Il Calderone di Severus

Alaide - Trio in sei movimenti, Tipologia: Storia a Capitoli - Genere: Drammatico - Altro Genere: Introspettivo Avvertimenti: AU - Epoca: Post 7 anno - Pairing: Nessuno - Personaggi: Pers. Originale - Altri Personaggi: Nessuno

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view post Posted on 31/3/2017, 08:25
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Autore/data: Alaide – 23 - 31 gennaio 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: Long fiction
Rating: per tutti
Genere: Drammatico, Introspettivo
Personaggi: Severus Piton, Personaggio originale
Pairing: nessuno
Epoca: Post 7° anno
Avvertimenti: AU
Riassunto: Gli parve per un istante che quelle persone stessero pagando il prezzo della sua sopravvivenza. Gli innocenti morivano e soffrivano ed egli, il colpevole, viveva, perdonato dalla giustizia, solo per trovare altre vittime sulla sua strada.
Nota: Storia scritta per la Sfida n.14 sette giorni per un sorriso
Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.

Trio in sei movimenti

1. Lento maestoso


L’aria era immobile nel giardino, una piccola oasi verde, fra le spesse mura del sanatorio o, come la chiamavano i pochi Maghi di Fécamp, la Maison sur la Mer.
Ma del mare si sentiva solo il lamento ed il suo sbatacchiare continuo contro le scogliere di alabastro, sopra le quali, nascosta agli occhi Babbani, stava la casa.
Eppure v’era un che di maestoso nell’immobilità del giardino. Di tanto in tanto il vento, proveniente dall’Atlantico, smuoveva appena i fiori, testimoni di una scena usuale, solenne a suo modo.
Un uomo sedeva in disparte, intento a leggere un libro, dalle pagine antiche. Dall’altra parte del giardino una donna ed una bambina giocavano quietamente. Ogni giorno senza pioggia, l’uomo arrivava per primo e partiva per ultimo. Ogni giorno senza pioggia, la donna e la bambina gli passavano accanto. Gli occhi celesti della donna si posavano sull’uomo, per un istante, poi lo salutava appena con un cenno del capo.
V’era una calma maestosa in quei gesti quasi quotidiani, così abitudinari che, quel giorno d’aprile, la risata della bambina parve scuotere la quiete.
L’uomo alzò per poco tempo gli occhi dal libro, poi tornò a leggere, mentre il giardino cadeva ancora nel silenzio.
Severus Piton si era abituato da tempo alla presenza della donna e della bambina. Dalla prima volta che era uscito dalla sua stanza, dopo settimane di immobilità.
Per qualche strano scherzo del destino era sopravvissuto al morso di Nagini. Il suo corpo – e forse anche la sua anima – era rimasto ancorato alla vita, nonostante tutto il sangue che aveva perso. Ed il serpente aveva morso meno in profondità di quanto sembrasse.
O almeno così gli avevano detto.
Non che gli importasse veramente.
Non in quel momento, in cui la sua vita era vuota e senza scopo, né speranza, in quel sanatorio, silenzioso e colmo del dolore di chi non aveva futuro.
Con ogni probabilità quella bambina e quella donna erano vittime di un male incurabile.
Quanto a lui, un giorno, avrebbe lasciato quel luogo, dove l’avevano mandato dal San Mungo, perché potesse rimettersi del tutto nella quiete e nel riposo.
V’era un che di maledettamente ironico in tutto quello.
Egli, che aveva desiderato la morte, sarebbe uscito da quelle mura chiare, scosse dal vento. Altri sarebbero rimasti lì, per sempre, in preda al dolore, fino a quando la morte non li avrebbe rapiti troppo presto.
Un breve sorriso, appena abbozzato, colmo di amarezza – l’amarezza di chi era sopravvissuto al giorno in cui era certo di aver incontrato la morte – si disegnò per un istante sulle sue labbra.
Poi, quel sorriso si spense rapidamente, così com’era venuto. Chiunque l’avesse osservato non l’avrebbe notato.
Non lo notò la bambina che stava rincorrendo una farfalla, la quale, svolazzando, si era avvicinata all’uomo.
Allo stesso modo, Severus non notò la bambina, se non quando sentì la voce fioca della donna.
Sembrava quasi che qualcosa fosse giunto all’improvviso a rompere la solennità di quella quiete sbattuta dal vento. Mai, prima di quel giorno, Severus aveva udito la voce della donna. Mai, prima di allora, la bambina aveva riso o corso.
Alzò per un istante gli occhi dal libro ed incontrò quelli della donna che aveva raggiunto la bambina. Un sorriso di scuse, quasi che la donna, più giovane di quanto Severus avesse immaginato, volesse il suo perdono perché la bambina aveva rotto il silenzio solenne del giardino, attraversò per un istante il volto della giovane.
«Mi dispiace, mamma.» mormorò la bambina, prendendo la mano della donna.
«Lo so, Emma, e ti assicuro che non sono arrabbiata con te. Quella farfalla avrebbe attirato chiunque.»
Poi le voci tacquero ed il giardino tornò al silenzio, mentre madre e figlia si allontanavano lentamente. Severus rimase immobile, con il libro aperto sulle ginocchia.
E l’amara ironia della situazione tornò a presentarsi nella sua mente.
Gli parve per un istante che quelle persone stessero pagando il prezzo della sua sopravvivenza. Gli innocenti morivano e soffrivano ed egli, il colpevole, viveva, perdonato dalla giustizia, solo per trovare altre vittime sulla sua strada.
Erano pensieri privi di fondamento logico, lo sapeva, ma, mentre si alza a fatica in piedi, non poté far altro che lasciare che un sorriso colmo di amarezza si facesse strada, per un battito d’ali di una farfalla, sulle sue labbra.

