Il Calderone di Severus

Invito a sorpresa

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view post Posted on 22/12/2017, 16:54
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I ♥ Severus


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:wub: :wub: :wub: :wub: :lovelove: :lovelove:

Edited by Ida59 - 16/11/2018, 20:27
 
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Bella, dolce e vera, verissima.
Sei riuscita a farmi commuovere, perchè ero lì con te e Lo vedevo.
Ecco cosa significa evocare, brava, bravissima e in più con un pizzico di autoironia di cui sei molto parca nelle tue storie. Già, ma questa non è una storia inventata, ma un resoconto, vero, del tuo recente viaggio ad Hogwarts.
Non so perchè, ma quando nomini il tuo forum, e le pagine, e le storie e Severus dice che le ha lette, mi spuntano le lacrime.
Grazie Ida, il suo fazzoletto con le iniziali ancora non brilla, ma sento che presto lo farà e la passaporta si aprirà di nuovo anche per me.
Ti sei superata!
Grazie per avermi portato con te a condividere emozioni e gioia. :lovelove: :lovelove: :lovelove:

Edited by chiara53 - 22/12/2017, 18:33
 
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I ♥ Severus


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Grazie a te per aver voluto sognare e condividere! :wub: :lovelove: :wub: :lovelove: :wub: :lovelove:

Evocare è molto facile quando si tratta di Severus, perchè il sogno è già vivido nella mente di chi legge. Il merito è suo, non mio.
 
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Devo passare il tempo, non so neppure se sia una cosa che vada bene, è una cosa poco ragionata e curata, per cui pietà :ph34r: :lol:


Un viaggio inaspettato



Fuori si stava ancora bene anche se l’autunno aveva già abbracciato il paese: bastava coprirsi appena per continuare a guardare le stelle, e quella sera il cielo era bellissimo.
Non c’era luna e le luci sembravano più fioche del solito. O forse erano soltanto sue impressioni.
Guardava ancora all’insù mentre le macchine sfilavano sulla strada, lente e veloci, contandole distrattamente, e ogni tanto un pipistrello le volava davanti agli occhi come un pezzo di carbone più nero della notte.
Fissava il cielo e sognava di essere altrove.
Immaginava l'odore del deserto. O una vita di piccole cose semplici.
Immaginava forse troppe cose.
Il lettore mp3 passò ad un’altra canzone, una di quelle che non poteva mancare nella sua lista ma che mandava avanti ogni volta, non avrebbe saputo spiegarne il motivo; stavolta, però, la lasciò andare. Lasciò scorrere parole e note.
Le ricordava troppo qualcosa, ma sotto quelle stelle, in quella serata, andava bene per lei ricordare.
Riportare alla mente tante cose.
Troppe.
Passò oltre, un altro brano, uno di quelli che sparava alto nelle cuffie e ancora più alto nelle casse, forte da far tremare le pareti.
Continuava a fissare le stelle, cercando costellazioni – e mondi – quando un rumore alla sua destra la distrasse, un'ombra che scivolava sul muro che costeggiava il terrazzo.
«Che diavolo…?»
Un gufo o una civetta – o un barbagianni, o un allocco, non riusciva ancora a capire la differenza, si confondeva ogni volta – si era appollaiato sulla pietra e la fissava.
“Mi sta davvero fissando?”
Scosse la testa e tornò a guardare il manto scuro sopra di sé, il volume della musica abbassato quasi inconsapevolmente.
Il rapace emise uno strano verso, era ovvio cercasse la sua attenzione perché si era addirittura avvicinato.
«Ok, coso, che vuoi?» Un altro verso.
Come si chiamava il loro verso?
In quel momento non le sembrava il caso di chiedersi roba simile, avrebbe potuto cercarlo facilmente, ma si guardò per alcuni secondi intorno, circospetta – continuava a riaffiorarle un ricordo strano di quando era bambina, ma era piuttosto fumoso ed ogni volta riusciva ad inquadrare solo pochi frammenti –, e poi rimase immobile.
«Mi sono addormentata, è ovvio. È la spiegazione più plausibile.»
Ma il coso le si avvicinò, picchiettando il becco sulla propria mano.
«Ehi!» gridò mentre si massaggiava il dorso della mano.
Il gufo – o civetta. O barbagianni. O allocco – aprì le ali e cominciò a sbatterle, pochi secondi in cui fece un frastuono infernale. Poi smise.
«Senti, Anacleto, seriamente, che vuoi?» ma ricominciò subito. «Va beh, non sei Anacleto, non ti incazzare, mamma mia!»
“Sto parlando con un animale, non è una cosa normale, affatto” si disse cercando comunque di stare calma. Calmissima. “Ma io sono normale?” si chiese subito dopo, sempre nella sua testa, quella che aveva perso qualche vite di troppo.
«E no che non sono normale, eh. Sono calma, ferma, ma dovrei già essermi chiusa in camera. E invece no, faccio domande ad un animale come se fossi il dottor Dolittle. Normalissimo!»
Si alzò di scatto, stavolta un po’ più agitata, ma il gufo – o civetta. O barbagianni. O allocco. O coso – la seguì finché non smise di camminare e allora semplicemente lasciò cadere a terra un piccolo sacchetto nero.
«Cos’è?»
Ma che ne so io: tipico verso del coso.
«Non posso averlo chiesto davvero. Non va bene così,» ma lo afferrò comunque, nonostante l'insensatezza.
Lo aprì e ne fuoriuscì una pergamena così piccola che con la sua vista perfetta avrebbe letto benissimo.
“Sì, come no… chi l’ha scritta? Sembra la mia scrittura formato mignon.”
Dopo diversi minuti di sforzi e ricerca dell’angolatura perfetta, riuscì a leggerne il contenuto.
“Oltre la realtà”, c’era scritto, e due “esse” come firma.
«Eeh… che significa?»
Sempre ma che ne so io: sempre tipico verso del coso.
«Cos’è questo? Un quiz a premi senza premi dove devo risolvere l'enigma?» sospirò, fissando l'animale che per tutta risposta la guardò con un’espressione che sicuramente voleva dire “ma chi è questa. Ma che vuole. Ma chi la conosce.”, ne era certa.
Abbassò le spalle sconsolata e, mentre si rimise seduta a terra, il gufo – o quel che era – volò via. «Ehi!» urlò indignata per quel repentino abbandono.
Nel sacchetto si accorse che c’era qualcos’altro: lo rigirò per svuotarne il contenuto sul palmo e una vecchia penna cadde prima sulla mano e poi a terra.
«Questa come ci stava lì dentro?» domandò a nessuno mentre lo raccoglieva, ma era ora di scendere, la temperatura si stava facendo più rigida.
Ci avrebbe pensato l'indomani.

