Autore/data: Alaide – gennaio 2022
Beta-reader: nessuno
Tipologia: One-Shot
Rating: Per tutti
Genere: Drammatico, Introspettivo
Personaggi: Severus Piton, Aberforth Silente
Pairing: nessuno
Epoca: 7° anno
Avvertimenti: nessuno
Riassunto:
E immaginò che gli occhi dell’uomo fossero carichi dell’odio che si meritava.Nota: Storia scritta per l’iniziativa
15 anni con Severus, sfida del mese di gennaio. Ruolo: Portatore delle Insegne. Scuola: Durmstrang.
Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
Lunghezza: 1600 parole (9778 caratteri)
Silenzi
La superficie del lago riluceva placida alla pallida luce della luna calante. Era incredibilmente tranquilla, si disse Severus, di una tranquillità che non si confaceva a quello che stava accadendo intorno a lui.
Non sapeva nemmeno lui perché avesse lasciato il castello, quella notte.
Forse sperava di trovare qualcosa lungo le rive del lago.
Non era di certo il riposo che poteva trovare, né la pace che sembrava contraddistinguerne le acque.
Non esisteva alcun riposo per chi, come lui, aveva commesso i più atroci delitti.
Non esisteva alcun riposo per chi, come lui, non era in grado di proteggere l’innocenza.
Non importava quanto provasse, non era in grado di tenere realmente al sicuro gli studenti su cui avrebbe dovuto vegliare.
Fece qualche passo, prima di fermarsi, mentre una nuvola passeggera oscurava per un istante la luna, rendendo la superficie del lago di una lucida oscurità.
La stessa oscurità che aveva sempre caratterizzato la sua vita.
Riprese a camminare, rimanendo all’erta, ma tutto dormiva intorno a lui. con ogni probabilità anche le creature che popolavano il lago.
Tutti trovavano il sonno, anche i più crudeli tra i Mangiamorte.
Ma per lui non esisteva risposo.
Soltanto poche ore di dormiveglia, popolato da incubi, gli garantivano quel poco che gli serviva per continuare a sopravvivere, fino a quando non avesse compiuto l’ultimo incarico affidatogli da Silente.
Perché, lo sapeva perfettamente, le spie non sopravvivono alle guerre in cui combattono.
La luna tornò ad illuminare appena l’acqua lacustre, che riluceva argentea, dove la luce dell’astro la toccava.
L’uomo si fermò, quando urtò qualcosa con un piede.
Una scopa – sembrava una di quelle della scuola, ma non era facile dirlo alla luce pallida della luna calante – giaceva abbandonata sulle rive del lago.
Si inginocchiò e la osservò.
Non sapeva nemmeno che tipo di scopa fosse – non che il Quidditch gli fosse mai realmente interessato –, ma di certo non era uno degli ultimi modelli.
Se ne stava lì, dimenticata da qualche studente che, forse, aveva cercato nel volo una fuga dall’inferno che era diventata Hogwarts sotto la sua presidenza.
Avrebbe dovuto proteggere quegli studenti, ma, per quanto vi provasse, senza tradire la sua copertura, troppi di loro soffrivano, troppi di loro stavano perdendo qualsiasi rimasuglio di innocenza.
Ritornò ad osservare la scopa.
Fosse stato un vigliacco l’avrebbe presa tra le mani e sarebbe fuggito da tutto quello che gli stava accadendo attorno.
Sarebbe stata una fuga vana, lo sapeva.
D’altronde non gli serviva di certo una scopa per fuggire.
E, in ogni caso, non avrebbe mai scelto la fuga, non avrebbe mai rinunciato al vano tentativo di rimediare alle sue colpe.
Si tirò su in piedi e, quasi senza accorgersene, urtò appena la scopa. O forse fu il vento, che improvvisamente iniziò a soffiare intorno a lui, a farla muovere un poco, a tentare di portarla lontana da lì.
Forse anche un oggetto inanimato voleva fuggire di fronte ad un assassino.
Voltò il capo verso il castello, verso il luogo dove usurpava il ruolo di Preside, dove aveva ucciso Silente, dove, forse, avrebbe dovuto, in un futuro non sapeva quanto prossimo, dire a Potter che sarebbe stato suo dovere andare arrendevole incontro alla morte.
Il vento fece mulinare alcune foglie secche, intorno a lui, mentre tornava ad osservare la placida distesa d’acqua.
Fu allora che notò una figura dall’altra parte del lago, illuminata dalla luce flebile della luna calante.
Non sapeva da quanto tempo quell’uomo si trovasse al di là delle acque.
Forse era appena arrivato.
Forse si trovava lì da prima.
In quel momento, per quanto fosse lontano, lo riconobbe.
Era Aberforth Silente.
Il fratello dell’uomo che aveva assassinato.
Severus rimase all’erta, mantenendo lo sguardo fisso sull’uomo dall’altra parte del lago.
Ed immaginò che i suoi occhi fossero carichi dell’odio che si meritava.
Dell’odio che lui stesso provava.
Dell’odio che vedeva riflesso nel lago e che vedeva riflesso nella sagoma dall’altra parte.
Severus riusciva quasi ad immaginare che Aberforth vedesse le sue mani lorde del sangue delle sue vittime.
O forse, l’uomo si stava rammentando del giorno in cui l’aveva colto ad origliare la profezia che aveva condannato Lily.
L’aveva gettato fuori dalla Testa di Porco.
Forse avrebbe dovuto ucciderlo, allora.
Forse voleva ucciderlo, in quel momento.
E per quanto sapesse di meritare la morte, Severus era cosciente che, se Aberforth avesse agito contro di lui, avrebbe dovuto difendersi, perché non era ancora giunta la sua ultima ora, perché non aveva ancora compiuto il suo estremo dovere.
