Il Calderone di Severus

1.3 - Lo scrittore e le sue emozioni nella storia, Lezione 1- Nozioni base, errori da evitare e consigli

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view post Posted on 4/12/2017, 23:40
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I ♥ Severus


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1 - Nozioni base, errori da evitare e consigli

1.3. Lo scrittore e le sue emozioni nella storia




Non si deve scrivere su qualcosa che crediamo di aver capito meglio, qualcosa che può piacere al pubblico o affascinare i critici. Non bisogna scrivere per seguire le mode del momento, né per combatterle. Non bisogna correre dietro agli argomenti di attualità. Nemmeno esplorare nuovi linguaggi o trattare importanti temi sociali.
Secondo Schrader[1] bisogna scrivere su “qualcosa che ci disturba”. Bisogna mettere le dita sui nostri nervi scoperti e avere il coraggio di entrare nella nostra, personale “area di pericolo”.
La capacità di affrontare ciò che ci disturba è uno dei tratti principali del talento.
Francis Scott Fitzgerald[2] suggeriva a una studentessa che gli aveva mandato i suoi racconti: “E’ il tuo cuore che devi vendere, le tue reazioni più viscerali, non le cosucce che appena ti sfiorano (…). E questo è vero soprattutto quando si comincia a scrivere, quando ancora non si sono messi a punto gli stratagemmi per fissare l’interesse della gente sulla pagina, quando non si dispone di quella tecnica che ci vuol tempo per imparare. Quando, in poche parole, si hanno soltanto le proprie emozioni da vendere”.
Fitzgerald aggiunge: “Lo scrittore inesperto può verificare la sua capacità di trasmettere agli altri i propri sentimenti soltanto grazie a procedimenti radicali ed estremi, come strapparsi dal cuore una prima sventura amorosa e trasferirla sulla pagina scritta”.
Questo invito alla confessione va preso tenendo presenti i suoi limiti, stigmatizzati anche dallo stesso Fitzgerald, quando parla di quegli scrittori che fanno un buon libro solo perché “avevano la pancia vuota e i nervi a pezzi”, ma poi, “con la pancia piena e i nervi rilassati”, non riescono più a produrre nulla di interessante.
La tecnica strettamente autobiografica, lo “strapparsi dal cuore” le proprie sventure (amorose, professionali, familiari, ecc.) per trasferirle sulla carta, è il primo livello della buona narrativa, la sua fase giovanile. E’ un ottimo modo per fare allenamento e cominciare a scrivere.
Spesso scrivere è un modo per riflettere sulla propria vita, o anche un modo per rendere più sopportabile il dolore. Altre volte è proprio il gusto, il piacere di raccontare qualcosa che ci appartiene. Questo secondo aspetto è quello che porta più lontano, perché è un salto di qualità. Scrivere soltanto per rielaborare gli eventi che si sono vissuti, è rischioso, porta inevitabilmente a un autobiografismo che spesso non serve a nessuno, né a chi scrive né a chi legge. Trasformare le storie personali in qualcosa di universale, rielaborandole, è certamente la soluzione più giusta, anche perché scrivere significa imparare ad abitare altre vite, non raccontare all’infinito la propria. Lo scopo è riuscire a trasformare qualcosa di vostro, che pensavate interessasse soltanto a voi, in qualcosa che diventa di tutti, anzi, di più: in qualcosa che con il tempo diventa ancor più dei vostri lettori che di voi stessi.
 
