Il Calderone di Severus

1.3 - Lo scrittore e le sue emozioni nella storia, Lezione 1- Nozioni base, errori da evitare e consigli

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view post Posted on 28/2/2018, 19:06
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I ♥ Severus


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CITAZIONE (Ida59 @ 9/12/2017, 16:55) 

Esercizio sul trapianto emozionale



Pensate a un momento in cui avete fatto qualcosa di particolare, un gesto di cui siete fieri, o di cui vi vergognate. Deve essere qualcosa che esca dalla routine, un momento raro che ricordate vividamente.
Ritornate a quell’emozione e provate a descriverla su carta, in terza persona, come parlando di qualcun altro. Scrivete 10, 15, 20 righe. Non di più. Non soffermatevi tanto su gesti e parole, cercate di descrivere e trasmettere l’emozione in sè.
Ora quell’emozione è davanti a voi, su carta, scritta in terza persona. Se vi provoca fastidio pensare che vi appartiene, dimenticatelo. E’ un’emozione scritta su carta. E’ scrittura e basta.
Provate a inventare un personaggio e una storia partendo da quell'emozione (una storia in forma di soggetto, 3-5 pagine; il "soggetto" è il racconto che sviluppa la trama: contiene personaggi e ambientazione, ma non i dettagli della storia).
Questa particolare emozione in qualche personaggio potrebbe essere il tratto dominante? Quale storia potrebbe stimolarla e farla uscire in modo sempre più forte? Quali ostacoli la trama deve porre al personaggio perché questa emozione si sviluppi?



Rinnovo ancora l'invito a fare questo esercizio perchè è davvero molto importante per la vostra "scrittura creativa", basilare, direi.
Se non volete condividere il testo va bene lo stesso, ma fate l'esercizio e poi raccontate qui le vostre difficoltà, ciò che avere provato, i vostri successi e cosa avete imparato.
 
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view post Posted on 1/3/2018, 14:54
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Sto provando, ma faccio una gran fatica...
 
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view post Posted on 1/3/2018, 16:11
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Oddio ho ancora gli incubi... non saprei che altro mettere giù -anche solo per variare emozione
 
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view post Posted on 1/3/2018, 16:45
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Io ho scritto una favola non so se vada bene oppure no. Se non va bene si può cancellare, perché a tutto c’è rimedio…


C’era una volta una bambina.
La bambina viveva in una bella casa con i suoi genitori e tanti giocattoli e libri.
Si chiamava Carla, detta da tutti Carletta: era una bimba educata, buona e molto, molto ubbidiente.
La mamma e il papà le avevano detto che fuori dalla casa non c’era nulla di bello, niente di interessante e che era meglio restare sempre in casa, con loro: nel Fuori c’erano i Pericoli e, se la bambina non voleva farli piangere, doveva restare sempre nel Dentro con loro.
Carla ci aveva creduto e poiché voleva bene e si fidava dei suoi genitori non era mai andata nel Fuori: non aveva mai disubbidito.
Ma tutti i giorni guardava dalla finestra: vedeva giocare i bambini come lei, li vedeva correre e ridere; non le sembrava che il Fuori fosse poi così male.
Qualche volta di nascosto aveva anche aperto la finestra e una volta una ragazzina come lei l’aveva salutata: lei aveva risposto facendo ciao con la mano. Aveva provato un calore dentro, una gioia che quando giocava con le bambole o con le pentoline non aveva mai sperimentato.
Forse le era capitato qualche volta di sentire qualcosa di simile quando leggeva i libri, libri che non le bastavano mai.
Le era capitato di immedesimarsi nella storia, oppure erano i personaggi ad essere usciti (non si ricordava bene), ma aveva provato lo stesso calore all’altezza del cuore.
Mentre il tempo passava, la bambina cresceva, e tutte le bambine quando crescono devono andare almeno un po’ nel Fuori.
La mamma e il papà le avevano fatto mille raccomandazioni: nel Fuori non si corre, non si grida, nel Fuori bisogna seguire sempre il sentiero principale, non cambiare mai strada, per nessun motivo e stare attenti a come ci si comporta con chi si incontra.
Ma Carla non incontrava mai nessuno su quel sentiero dritto e solitario.
Quando lo percorreva, vedeva al di là del fiume, accanto alla sua strada, Altri ragazzi e ragazze, ma erano lontani, irraggiungibili.
A Carletta, però, sembravano felici: correvano, ridevano e si davano la mano.
Ma poi pensava al viso cupo del papà e alle lacrime della mamma se mai fosse uscita dal sentiero.
Qualche volta aveva gridato agli Altri un saluto, disubbidendo, ma solo un pochino.
Da allora gli Altri si erano accorti di lei; la guardavano camminare e qualche volta ridevano tra loro, ma Carletta non pensava di avere qualcosa che facesse ridere indosso.
Eppure gli altri la indicavano e qualche volta le gridavano anche cose brutte, cose che facevano soffrire Carla. Lei non capiva e cercava di salutare con la mano come aveva fatto quella volta dalla finestra.
Ma loro continuavano a ridere e Carletta ormai aveva capito che ridevano di lei.
Quando Carla tornava nel Dentro, non raccontava niente al papà e alla mamma. Temeva che le avrebbero detto che era Colpa sua se gli Altri la prendevano in giro e forse era vero: perché il papà e la mamma dicono sempre la verità e a loro non si deve mai disubbidire.
Carla guardando e salutando gli Altri aveva disubbidito, ma solo un pochino, eppure sentiva un peso dentro e una gran pena.
Quando si guardava allo specchio, Carla non vedeva niente di strano o di ridicolo; forse non aveva abiti colorati e fiocchi nei capelli, ma le brave bambine non portano abiti colorati e fiocchi sgargianti: la mamma e il papà le avevano detto che era brutto e maleducato vestirsi colorati e portare fiocchi sgargianti.
A Carletta però, i fiocchi sgargianti sembravano bellissimi e anche i vestiti colorati: ma non poteva disubbidire e così, spesso, chiusa nella sua camera piangeva di nascosto, senza che il papà e la mamma la vedessero. Le avrebbero chiesto il perché e lei non poteva dirglielo: aveva disubbidito, anche se solo un pochino, e adesso era diventata lo zimbello degli Altri.