***
2. Poco Adagio


Quel giorno il vento non spazzava la costa normanna ed il giardino pareva più silenzioso e tranquillo del solito.
Severus sedeva solo, sull’usuale panchina, in un angolo in ombra, con un libro in mano. La donna e la bambina non si vedevano da nessuna parte.
V’era qualcosa di strano nella loro assenza, per quanto l’uomo non potesse dire di provare alcun reale interesse per loro. Erano diventate, piuttosto, un momento fisso delle giornate senza pioggia, un segno che in quella casa dalle pareti candide – di un candore che non apparteneva di certo alla sua anima – viveva qualcuno.
Qualcuno che, con ogni probabilità, meritava più di lui di vivere.
Quel pensiero era ben fisso nella sua mente, mentre leggeva il libro. Era un pensiero fisso, che risuonava accanto alle parole vergate in un inglese arcaico, medievale.
Il sole di metà aprile fece capolino tra le mura del sanatorio, illuminando le pareti chiare, i fili d’erba ed i timidi fiori.
Era una visione tranquilla e silenziosa, che aveva in sé qualcosa che poteva ricordare un adagio sussurrato da un violoncello in sordina.
Dei passi timidi, lenti, ruppero il silenzio.
I passi di una bambina sola.
Severus, per l’abitudine d’alzare il capo al rumore di qualcuno che si avvicinava, notò la bambina e la sua solitudine.
V’era qualcosa di insolito in quello perché la donna non lasciava mai sola la bambina. E la bambina non si allontanava mai dalla donna.
Emma era silenziosa e si muoveva lentamente, quasi avesse paura di disturbare quella quieta silenziosa. Si avvicinò all’uomo, che aveva riportato da tempo lo sguardo sul libro.
«Monsieur, potrei sedermi qui?» domandò rapidamente la bambina, parlando un inglese zoppicante dal marcato accento francese.
Severus alzò il capo di scatto e notò che la bambina gli aveva rivolto un sorriso timido, fin troppo tranquillo per qualcuno di così giovane. Un sorriso accennato, il sorriso di chi sta crescendo troppo in fretta.
L’uomo annuì soltanto, tornando subito dopo a leggere, senza osservare nuovamente la bambina.
Emma si sedette adagio, stando attenta a non disturbare quel signore, che alcuni chiamavano l’inglese. Per lei era soltanto l’uomo che era comparso tre mesi prima in giardino e che da allora precedeva sempre lei e la mamma.
Una figura misteriosa e rassicurante, al tempo stesso, rassicurante nel suo essere lì, sempre, prima del loro arrivo.
Si voltò per un attimo verso di lui, il sorriso timido ancora sulle labbra, quasi a volerlo ringraziare per averle permesso di sedere lì.
Severus avvertì lo sguardo della bambina, ma non si voltò.
Ed Emma non si aspettò che lo facesse.
In fondo le bastava che le avesse permesso di sedersi lì, dove si sentiva più al sicuro. Emma credeva che la presenza di quell’uomo l’avrebbe fatta stare tranquilla. Nella sua mente infantile si era fatta strada l’idea che fino a quando l’uomo fosse stato in quel giardino, la mamma sarebbe rimasta con lei.
Quindi sedersi lì, mentre la mamma stava male, faceva credere alla bambina che tutto sarebbe andato bene, che anche quella crisi si sarebbe risolta.
E fu per quello che sorrise nuovamente all’uomo.
Con fiducia.

