Il Calderone di Severus

Silver doe - Una pozionista esperta?, Genere: commedia Personaggi: Severus Piton; Silver doe Epoca: HP post 7° anno Avvertimenti: AU

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view post Posted on 13/1/2021, 16:42
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Titolo: Una pozionista esperta?

Autore: Silver doe
Data: gennaio 2021
Beta reader: Ida59. Grazie di cuore, Ida.
Tipologia: one shot
Rating: per tutti
Genere: sentimentale, commedia
Avvertimenti: AU
Riassunto: Di sicuro è uno scherzo, queste cose non accadono nella vita reale. Ripongo la lettera nel cassetto più nascosto della scrivania e decido di non pensarci più.
Personaggi: Severus Piton; Silver doe
Pairing: nessuno
Epoca: HP post 7° anno

Disclaimer: Disclaimer: I personaggi e i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I personaggi originali, i luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.



No. Non è possibile, non può essere per me. Rigiro tra le mani una piccola busta contenente una pergamena ingiallita, scritta in una grafia elegante, minuta e curata. Un invito a Hogwarts. Ne avevo vagamente sentito parlare, pare che ad alcune Babbane sia capitato, ricevere un invito simile a questo e incontrare Severus in carne ed ossa, ma non credevo che… insomma, non credevo che potesse accadere veramente, e soprattutto non a me. È assurdo, è uno scherzo, certo. Ma chi può avermelo fatto?
In ogni caso non posso andarci. A Howgarts, io?
Quante volte l’ho immaginato, quante volte ho percorso i suoi misteriosi corridoi, ho sbirciato nella Sala Grande, e nelle aule delle lezioni, e, scendendo le scale scricchiolanti, mi sono affacciata nei sotterranei e nel laboratorio di Pozioni, dove qualche volta ho intravisto una scura ombra familiare assorta nel suo lavoro, tra densi fumi di calderoni ribollenti.
Certo, sarebbe bello, ma l’idea di vedere Severus e ascoltare la sua voce è troppo spaventosa, da sola poi, proprio no. E poi, che cosa gli direi?
Tante volte gli ho parlato, tante volte gli ho preso la mano e l’ho anche abbracciato, ma solo nel mio cuore.
Davanti a lui non riuscirei nemmeno a guardarlo, starei zitta tutto il tempo, forse balbetterei qualche banalità sulle previsioni meteo e farei la figura della stupida. Chissà cosa penserebbe lui di me, mi disprezzerebbe, e questo proprio non posso sopportarlo.
No, meglio di no. Lasciare che tutto rimanga perfetto così com’è e continuare a incontrarlo nei sogni.
Poso la lettera sulla scrivania, e continua a fissarla, scuotendo la testa. Dovrei trovare il modo di rispondere e declinare l’invito, ma non c’è scritto niente. Veramente non c’è scritto niente nemmeno sul modo in cui dovrei raggiungere Hogwarts, né quando, né il giorno, né l’ora. Niente di niente, è strano. Certo, non è proprio educato non presentarsi a un invito senza nemmeno avvertire, ma pare che la possibilità di risposta non sia proprio contemplata.
Di sicuro è uno scherzo, mi ripeto a voce alta per convincermi meglio. Ripongo la lettera nel cassetto più nascosto della scrivania e decido di non pensarci più.
È tardi, basta fantasticare, vado in cucina a preparare la cena. La serata trascorre in famiglia, tranquilla come tante altre. Poi, mentre lavo i patti, il pensiero si affaccia di nuovo alla mente, la lettera, Hogwarts, Severus.
E se davvero mi aspettasse? Ma che pensiero sciocco, lo scaccio subito e mi concentro sui piatti da lavare, mentre urlo a mia figlia di lavarsi i denti e di correre a letto. Sistemo i piatti nella lavastoviglie, schiaccio il bottone e la avvio. Poi vado nella cameretta di mia figlia e lei, come tutte le sere, reclama la sua storia.
