Titolo: Odi et Amo – Follie d’Amore
Autore/Data: Lonely_Kate - febbraio 2021
Beta-reader: Xe83.
Tipologia: racconto (1638 parole)
Rating: per tutti
Genere: fluff- romantico
Personaggi: Severus Snape, personaggio originale
Pairing: Severus Snape/personaggio originale
Epoca: Post 7° anno
Avvertimenti: AU
Riassunto: l’amore può ‘spuntare’ anche da un calderone.
Nota 1: Alla mia Beta, come disse Silente: “La felicità può essere trovata, anche nei tempi più bui, se ci si ricorda solo di accendere la luce”. Io l’ho fatto, ed ho trovato Xenia.
Nota 2: Scritta per la sfida ‘FA+FF n°5. San Valentino 2021’
Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling ed a chi ne detiene i diritti. Il personaggio originale ed i luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
Odi et Amo – Follie d’Amore
L’intervallo tra le ore di lezione era finito da pochi minuti.
In un largo corridoio, adiacente a un porticato con giardino nel castello di Hogwarts, due figure, molto poco assortite, apparivano rivolte l’una all’altra in una ‘’singolar tenzone’’.
Erano attorniate da un folto gruppo di studenti, richiamati fuori dalle aule dal trambusto percepito.
Le voci scaldavano l’atmosfera di un mese di gennaio che si accingeva a concludersi in un’aria fredda, ma senza accenno alla neve.
Un uomo alto era rivolto, braccia e mani spalancate, ad una donna abbigliata con abiti Babbani, di media altezza, con medi capelli scuri dai riflessi ramati, di medie proporzioni corporee, che non sembrava affatto intimorita dalla figura imponente e spazientita che si ritrovava davanti, anzi, sembrava compiaciuta.
Il tono di voce dell’uomo, di nero vestito, non dava decisamente adito a dubbi: era esasperato, letteralmente sul punto di esplodere.
“Deve starmi lontana! La prego, la supplico! Lei mi insegue, mi perseguita. Ovunque mi giri, ovunque mi volti io la vedo, sempre, in qualsiasi momento, dalla sera alla mattina!”
“Mi vede anche di notte nei suoi sogni Professore?” gli chiesi con un medio, no ampio, spontaneo sorriso e con un rapido battito delle mie lunghe ciglia scure (grazie mascara).
“No, per fortuna sono insonne e se, malauguratamente, lei si azzardasse a invadere anche la privacy della mia camera da letto, io assumerei subito una pozione per darmi la morte!”
“Oh, Professore, sarei disposta ad accompagnarla in questo atroce, ma disperatamente romantico, gesto estremo! Professore, sappia che io non la lascerò mai, mai sola”, sospiro. “Lo so, lo sento di essere l’unica in grado di consolarla. Io le ridarò la gioia di vivere, di amare, di sognare!”.
Le mani della donna erano giunte in una fervente supplica, mentre le ciglia continuavano a sbattere incessantemente.
Nel frattempo l’esasperato Professore di Pozioni alzò, suo malgrado, gli occhi al cielo, forse sperando in un segno divino. Sarebbe stato disposto anche a credere in un’entità superiore se questa fosse stata in grado di liberarlo da lei!
Il segno arrivò.
Approfittando del fatto che la sua interlocutrice ora parlava (sempre a vanvera) tenendo gli occhi chiusi e con una vacua espressione sognante stampata sulla faccia, si allontanò, rapido, dal corridoio tra le aule.
Così, mentre io pronunciavo, estatica, la mia ennesima dichiarazione d’amore con parole che venivano dritte dritte dal profondo del mio cuore, non mi ero accorta che l’oggetto dei miei così poco segreti sospiri era sparito alla mia vista.
Stavo parlando da sola.
Mi caddero le braccia lungo il corpo e la mandibola non ne voleva sapere di tornare su.
Incurante delle decine di paia d’occhi sgranati che mi guardavano tra il divertito e lo sgomento, mi allontanai anch’io dall’indiscreto corridoio, camminando fiera, a testa alta, forte dell’ineluttabilità del mio amore.
