Il Calderone di Severus

Alaide - Wehwalt, Tipologia: One Shot ( 500) - Genere: Drammatico - Altro Genere: Introspettivo Avvertimenti: Nessuno - Epoca: HP 6^ anno - Pairing: Nessuno - Personaggi: Altro - Altri Personaggi: Nessuno

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view post Posted on 21/4/2017, 10:22
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Autore/data: Alaide – agosto 2014
Beta-reader: Chiara53
Tipologia: One-shot
Rating: Per Tutti
Personaggi: Severus Piton
Genere: Drammatico, Introspettivo
Pairing: nessuno
Epoca: 6º anno
Avvertimenti : Missing Moments
Riassunto: Ma forse era quello il suo destino. Essere senza padre.
Nota: storia scritta per Sfida N. 4: “Il padre di Severus... Tobias o Silente?” e partecipante al gioco creativo n. 14 Severus House Cup
Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
Parole: 1744 (esclusa la citazione e le note)

Wehwalt


Friedmund non ho il diritto di chiamarmi
Frohwalt ben vorrei essere
Wehwalt io debbo invece nominarmi

(Richard Wagner, Die Walküre, Atto I)[1]


Il sangue gli macchiava le mani.
Gli pareva quasi di vederlo, per quanto sapesse perfettamente che non avrebbe visto il sangue di Silente.
L’Avada Kedavra non lasciava segni, non faceva sgorgare il sangue come un pugnale nelle mani di un assassino.
Lo si sarebbe anche potuto definire un metodo di uccisione clemente. Pochi istanti e la vittima era morta, immacolata, senza sangue a macchiarle le vesti.
Senza sangue sulle mani dell’assassino.
Eppure non v’era nulla di clemente nel togliere una vita.
Si rimaneva un assassino.
E le mani erano comunque ricoperte di sangue.
Tutto il suo essere ne era ricoperto.
La sua anima frammentata.
Aveva sentito il sapore del sangue in gola, mentre portava Draco al sicuro e lo sentiva anche in quel momento.
Forse più di allora.
Forse più che nel momento in cui aveva visto cadere Silente.
Lo vedeva anche in quel momento, in cui si trovava immobile, nell’oscurità della stanza squallida.
Dal tavolo una candela spandeva una luce fioca, che si diffondeva timida e tremolante – non molto dissimile dalle lampadine baluginanti, in fin di vita, della sua infanzia – intorno, posandosi su un mobile e su un barattolo su cui si leggeva ancora la scritta rovinata, che lo indicava pieno di sale.
O forse ne era vuoto, così come era vuota e lacerata la sua anima.
E se anche ve ne fosse stato, avrebbe dovuto avere un sapore amaro, simile a quello del sangue, simile a quello della colpa.
Ricordava di aver udito una volta da un vecchio che abitava nella via, quando era piccolo e poteva ancora sognare, riempendosi la testa di illusioni,di portare un giorno la gioia in quella casa desolata, che da qualche parte era stato trovato un cadavere, nascosto in una salina francese. [2]
Anche allora aveva avuto un pensiero simile.
Aveva immaginato, provando un certo disgusto per il sale, che quei piccoli granelli bianchi potessero essere quanto mai amari.
Ma era stato un pensiero innocente.
Ben diverso da quello colpevole che lo colpiva tremendo, in quel momento, in quella stanza che, nonostante la luce fioca della candela, pareva quanto mai simile al buio della sua anima nera.
Era l’oscurità totale in cui echeggiavano le parole della colpa e della morte.
Parole che parlavano di assassinio e del dolore che lo circondava.
Del dolore nel quale viveva.
Del dolore che egli portava.
Quando era un bambino, la cui infanzia era riempita dalle grida di un padre che non lo amava e di una madre che non sembrava nemmeno vederlo immersa nel suo personale mondo di dolore, aveva avuto la sfrontatezza di pensare che, un giorno, sarebbe, in un qualche modo, riuscito a riportare
gioia nella sua famiglia.
Era stato un pensiero breve, ucciso dalla consapevolezza di non avere un padre degno di quel nome.
Né una madre, se per questo.
Poi aveva conosciuto Lily ed aveva vagheggiato di trovare pace accanto a lei.
E di portare, non ricordava nemmeno più come, pace.
Invece non aveva portato altro che dolore.
A se stesso.
Con le sue scelte terribili.
