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1 - Nozioni base, errori da evitare e consigli
1.3. Lo scrittore e le sue emozioni nella storia
Non si deve scrivere su qualcosa che crediamo di aver capito meglio, qualcosa che può piacere al pubblico o affascinare i critici. Non bisogna scrivere per seguire le mode del momento, né per combatterle. Non bisogna correre dietro agli argomenti di attualità. Nemmeno esplorare nuovi linguaggi o trattare importanti temi sociali. Secondo Schrader[1] bisogna scrivere su “qualcosa che ci disturba”. Bisogna mettere le dita sui nostri nervi scoperti e avere il coraggio di entrare nella nostra, personale “area di pericolo”. La capacità di affrontare ciò che ci disturba è uno dei tratti principali del talento. Francis Scott Fitzgerald[2] suggeriva a una studentessa che gli aveva mandato i suoi racconti: “E’ il tuo cuore che devi vendere, le tue reazioni più viscerali, non le cosucce che appena ti sfiorano (…). E questo è vero soprattutto quando si comincia a scrivere, quando ancora non si sono messi a punto gli stratagemmi per fissare l’interesse della gente sulla pagina, quando non si dispone di quella tecnica che ci vuol tempo per imparare. Quando, in poche parole, si hanno soltanto le proprie emozioni da vendere”. Fitzgerald aggiunge: “Lo scrittore inesperto può verificare la sua capacità di trasmettere agli altri i propri sentimenti soltanto grazie a procedimenti radicali ed estremi, come strapparsi dal cuore una prima sventura amorosa e trasferirla sulla pagina scritta”. Questo invito alla confessione va preso tenendo presenti i suoi limiti, stigmatizzati anche dallo stesso Fitzgerald, quando parla di quegli scrittori che fanno un buon libro solo perché “avevano la pancia vuota e i nervi a pezzi”, ma poi, “con la pancia piena e i nervi rilassati”, non riescono più a produrre nulla di interessante. La tecnica strettamente autobiografica, lo “strapparsi dal cuore” le proprie sventure (amorose, professionali, familiari, ecc.) per trasferirle sulla carta, è il primo livello della buona narrativa, la sua fase giovanile. E’ un ottimo modo per fare allenamento e cominciare a scrivere. Spesso scrivere è un modo per riflettere sulla propria vita, o anche un modo per rendere più sopportabile il dolore. Altre volte è proprio il gusto, il piacere di raccontare qualcosa che ci appartiene. Questo secondo aspetto è quello che porta più lontano, perché è un salto di qualità. Scrivere soltanto per rielaborare gli eventi che si sono vissuti, è rischioso, porta inevitabilmente a un autobiografismo che spesso non serve a nessuno, né a chi scrive né a chi legge. Trasformare le storie personali in qualcosa di universale, rielaborandole, è certamente la soluzione più giusta, anche perché scrivere significa imparare ad abitare altre vite, non raccontare all’infinito la propria. Lo scopo è riuscire a trasformare qualcosa di vostro, che pensavate interessasse soltanto a voi, in qualcosa che diventa di tutti, anzi, di più: in qualcosa che con il tempo diventa ancor più dei vostri lettori che di voi stessi. A un livello più elevato esiste il metodo del “trapianto emozionale”. Dostoevskij non ha mai ammazzato nessuno, tuttavia Delitto e Castigo è uno dei più straordinari viaggi compiuti dentro la mente di un assassino. Ma come fa il non-assassino Dostoevskij a conoscere quelle emozioni meglio di chi le ha provate e a raccontarci ciò che accade dentro la mente e i nervi di un giovane assassino? Leggendo le lettere di Dostoevskij si trovano tracce di un suo personale, enorme senso di colpa che riguarda il gioco d’azzardo e i problemi che questo vizio provocava alla sua famiglia. Queste pagine hanno più di qualcosa in comune col senso di colpa provato dal giovane assassino del romanzo, ci sono aggettivi in comune, giri