Stiamo leggendo insieme il quarto libro di Harry Potter, capitolo 25. Leggo lentamente, mi piace farlo ad alta voce, assaporare le parole tra le labbra mentre le pronuncio e ascoltarne il suono, mentre mi immedesimo e dimentico tutto il resto.
“…Ma certo che Silente si fida di te’ ringhiò Moody. ‘E' un uomo fiducioso, vero? È convinto che a tutti sia dovuta una seconda possibilità. Ma io... io dico che ci sono macchie che non vengono via, Piton. Macchie che non vengono mai via, capisci quello che voglio dire?’ Piton all'improvviso fece una cosa molto strana. Si afferrò convulsamente il braccio sinistro con la mano destra, come se gli facesse male.”*.
Quando arrivo a queste righe la voce mi si spezza un pochino, e anche il cuore, ma mi controllo e lei non se ne accorge.
Severus, penso, in questo momento vorrei davvero essere lì con te, per dirti che no, non è vero niente, sono parole dette solo per ferire e lo so che ti hanno colpito dove fa più male, e poi stringerti forte in un abbraccio. Ne hai bisogno, e anch’io.
Continuo a leggere, arrivo alla fine del capitolo. Si è fatto tardi, ed è ora di dormire per la piccola, bacio la sua morbida guancia profumata di talco e spengo la luce, augurandole la buonanotte.
Sono stanca, stasera voglio andare a letto presto, ma il pensiero di lui continua a ronzarmi nella testa.
E la lettera? La casa è ormai buia e silenziosa, ma non posso fare a meno di entrare di nuovo nello studio, aprire il cassetto e tirarla fuori. Torno a osservare la carta ingiallita e spessa, passo le dita su una minuscola sbavatura di inchiostro e sulle piccole, sottili lettere che compongono il mio nome, proprio il mio nome. Accarezzo quelle poche righe scritte con la china nera, immaginando di sfiorare le dita di chi le ha tracciate per me, chiudo gli occhi e nella mia mente si forma chiarissima l’immagine di un volto.
Le mie mani stanno ancora stringendo la pergamena ruvida, quando improvvisamente vengo risucchiata in un vortice e inizio a girare velocemente su me stessa, non riesco né ad aprire gli occhi, né a fermarmi. Il tutto dura pochi secondi, seguito da una sgradevole sensazione di nausea e stordimento.
Forse ho mangiato troppo a cena, forse sono svenuta sul pavimento. Fa freddo, apro gli occhi a fatica. Mi gira la testa, e, smarrita, mi accorgo che non è più notte, sono stranamente vestita di tutto punto e soprattutto non sono più a casa mia. C’è un pallido sole invernale nel cielo e mi pare di riconoscere il portone di ingresso di Hogwarts.
Queste cose non accadono nella vita reale, eppure il castello è davanti ai miei occhi e si ostina a rimanere lì, nonostante continui a sbattere inutilmente le palpebre. Allora, la lettera, l’invito? Quella calligrafia minuta in inchiostro nero era proprio di… Mi riscuoto quando sento una voce stranamente familiare.
“Allora? Vogliamo muoverci? Non ho tempo da perdere”.
Mi volto. Un mantello nero, un’ombra scura, lui mi scruta accigliato. Severus.
Sentire la sua voce, bassa, vellutata ma tagliente allo stesso tempo, mi ferma il cuore per lunghissimi istanti, o almeno così mi pare.
È proprio lui, qui davanti che mi guarda con il sopracciglio alzato, con la sua tipica espressione, e per di più sembra anche lievemente irritato. Lo guardo da sotto in su, seduta per terra e circondata da una miriade di oggetti che riconosco provenire dalla mia borsa. Si deve essere aperta nell’atterraggio, sparpagliando tutt’intorno il contenuto, ma, sempre più assurdo, non ricordavo proprio di averla con me.
“Ancora là per terra? Cosa sta facendo? Raccolga le sue cose e si sbrighi”, e mi scocca un’occhiata che questa volta è davvero inequivocabilmente adirata.