Non era finita, no, non mi sarei arresa. Anzi, mi era appena venuta in mente un’idea geniale: dovevo commettere uno spregevole atto di corruzione, o peggio, di ‘circonvenzione di incapace’.
Così, lesta, mi diressi verso quello che sarebbe stato il prossimo bersaglio delle mie malefatte.
Salve a tutti, la donna Babbana sono io.
Come mi chiamo? È un dettaglio poco rilevante.
Cosa ci facevo ad Hogwarts? Pazientate e lo scoprirete.
È forse un segreto? No, il mio cuore non aveva segreti.
Io ero lì per un unico scopo, uno solo.
Da quando ero arrivata tra le mura del magico Castello, qualcosa era cambiato nella calma e routinaria vita quotidiana del celeberrimo Professore di Pozioni, dal carattere ostico ma anche tanto affascinante.
Avevo un obiettivo da conquistare e decisi di metterci tutto il mio impegno; lui avrebbe ceduto, prima o poi.
Mi nascondevo, furtivamente, nei luoghi più impensabili, pur di poter godere della sua presenza: ero diventata la gamba della scrivania della Professoressa di Trasfigurazioni, in aula docenti; la mensola porta vasi nella serra della Sprout, dove il mio Professore si riforniva delle sue erbe; il disgustoso e viscido contenuto del vaso di vetro gigante, che era stranamente comparso tra le fila degli altri contenitori collocati sugli scaffali del laboratorio di pozioni.
Per questa prova d’amore avevo dovuto sottopormi ad un duro training, da un noto apneista, per evitare di morire annegata nei viscidi liquidi di conserva, ma era per conquistare il suo cuore ed esclusivo amore che lo facevo!
Una volta ero anche comparsa, all’improvviso, dal fondo di un calderone gigante, giusto in tempo prima che venisse acceso il fuoco del braciere.
Il Professore doveva preparare per tutta la classe una strana pozione che prevedeva l’utilizzo di un intero arbusto di rovi… ahi che dolore! Certo al mio pazientissimo Prof. venne quasi un colpo, ma mi perdonò subito quando mi obbligò a promettergli di sparire dalla sua vista per qualche tempo. Contrattammo un po’ sulla durata di questa mia irreperibilità, ma alla fine la spuntai io, solo 10 minuti, estorti al prezzo di rinunciare a servirgli la cena quella stessa sera.
Poco male, visto che, comunque, avrei trascorso la serata a mangiucchiare quello che capitava, nascosta sotto al tavolo dei professori, a poca, pochissima distanza dalle sue gambe e dagli adorati bottoncini.
Ero felice, sì, lui mi rivolgeva la parola. A volte alzava anche un po’ la voce, ma lo faceva perché gli avevo detto -almeno credevo di averlo fatto- che ero un tantino sorda.
Ah, la forza dell’amore!
Il mio spazio al dormitorio era irriconoscibile.
In un’altra circostanza un profiler dell’FBI mi avrebbe subito etichettata come una stalker fanatica e potenzialmente pericolosa... ma anche tanto, tanto innamorata!
Non vi era più un centimetro di superficie visibile che non fosse stata occupata da foto rubate, brandelli di stoffa del mantello (ehm sì, in un paio di occasioni lo avevo rincorso con le forbici; desideravo ardentemente possedere una parte di lui per poterla tenere accanto a me, sul mio cuscino, la sera prima di andare a dormire).
Guardando bene si potevano anche scorgere, appuntate alle pareti, delle piccole bustine trasparenti che contenevano sottili capelli neri, casualmente caduti nelle sue vicinanze.
Purtroppo il mio amore non mi aveva mai permesso di toccarlo o solo sfiorare il suo corpo con la punta di un dito o di una scarpa.
Il mio cuore traboccava d’amore; un sentimento travolgente che presto, sapevo, avrebbe placato la sua sete abbeverandosi alla fonte del piacere.
Fu così che l’accordo con un elfo domestico venne preso, il prezzo pagato.