di frase simili. Perché Dostoevskij (almeno secondo Bonifacci, ed io condivido in pieno la sua opinione) ha attinto alla sua emozione personale di colpa, per calarla in un’altra storia e in un altro personaggio. Questa capacità è talento a un livello più alto. Anziché “strapparsi dal cuore” le proprie emozioni per trasferirle sulla pagina, lo scrittore sa usarle come strumenti per indagare la condizione umana. Usa il proprio senso di colpa, per inventare altri sensi di colpa. Simenon[3] afferma: “abbiamo in noi, tutti quanti, tutti gli istinti dell’umanità. Di fronte a qualsiasi evento accada ai nostri personaggi, basta guardarsi dentro e trovare un nocciolo di emozione che abbia a che fare con quella situazione”. Un nocciolo di emozione dentro di noi: questa è spesso la base che “odora di verità” e che permette di costruire in modo credibile le emozioni di un personaggio diverso da noi. Basta trovare dentro di sé un’emozione, che ci interessa perché è importante, o che ci incuriosisce perché nella nostra vita non si è sviluppata ed è rimasta inespressa in un angolino. Senza intaccarne la natura viva e sanguinante, bisogna trasferirla in un personaggio e in una storia che percepiamo che potranno farla crescere. Ritengo che il “trapianto emozionale” sia la chiave con cui raccontare altre vite attraverso noi stessi. Ė ciò che caratterizza il mestiere di raccontare storie. E’ la magia della scrittura. Basta non avere paura del proprio mondo emozionale: dentro di noi c’è tutto quello che serve. La scrittura è una forma di svelamento di se stessi agli altri e a se stessi. Chi scrive, racconta di sé agli altri (quindi si rivela) e nello stesso tempo capisce molto di sé lasciando che la trama narrativa viaggi per mezzo della scrittura. Ė un processo complesso che fa affiorare gli eventi, i personaggi e gli intrecci dall'inconscio, dalla coscienza, da un vissuto rielaborato attraverso la scrittura. Un processo che nella maggioranza dei casi è inconscio, almeno nelle fasi iniziali (della carriera dello scrittore e in ogni sua singola storia), ma a volte anche molto più in là. Quando scriviamo, mettiamo nella una storia una parte di noi. Il protagonista del romanzo può anche non assomigliarci, ma in mezzo alla storia c'è qualcosa che ci appartiene. Ė la nostra "visione": come percepiamo la vita, lo svolgersi degli eventi, l’universo che ci circonda. Ma anche le nostre passioni, i nostri dolori, le nostre paure. Spesso infondiamo tutto questo in modo inconsapevole. Più che "creare", forse rimaneggiamo i nostri pensieri, le nostre riflessioni, quelle parti di noi che di solito teniamo nascoste, nel privato. Vedi: Esercizio sul "trapianto emozionale".
[1] Paul Joseph Schrader (1946) è un regista, sceneggiatore e critico cinematografico statunitense. È considerato uno dei registi e sceneggiatori cardine della New Hollywood. I film da lui scritti e diretti narrano della solitudine, della colpa e della redenzione. [2] Francis Scott Key Fitzgerald (1896 – 1940) è stato uno scrittore e sceneggiatore statunitense, considerato uno fra i maggiori autori dell'Età del jazz e, per la sua opera complessiva, del XX secolo. Faceva parte della corrente letteraria della cosiddetta Lost Generation, un gruppo di scrittori statunitensi nati negli anni 1890 che si stabilì in Francia negli anni venti. Scrisse quattro romanzi, più un quinto lasciato incompiuto, e decine di racconti sui temi della giovinezza, della disperazione e del disagio generazionale. [3] Georges Simenon (1903 –1989) è stato uno scrittore belga di lingua francese, autore di numerosi romanzi, noto al grande pubblico soprattutto per avere inventato il personaggio di Jules Maigret, commissario di polizia francese.Edited by Ida59 - 24/3/2018, 21:51
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