*



Non aveva chiuso occhio.
Ovviamente.
Aveva pensato e ripensato a quanto accaduto, a quell'assurdità che le aveva stravolto la serata, divertendola, ma anche inquietandola, anche se non capiva bene i motivi dell'una e dell'altra.
La penna se l’era rigirata a lungo tra le dita mentre la luce fioca della lampada aveva rischiarato appena la stanza.
Tutto quello, inutile negarlo, le aveva fatto pensare al Mondo Magico dove si era chiusa spesso per immaginare e basta. Sognare e nulla più. Pensare.
Pensare molto.
Le venne spontaneo sorridere, era insensato, lo sapeva, ma non poteva non sorridere.
E pensare.
Prese un foglio e iniziò a scrivere la prima parola, ma non appena ebbe finito di vergare la prima lettera, una sensazione strana la risucchiò con forza, e si ritrovò come inghiottita da un vortice, da un unico punto che la ingoiò per poi sputarla di nuovo fuori.
Era il bagno di una stazione quello?
«È un fottutissimo scherzo?» si ritrovò a gridare alle pareti di quel posto che non sapeva nemmeno dove fosse, anche se qualcosa di familiare c’era.
“Che bello avere familiarità con un bagno…”, voleva urlare di nuovo, ma una signora appena entrata la stava già guardando male.
«Se è uno scherzo non fa comunque ridere!» parlò lo stesso, anche se la signora la fissava sempre più allibita.
Aveva per caso una scimmia sulla testa?
«Signora, mi sta squadrando, poi me li da i risultati della lastra?»
«Oh mio Dio» e sparì di corsa.
«Ma guarda tu questa. Adesso che cosa dovrei fare?» e prese a camminare su e giù, poi si ricordò che aveva ancora il sacchetto e lo prese: iniziò a brillare e quando lo aprì, ne uscì un biglietto del treno.
E poi un altro. E un altro ancora.
«No, non è divertente.»
Chiunque fosse stato l’artefice di quello scherzo, lo avrebbe ammazzato. E poi cucinato. Sicuro.
Sì, un bel banchetto.