***
3. Andante


Le nuvole bianche scivolavano lentamente nel cielo, di un azzurro particolarmente intenso.
La brezza stranamente dolce, proveniente dall’Oceano, sfiorava appena le pagine del libro che Severus stava leggendo ed i fili d’erba che la donna e la bambina stavano calpestando. L’uomo sentì i loro passi e, sollevando appena il capo, gli parve, osservando le due figure, che la bambina sostenesse quasi la madre.
La donna lo salutò con un cenno del capo, come avveniva ogni volta, ma, al contrario di quel che accadeva solitamente, non proseguì oltre.
Gli sorrise, invece.
Un sorriso gentile che non le raggiungeva gli occhi stanchi.
«Emma mi ha detto di ieri. La ringrazio, Monsieur.» disse la donna, in un inglese migliore rispetto a quello della figlia.
Severus inclinò solo il capo, ma non disse nulla.
La donna gli sorrise nuovamente, con gentilezza, un sorriso che, ancora una volta, non le raggiunse gli occhi, cerchiati da occhiaie scure che risaltavano sul volto pallido ed emaciato.
La bambina aveva proseguito il suo cammino, raggiungendo il punto dove era solita sedere con la madre e si voltò ad osservare preoccupata la donna. Da dove si trovava non poteva comprendere se la mamma stesse parlando con l’uomo. Quello che le importava era che l’uomo fosse là. Era certa che, in presenza di Monsieur, la mamma non avrebbe avuto nessuna ricaduta.
Anche se la mamma pareva non riuscire a reggersi in piedi.
La donna si sedette, a fatica, accanto all’uomo, mentre Emma si avvicinava lentamente a loro, preoccupata, nonostante la presenza rassicurante di Monsieur.
«Spero che Emma non l’abbia disturbata ieri, Monsieur.» mormorò la donna, senza che il sorriso gentile le abbandonasse le labbra, voltando appena il capo verso Severus.
L’uomo avrebbe voluto dirle che non si era quasi accorto della bambina e che, anche se fosse, di loro gli importava poco o nulla. Avrebbe voluto dirle di andare ad ammorbare qualcun altro con quei sorrisi.
Ma non lo fece.
Quella donna era in una condizione disperata e quei sorrisi, lo poteva vedere bene, erano quasi un automatismo. Dei sorrisi da rivolgere per mentire e dire che tutto andava bene, quando tutto andava male.
«Nessun disturbo.» decise di dire infine.
La donna non aggiunse altro.
Non v’era altro da aggiungere, in fin dei conti.
Rivolse lo sguardo alla figlia che si era seduta a poca distanza da loro. Emma pareva non staccare gli occhi da lei e dall’uomo.
Dall’inglese, come lo chiamavano alcuni.
Da Severus Piton.
Tutti al sanatorio sapevano chi fosse l’uomo. Le notizie dall’Inghilterra erano arrivate anche nell’isolamento di Fécamp.
Eppure non era quello che era avvenuto durante la Guerra Magica a colpirli, né il ruolo che l’uomo aveva avuto, quanto piuttosto il fatto che Severus Piton avrebbe lasciato il sanatorio.
E la donna, al contrario d’altri, credeva che se lo meritasse.
V’era qualcosa di giusto, qualcosa che riempiva di speranza, nel sapere che qualcuno potesse avere un futuro al di fuori delle mura bianche della Maison sur la Mer.