Carletta continuava a vivere nel Dentro e da sola. Meglio che essere rifiutata da quelli che stavano nel Fuori. Si sentiva stupida e diversa da quelli del Fuori. Eppure avrebbe tanto desiderato stare con loro e ridere e chiacchierare e correre e anche mettere vestiti colorati e fiocchi fruscianti.
Avrebbe voluto che qualcuno la cercasse e dal Dentro la invitasse nel Fuori, ma nessuno lo faceva mai.
Veramente, qualche volta era successo che qualcuno la cercasse: per chiedere un favore, un prestito, per copiare i compiti, ma dopo se ne tornavano nel Fuori e la lasciavano di nuovo da sola.
Carletta capì che solo se era utile, se serviva a qualcuno poteva avere un po’ di compagnia e lei la desiderava sopra ogni altra cosa. Perchè a lei sembrava che non fosse brutto ridere e correre, uscire e sognare: anzi era una cosa bellissima e si poteva fare solo con quelli del Fuori.
Fu così che decise che avrebbe regalato, aiutato, prestato, avrebbe fatto e dato qualsiasi cosa pur di stare un po’ con gli altri del Fuori, ma senza che la prendessero in giro perché era diversa e brutta.
Fingeva di essere uguale agli altri comprando con fatica qualche pezzetto di compagnia e qualche ora di risate. Ma quando tornava a casa, nel Dentro, le sembrava di aver fatto un grosso peccato, di aver disubbidito e di aver fatto diventare cupi e tristi i suoi genitori: la Colpa era dentro di lei, anzi era lei.

Passarono anni e anni come nelle migliori favole.

Dunque dopo tanto tempo, venne un giorno in cui Carla, convinta che sarebbe rimasta sola per sempre, si sentì infinitamente disperata e pianse tutte le sue lacrime.
Fu allora che andò nel Fuori e, presa dalla disperazione, camminò veloce, anzi corse e arrivò più lontano, molto più lontano del solito: quasi alla fine del sentiero che aveva percorso da sempre.
Fu lì che vide un ponte.
Sul ponte c’era una sfera luminosa e calda e Carla, che non era più una bambina, si avvicinò e la toccò: c’erano tante persone che la salutavano e le chiedevano di stare con loro.
Carla non poteva crederci, non poteva essere: lei era stupida e brutta e antipatica ed era Colpa sua se era nata così. Era successo tutto perché aveva disubbidito ed era stata punita rimanendo da sola.
Li guardò curiosa e scoppiò in lacrime davanti a tutti: non sapeva che cosa fare o dire, l’avrebbero presa in giro? L’avrebbero usata?

