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www.zingarate.com/foto/romania/cast...-di-corvin.htmlVista notturna del cortile del castello Hunyad
Info da Wikipedia: Castello dei Corvino (rumeno Castelul Huniazilor o Castelul Corvineştilor) è un castello presso la città transilvana di Hunedoara, in Romania. Sorge sulla Collina di San Pietro, a dominio del fiume Zlaşti, fino al 1541 rientrava nei domini del Regno d'Ungheria, passò poi ai territori del Principato di Transilvania.
Rappresenta il più insigne monumento gotico della Transilvania.
Si ritiene sia il luogo dove Vlad L’Impalatore venne tenuto prigioniero da Mattia Corvino per i sette anni successivi alla sua cattura nel 1462.
La rosa nera
Elina si rigirò nel letto per l'ennesima volta, preda di un irritante turbamento.
Si era svegliata all'improvviso dopo la mezzanotte, l'immagine di un sogno affascinante nella mente, incapace di riafferrarne il fugace ricordo.
E non riusciva neppure a riaddormentarsi.
Si alzò con uno sbuffo infastidito: la lettera era ancora là, insieme al medaglione, a rammentarle una romantica storia impossibile.
Lo prese in mano, accarezzando l'effige del cammeo e, all'improvviso, prese una decisione irragionevole; afferrò il cappotto e lo indossò: era caldo e imbottito, lungo quasi fino alle caviglie, e solo una spanna della candida camicia da notte spuntava.
Era una follia, lo sapeva benissimo, un'inaccettabile assurdità che solo le giovani e ingenue eroine dei film potevano commettere. Avrebbe fatto solo due passi e magari con l'aria fredda il mal di testa le sarebbe passato permettendole poi di dormire. E riprendere a sognare il ragazzo dal pallido incarnato e gli scintillanti occhi neri.
Si lasciò trascinare dall'irresistibile e pericoloso impulso che la obbligava a uscire, nella nebbia della notte del quattordici dicembre, tinta appena del chiarore di una luna lattiginosa e sfocata.
Una folata d'aria ghiacciata la accolse ed Elina strinse forte il bavero, la catenella del raffinato ciondolo attorcigliata tra le dita. La via era illuminata da appannati lampioni che irradiavano una fievole luce gialla: larghe macchie d'ombra si estendevano tra il piccolo cono di luce e il successivo, il fumo caliginoso che saliva in lente volute verso il cielo.
Fece solo pochi passi, poi la nebbia la avviluppò, densa e accecante, silenziosa e avvolgente. Percepì un'ombra alle spalle: accelerò il passo allontanandosi con sciagurata imperizia dalla sicurezza dell'albergo.
Attraversò la strada.
Si voltò indietro e si sentì perduta: dov'era la porta da cui era appena uscita?
Un ululato.
Elina sentì il cuore balzarle in petto e corse indietro, verso il portone.
Che non esisteva più.
C'era solo nebbia, fredda e cupa.
E l'ululato che risuonava attutito, dovunque, incombente intorno a lei.
Poi vide l'ombra.
Enorme, tenebrosa e angosciante.
Minacciosa e spaventosa.
Schizzò indietro e riprese a correre: all'improvviso, nei vapori grigi della bruma che si stemperavano nell'aria, apparve l'arco slanciato del mercato. Strinse il medaglione tra le mani e corse, corse a perdifiato.
Oltrepassò l'arco, ma non c'era alcun mercato: solo un antico chiostro a mala pena illuminato dal raggio di luna che filtrava dalle nuvole fendendo lo spesso strato di nebbia fumosa. Riconobbe l'immagine della stampa, il chiostro con la massa di rovi scuri al centro e il porticato elegante, con le sottili colonne chiare che sostenevano gli archi gotici.
Continuò a correre, la bocca secca e il respiro corto, ma i rovi allungarono maligni le scheletriche dita: incespicò, vacillò, picchiò un ginocchio a terra e si rialzò, l'ombra tenebrosa sempre più vicina, opprimente e agghiacciante.
Si sentì ghermire alle spalle: con sforzo supremo si sottrasse alla presa abbandonando il cappotto nelle mani voraci dell'ombra.
L'aria gelida la avvolse e una raffica di vento le scompigliò i capelli: Elina urlò, invocando aiuto nel nulla della notte, mentre l'ombra prendeva forma davanti a lei, incorniciata dai raggi di luna che sbucavano dalle nuvole.
Era enorme, con un ghigno raccapricciante che mostrava lunghi canini affilati.
La ragazza invertì ancora la direzione, il cuore in gola e il respiro spezzato, senza forza per urlare: davanti a lei c'era solo un muro insuperabile di rovi che crescevano a dismisura, tetra personificazione del terrore; si protesero su di lei, perfidamente crudeli, e le graffiarono le mani e il viso.
Si ritrasse di scatto ma inciampò; i rovi le avvolsero pungenti le caviglie e cadde di nuovo sulle ginocchia: il medaglione, strappato dalle spine, rotolò via, lontano, irraggiungibile. In un tentativo estremo, mentre cadeva goffamente a terra, allungò la mano e con la punta delle dita sfiorò il cammeo che si aprì: le iridi nere del giovane dalla pallida carnagione scintillarono nella notte, luminose, trafitte da un raggio di luna.
Elina per l'ultima volta implorò un aiuto impossibile, mentre l'ombra scendeva implacabile a ghermirla. Il volto del giovane scomparve, gli occhi inglobati dall'oscurità, e un lungo e prepotente spino sgorgò con irruenza dal terreno.
Elina serrò le palpebre e urlò, un ultimo urlo disperato che attraversò le nuvole perdendosi nel cielo.
Poi fu solo immoto silenzio.
Nulla si muoveva, salvo l'aria glaciale tra i lisci capelli biondi, come fatale spiro di morte.
Riaprì appena gli occhi, la bocca a cercare l'aria in brevi respiri che sembravano singulti.
Un candido raggio rischiarava il terreno e la spaventevole ombra era svanita.
Una rosa nera era sbocciata al bacio sensuale della luna.
Lenta stillava lacrime di sangue, preziosi rubini illuminati dai limpidi raggi lunari.
Elina, con la sola leggera camicia da notte addosso, rabbrividì nell'aria gelida, all'improvviso tersa.
Fu come la sensazione carezzevole di un dolce abbraccio, un tiepido sfiorare la sua pelle intirizzita: un mantello nero la avvolse piano, in un caldo amplesso delicato.
E la realtà svanì.
Edited by Ida59 - 22/10/2018, 21:41