A quei pochi che amava e che aveva considerato amici.
Aveva perso Lily.
Aveva ucciso Silente.
Aveva ucciso l’unico uomo che si fidasse realmente di lui.
Aveva ucciso un mentore.
Forse un padre.
O quanto di più simile avesse avuto ad una figura paterna.
Ed ora era nuovamente solo, nella casa dei Piton.
Nella casa in cui aveva vissuto suo padre.
Ed il padre di suo padre prima di lui.
Un altro uomo, con un’altra infanzia, avrebbe trovato forse conforto a trovarsi, in quel momento, nella casa paterna.
Ma quel conforto, dato dagli affetti famigliari, gli sfuggiva.
Non gli era mai appartenuto.
Tutto quello che gli restava della sua infanzia erano le urla che provenivano dalla stanza dei suoi genitori.
Gli occhi vuoti di sua madre.
Il volto, abbruttito dall’alcool e dalla disillusione, di suo padre.
Ma poteva veramente chiamarli madre e padre?
Forse, quand’era stato troppo piccolo per ricordarlo, erano stati dei buoni genitori, ma quei tempi erano lontani.
Perduti in un tempo di cui aveva unicamente sentito parlare.
Ricordava la voce sdentata di una vecchia zia che gli aveva ripetuto più volte di come la sua fosse una famiglia normale, all’inizio e di come tutto fosse cambiato, quando la fabbrica aveva chiuso.
Era un tempo remoto, quasi mitico.
Prima che Tobias perdesse il lavoro.
Prima che Tobias iniziasse ad odiare la magia di Eileen, perché aveva creduto che l’arte di sua moglie potesse riportare una parvenza di benessere nella loro piccola famiglia.
Così l’aveva sentito urlare più e più volte.
Ciò che ricordava erano unicamente stanze oscure, prive di affetto, simili ad una grotta, una grotta che risucchiava qualsiasi speranza, qualsiasi affetto.
Era stato solo, allora.
Ed era nuovamente solo, in quel momento, dove stava immobile con le mani imbrattate del sangue invisibile di Silente.
Ed avrebbe voluto ferirsi quelle mani e poi spargerle di quel sale amaro che stava nel barattolo sul tavolo, per poter aggiungere dolore al dolore, per poter vivere di quel dolore che generava, che portava con la sua dannata esistenza.
Rimase invece immobile, in quella grotta oscura che era la casa di Spinner’s End, squallida casa, tra altrettante squallide case.
Ma solo in quella stava un assassino.
Un assassino che non avrebbe mai potuto trovare pace.
Un assassino che aveva commesso l’ennesimo, efferato e tremendo delitto.
Aveva tolto la vita a Silente.
Al mentore.
All’amico.
All’uomo in cui aveva disperatamente cercato un sembiante di figura paterna, lui che non aveva mai potuto chiamar padre colui con cui divideva il sangue ed i geni.
La morte di Tobias, in una piccola e stinta stanza di un ospedale di provincia, non l’aveva colpito in alcun modo.
Non si era nemmeno sentito libero da quella presenza che era stata così cupa ed opprimente durante le lunghe e buie giornate della sua infanzia.
Aveva provato indifferenza.
Suo padre era morto solo, distrutto nel fisico da quell’alcool che lo aveva reso violento ed incontrollabile.
Un tempo, quand’era piccolo, aveva temuto Tobias.
Poi l’aveva odiato con tutto se stesso.
Ma, alla fine, quando ormai era già da alcuni anni insegnante di Pozioni, quando Tobias se n’era andato, non aveva più provato nulla.
Forse perché, all’epoca, aveva creduto di aver trovato una figura paterna.
Quella figura paterna che aveva sempre cercato.
Ma poteva veramente chiamare Silente padre?
Sapeva di essere arrivato ad amarlo con l’affetto che avrebbe dovuto riservare all’uomo che lo aveva messo al mondo.
Eppure, in quel momento, in cui la colpa lo investiva come una bufera, in cui il sangue di Silente gli macchiava le mani, gli sembrava di non aver mai trovato alcun vero padre, nella sua vita.
Poteva veramente essere un padre qualcuno che chiedeva - ordinava - al proprio figlio di ucciderlo?
Era stata quella una suprema dimostrazione di fiducia oppure l’abile piano di un generale che muove le sue pedine?
Un padre avrebbe dovuto volere unicamente il bene del figlio.
O almeno quello era ciò che aveva sentito dire, ma che non riusciva a comprendere, né a toccare con mano, perché non lo aveva mai realmente sperimentato.
