Il Calderone di Severus

Alaide - Nella serra, Tipologia: Song Fic - Genere: Drammatico - Altro Genere: Introspettivo Avvertimenti: Nessuno - Epoca: Post Malandrini - Pairing: Severus/Lily - Personaggi: Altro - Altri Personaggi: Nessuno

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view post Posted on 18/4/2017, 10:37
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Titolo: Nella serra.

Autore/data: Alaide – gennaio 2014
Beta-reader: nessuno
Tipologia: Song-fic
Rating: per tutti
Genere: Drammatico, Introspettivo
Personaggi: Severus Piton
Pairing: Severus/Lily (sottinteso)
Epoca: Post Malandrini
Avvertimenti: nessuno
Riassunto: A Severus sembrò quasi che quei fiori provassero un dolore muto e silenzioso, proprio come il suo.
Il dolore della lontananza e della perdita, il dolore indescrivibile dell’esule che non trova mai pace.
Eppure v’era qualcosa di diverso tra lui e quei fiori.
I fiori erano innocenti. Egli aveva le mani lorde di sangue e l’anima straziata dalla colpa.

Nota: Storia scritta per il Gioco Creativo n. 4 A Ritmo di musica e partecipante al Gioco Creativo n. 14 Severus House Cup.
Consiglio l’ascolto del Lied cantato da Jonas Kaufmann, che potete trovare a questo link.L’ascolto va dal minuto 07’01’’ al minuto
12’59’’.
Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
Parole: 1581, escluso il testo poetico del Lied di Richard Wagner In Treibhaus (Nella serra) [1]

Nella serra


O sublimi corone di foglie,
Padiglioni di smeraldo,
Voi figli di lontani paesi,
Ditemi perché piangete?


Hogwarts, 31 ottobre 1982

La luce del tardo pomeriggio avvolgeva nel suo chiarore il castello e tutto ciò che lo circondava, donando ad ogni cosa una strana sensazione di quiete, in contrasto con il chiacchiericcio degli studenti, tra le spesse mura di Hogwarts.
E quella luce entrava anche nella serra silenziosa. Il sole, incredibilmente luminoso quel giorno, illuminava le piante magiche e l’ombra silenziosa che si muoveva fra esse.
In una delle serre accanto, la Professoressa Sprite stava tentando di insegnare qualcosa a dei ragazzi del terzo anno. In quel luogo doveva esservi rumore ed un inutile chiacchiericcio, ma in quella serra, leggermente discosta dalle altre, tutto era silenzioso.
Forse era per questo che il giovane uomo era andato lì, dopo aver terminato l’ultima lezione.
Stava semplicemente cercando un luogo isolato e lontano dal mondo. Voleva isolarsi, per qualche tempo, dalle chiacchiere futili degli studenti, dalle parole sparse al vento dei suoi colleghi.
Aveva trovato rifugio in quella serra, tra le piante magiche che parevano rilucere intorno a lui.
Ma forse, si disse Severus, esistevano altre ragioni a quella sua scelta, a quel suo rifugiarsi proprio in quel luogo e non nei sotterranei di Hogwarts.
Forse si era isolato in quella serra, perché era certo che nessuno, nemmeno il Preside, avrebbe pensato di cercarlo lì.
Osservò per qualche istante le piante che crescevano intorno a lui, ognuna nel posto assegnatole, ognuna prigioniera della serra dove veniva custodita.
Forse v’era qualcosa in comune tra lui e quelle piante, strappate da terre lontane, che non avrebbero mai più rivisto, così come lui non avrebbe mai più nemmeno potuto sperare di poter vedere ancora Lily.
Si fermò accanto ad una pallida pianta dell’Himalaya e gli parve quasi che quella piccola pianticella, apparentemente così insignificante, ma nella realtà utile per più di una pozione, stesse versando alcune lacrime.
O forse era unicamente il suo cuore a piangere, un anno dopo la morte di Lily.
La morte che egli stesso aveva causato.
La morte che non era riuscito ad evitare, nonostante tutto.
La morte che ricadeva sulle sue spalle colpevoli e sulle sue mani ricoperte di sangue.
Ed il suo cuore piangeva per quella morte.
Piangeva per ciò che aveva fatto della sua vita.
Piangeva per tutto quello che aveva perso.
E gli sembrava quanto mai assurdo immaginare che una pianta potesse versare una lacrima, quel pomeriggio.
Eppure, osservando meglio quella pianticella, gli parve realmente che una piccola stilla d’acqua, attraversando la piccola foglia delicata, cadesse nella terra sottostante.
Forse anche quella pianta piangeva la morte di Lily.


In silenzio accostate i rami,
Tracciate segni nell’aria
E, muto testimone dei vostri dolori,
Sale in alto un profumo soave.


