Il Calderone di Severus

Alaide - Ouverture in due tempi, Tipologia: Flash Fiction (100-500) - Genere: Introspettivo - Altro Genere: Nessuno Avvertimenti: Nessuno - Epoca: Pre Malandrini - Pairing: Nessuno - Personaggi: Eilee Prince, Tobias Piton - Altri Per

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view post Posted on 30/3/2017, 10:08
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Autore/data: Alaide – 11 gennaio 2013
Beta-reader: nessuno
Tipologia: Raccolta di flash-fic
Rating: per tutti
Genere: Introspettivo
Personaggi: Eileen Prince, Tobias Piton
Pairing: nessuno
Epoca: Pre - malandrini
Avvertimenti:
Riassunto: In quel momento, l’unico sorriso che poteva donargli era un sorriso triste
Nota: Storia scritta per la Sfida n.14 sette giorni per un sorriso
Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.

Ouverture in due tempi

1. Adagio Lamentoso[1]


Era notte.
Una notte illuminata dalla luce fredda della luna quasi piena. Una luce immota che rischiarava, con i suoi raggi gelidi, le pareti biancastre.
V’era qualcosa di congelato nel biancore lunare, qualcosa che faceva presagire il freddo di quel sabato di gennaio. Od era piuttosto, si disse la donna, tenendosi malamente in piedi accanto ad un lettino dalle sponde di metallo cigolante, il luogo ad essere gelido, più gelido del clima invernale.
V’era qualcosa di freddo e desolato in quell’ospedale vecchio più di mezzo secolo, con il suo stile tardo vittoriano e la sciatteria di quei luoghi mai veramente curati, luoghi che sembravano aver perso da tempo i sogni della giovinezza.
Come aveva fatto lei.
Eileen Piton sospirò appena, guardando il figlio, nato quella mattina, all’alba.
Lo osservava fissamente, quasi attendendosi che si mettesse a piangere, come gli altri.
Invece pareva non saper piangere – un solo vagito al momento della nascita – né sorridere – nessun gorgoglio giocoso da quando era venuto al mondo.
Forse, si disse la donna, trovandosi a fissare la forma immota del figlio, era vero che i nomi, alle volte, parevano svelare l’essenza delle persone, ed il nome che aveva scelto per il bambino – un vecchio nome sperso nei ricordi della sua giovinezza – sembrava portare con sé il non piangere ed il non ridere.
Quel pensiero le fece arricciare appena le labbra in un sorriso tirato.
Il sorriso che non aveva avuto quando le avevano messo tra le braccia Severus.
L’unico sorriso che poteva rivolgergli.
In fin dei conti, si disse, sfiorando appena il volto tranquillo del bambino, nella vita del figlio vi sarebbe stato poco spazio per il riso.
E forse anche per il pianto.
Ma quella era solo una futile speranza.
Non poteva, d’altronde sapere, cosa avrebbe portato la vita a suo figlio. Nessuno poteva saperlo.
Eppure, in quel momento, l’unico sorriso che poteva donargli era un sorriso triste, il sorriso di una madre che ha perso da tempo la speranza.

***


2. Valse triste


L’uomo entrò in casa, strascicando i piedi.
Si reggeva malamente sulle gambe e nella mente gli turbinavano pensieri sconclusionati. Gli pareva di sapere di aver perso il lavoro, per l’ennesima volta, e di essere diventato padre, poco più di due settimane prima.
Ma non ne era del tutto certo, si disse, mentre fischiettava un valzer zoppo e sghembo.
Erano pensieri fugaci, annebbiati dal liquore di scarsa qualità che aveva tracannato nello squallido pub vicino alla fabbrica, che avrebbe chiuso i battenti per sempre.
In quel momento, nella mente di Tobias Piton sorgevano pensieri zoppi, come le note del valzer – ascoltato chissà dove durante una giovinezza che gli pareva persa nella nebbia del tempo, insieme ai suoi sogni – che stava fischiettando. Gli parve di scorgere il volto di Eileen, mentre transitava, barcollando, per la casa.
Ma non ne fu sicuro.
Non fu nemmeno certo che quella che stava osservando, nella scalcagnata camera da letto, fosse veramente una culla, che si teneva in piedi per chissà quale miracolo.
Guardò poco oltre le sponde di legno tarlato ed incontrò due occhi neri che lo fissavano.
Il valzer sghembo gli morì sulle labbra.
Doveva essere suo figlio, si disse, in un momento di barcollante lucidità. Quel figlio di cui, in quell’istante, non ricordava quasi la nascita ed i sentimenti che aveva provato in quell’istante.
Improvvisamente gli sorrise, un sorriso sghembo e zoppo, come una melodia suonata da un giradischi con la puntina rotta. Tobias non sapeva perché stesse sorridendo al bambino che lo fissava con espressione stranamente seria.
Gli sorrideva e basta.
Il sorriso triste di una sbornia triste.
L’unico sorriso che suo marito avrebbe potuto rivolgere a Severus, in quel momento, si disse Eileen, osservando padre e figlio dalla soglia della stanza.
Un sorriso triste, come quello che gli aveva rivolto lei all’ospedale.
Forse gli unici sorrisi che avrebbe mai ricevuto dai suoi genitori, concluse amaramente la donna, avvicinandosi al marito, che stava ancora sorridendo sghembo al figlio.

***



[1]La formula "adagio lamentoso" è una semplice indicazione per l'interprete, che non vuole implicare necessariamente un lamento (nel senso poetico del termine. Quindi, per esempio, il lamento dell'amante abbandonata), quanto piuttosto un mondo musicale circonfuso di tristezza. In questo caso mi sembrava adatto al sorriso triste che chiude il racconto.
 
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