Poi si sentì chiamare, sollevò il viso e vide chi l’aveva invitata a voltarsi.
Sul ponte c’era un uomo sorridente: i suoi occhi sembravano stelle; lui la prese per mano e anche se lei tremava di paura le fece attraversare il ponte.
Ci volle tanto, ma lui fu paziente, convinse Carla che non era brutta, né diversa dagli Altri.
Carla cominciò con un passo per volta, piano, molto piano, e riuscì a seguirlo.
Raggiunse con lui l’altra riva e sorrise per la prima volta: là c’erano gli Altri, i fiori, la musica e un vestito colorato tutto per lei.
Là, lontano dal Dentro, c’era il Fuori, gli Amici, le Risate e si poteva correre a perdifiato, poi buttarsi sull’erba e respirare la vita.
Carla è ancora là.
Ma il Dentro è nascosto in fondo, in fondo al suo cuore e qualche volta vorrebbe riportarla indietro.

Stretta la foglia larga la via dite la vostra che ho detto la mia.



Edited by Ida59 - 2/3/2018, 16:37
 
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CITAZIONE (PandaNemo @ 1/3/2018, 16:11) 
Oddio ho ancora gli incubi... non saprei che altro mettere giù -anche solo per variare emozione

Tranquilla, Giorgia, tu hai già dato. :)
 
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view post Posted on 2/3/2018, 16:37
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CITAZIONE (chiara53 @ 1/3/2018, 16:45) 
Io ho scritto una favola non so se vada bene oppure no.

Da nodo alla gola e occhi umidi.
Arrivata sul ponte... ho pianto a dirotto.
Ti voglio bene, Chiara. :wub:

Le allegorie funzionano sempre: vanno dritte al punto e colpiscono a fondo.
Conosco la storia vera e riconosco che sei stata davvero bravissima.
Un carissimo abbraccio. :wub: :wub: :wub:

Anche nel tuo caso, come per Giorgia, ho tolto lo spoiler.

Un esercizio tremendo, ma direi che funziona in modo grandioso quando chi legge si trova immerso nella sofferenza di chi scrive.

Se volete leggere il mio esercizio, la storia a capitoli "Ritorno alla vita" vi attende. Non vi dirò il capitolo, perchè ce n'è più di uno in cui ho applicato il trapianto emozionale in modo consio.
In "Cuore oscuro", invece, e in "Antica magia" (altra storia a capitoli) il trapianto emozionale è avvenuto in modo del tutto inconscio. Ovviamente l'immedesimazione, il trapianto, l'ho sempre fatto nel povero Severus.

P.S. - ho ancora le lacrime agli occhi. :Streghetta:


Edited by Ida59 - 23/8/2018, 17:14
 
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view post Posted on 2/3/2018, 17:38
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E' un esercizio molto utile per se stessi ed anche per capire i motivi che ispirano le storie che mettiamo su carta.
E' stato faticoso scrivere e insieme liberatorio. Esorto chi ne ha voglia a provare.
Grazie Ida :wub:
In fondo la mia è solo una favola.
O no?

Edited by chiara53 - 2/3/2018, 18:46
 
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view post Posted on 29/9/2018, 15:59
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Io penso che la tecnica autobiografica sia quella da cui noi tutti attingiamo all'inizio e poi continuiamo ad attingere anche successivamente, ogni volta che può esserci utile. Si scrive di ciò che si conosce, inventare emozioni sconosciute credo che sia impossibile.
Il ''trapianto emozionale'' non è poi così irraggiungibile.
Se un'emozione la conosci bene, l'hai provata in modo forte una o più volte, puoi usare i sentimenti che provi per descriverli, attribuendoli al personaggio, anche in una situazione diversa da quella in cui la specifica emozione è scattata in te.
L'esempio del senso di colpa di Dostoevskij in "delitto e castigo" è eclatante, ma chi non ha mai provato un senso di colpa? Chi non conosce cosa c'è dietro? L'amarezza, l'auto svalutazione, la paura del giudizio altrui, il dolore per aver fatto male o del male, l'insicurezza, il timore del castigo (anche religioso)… Un'emozione è composta da tantissimi stati d'animo: occorre entrare in profondità nell'emozione, viverla con il personaggio; regala al personaggio un po' di te e lui ricambierà, usando la tua emozione nel modo migliore. A volte rendendola perfino più potente e deflagrante.

Quanto parlano le vostre personali emozioni nelle storie che scrivete? Sono le emozioni pure che avete un tempo provato, o le avete rielaborate e rivestite di altri panni, magari migliori? Prevalgono le emozioni negative o quelle positive? Il dolore o la felicità?
Riuscite a provarle ancora sulla vostra pelle e nell’anima mentre scrivete? Pensate che i lettori riescano a provare le vostre stesse emozioni leggendo ciò che avete scritto?


 
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