fue maghi, l'inserirsi rocambolesco del gatto e comunque l'evolversi della trama tutta.
Ne ho apprezzato la lunghezza perché mi ha permesso di godere più tempo in compagnia dei personaggi e della tua scrittura.
In effetti mi ha davvero coinvolto l'evoluzione delle dinamiche tra i due maghi e poi del rapporto con Grattastinchi.
In verità ho trovato la fine un pò accelerata e senza colpi di scena o i reali misteri svelati.
Pur amando i finali lieti, hai lasciato il colpevole pressoché insoluto, questo, a mio avviso, sgonfia di colpo la bolla di tensione e curiosità che si viene a creare leggendo e lascia il lettore un pochino a bocca asciutta.
Per contro ho molto gradito il finale, che attendevo e che mi ha regalato con una calda sensazione di serenità.
Ho davvero apprezzato la tua scrittura: piena di ottimi spunti, affascinante e colma di frasi stupende ( 3 o 4 me le sono appuntate perchédavvero ispiranti), costruite con bravura e con paragoni e termini davvero avvincenti, direi di più, originali.
Il rapporto tra Severus e Aberforth era credibile e ben gestito.
Le due figure sono delineate a tutto tondo, in modo davvero notevole.
Il rapporto tra loro è approfondito e chiaro fin dall'inizio.
I dialoghi sono intriganti, affascinanti le descrizioni, sia del paesaggio che dei due protagonisti ( diciamo tre, col gatto!) e momenti a tratti impagabili, come alcuni atteggiamenti di Severus verso Silente e viceversa, o quando riesce a calmare Grattastinchi con uno sguardo. Attimo questo che non hai chiarito, ma che mi sono spiegata con l'estremo magnetismo del nostro professore preferito.
L'inserimento dell'animale magico è interessante e ben integrato nella storia.
Non ho trovato fondamentali le scope, ma ti faccio i complimenti per l'idea dell'esplorazione e anche di tutta la ricerca necessaria per costruire la storia attorno a questa mitica pianta!
Insomma mi è piaciuto molto leggerti.
Non ti conosco di persona, ma mi sono permessa di comunicarti con sincerità le mie opinioni.
È importante però che ti dica anche che ti ho trovata un'autrice davvero molto brava, carica di idee originali e un ottimo modo di esporle.
Ti leggerò sempre con estremo piacere.
 
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view post Posted on 13/2/2022, 21:11
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Cara Monica, ti ringrazio per la meticolosa recensione. Sai che rileggendo a mente fredda e tutto in una volta l'intero brano ho avvertito anche io questo interrompersi brusco del pathos proprio come una ''bolla che si sgonfia di colpo''? Questo denota, più che mancanza di idee (all'inizio avevo trovato un finale più contorto della stessa vicenda, ma sarei finita fuori canon), una carenza di tecnica e padronanza di regole base e trucchi del mestiere che sono lontana dal possedere. Rivedere in senso critico un testo attraverso l'occhio di un esperto apre la mente e le insegna a cambiare prospettiva e punti di vista, insomma: a prendere la distanza emotiva dal proprio scritto, altrimenti gli errori sfuggono. Come ho scritto poco più su in risposta ad un altro commento, leggere le critiche (i suggerimenti) è necessario, è fondamentale non se si vuole diventare scrittrici (lungi da me), ma per rendere bello e quanto più possibile perfetto anche un piccolo lavoro. Spero che impareremo a conoscerci presto. Grazie ancora <3

Edited by Lonely_Kate - 14/2/2022, 18:58
 
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view post Posted on 14/2/2022, 19:28

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Cara Kate, non ho mai pensato a una tua mancanza di idee, ma solo espresso una mia sensazione. Forse non con le parole giuste, se è così me ne scuso.
Non mi ritengo affatto un'esperta, anzi, ho ancora moltissimo da imparare!
Faccio ancora un sacco di errori e come capacità espressive sono una pura principiante.
Sul forum ci sono moltissime persone che scrivono davvero bene e mi sento sinceramente certa di includerti tra loro!
Spero anch'io di avere la possibilità di conoscerti presto!
Nel frattempo continua a scrivere, così potrò almeno leggerti! 😀
 
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view post Posted on 14/2/2022, 19:39
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CITAZIONE (kijoka @ 14/2/2022, 19:28) 
Cara Kate, non ho mai pensato a una tua mancanza di idee, ma solo espresso una mia sensazione. Forse non con le parole giuste, se è così me ne scuso.
Non mi ritengo affatto un'esperta, anzi, ho ancora moltissimo da imparare!
Faccio ancora un sacco di errori e come capacità espressive sono una pura principiante.
Sul forum ci sono moltissime persone che scrivono davvero bene e mi sento sinceramente certa di includerti tra loro!
Spero anch'io di avere la possibilità di conoscerti presto!
Nel frattempo continua a scrivere, così potrò almeno leggerti! 😀

Monica, aspetta aspetta, forse sono stata io a non esprimermi nel modo giusto! Cara, io ti sono grata, come alle altre, di aver espresso un giudizio sincero e competente! Tu scrivi benissimo e io posso solo imparare da persone esperte come te! Non voglio che ci siano equivoci tra noi. :hug:
 
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15 replies since 21/1/2022, 21:42   392 views
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