***
4. Andante moderato


Il vento, quel giorno di fine aprile, si era fatto più intenso. I fiori piegavano il capo di fronte alla sua forza e le pagine, ingiallite dal tempo, scricchiolavano, per quanto l’uomo le tenesse ben salde tra le mani.
Il rumore dei passi della donna e della bambina furono resi inudibili dal vento, ma il fruscio delle loro vesti bianche ne annunciò ugualmente l’arrivo. Era la loro solita ora e, come tutte le altre volte, la donna chinò il capo, salutando appena Severus. Come tutte le altre volte l’uomo la osservò per un istante.
La donna sospinse dolcemente la figlia perché andasse a giocare, poi si lasciò cadere stancamente sulla panchina, accanto all’uomo.
«Monsieur,» iniziò lentamente la donna. «so che… vorrei chiederle, se possibile, un favore.»
Severus si voltò verso di lei, chiudendo il libro, perché il vento non ne rovinasse le pagine. La donna non lo stava guardando. Il suo volto, di un pallore che rendeva la pelle quasi trasparente, era immobile ed il suo sguardo pareva scrutare un punto indefinito all’orizzonte.
«Non so per quanto ancora potrò accompagnare Emma.» proseguì rapidamente la donna, come se il tempo la incalzasse. «A mia figlia giova uscire da quelle mura bianche e lei, Monsieur, è l’unico tra coloro che vi abitano che esce alla luce del sole.»
La donna si voltò verso Severus, fissandolo. Gli occhi parevano essere come sbiaditi e sembravano perdersi in quelle occhiaie nere che li circondavano.
«Sarei infinitamente grata se lei accettasse.»
Fu allora che gli sorrise, un sorriso diverso dagli altri che gli aveva rivolto, un sorriso malinconico che raggiungeva gli occhi stanchi.
Un sorriso che pareva dire – urlare forse – che la donna era fin troppo consapevole del proprio destino.
Un sorriso che diceva quanto desiderasse veramente che quel suo desiderio – l’ultimo forse – venisse esaudito.
Il sorriso di chi sa che è condannato alla morte precoce, nonostante la sua innocenza.
Era un pensiero disturbante, si disse Severus.
Atroce.
Quella donna, quella madre, non aveva mai fatto nulla di male e la morte l’avrebbe portata con sé.
Ed egli aveva ucciso, era sopravvissuto e sarebbe probabilmente vissuto a lungo.
V’era qualcosa di irrisorio nella vita.
Gli innocenti pagavano per le colpe di chi, come lui, aveva commesso scelte terribili ed imperdonabili.
Eppure quella donna, quell’innocente, voleva che fosse lui, il colpevole, a vegliare sulla figlia, per i giorni che le rimanevano da vivere.
Ed improvvisamente vide altro in quel sorriso lieve.
Vide la fiducia.
Una fiducia genuina, nata nella casualità di una routine. Era certo che la donna sapesse chi fosse e ciò che aveva commesso.
Tutti lo sapevano al sanatorio.
Eppure, nonostante tutto, gli affidava, seppur per breve tempo, la figlia.
«Lo farò.» disse, infine.
La donna annuì soltanto, il sorriso ancora sulle labbra, poi si voltò verso la bambina che stava giocando con una vecchia bambola sgualcita.