Rimase per qualche istante immobile ad osservare la pianta magica dell’Himalaya e la terra che le dava vita, su cui era caduta quell’unica stilla d’acqua, quella lacrima silenziosa e discreta, come lo erano le lacrime sanguinanti del suo cuore e le nere lacrime della sua nima.
Improvviso e non atteso, poco distante dalla pianta magica dell’Himalaya, giunse un profumo intenso e dolce, il profumo di alcuni fiori tropicali, dalle proprietà mediche.
Il profumo di terre lontane, il profumo di rami, carichi di fiori mantenuti intatti dalla temperatura alterata da diversi incantesimi, che si intrecciavano tra loro.
E quel profumo dolce parve mutarsi leggermente ed assumere una nota stonata.
Non era più il profumo di una pianta benefica.
Non era più un profumo dolce ed intenso.
Era piuttosto il profumo della nostalgia.
Era piuttosto il profumo del dolore.
A Severus sembrò quasi che quei fiori provassero un dolore muto e silenzioso, proprio come il suo.
Il dolore della lontananza e della perdita, il dolore indescrivibile dell’esule che non trova mai pace.
Eppure v’era qualcosa di diverso tra lui e quei fiori.
Qualcosa che li distanziava in maniera irreparabile.
I fiori erano innocenti e puri.
Egli aveva le mani lorde di sangue e l’anima straziata dalla colpa.


Con bramose voglie
Allargate le braccia,
E stringete, vittime d’illusione,
Vuoto deserto di vano orrore.


I rami dei fiori tropicali parevano stringersi l’uno all’altro ed allungare le loro braccia verso il sole del pomeriggio, un sole così diverso da quello delle loro terre, ma che poteva apparire simile a quello a chi era stato strappato da tempo a quanto gli era caro.
Forse quei fiori erano vittime di una vana illusione, si disse Severus, mentre faceva qualche altro passo nel silenzio della serra.
Non era la prima volta che v’entrava, ma mai come quel giorno si rendeva pienamente conto di quello che lo circondava.
Forse perché s’era instaurata quella strana similitudine tra il suo dolore e quello di quelle piante strappate a terre lontane.
Forse perché v’era entrato proprio quel giorno.
Forse perché la prima volta che vi aveva messo piede era stato accanto a Lily, durante il loro primo anno, quando egli poteva ancora dirsi innocente.
Rammentava perfettamente quel giorno.
Ed in quel momento gli sembrava di veder nuovamente Lily, sorridente, mentre osservava incantata quei fiori strani e diversi, quei fiori magici ed esotici.
In quelle ore felici, e perdute per sempre a causa sua, i fiori erano sembrati luminosi ed incantevoli.
Erano parsi simbolo di un mondo colmo di promesse e di sogni.
Ricordava che Lily aveva sorriso estasiata di fronte agli stessi fiori che Severus stava osservando in quel momento.
E, per un istante, gli parve di vederla ancora, di poterla quasi toccare, di potere allargare le braccia e stringerla, come mai aveva osato fare.
Ma era solo un’illusione atroce, prodotta dal suo cuore sanguinante.
Un’illusione che si infranse nel pulviscolo di un raggio di sole.
Non v’era altro che solitudine e dolore in quella serra silenziosa.


Ben lo so, povera pianta;
Dividiamo lo stesso destino:
Pur se cinti di luce e splendore
La nostra patria non è qui.


Un raggio di sole, che ormai stava tingendo di rosso il cielo, illuminò i fiori che Severus stava osservando, quegli stessi fiori che aveva osservato, tanti anni prima, insieme a Lily.
E gli sembrò, per un istante, mentre l’astro al tramonto gli accarezza appena il volto pallido, che egli e quei fiori dividessero lo stesso destino.

La loro patria era lontana.
Erano entrambi esuli, neri pellegrini sulla terra.


La luce della patria lontana non avrebbe mai accarezzato i fiori dei quella pianta.
Ed egli non avrebbe mai più rivisto gli occhi verdi di Lily, la luce del suo sorriso, la bellezza del suo volto, i raggi del sole giocare tra i suoi capelli rossi.
Erano anni che non la vedeva, da ben prima che morisse.
Non era nemmeno riuscito a vederla nell’immobilità della morte.
Non le aveva nemmeno potuto dare un ultimo addio, partecipando ai suoi funerali.
Eppure, finché non era spirata, aveva nutrito, in un angolo nascosto e silenzioso del suo cuore, la vana speranza di poterla rivedere, anche solo da lontano.
Ma era stato egli stesso ad allontanarla da sé, quando l’aveva chiamata Sanguesporco.
Era stato egli stesso a provocarne la morte, quando aveva riferito parte di quella maledetta Profezia all’Oscuro Signore.
Si era sentito grande e potente allora. Aveva messo a tacere qualsiasi dubbio, qualsiasi voce che gli dicesse di non farlo – quelle stesse voci che lo tormentavano ogni volta che uccideva e torturava –, aveva messo a tacere la sua coscienza, per assaporare un potere che non aveva mai realmente avuto.
Era unicamente uno schiavo che stava compiendo il suo triste dovere, uno schiavo che era caduto tanto in basso da chiedere grazia per Lily, incurante di altre vite, anche se queste vite erano quelle di Potter e di suo figlio.
Del figlio di Lily.
Aveva distrutto ciò che più amava.
Aveva distrutto Lily.
Aveva distrutto la sua patria.
Ed in quello era diversissimo da quella pianta che alla sua patria era stata strappata, senza che avesse mai commesso alcun male.