A un livello più elevato esiste il metodo del “trapianto emozionale”.
Dostoevskij non ha mai ammazzato nessuno, tuttavia Delitto e Castigo è uno dei più straordinari viaggi compiuti dentro la mente di un assassino. Ma come fa il non-assassino Dostoevskij a conoscere quelle emozioni meglio di chi le ha provate e a raccontarci ciò che accade dentro la mente e i nervi di un giovane assassino?
Leggendo le lettere di Dostoevskij si trovano tracce di un suo personale, enorme senso di colpa che riguarda il gioco d’azzardo e i problemi che questo vizio provocava alla sua famiglia. Queste pagine hanno più di qualcosa in comune col senso di colpa provato dal giovane assassino del romanzo, ci sono aggettivi in comune, giri di frase simili. Perché Dostoevskij (almeno secondo Bonifacci, ed io condivido in pieno la sua opinione) ha attinto alla sua emozione personale di colpa, per calarla in un’altra storia e in un altro personaggio.
Questa capacità è talento a un livello più alto. Anziché “strapparsi dal cuore” le proprie emozioni per trasferirle sulla pagina, lo scrittore sa usarle come strumenti per indagare la condizione umana. Usa il proprio senso di colpa, per inventare altri sensi di colpa.
Simenon[3] afferma: “abbiamo in noi, tutti quanti, tutti gli istinti dell’umanità. Di fronte a qualsiasi evento accada ai nostri personaggi, basta guardarsi dentro e trovare un nocciolo di emozione che abbia a che fare con quella situazione”.
Un nocciolo di emozione dentro di noi: questa è spesso la base che “odora di verità” e che permette di costruire in modo credibile le emozioni di un personaggio diverso da noi.
Basta trovare dentro di sé un’emozione, che ci interessa perché è importante, o che ci incuriosisce perché nella nostra vita non si è sviluppata ed è rimasta inespressa in un angolino. Senza intaccarne la natura viva e sanguinante, bisogna trasferirla in un personaggio e in una storia che percepiamo che potranno farla crescere.
 
Ritengo che il “trapianto emozionale” sia la chiave con cui raccontare altre vite attraverso noi stessi. Ė ciò che caratterizza il mestiere di raccontare storie. E’ la magia della scrittura. Basta non avere paura del proprio mondo emozionale: dentro di noi c’è tutto quello che serve.
La scrittura è una forma di svelamento di se stessi agli altri e a se stessi. Chi scrive, racconta di sé agli altri (quindi si rivela) e nello stesso tempo capisce molto di sé lasciando che la trama narrativa viaggi per mezzo della scrittura. Ė un processo complesso che fa affiorare gli eventi, i personaggi e gli intrecci dall'inconscio, dalla coscienza, da un vissuto rielaborato attraverso la scrittura. Un processo che nella maggioranza dei casi è inconscio, almeno nelle fasi iniziali (della carriera dello scrittore e in ogni sua singola storia), ma a volte anche molto più in là.
Quando scriviamo, mettiamo nella una storia una parte di noi. Il protagonista del romanzo può anche non assomigliarci, ma in mezzo alla storia c'è qualcosa che ci appartiene. Ė la nostra "visione": come percepiamo la vita, lo svolgersi degli eventi, l’universo che ci circonda. Ma anche le nostre passioni, i nostri dolori, le nostre paure. Spesso infondiamo tutto questo in modo inconsapevole. Più che "creare", forse rimaneggiamo i nostri pensieri, le nostre riflessioni, quelle parti di noi che di solito teniamo nascoste, nel privato.
 
 
 
Vedi: Esercizio sul "trapianto emozionale".






[1] Paul Joseph Schrader (1946) è un regista, sceneggiatore e critico cinematografico statunitense. È considerato uno dei registi e sceneggiatori cardine della New Hollywood. I film da lui scritti e diretti narrano della solitudine, della colpa e della redenzione.
[2] Francis Scott Key Fitzgerald (1896 – 1940) è stato uno scrittore e sceneggiatore statunitense, considerato uno fra i maggiori autori dell'Età del jazz e, per la sua opera complessiva, del XX secolo. Faceva parte della corrente letteraria della cosiddetta Lost Generation, un gruppo di scrittori statunitensi nati negli anni 1890 che si stabilì in Francia negli anni venti. Scrisse quattro romanzi, più un quinto lasciato incompiuto, e decine di racconti sui temi della giovinezza, della disperazione e del disagio generazionale.
[3] Georges Simenon (1903 –1989) è stato uno scrittore belga di lingua francese, autore di numerosi romanzi, noto al grande pubblico soprattutto per avere inventato il personaggio di Jules Maigret, commissario di polizia francese.