Ma che bella figura, cominciamo bene.
Lui si è già incamminato veloce all’interno del castello, il nero mantello svolazzante, senza nemmeno aspettarmi; raccolgo più rapidamente possibile le mie cianfrusaglie e mi affretto a seguirlo.
Non riesco nemmeno a godermi la mia prima passeggiata per i corridoi del castello, vorrei fermarmi a ogni angolo, vedere con calma quei luoghi tante volte immaginati, ma devo correre affannandomi dietro di lui, che nemmeno si volta a guardare se ci sono.
Non capisco, dove stiamo andando? Perché sono qui, o meglio, perché mi ha invitato, e soprattutto, perché è così nervoso?
A grandi passi, mentre io continuo a inciampare dietro di lui, arriviamo al laboratorio di Pozioni.
Che meraviglia, mai avrei pensato di essere qui. Entriamo e quando i miei occhi si abituano alla semioscurità, mi ritrovo incantata a osservare migliaia di boccette di vetro dai contenuti variamente colorati allineate lungo gli scaffali, ampolle dalle strane forme, libri antichi e polverosi sulla libreria, e calderoni già pronti da mettere sul fuoco.
“Allora, lei è una pozionista esperta, o almeno così mi è stato riferito” sta dicendo senza guardarmi. “Quindi, non dovrebbe avere difficoltà a preparare questa da sola. Elisir di Mandragola” e mi allunga una vecchia pergamena ingiallita su cui non riesco a leggere nemmeno cosa c’è scritto.
Rimango di sasso. Cosa? Una pozionista esperta, io? No, ci deve essere uno sbaglio, provo a farfugliare qualcosa, ma lui non mi ascolta.
“Oggi ho proprio bisogno di aiuto” aggiunge.
Ci deve essere un errore, Severus aspettava qualcun altro, non certo me.
“La Babbana non si è presentata, ho perso un sacco di tempo e ora ho un lavoro urgente da fare”, continua.
Anzi, mi stava aspettando, ma aspettava anche qualcun altro, e poi, come posso essere in ritardo, vorrei dirgli, se sulla lettera non c’era scritto nulla!
Devo chiarire assolutamente il malinteso, ma, mentre cerco il coraggio di aprire bocca, lui è già sparito, chiudendo la porta dietro di sé. Dov’è andato? In che situazione mi sono cacciata!
E la pergamena è assolutamente incomprensibile, avrei dovuto studiare Antiche Rune, o cos’altro?
È un sogno o un incubo? Un incontro con Severus non lo avrei mai immaginato possibile, men che mai che potesse andare così.
Passano alcuni minuti e lui ancora non ricompare. Decido che è meglio cercare di tornare a casa.
Proverò a uscire da qui, chiederò aiuto a qualche insegnante della scuola, magari a Minerva che, ne sono sicura, ascolterà con calma le mie spiegazioni e mi darà una mano a tornare indietro.
E, quanto a Severus, lui non saprà nulla, se non che una certa Babbana che stava aspettando non si è presentata all’appuntamento. Che figuraccia, ma che altro posso fare?
Solo un altro minuto, penso, e mi soffermo di nuovo a guardarmi intorno, ad assaporare quest’aria magica, dove lui passa tante ore di solitario lavoro, sfioro il tavolo dove immagino lui abbia posato molte volte le sue mani, chiudo gli occhi cercando di respirare il profumo che ha lasciato dietro di sé.
“E allora? Ha finito di…” la sua voce, più irritata che mai, mi fa sussultare e mi riscuote dai pensieri. Troppo tardi per darsi alla fuga.
Naturalmente, si accorge subito che non ho nemmeno iniziato a fare quanto richiesto.
Ora sì che sono nei guai.
“Lei non è una pozionista esperta, non è vero?” mi chiede senza alzare la voce, trattenendo a stento la rabbia.
“No” è l’unico monosillabo che riesco vagamente ad articolare. No, decisamente non lo sono.
“Un’incapace, mi hanno mandato!” sibila tra i denti.
Oh cielo.
