| Eccomi, ci sono. Scusa ancora il ritardo, Ida. Non è un granchè, forse, ma l'ho scritta col cuore e con sincerità. Titolo: A letter for a dream? Perhaps Autrice: PandaNemo BetaReader: // La busta la vidi sul tavolo del salotto quando rientrai a casa, anzi, mi precipitò in grembo mentre ero sulla poltrona avvolta nel plaid, facendo da letto alla mia “amore senza more” aka il mio cane. “Mamma, ma cos’è?” “Non ne ho idea, c’è il tuo nome sopra.” E niente altro. Sarà pubblicità di qualche tipo – pensai – qualche centro estetico o chissà che. Liquidai la faccenda, eppure quella busta mi attraeva. La rigirai fra le mani a lungo, esaminando la carta pesante e la calligrafia elegante e sinuosa. Era così bella… Decisi di aprirla, al massimo avrei letto l’ennesimo annuncio promozionale. Mi ritrovai fra le mani un invito. Firmato Severus Snape. Fissai il foglio a lungo, incapace di credere a quanto scritto. Come poteva un personaggio di fantasia, per quanto eccezionali fossero la mente della scrittrice che l’aveva creato ed il personaggio stesso, scrivere un biglietto? Un biglietto recapitato in quello ch’era ad opinione comune il mondo reale? E, soprattutto, per quale arcano motivo avrebbe dovuto scrivere proprio a me? La parte razionalmente realista del mio cervellino diceva che, secondo logica, doveva trattarsi per forza di qualche scherzo, pubblicità, o qualcosa di virale, una qualche moda di internet. Il mio lato fantasiosamente sciocco si perse invece nell’immaginare le possibilità di quell’invito. Magari sarei davvero finita ad Hogwarts… Sarebbe stato a dir poco bellissimo camminare nei corridoi ed entrare nell’immensa Biblioteca, con tutti quei libri, l’aria densa dal bruciare delle candele. Doveva esserci un profumo stupendo, lì dentro. Ad una delle mete più agognate, l’aula del Professor Snape oppure il suo ufficio, non mi ci sarei avvicinata nemmeno col pensiero. Non avrei osato nemmeno in mille anni e oltre. Non volevo disturbarlo od importunarlo. Che avrei potuto dirgli, d’interessante o d’utile? Che l’ammiravo come non mai, che adoravo il suo stile - il nero è uno stato d’animo, non un semplice modo di vestire - ed il suo sarcasmo pungente molto più vero di mille falsi toni gentili. E che lo capivo. Capivo i tormenti che aveva passato con i Malandrini – le prese in giro, gli scherzi, le derisioni ed i dispetti – comprendevo la necessità di sistemare e proteggere un cuore pieno di toppe e ferite malcucite negli abissi più profondi lontano da occhi e mani indiscrete – bastavano già le nostre, di mani, a romperlo una volta ancora. Capivo la brama di conoscenza mai paga, apprendere ed imparare qualsiasi cosa sempre di più, sentirsi finalmente apprezzati ed accettati, anche solo un po’. Ed invece contavano sempre e solo i difetti, l’essere inadatti e goffi. È meglio non essere diversi dai propri simili, dicono ne “Il ritratto di Dorian Grey” ed hanno ragione, secondo me. Non è bello essere una ‘’ pecora nera’’ un fiocco di neve diverso dagli altri. Non ci si incastra mai. Lo capivo e lo ammiravo. Lo ammiravo per il coraggio, la dedizione e la determinazione, la volontà di ferro e la nobiltà d’animo. Avrei voluto dirgli tutto questo e molto altro. Che qui nel Calderone era circondato da persone che lo rendevano felice in tutti i modi grazie alle loro storie, alle loro magie di carta ed immaginazione. Ci provo anche io, nel mio caotico mondo di fogli sparsi e macchie d'inchiostro sulle dita, perchè mi piace che abbia un lieto fine e mille nuove vite da vivere. Che l'avevano sempre visto diverso da come doveva apparire. Che non avevo mai creduto fosse solo ciò che traspariva da una certa visione, ma molto altro, un piccolo caleidoscopio. Che per me, il pezzo più vero, era una frase alla fine del sesto libro, lì c'era tutto di lui, a parer mio. Che l'ammiravo, che lo ringraziavo per avermi fatto compagnia e per avermi insegnato tanto, pur non essendo parte delle sue "teste di legno." Che non doveva vergognarsi, mai e poi mai, non lui, non ora. Mi sarebbe bastato anche solo prendere una tazza di tea, in completo silenzio, solo il rumore delle stoviglie ed il profumo dell'infuso. Tutto qui. Solo questo. Ma non avrei osato nemmeno in mille anni e oltre. Solo le chiacchiere di una ragazza stupida, che sicuramente avrebbe fatto mille e più una figuracce in nemmeno cinque minuti e che il Professor Snape avrebbe liquidato dopo poco, forse infastidito dai suoi balbettii. Balbetto sempre quando sono nervosa. Ed incontrarlo m’averebbe reso molto, molto nervosa. Ed anche ad Hogwarts, che ci avrei fatto? In quella biblioteca ricolma di libri scritti in mille lingue che non conoscevo e su argomenti di cui non sapevo nulla. Osservare quei quadri bellissimi e vivi, statue ed armature che si potevano addirittura muovere, io, solo una persona goffa ed assolutamente sgraziata, non bella ed assolutamente Non Magica. Come minimo avrei fatto cadere tutte le armature, fatto o detto qualcosa d’assolutamente inappropriato. Solo un’ospite capitato lì per caso. Realizzai d’essermi addormentata, mi risvegliai con la lettera fra le mani e le immagini di Hogwarts negli occhi. Mamma brontolava sommessa per chissà quale ragione sconosciuta, andai a sistemare la lettera in camera mia. Fosse stata anche finta, l’avrei tenuta. Un piccolo ricordo d’una piccola, sciocca illusione. Secondo quanto scritto, mancavano cinque minuti all’attivarsi della Passaporta. Presi una scatola di cartone, quelle carine che compravo ogni tanto. Sistemai il foglio esattamente sopra la Moleskine nuova che avevo comprato giorni addietro,e sopra ad una penna, di quelle semplici, nero inchiostro gel, e chiusi il coperchio. Se mai la lettera si fosse attivata mi sarebbe piaciuto che il Professor Snape li avesse, anche se probabilmente non ci avrebbe fatto nulla, abituato a penne lussuose e rotoli di pergamena. Eppure, volevo che fossero suoi. Anche se solo in un sogno. Lui, anche se involontariamente ed attraverso la penna della sua creatrice, ci aveva fatto conoscere il suo mondo, la sua vita, la sua storia, le sue emozioni, le sue idee, parti di se, per quanto apparentemente falsate dalle circostanze. Io gli avrei donato ciò che potevo di mio, pagine bianche ed inchiostro. Quasi fosse un modo per ricambiare. Solo questo. Tutto qui. Perché solo l’inchiostro conosce tutte le frasi e le parole non dette di cui sono piene i silenzi.
Non controllai la scatola dove avevo riposto il tutto, prima di andare a letto o nei giorni successivi, ma sperai con tutto il cuore che i miei doni fossero spariti e che un il Professore li avesse apprezzati, almeno un po’. Edited by PandaNemo - 8/1/2018, 22:45
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