E come lieto il sole si parte
Dalla vuota parvenza del giorno,
Così chi soffre veramente
Si chiude nel buio del silenzio.


Con un’ultima fiammata la luce del sole scomparve, lasciando la serra nella semioscurità delle ore del crepuscolo.
Era quello il momento del dolore, era quello il momento silenzioso in cui cupi pensieri gli traversavano la mente.
Un anno prima, a quell’ora, Lily ancora respirava, ignara del tradimento, ignara della morte che avrebbe scelto per poter salvare suo figlio.
Un anno prima anch’egli era ignaro, fino a quando il Preside non l’aveva chiamato e gli aveva comunicato la notizia. Aveva mostrato il suo dolore, allora. Intensamente e dolorosamente.
Ma da quel giorno, quel dolore era rimasto celato nelle oscure profondità del cuore, nel buio del silenzio che gli avvolgeva l’anima.
Era un dolore silenzioso, di cui nessuno avrebbe mai dovuto sapere nulla.
Un dolore che non portava al pianto, un dolore che rimaneva chiuso nel suo animo spezzato, nel suo animo privo di luce.
Severus iniziò ad allontanarsi dal silenzio avvolgente della serra.
Sapeva che, tra non molto, sarebbe stata l’ora di andare in Sala Grande ed assistere al banchetto di Halloween. Avrebbe sentito allora le voci eccitate dei ragazzi, avrebbe celato ancora più profondamente la sofferenza e la ferita che quella notte portava nella sua anima, ad un anno esatto dalla morte di Lily.
Ed avrebbe sentito pesare sulle sue spalle le colpe imperdonabili che aveva commesso.
Quelle colpe che mai gli avrebbero dato pace, nemmeno nel pacifico silenzio di quella serra.


Tutto è pace, un bisbigliante moto
Timido riempie lo scuro spazio:
Pesanti gocce vedo sospese
Ai verdi lembi delle foglie.


I suoi passi, verso l’uscita, erano l’unico rumore che si udiva nella serra ed egli era l’unico a muoversi.
Gli sembrava quasi che il suo muoversi fosse una sorta di bisbiglio nel silenzio delle piante, che lo fissavano, forse, mentre raggiungeva la porta da cui avrebbe condotto i suoi passi verso la Sala Grande.
Improvvisamente una goccia gli toccò la spalla. Alzò di colpo lo sguardo e notò che una pianta rampicante stillava una lieve rugiada.
Delle lacrime pesanti, le lacrime che egli non avrebbe versato.
Che non avrebbe più versato.
Il suo dolore sarebbe rimasto rinchiuso, quella sera, come le piante in quella serra.
Celato agli occhi del mondo.
Per sempre.



***


[1] Il testo poetico, di Mathilde Wesendonck, è stato riportato nella sua integralità. Il testo è stato musicato per voce di soprano, ma non v’è nulla che lasci intendere che chi parla sia una donna, tanto più che esistono diverse trasposizioni per altre voci, non da ultima quella di tenore.



Hochgewölbte Blätterkronen,
Baldachine von Smaragd,
Kinder ihr aus fernen Zonen,
Saget mir, warum ihr klagt?
Schweigend neiget ihr die Zweige,
Malet Zeichen in die Luft,
Und der Leiden stummer Zeuge
Steiget aufwärts, süßer Duft.
Weit in sehnendem Verlangen
Breitet ihr die Arme aus,
Und umschlinget wahnbefangen
Öder Leere nicht'gen Graus.
Wohl, ich weiß es, arme Pflanze;
Ein Geschicke teilen wir,
Ob umstrahlt von Licht und Glanze,
Unsre Heimat ist nicht hier!
Und wie froh die Sonne scheidet
Von des Tages leerem Schein,
Hüllet der, der wahrhaft leidet,
Sich in Schweigens Dunkel ein.
Stille wird's, ein säuselnd Weben
Füllet bang den dunklen Raum:
Schwere Tropfen seh ich schweben
An der Blätter grünem Saum.

O sublimi corone di foglie,
Padiglioni di smeraldo,
Voi figli di lontani paesi,
Ditemi perché piangete?
In silenzio accostate i rami,
Tracciate segni nell’aria
E, muto testimone dei vostri dolori,
Sale in alto un profumo soave.
Con bramose voglie
Allargate le braccia,
E stringete, vittime d’illusione,
Vuoto deserto di vano orrore.
Ben lo so, povera pianta;
Dividiamo lo stesso destino:
Pur se cinti di luce e splendore
La nostra patria non è qui.
E come lieto il sole si parte
Dalla vuota parvenza del giorno,
Così chi soffre veramente
Si chiude nel buio del silenzio.
Tutto è pace, un bisbigliante moto
Timido riempie lo scuro spazio:
Pesanti gocce vedo sospese
Ai verdi lembi delle foglie.

Edited by chiara53 - 27/10/2017, 18:54
 
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