“Va bene” sospira un momento dopo, con aria evidentemente rassegnata. “Mi serve comunque un aiuto, per cui la prego di eseguire alla lettera tutto ciò che le dirò, e non combini guai!”
Non mi pare vero di essermela cavata così a buon mercato, annuisco e abbasso gli occhi e inizio a lavorare in silenzio, eseguo scrupolosamente quanto mi dice e faccio attenzione a non sbagliare; pian piano comincio a tranquillizzarmi.
Il tempo passa veloce, mentre lavoriamo fianco a fianco, lui mi assegna semplici compiti, tutto sommato mi pare di essere un garzone di cucina al servizio di un grande chef.
Per fortuna non è più di malumore ed io riesco a non fare pasticci. Forse riuscirò anche a uscire da questa situazione e a tornarmene tranquillamente a casa.
Non avrei mai dovuto venire, continuo a ripetermi, tagliuzzando le radici di qualche strana pianta, incidendo bacche puzzolenti, sgusciando uova di dubbia provenienza e tuffando le mani in sacchi colmi di disgustosi occhi di pesce, a giudicare da quanto illustrato sull’etichetta. Per non parlare di quel grosso vaso di vetro che lui mi porge con noncuranza, pieno di quelli che sembrano viscidi e piccoli cervelli pallidi di chissà quale creatura. Per fortuna queste cose non mi hanno mai impressionato più di tanto, e le maneggio senza problemi, o quasi.
E poi mi ritrovo a pensare che in fondo non mi dispiace affatto non essere rimasta a casa, e quanto sia meraviglioso soltanto restargli accanto e condividere l’aria che respira.
Ogni tanto mi incanto per qualche attimo a guardarlo di sottecchi, intento a esaminare il calderone ribollente, o a consultare un grosso volume ingiallito. La sua voce è bassa e vellutata quando mi chiede di passargli qualcosa, le sue mani si muovono veloci ed eleganti, afferrando le ampolle, rimestando il calderone, sfogliando le pagine del librone.
Osservo il suo profilo irregolare, le labbra strette per la concentrazione, i capelli neri che gli sfiorano il viso, le piccole rughe intorno agli occhi.
Ha il viso segnato e non si può dire che sia bello nel senso canonico del termine, ma quei piccoli difetti e le imperfezioni del suo viso, quel particolare, elegante modo di muoversi, ogni singola fibra del suo essere sono per me quanto di più meraviglioso possa esistere. Perché lo rendono unico e speciale, perché lo rendono lui.
Ok, basta così, non devo distrarmi altrimenti combino qualche guaio, e no, decisamente non voglio che si irriti di nuovo con me.
Lui, impegnato com’è nel lavoro, non mi guarda e quasi non parla. Spesso siamo vicinissimi e ogni tanto le nostre mani si sfiorano fugacemente, e in quel contatto il mio cuore accelera a mille, mentre lui sembra non farci proprio caso.
Mentre gli passo il recipiente pieno dei viscidi cervelli che ho appena finito di affettare trattengo la mano un attimo in più sulla sua, in una malcelata carezza. Lui mi guarda con un’espressione indecifrabile e per un istante sembra intuire i miei pensieri, ma subito dopo scuote la testa e riprende a lavorare in silenzio.
Chi l’avrebbe detto, che avrei passato qualche ora con Severus senza dirgli una parola, senza che nemmeno sappia chi sono. Che stupida. A dire il vero, non me l’ha proprio chiesto, il mio nome. Fa niente, va bene così, mi è bastato averlo visto, aver sentito la sua vicinanza, aver lavorato al suo fianco, aver sentito per un istante il calore della sua mano, ed è stato bellissimo.
Il lavoro è quasi finito, la pozione sta decantando ed io, naturalmente, ho il compito di rassettare il laboratorio. Stanca per la tensione accumulata, ma orgogliosa di essergli stata utile, sono intenta a lavare alambicchi e ampolle e a ripulire il piano di lavoro, quando mi accorgo che lui si sta allontanando, dirigendosi verso la finestra. La apre, il sole sta calando e penso con un po’ di malinconia che è quasi ora di andare. Dall’esterno entra una folata di aria gelida che mi fa rabbrividire, lui è voltato di spalle e non si cura minimamente di me, come se io non esistessi.