Un padre non avrebbe chiesto di aggiungere ulteriori fratture ad un’anima già fratturata.
Un padre avrebbe dimostrato comprensione, pietà.
Invece, in quel momento, alla luce di una candela tremolante, gli pareva che ciò che aveva animato Silente era stata unicamente una fredda logica.
Ripercorse quel penoso dialogo più e più volte.
Lo analizzò e lo fece a brandelli, come aveva fatto a brandelli la sua anima, ogni volta un po’ di più, ad ogni delitto che compiva.
Si trattava di salvare l’anima di Draco, di sottrarre il ragazzo all’omicidio.
Si trattava di risparmiare ad un vecchio amico le umiliazioni che altri avrebbero potuto fargli provare.
Si trattava di compiere un’azione strategica, considerate le circostanze, per la guerra in corso.
Ma non v’era nulla di quello che un padre avrebbe potuto dire ad un figlio, il giorno in cui gli chiedeva di ucciderlo.
Aveva compiuto un terribile e doloroso atto di guerra.
Si era macchiato del sangue di un amico.
Si era macchiato del sangue di un uomo in chi aveva creduto di trovare un padre.
Ma Silente non gli era stato padre.
Forse non si era mai nemmeno sopito quel disgusto con cui lo aveva fissato, quando si era rivolto a lui, in cerca di una salvezza per Lily.
E per la sua anima martoriata.
Forse Silente aveva visto in lui unicamente una pedina da muovere sullo scacchiere della futura
guerra magica.
Un uomo leale.
Un uomo disperato di poter mai trovare perdono per le tante colpe commesse.
Forse Silente lo aveva considerato un amico.
Ma non un figlio.
Aveva nutrito quell’illusione.
Aveva voluto credere di aver finalmente trovato un uomo che volesse chiamarlo figlio.
Ma quell’uomo non era mai nato.
Non era stato Tobias.
Non era stato Silente.
Entrambi, per ragioni diverse e con comportamenti opposti, non gli erano stati padre.
Né la violenza di Tobias, né la fermezza di Silente. Né le parole urlate con odio dal primo, né le parole calme dell’altro, quando gli aveva chiesto di ucciderlo, sapendo che non avrebbe mai potuto rifiutare, non quando si poteva evitare che un ragazzo diventasse un assassino.
Aveva odiato Tobias, un tempo.
Silente non avrebbe mai potuto.
Per quanto non gli fosse stato padre, gli aveva offerto una possibilità che nessun altro gli avrebbe mai dato.
Per quanto non gli fosse stato padre, non poteva cessare di amarlo come un figlio.
Ma forse era quello il suo destino.
Essere senza padre.
E come tale non possedere nemmeno un nome.
Quand’era stato a scuola, aveva rinnegato Tobias, creando il nome di Principe Mezzosangue.
Quand’era stato piccolo avrebbe voluto chiamarsi – nei sogni che soltanto un bambino ancora innocente può avere – portatore di gioia.
Ma mai aveva chiamato se stesso Piton.
Il nome del suo padre biologico.
Né avrebbe potuto appropriarsi del nome di Silente.
Il nome di colui da cui avrebbe voluto ricevere affetto paterno.
Non aveva nome, perché non aveva mai avuto realmente un padre.
Non aveva di certo diritto di chiamarsi colui che porta pace, perché portava solo morte e distruzione.
Né avrebbe potuto nomarsi signore della gioia, perché non aveva mai portato gioia a nessuno.
Forse poteva portare soltanto un nome.
Signore del dolore, in cui viveva e di cui viveva.
Ed avrebbe portato quel nome, quel dolore lancinante – il dolore della sua anima spezzata – fino alla fine, fino a che l’Oscuro non fosse stato sconfitto, fino a che non fosse giunta la sua ora.



***



[1] Le parole sono cantate da Siegmund, che, senza nome e senza padre, decide di chiamarsi Wehwalt, letteralmente Signore del Dolore (ma che può essere inteso come colui che vive nel dolore e del dolore [cfr. Commento al testo wagneriano di Manacorda]), contrapposto a ciò che non può essere: Friedmund, ovvero colui che con la sua protezione porta pace, o Frohwalt, ovvero Signore della gioia.
[2]L’immagine deriva dalla visione di un telefilm francese La main blanche (arrivato in Italia con il titolo White Hands).
 
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