Edited by Ida59 - 24/3/2018, 21:51
 
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view post Posted on 5/12/2017, 00:36
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Nuova lezione direi fondamentale, oltre che molto interessante.
Così a primo acchito, pensando a ciò che scrivo, direi che al massimo io arrivo alla prima fase, la tecnica autobiografica.
Anche se scrivo da un sacco, purtroppo.
Il ''trapianto emozionale'' penso sia per chi davvero ha del talento da impiegare, oltre alla passione o al piacere che si trae dallo scrivere.
 
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CITAZIONE (PandaNemo @ 5/12/2017, 00:36) 
Nuova lezione direi fondamentale, oltre che molto interessante.
Così a primo acchito, pensando a ciò che scrivo, direi che al massimo io arrivo alla prima fase, la tecnica autobiografica.
Anche se scrivo da un sacco, purtroppo.
Il ''trapianto emozionale'' penso sia per chi davvero ha del talento da impiegare, oltre alla passione o al piacere che si trae dallo scrivere.

La tecnica autobiografica è di sicuro quella da cui noi tutti attingiamo all'inizio e poi continuiamo ad attingere anche successivamente, ogni volta che può esserci utile. Si scrive di ciò che si conosce, inventare emozioni sconosciute credo che sia impossibile.

Il ''trapianto emozionale'' non è poi così irraggiungibile.
Se un'emozione la conosci bene, l'hai provata in modo forte una o più volte, puoi usare i sentimenti che provi per descriverli, attribuendoli al personaggio, anche in una situazione diversa da quella in cui la specifica emozione è scattata in te.

L'esempio del senso di colpa di Dostoevskij in "delitto e castigo" è eclatante, ma chi non ha mai provato un senso di colpa? Chi non conosce cosa c'è dietro? L'amarezza, l'autosvalutazione, la paura del giudizio altrui, il dolore per aver fatto male o del male, l'insicurezza, il timore del castigo (anche religioso)... Un'emozione è composta da tantissimi stati d'animo: occorre entrare in profondità nell'emozione, viverla con il personaggio; regala al personaggio un po' di te e lui ricambierà, usando la tua emozione nel modo migliore. A volte rendendola perfino più potente e deflagrante.


Edited by Ida59 - 5/12/2017, 10:25
 
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CITAZIONE
Un nocciolo di emozione dentro di noi: questa è spesso la base che “odora di verità” e che permette di costruire in modo credibile le emozioni di un personaggio diverso da noi.

Vero, verissimo, a volte viene fuori quasi in sordina, ma illumina quello che si scrive.
CITAZIONE
Quando scriviamo, mettiamo nella una storia una parte di noi. Il protagonista del romanzo può anche non assomigliarci, ma in mezzo alla storia c'è qualcosa che ci appartiene. Ė la nostra "visione": come percepiamo la vita, lo svolgersi degli eventi, l’universo che ci circonda. Ma anche le nostre passioni, i nostri dolori, le nostre paure. Spesso infondiamo tutto questo in modo inconsapevole. Più che "creare", forse rimaneggiamo i nostri pensieri, le nostre riflessioni, quelle parti di noi che di solito teniamo nascoste, nel privato.

Esatto è l'inconsapevolezza che rende tutto trasmissibile al lettore.
Mi è piaciuto moltissimo leggere questa lezione e ripensarla. E' un transito quasi naturale quello dall'autobiografismo alla traslazione dei propri vissuti nella storia e nei personaggi.
 