*



Quante ore erano passate? Non lo sapeva.
E dove diavolo era? Non sapeva nemmeno quello.
Non sapeva neppure come aveva fatto ad arrivare fin lì, ovunque si trovasse, e come avesse fatto a sopravvivere.
Nel sacchetto aveva trovato un libro di vecchie leggende oscure e una bottiglietta con un'etichetta che diceva: “se mai dovesse mancarti la forza”.
E un paio di volte le era mancata, poi aveva semplicemente stretto i denti – e le unghie – e si era lasciata abbracciare dal libro e dalle paure – e da qualche lacrima che aveva nascosto a fatica dietro alle pagine non più bianche – senza farsi troppo sopraffare.
Indietro non era potuta tornare, quindi aveva percorso l'unica strada che le era rimasta, ma era stremata, prosciugata di ogni singola essenza ed era in mezzo ad un bellissimo nulla, arrivata lì dopo che aveva provato a scrivere di nuovo con quella penna, e aveva freddo. E fame.
E paura.
«Mi dispiace per l’inconveniente del bagno.»
Quella voce non la conosceva, eppure le sembrava così stranamente familiare.
Si voltò a guardare e quando fissò un paio di occhi neri, ebbe un sussulto.
«Ehm…»
«Ciao.»
«Sto dormendo, vero?»
«Se nel sonno pensi di stare meglio, va bene. Posso offrirti qualcosa di caldo?»
“Non si accettano offerte dagli sconosciuti…” ricordò per un attimo il mantra che spesso le avevano ripetuto da bambina, che si ripeteva ad ogni bambino per tenerlo al sicuro da qualsiasi pericolo.
«Si può dire che non sono propriamente uno sconosciuto, no?»
Sussultò di nuovo, facendo un involontario passo indietro. «Potresti non leggermi la mente, per favore? Ci tengo ai miei pensieri.»
«Perdonami, non farò mai più una cosa del genere, capisco quanto si possa tenere alla propria privacy. Al proprio essere.»
«Grazie.»
«Non volevo offenderti.»
«Oh, no, non lo hai fatto, davvero» e gli sorrise, il sorriso più caldo che potesse fare, quello che con un po’ d’imbarazzo mostrava le sue reali emozioni. «E accetto volentieri qualcosa di caldo.»
L'uomo sorrise e le porse un mantello che portava con sé: si sentì invadere subito da un piacevole tepore.
«Grazie» disse di nuovo, sorridendogli ancora.
Cominciarono a camminare a passo lento nel bosco, stando attenti agli ostacoli che trovavano: lui sembrava conoscere perfettamente il posto e lei non potè far altro che seguirlo cercando di memorizzare dove posava i piedi prima.
«Perché sono qui?» gli domandò all'improvviso mentre continuavano a camminare.
«Dimmelo tu.»
Si fermò di scatto davanti a quello che sembrava un chiostro dall'aria molto vecchia e malandata, i profumi dell’autunno erano lì, tutto intorno a loro, gli aromi della terra e di quella stagione che sbocciava di colori bellissimi e caldi che la incantavano ogni volta.
Per un attimo si perse in quella moltitudine di sensazioni.
E si fermò ad osservarlo.
Si può immaginare una persona in tanti modi, ma nulla può davvero avvicinarsi a ciò che è la realtà, alle sfumature degli occhi che si vedono per la prima volta, a quella che è la prima espressione che ti porterai dietro per tutta la vita. A quelle labbra che si piegano e si aprono.
Ai gesti delle mani. Al disegno delle vene su di esse.
Al profumo che emana.
E lui era un po’ come l’autunno.
«È così bello il silenzio, vero?» parlò improvvisamente mentre entrambi sorseggiavano un caffè bollente che aveva fatto apparire alcuni istanti prima. Fece lui una domanda anche se aspettava una risposta.
«È bellissimo. E può dire tante cose.» Altro caffè. Altro silenzio.
«Quello che conta è che sei arrivata qui, no?» le sue labbra si mossero ancora e lei non ebbe bisogno di aggiungere altro, annuì appena e sorrise ancora una volta.
Un sorriso leggero come leggero si era fatto il suo animo.
«Un piccolo passo.»
«Siamo fatti di piccoli passi che ci portano a camminare veloci e poi a correre.» Per un po’ rimase muto, immobile, la tazza di caffè stretta tra le dita pallide. «La tua è stata una camminata veloce e hai davanti tante corse» aggiunse.
L’edera che si avvolgeva intorno al ferro del chiostro si muoveva appena, spinta dal leggero vento che si era alzato in quella parte sconosciuta del pianeta.
Era così ipnotica, un dondolio che rilassava in quel silenzio che sembrava quasi finto. Così irreale.
«Al bagno della stazione. Ma serio?»
La fissò per un attimo e poi non riuscì a trattenere una risata nel vedere la sua espressione indignata.
«Non è stata colpa mia, lo giuro» e rise ancora. «Deve esserci stato qualche problema.»
«Me ne sono accorta.»

*



Era di nuovo notte.
Ancora l’autunno sopra la sua testa e a sfiorarle la pelle.
Quella sera, però, la realtà aveva colori diversi.
«Grazie» sussurrò.
Nuovi.