***
5. Allegro


Il vento soffiava vivacemente sul giardino del sanatorio. Pareva quasi volesse giocare con le foglie, i fiori ed i fili d’erba, con le pagine del libro e con i capelli della bambina che sedeva sul prato ai piedi dell’uomo.
Da quando la mamma non aveva più potuto accompagnarla a giocare nel giardino, Emma non lasciava mai il fianco di Monsieur Piton, anche se iniziava a dubitare che la presenza dell’uomo al sanatorio avrebbe potuto salvare la mamma.
Eppure temeva il giorno in cui se ne fosse andato.
Non voleva che la mamma se ne andasse per sempre. Non voleva pensare a cosa ne sarebbe stato di lei, allora. Era un pensiero che la spaventava. Qualcosa a cui non desiderava realmente pensare.
Si mise ad intrecciare una coroncina con i fiori, come le aveva insegnato la mamma.
Alzò, per un istante, il capo verso l’uomo, quando ebbe finito, e notò che non stava leggendo. I suoi occhi parevano fissare un punto che la bambina non riusciva a definire, lontano, quasi fosse immerso in pensieri per lei di certo troppo difficili.
«Monsieur.» lo chiamò a bassa voce, alzandosi in piedi. «Crede che mamma tornerà ad uscire presto?»
Le parole di Emma riscossero l’uomo dai pensieri che lo opprimevano. Pensieri che parevano rincorrersi ed accavallarsi l’uno sull’altro. Da un parte il suo passato, dall’altro il suo futuro, un futuro dove pareva non esservi alcuno scopo per lui.
Non v’era nulla.
E le parole di quella bambina sembravano centuplicare quel pensiero.
Emma e sua madre avrebbero avuto tutte le ragioni possibili per vivere al di fuori dalla Maison sur la Mer.
Se il mondo fosse stato giusto, la donna sarebbe sopravvissuta e lui sarebbe morto.
Ma la vita non era giusta.
Ed egli accettava – pur non condividendolo – il suo verdetto.
Viveva.
E con lui vivevano le colpe che lo insozzavano.
Colpe che parevano ancora più enormi di fronte allo sguardo innocente della bambina, che lo stava fissando in attesa di una risposta.
«Non lo so.»
Una risposta breve, ma in fondo Emma non si aspettava una risposta diversa.
Ed era contenta che l’uomo non le avesse mentito.
Severus continuava a fissare la bambina in volto. Sapeva che Emma aveva compreso che la madre non si sarebbe mai più rimessa. Lo vedeva con perfetta chiarezza in quell’istante. Forse la donna avrebbe superato quella crisi che le impediva d’uscire, forse no.
Non importava.
La donna si sarebbe comunque spenta lentamente.
«Non guarirà mai, vero?» domandò Emma, gli occhi colmi di fiducia, la fiducia di chi sa che non gli verrà detta una menzogna.
«Sì.» rispose Severus.
Era una risposta brutale, forse, ma era inutile addolcire qualcosa di cui la bambina era perfettamente consapevole.
Emma si sedette accanto a lui. La coroncina di fiori giaceva sul prato, tra i fili d’erba con i quali il vento giocava allegramente, ignaro dell’uomo e della bambina.
«Vorrei… vorrei che lei, Monsieur, fosse qui, quel giorno.» biascicò Emma, voltandosi verso l’uomo.
Credeva, in quel momento, che se Monsieur Piton fosse stato lì, lei sarebbe stata al sicuro, che nessuno l’avrebbe portata in un orfanotrofio od affidata a degli sconosciuti.
Emma era convinta che l’uomo non l’avrebbe permesso.
E fu con quel pensiero in testa che gli sorrise fiduciosa.
Severus vide quel sorriso lieve, appena accennato.
Un sorriso che diceva più di quanto non avessero già fatto le parole di Emma.
Per qualche strano scherzo del destino quella bambina vedeva in lui qualcuno di cui fidarsi, qualcuno che dava sicurezza, qualcuno a cui rivolgersi per sentirsi dire la verità, per quanto terribile questa potesse essere.
Annuì soltanto, per quanto non si ritenesse degno di quel sorriso fiducioso ed innocente, il sorriso di chi non conosceva la colpa.
Un sorriso che si allargò e si fece più aperto.
Un sorriso colmo di fiducia.