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view post Posted on 9/12/2017, 16:55
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Esercizio sul trapianto emozionale



Pensate a un momento in cui avete fatto qualcosa di particolare, un gesto di cui siete fieri, o di cui vi vergognate. Deve essere qualcosa che esca dalla routine, un momento raro che ricordate vividamente.
Ritornate a quell’emozione e provate a descriverla su carta, in terza persona, come parlando di qualcun altro. Scrivete 10, 15, 20 righe. Non di più. Non soffermatevi tanto su gesti e parole, cercate di descrivere e trasmettere l’emozione in sè.
Ora quell’emozione è davanti a voi, su carta, scritta in terza persona. Se vi provoca fastidio pensare che vi appartiene, dimenticatelo. E’ un’emozione scritta su carta. E’ scrittura e basta.
Provate a inventare un personaggio e una storia partendo da quell'emozione (una storia in forma di soggetto, 3-5 pagine; il "soggetto" è il racconto che sviluppa la trama: contiene personaggi e ambientazione, ma non i dettagli della storia).
Questa particolare emozione in qualche personaggio potrebbe essere il tratto dominante? Quale storia potrebbe stimolarla e farla uscire in modo sempre più forte? Quali ostacoli la trama deve porre al personaggio perché questa emozione si sviluppi?
 
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view post Posted on 13/1/2018, 18:58
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E' trascorso un mese e sono curiosa di sapere se qualcuno ha fatto l'esercizio indicato qui sopra e qual è stato il risultato. oppure quali sono state le difficoltà.
 
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view post Posted on 19/1/2018, 18:33
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Nessuno ha provato a fare l'esercizio?
 
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Io ho provato a farlo, il primo pezzo, ma ho buttato via il foglio appena finito.
Non sopportavo di vederlo o leggerlo.
La seconda parte l'ho saltata a pié pari.
 
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view post Posted on 22/1/2018, 12:01
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CITAZIONE (PandaNemo @ 19/1/2018, 18:52) 
Io ho provato a farlo, il primo pezzo, ma ho buttato via il foglio appena finito.
Non sopportavo di vederlo o leggerlo.

Per quale motivo?
 
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view post Posted on 22/1/2018, 12:29
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Io sto ancora cercando il momento in questione, ma non mi viene in mente nulla. Quindi sono più che in alto mare.
 
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Vergogna e umiliazione.
A palate.
È qualcosa che non ho ancora superato.
Era come rivivere tutto, sentire tutto, il tono di derisione, la vergogna...
 
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CITAZIONE (PandaNemo @ 22/1/2018, 12:30) 
Vergogna e umiliazione.
A palate.
È qualcosa che non ho ancora superato.
Era come rivivere tutto, sentire tutto, il tono di derisione, la vergogna...

Bene, quelle sono proprio le emozioni che ti servono e più sono potenti meglio è.
Ti assicuro che affrontando questo compito, e trasferendo a dei personaggi la tua sofferenza per la vergogna e l'umiliazione subite:
- per prima cosa riuscirai a scrivere un pezzo molto intenso che arriva a colpire fino in fondo il cuore dei lettori, perchè lo sentiranno tremendamente vero;
- come secondo effetto, e lo dice una che l'ha provato in prima persona, un po' del tuo dolore rimarrà lì, sulla carta e dentro il personaggio. E più volte trasferirai quelle emozioni, più il dolore diminuirà... finchè un bel giorno ti troverai "guarita". Ricorderai ancora benissimo, ma non soffrirai più, perchè qualcuno ha sofferto la tua sofferenza. Cosa credi... era per questo motivo che facevo sempre tanto soffrire il povero Severus!


CITAZIONE (Alaide @ 22/1/2018, 12:29) 
Io sto ancora cercando il momento in questione, ma non mi viene in mente nulla. Quindi sono più che in alto mare.

Libera le emozioni, Leonora, tutti ne hanno bisogno!
 
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view post Posted on 22/1/2018, 13:28
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"Guarire" sarebbe il massimo, sono anni e anni che ci provo.
Ma non sono abituata a parlarne o scriverne, soprattutto delle mie emozioni.
Sono troppo abituata a "be like a pretty doll "

Anche se non è proprio un momento, è stato più un periodo, che per certi aspetti dura anche ora. Va bene lo stesso?
 