Non capisco cosa stia facendo, ma poi vedo sul davanzale il nido di pettirossi. **
Allora è successo davvero, Babbo Natale ha letto la mia letterina e ha esaudito i miei desideri!
Quasi non riesco a trattenere la mia gioia, in silenzio sorrido da sola come un’idiota e mi accorgo che i due piccoli uccellini stanno becchettando qualcosa dalle sue mani.
Mi sento sciogliere il cuore dalla tenerezza, quanta gentilezza, quanta nascosta dolcezza c’è in lui. Quanto non meritava il dolore di una vita.
Continuo a osservarlo in silenzio e immobile, non oso nemmeno respirare per non rovinare la magia del momento. Lui non si volta.
“Non hanno paura…” La sua voce è un sussurro, quasi impercettibile.
Osservo gli uccellini, che volano via cinguettando gioiosi nel cielo infuocato del tramonto.
“Loro sanno riconoscere un cuore generoso” mi scappa detto prima di potermi trattenere. Non avrei dovuto, arrossisco e mi mordo le labbra.
Lui lentamente richiude la finestra, si volta e solo ora sembra ricordarsi di me.
Non pare arrabbiato, solo sinceramente stupito. Mi guarda davvero negli occhi per la prima volta da quando ci siamo incontrati, e quello sguardo nero è così profondo che sembra penetrarmi l’anima.
Mica mi starà leggendo la mente? Adesso ho paura, abbasso lo sguardo, e mi sento arrossire ancora di più, se possibile.
“Tu non sei l’assistente che mi hanno raccomandato, non è così?”
Ci siamo. Chiudo gli occhi e mi preparo alla tempesta.
“No, credo proprio di no” mormoro con un filo di voce.
Ma che brava, sono riuscita a mettere ben cinque parole in fila, una dietro l’altra. Un record, se non consideriamo la mia osservazione a dir poco inopportuna di un attimo fa. Quella era di sei parole, ma fa storia a sé.
“Non sei nemmeno una strega. Sei la Babbana che stavo aspettando. E sei in ritardo.”
Oh cielo, lo sapevo. Avrei fatto meglio a fuggire quando ero ancora in tempo. Sento il suo sguardo su di me.
“Quella della letterina” aggiunge.
Oh no. Questo no. Come ha fatto a saperlo? Voglio sprofondare, sparire, smaterializzarmi, ma non posso, non sono nemmeno una strega. Non avrebbe dovuto leggerla, non era per lui. Accidenti a Babbo Natale.
Ora mi sento più nuda che se mi avesse spogliata dei vestiti con un sol colpo di bacchetta.
Ho la gola secca, le guance in fiamme, i piedi sembrano incollati al pavimento e non mi sembra di essere più nel mio corpo. Continuo a fissarmi la punta degli stivali, in silenzio. ‘Avrei dovuto lucidarli meglio, stamattina', penso. Che pensiero stupido.
Poi sento le sue dita sotto il mento sollevarmi con delicatezza il viso per costringermi a guardarlo negli occhi. Occhi neri scintillanti. La sua mano sulla mia pelle lascia una scia di calore indescrivibile.
“I tuoi doni sono arrivati a destinazione. Grazie.” mormora con una voce così bassa, leggermente roca, di una dolcezza infinita e il cuore mi si ferma.
Siamo così vicini adesso che respiro il suo profumo, sa di bosco, di muschio e sa di pane appena sfornato. Sa di buono.
E poi mi sorride. Gli sorrido anch’io e non c’è bisogno di parole. Com’è bello vederlo sorridere.



*cit. “Harry Potter e il Calice di Fuoco”
** vedi il mio racconto “Letterina di Natale”

Edited by Ida59 - 13/1/2021, 19:20
 
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view post Posted on 13/1/2021, 17:02
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I ♥ Severus


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