Ma l’uomo rimaneva immobile dall’altra parte del lago, mentre il vento turbinava sulla sua placida superficie.
La scopa, abbandonata accanto a lui, si mosse nuovamente, rotolando più lontano, quasi fosse spaventata o inorridita dall’assassino che aveva accanto.
Le acque del lago sembravano così limpide, ma anche loro parevano rilucere del rosso del sangue delle sue vittime; del rosso del sangue delle persone che non era riuscito a salvare.
Forse anche Aberforth Silente, dall’altra parte del lago poteva vedervi riflesso quel sangue.
E non importava che la luce della luna fosse argentea.
Il vento fece turbinare altre foglie intorno a lui.
E le foglie turbinavano anche intorno ad Aberforth Silente, che stava fissando attentamente l’uomo dall’altra parte del lago.
Sapeva perfettamente chi fosse.
E sapeva perfettamente ciò che aveva fatto.
Lo aveva osservato inginocchiarsi per qualche istante e poi voltarsi verso il castello.
Avrebbe potuto colpirlo, in quel momento, ma non lo aveva fatto.
Avrebbe potuto anche parlargli e gridargli in faccia il suo odio, ma non lo aveva fatto.
I rapporti con suo fratello erano incrinati da quando Ariana era morta, ma questo non lo faceva soffrire di meno per la perdita di Albus. Aberforth sapeva che suo fratello aveva sempre sostenuto di fidarsi di Piton, ma Albus si era anche fidato di Grindelwald in una parte remota della sua vita.
Grindelwald era stato partecipe agli eventi che avevano portato alla morte di Ariana.
Piton aveva ammazzato a sangue freddo suo fratello ed ora era diventato Preside di una scuola trasformata in un inferno.
Poco prima, avrebbe potuto colpire Piton, mentre era inginocchiato davanti al lago. Era sembrato quasi distratto, quasi vulnerabile, in quel momento, per quanto lo potesse determinare dalla distanza a cui si trovava, oltre le acque placide, tranquille anche mentre il vento imperversava, tranquille anche quando Hogwarts era diventato un luogo di morte.
Forse, per quanto ne dubitasse, avrebbe anche potuto ucciderlo.
Ma non sarebbe servito a nulla.
Sarebbe arrivato un altro preside, un altro servo di Voldemort, un altro assassino.
E i ragazzi avrebbero perso il supporto che poteva dare loro dalla Testa di Porco.
Il lago continuava a rilucere placido illuminato dalla luce argentea della luna calante di quel giorno di novembre.
Ad Aberforth sembrò che le acque si mostrassero indifferenti a tutto, come dovevano esserlo state da quando la scuola era stata fondata e come lo sarebbero state nei secoli a venire, ammesso che quella guerra non distruggesse Hogwarts.
Osservò ancora per qualche istante la sagoma al di là del lago, poi si allontanò, mentre le foglie turbinavano intorno al lago, mentre le acque osservavano silenziose la notte e mentre una scopa abbandonata veniva mossa da quello stesso vento.
Severus rimase immobile fissando la sagoma di Aberforth Silente allontanarsi.
Restò ad osservare le acque del lago, illuminate dalla luna e la scopa muoversi leggermente al vento.
Non seppe per quanto tempo rimase lì, fermo davanti a quelle acque che sembravano dirgli che nulla avrebbe potuto lavare le sue colpe e il sangue che gli imbrattava le mani. Una folata più intensa fece rotolare la scopa, il cui manico toccò le acque quiete del lago.
Severus fissò per qualche breve istante quell’oggetto inanimato che sembrava fuggirlo, che sembrava quasi enumerargli insieme al vento e alle acque del lago il nome di chi aveva ucciso e il nome di chi non era riuscito a salvare.
Poi, con quei nomi ancora ben saldi nella mente, si allontanò lentamente, lasciando alle sue spalle il silenzio della notte, certo che anche quella notte avrebbe dormito poche miserabili ore, tormentate da incubi indicibili.
E quando fu nel suo letto, si sognò vicino al lago. E vide le sue acque cupe e silenziose e vicino ad esse giaceva una scopa dal manico sporco di sangue. Aberforth Silente si fece avanti, camminando lento, gravato dagli anni. E poi prese a parlare e, ad ogni colpa che gli rinfacciava e ad ogni nome che pronunciava, le acque del lago diventavano sempre più rosse, sempre più lorde di sangue. Poi, da qualche parte, l’ombra di un vecchio apparve sulle rive del lago. E Severus riconobbe perfettamente quel vecchio, che si tagliò una ciocca di bianchi capelli e la gettò nelle acque fino ad allora placide, mentre Aberforth continuava a ripetergli la sua cantilena di nomi e di azioni. E le acque del lago parvero ribollire, rosse del sangue versato, mentre la voce di Aberforth – o era forse la voce del vecchio – affermò che non esisteva alcun perdono per lui. E le acque del lago si riversarono su Severus che stava immobile sulla riva. [1]
L’uomo si destò di colpo e notò, mentre le immagini dell’incubo svanivano lentamente, che la luna era ancora alta nel cielo e la sua luce entrava nella stanza.
Si alzò e si avvicinò alla finestra.
E, mentre restava in piedi, con la sola compagnia delle sue colpe, vide il lago luccicare alla pallida luce della luna, placido e tranquillo, indifferente alla sua solitudine, indifferente al senso di colpa che sembrava ingrandirsi ogni giorno, indifferente all’odio che provava per sé stesso.
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[1] Il sogno di Severus è in parte ispirato al sogno di Franz Moor dei Masnadieri di Schiller.
Edited by Alaide - 22/1/2022, 09:48