In una pungente alba di febbraio, al sorgere del sole sul 14° giorno del mese, una strana figura scura si aggirava indisturbata, con movimenti femminei, nel cortile del castello.
Un mantello nero, decisamente lungo, la seguiva come un velo da sposa.
A guardarla bene anche gli abiti sembravano proprio lunghi, un tantino abbondanti, ma a lei non importava.
Si guardò, rimirandosi, per quanto poteva fare senza uno specchio.
Era al culmine della felicità: sul suo corpo il desiderio proibito ora realizzato. Lo toccava, accarezzava, annusava, con lui volteggiava leggera. Era suo, sì, era finalmente suo.
Qualche metro più in basso, in una fredda ed umida stanza nei sotterranei del castello, un uomo doveva risolvere uno strano problema, un mistero inspiegabile: i suoi abiti erano spariti!
Il suo unico abito, il suo nero completo, redingote, pantaloni e mantello, scomparsi.
Una rabbia furente si stava impadronendo di lui. Un atroce sospetto aveva invaso la sua mente.
No, lui non sospettava, sapeva chi aveva rubato la sua nera corazza, il suo scudo verso il mondo.
Lei, maledizione, lei!
Che fattura utilizzare? Come farle capire una volta per tutte che lui, Severus Snape, era una persona seria e riservata, che aveva un buon nome da mantenere, che mai e poi mai si sarebbe perso dietro gli svenevoli e ridicoli salamelecchi di una sciocca Babbana?!
Lentamente, uno strano senso di sollievo si affacciò alla sua coscienza.
“Un momento, sono libero! Ah, se l’avessi scoperto prima, mi sarei risparmiato continui strazi e supplizi. Lei voleva la redingote, non me!".
Mentre gioiva di questa fortunosa scoperta, si ritrovò a ripensare all’intera faccenda.
La verità era che non si sentiva poi così sollevato.
Un insidioso sentimento di delusione e tristezza si era infilato prepotentemente sotto la sua diafana pelle.
Uff, ma proprio nessuna voleva lui, solo lui, col suo naso, i suoi occhi, la sua pelle, i suoi tanti (troppi) spigoli?
Quando era già, quasi irrimediabilmente, preso dallo sconforto, udì una voce orribilmente familiare.
“Professore!”
Snape si voltò, gli occhi sgranati dal terrore.
“Professore guardi, indosso i suoi abiti! Come mi stanno? Le piaccio? Ora finalmente posso dire di essere una cosa sola con lei, è contento? … Buon San Valentino!”
Solo in quell’istante, uno sconvolto e arreso Severus Snape, si rese conto che era praticamente in mutande al cospetto di quella pazza.
Assunse un’espressione afflitta, un rossore di fuoco sulle guance.
“Professore, no, va tutto bene” cercai di rassicurarlo ora seria.
Mi tolsi rapida il mantello avvicinandomi cauta a lui, che teneva gli occhi bassi e le braccia incrociate, strette intorno al corpo.
Con un gesto degno di un discobolo -la mia altezza non era d’aiuto- lo avvolsi nel suo lungo e morbido mantello di sottile lana nera.
Feci un passo indietro, non volevo imbarazzarlo certo così tanto.
Lui sollevò lo sguardo, guardandomi smarrito.
“Grazie” disse dolcemente.
Per la prima volta mi resi conto che forse avevo un tantino esagerato, dovevo andarmene e lasciarlo tranquillo.
Piano, piano, camminando sulle punte per non inciampare nel pantalone troppo lungo, mi diressi verso la porta del laboratorio.
“Aspetti… ”
Mi bloccai all’istante.
“... non se ne vada, non ancora... non oggi”.
La sua voce un sussurro che mi accarezzò i timpani, facendoli vibrare di piacere. Il tempo si fermò.
“Vorrebbe fare colazione con me?”
Le mie ciglia iniziarono a sbattere come le ali di un colibrì.
Anche la mia testa andava su e giù.
Sorrisi, ero felice: “Buon San Valentino Professore”.
I suoi occhi sorrisero per lui.
FINE (finalmente)
Edited by Lonely_Kate - 3/10/2021, 17:22