***
6. Lento maestoso


L’aria era immobile nel giardino, una piccola oasi verde, fra le spesse mura del sanatorio o, come la chiamavano i pochi Maghi di Fécamp, la Maison sur la Mer.
Il lamento del mare pareva accompagnare il lieve stormire delle foglie, come una musica triste e soffocata.
L’uomo sedeva, come ogni giorno nel giardino, ma non c’era traccia della donna e della bambina.
Soltanto il vento lieve era testimone della scena che aveva in sé qualcosa di maestoso.
E malinconico.
Nulla pareva mutare, mentre il tempo scorreva silenzioso. Il vento continuava a scuotere, indifferente, le foglie e portava con sé l’eco lamentoso del mare.
Una corsa veloce e delle esclamazioni lontane ruppero improvvisamente la quiete.
L’uomo alzò il capo dalle pagine del libro e vide la bambina correre rapida verso di lui e sedersi al suo fianco.
Severus aveva creduto che Emma se ne fosse andata da tempo, dal giorno dei funerali della madre.
Nessun suono, né alcuna voce bisbigliata nei corridoi del sanatorio, aveva lasciato presupporre che la bambina si trovasse ancora alla Maison sur la Mer.
Con ogni probabilità, invece, l’avevano lasciata, sola, nella sua stanza forse perché nessuno aveva veramente tempo per occuparsi di lei, forse perché nessuno credeva, giustamente, che l’innocente potesse stare accanto al colpevole.
«E’ vero che stasera parte, Monsieur?» biascicò la bambina, la voce rotta da singulti privi di lacrime.
Quelle le aveva versate tutte il giorno in cui era morta la mamma ed al cimitero, quando l’avevano sepolta.
E Monsieur Piton era stato presente allora, come aveva promesso.
«Sì» rispose l’uomo, voltandosi verso la bambina.
Sulla porta che dava sul giardino si erano radunati gli inservienti del sanatorio. Nessuno di loro vedeva di buon occhio quello che stava accadendo. Non importava quello che aveva riportato i giornali, quando si era conclusa la Guerra Magica in Inghilterra.
Quell’uomo rimaneva un assassino.
Ma era quello un pensiero che non attraversava la mante della bambina. Per lei, l’uomo era colui che le donava sicurezza, era quanto di più simile ad un padre avesse mai conosciuto.
Era tutto quello che le rimaneva.
«Posso venire con lei?» domandò infine Emma, parlando con più calma di quanta si aspettasse.
V’era qualcosa di assurdo in quelle parole, si disse l’uomo, qualcosa che andava al di là della normale comprensione. Erano parole che non avrebbero mai dovuto esistere, perché nessuna bambina, nessun essere innocente, avrebbe dovuto pronunciarle.
V’era molta più sensatezza in quelli che dovevano essere i pensieri degli altri abitanti del sanatorio.
Dov’era la giustizia quando egli, con le mani lorde di sangue viveva, e la madre della bambina, candida ed innocente, era morta, agonizzando tra mille dolori che nessuna Pozione poteva quietare?
Forse non esisteva alcuna giustizia.
Eppure quella bambina era lì, ferma, accanto a lui, in attesa di una risposta.
Una risposta che non sapeva dare.
«Perché vuoi venire?» decise di domandare infine.
«Lei…» la bambina si interruppe, cercando le parole. Quella era la conversazione più lunga che avesse mai avuto con l’uomo. E si sentiva improvvisamente incerta, perché temeva di sbagliare, di dire qualcosa che facesse decidere Monsieur Piton di lasciarla al suo destino. Voleva dire molte cose, ma alla fine riuscì a pronunciare solo poche parole. «Mi fido di lei. Come mi fidavo della mamma.»
E gli sorrise lievemente.
Un sorriso accennato, che si allargò leggermente, raggiungendo gli occhi, ancora arrossati per le lacrime versate alla morte della madre. Un sorriso che, più delle parole, irradiava fiducia verso Severus.
Una fiducia genuina e sincera.
Come la fiducia che un bambino dovrebbe provare per il proprio padre.
Una fiducia che Severus non aveva mai sperimentato.
Una fiducia che quella bambina gli donava ed era su quella fiducia che si basava la sua richiesta. La bambina, per qualche strano mistero, vedeva in lui qualcuno che palesemente non era.
Era molte cose. Un assassino. Una spia. Un uomo in preda al rimorso. Un uomo dall’anima macchiata. Un uomo che anelava ad un perdono che non avrebbe mai ottenuto.
Ma non era un padre.
Era unicamente un sopravvissuto dal futuro privo di significato, in cui avrebbe vissuto nel meritato
tormento per le colpe commesse.
O forse il suo futuro giaceva nel sorriso di quella bambina, che aveva perso tutto, che era sola, in balia della vita?
Ma era veramente quella la scelta migliore?
Era veramente quella la strada che gli si prospettava davanti?
Il tempo passava lento, solenne, ed il lamento del mare continuava a giungere nel giardino, portato
dal vento.
La bambina non sorrideva più, ma continuava a fissarlo fiduciosa.
Una fiducia disarmante ed innocente.
Totale.
E Severus si rese conto che, se avesse rifiutato, avrebbe distrutto quella fiducia e, con essa, forse la possibilità che quella bambina potesse fidarsi ancora di qualcuno.
Avrebbe distrutto, con ogni probabilità, l’innocenza di Emma, voltandole le spalle, lasciandola nella solitudine, quella solitudine che lui conosceva bene, quella solitudine in cui si maturavano scelte terribili che macchiavano l’intera esistenza.
Se avesse voltato le spalle ad Emma, avrebbe avuto davanti agli occhi un’altra vittima innocente.
«Puoi venire.» disse soltanto, infine.
E la bambina gli sorrise.
Un sorriso felice, che toccò il cuore dell’uomo.
Forse, veramente, il suo futuro, si disse Severus, mentre si alzava in piedi, imitato dalla bambina, giaceva nel sorriso di Emma. Forse, con il tempo, non sarebbe stato soltanto un uomo in cerca di un perdono impossibile da ottenere, ma un uomo che aveva a cuore la bambina che lo aveva scelto, al di là di ogni logica, come padre.
 
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