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view post Posted on 22/1/2018, 15:19
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CITAZIONE (PandaNemo @ 22/1/2018, 13:28) 
Ma non sono abituata a parlarne o scriverne, soprattutto delle mie emozioni.
Sono troppo abituata a "be like a pretty doll "

Anche se non è proprio un momento, è stato più un periodo, che per certi aspetti dura anche ora. Va bene lo stesso?


Sì, va benissimo. Un istante, qualche giorno o anni interi. In effetti, il dolore non si misura con il tempo, ma con la sua intensità. Anche se le ripetizioni (che per fortuna io non ho mai provato) devono essere davvero orribili. Perchè già le conosci, già sai il dolore che ti provocheranno.

Nessuna di noi è felice nè è una "brava bambolina". Siamo persone vere, con i nostri dolori "dentro". Sono quei "dolori" che ci fanno "vere" e non bamboline.
Parlane e scrivene, ti prego: è solo quella la tua reale possibilità di andare "oltre", credimi!

Arrivare alla "propria area di pericolo". Non ricordo in quale lezione l'ho scritto, ma è proprio quello che bisogna fare: arrivare là, proprio dove ti fa più male dentro. Solo là si rendono le emozioni più vere ai lettori. E solo là si può guarire. Ma occorre averne il coraggio. Di rivelarsi agli altri, ma soprattutto a se stessi.
Provaci... ti sarà utile. Tanto.
:wub:
 
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Quando scriviamo, mettiamo nella una storia una parte di noi. Il protagonista del romanzo può anche non assomigliarci, ma in mezzo alla storia c'è qualcosa che ci appartiene. Ė la nostra "visione": come percepiamo la vita, lo svolgersi degli eventi, l’universo che ci circonda. Ma anche le nostre passioni, i nostri dolori, le nostre paure. Spesso infondiamo tutto questo in modo inconsapevole. Più che "creare", forse rimaneggiamo i nostri pensieri, le nostre riflessioni, quelle parti di noi che di solito teniamo nascoste, nel privato.

Nel bene e nel male, nel mio piccolo, credo sia quello che faccio più spesso, mettere me stessa in qualsiasi cosa io scriva, dalla più stupida alla più "seria", e può essere facile oppure difficilissimo.
Per me, che sono una che parla davvero molto poco, è la cosa che mi riesce meglio, quasi automatica.
È difficile che io risponda ad una domanda diretta, ma è molto più facile che quella stessa risposta sia dentro - e mascherata - qualche storia.
Riesco facilmente a trapiantare le mie emozioni nelle emozioni dei personaggi di cui scrivo, o anche solo nell'aria :lol:, poi che io lo faccia in modo pessimo, eccelso, medio o mediocre, questo è un altro paio di maniche, non sta fondamentalmente a me giudicare questo, anche se, per molti moltissimi aspetti, sono molto critica nei miei confronti e nei confronti di ciò che scrivo.

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Esercizio sul trapianto emozionale




Pensate a un momento in cui avete fatto qualcosa di particolare, un gesto di cui siete fieri, o di cui vi vergognate. Deve essere qualcosa che esca dalla routine, un momento raro che ricordate vividamente.
Ritornate a quell’emozione e provate a descriverla su carta, in terza persona, come parlando di qualcun altro. Scrivete 10, 15, 20 righe. Non di più. Non soffermatevi tanto su gesti e parole, cercate di descrivere e trasmettere l’emozione in sè.
Ora quell’emozione è davanti a voi, su carta, scritta in terza persona. Se vi provoca fastidio pensare che vi appartiene, dimenticatelo. E’ un’emozione scritta su carta. E’ scrittura e basta.
Provate a inventare un personaggio e una storia partendo da quell'emozione (una storia in forma di soggetto, 3-5 pagine; il "soggetto" è il racconto che sviluppa la trama: contiene personaggi e ambientazione, ma non i dettagli della storia).
Questa particolare emozione in qualche personaggio potrebbe essere il tratto dominante? Quale storia potrebbe stimolarla e farla uscire in modo sempre più forte? Quali ostacoli la trama deve porre al personaggio perché questa emozione si sviluppi?


Ci si può provare...
 
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