Edited by Ania_DarkRed86 - 3/1/2018, 16:00
 
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Ma certo che va bene, Ania! :)
Un lungo viaggio, difficile, nelle proprie emozioni. Nei sogni e nelle paure.
Nel silenzio dell'autunno, in un mondo di colori... nuovi.
Ti ho seguita nel corso del viaggio, in silenzio, quasi senza respirare. Ho riso di cuore davanti al coso ed i suoi versi. Mi sono lasciata trascinare nel vortice di quel primo tratto magico sulla carta e ho spalancato gli occhi nel bagno, allibita. Poi ho spiato in silenzio l'incontro, con i suoi silenzi e i suoi sorrisi. Caffè nero e caldo. Aroma d'autunno inseguendo un sogno... un piccolo passo.


Ti prego, però, me lo dai un titolo così lo inserisco nell'indice?


Edited by Ida59 - 23/12/2017, 20:49
 
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Un racconto talmente delicato e intimo da non riuscire quasi ad accarezzarlo con un commento.
Il viaggio è quello che sopraffà il sogno, anche se è il sogno che ha permesso il viaggio.
Un viaggio lungo e tormentato, ma non importa quanto sia complicato e difficile andare, se all'arrivo c'è chi ti accoglie e ti ama: vale la pena, vale di tutto e di più.
Chi ti conosce, Ania sa leggere tra le righe di quello che hai scritto, ma è una bella avventura, ben scritta e con un filino di umorismo che ti è proprio, come il silenzio: tu e Severus vi somigliate.
Grazie davvero, per avermi emozionata e commossa, rallegrata e abbracciata con le parole.
Brava, Ania... comincia a correre :wub:
 
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Che bel racconto Ania! Divertente, ironico e malinconico allo stesso tempo! :wub:
 
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Il giorno del compleanno di Severus si avvicina: dove è finito il vostro Gufo?


Invito a sorpresa

Prologo (Ellyson)
1 - Sotterraneo, alcuni mesi prima (Ida59)
2 - Un Pezzo di te (Ellyson)
3 - Ritornerò (Chiara53)
4 - Una notte di magia (Ele Snapey)
5 - Sotterraneo, oltre un anno dopo (Ida59)
6 - Un viaggio inaspettato (Ania_DarkRed86)



Edited by chiara53 - 3/1/2018, 16:39
 
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CITAZIONE (Ida59 @ 23/12/2017, 11:11) 
Ma certo che va bene, Ania! :)
Un lungo viaggio, difficile, nelle proprie emozioni. Nei sogni e nelle paure.
Nel silenzio dell'autunno, in un mondo di colori... nuovi.
Ti ho seguita nel corso del viaggio, in silenzio, quasi senza respirare. Ho riso di cuore davanti al coso ed i suoi versi. Mi sono lasciata trascinare nel vortice di quel primo tratto magico sulla carta e ho spalancato gli occhi nel bagno, allibita. Poi ho spiato in silenzio l'incontro, con i suoi silenzi e i suoi sorrisi. Caffè nero e caldo. Aroma d'autunno inseguendo un sogno... un piccolo passo.

:)

CITAZIONE

Ti prego, però, me lo dai un titolo così lo inserisco nell'indice?

Il titolo è "Un viaggio inaspettato"

CITAZIONE (chiara53 @ 23/12/2017, 18:02) 
Un racconto talmente delicato e intimo da non riuscire quasi ad accarezzarlo con un commento.
Il viaggio è quello che sopraffà il sogno, anche se è il sogno che ha permesso il viaggio.
Un viaggio lungo e tormentato, ma non importa quanto sia complicato e difficile andare, se all'arrivo c'è chi ti accoglie e ti ama: vale la pena, vale di tutto e di più.
Chi ti conosce, Ania sa leggere tra le righe di quello che hai scritto, ma è una bella avventura, ben scritta e con un filino di umorismo che ti è proprio, come il silenzio: tu e Severus vi somigliate.
Grazie davvero, per avermi emozionata e commossa, rallegrata e abbracciata con le parole.
Brava, Ania... comincia a correre :wub:

È vero, abbiamo molto in comune, mi manca solo la bacchetta funzionante :lol:
Se corro adesso, tempo 2 metri e muoio :lol: :P :*

CITAZIONE (Arwen68 @ 24/12/2017, 00:13) 
Che bel racconto Ania! Divertente, ironico e malinconico allo stesso tempo! :wub:

Grazie, Manu :*
 
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Considerato che alcuni Gufi hanno incontrato avversità atmosferiche e non sempre le Passaporte hanno funzionato al primo colpo, i capitoli, con il relativo titolo, possono essere inseriti in questa discussione

fino alle ore 22.00 dell'8 gennaio 2018

affinchè la storia sia integrata per il compleanno di Severus!

 
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Eccomi...



Aspetterò






Mi piace sognare ad occhi aperti, sono una inguaribile romantica; ho scoperto che qualche volta la realtà supera di gran lunga la fantasia.
Sono stata ad Hogwarts e ho visto realizzato il mio desiderio più grande: ho incontrato il professor Piton. Severus per gli amici.
Ho scoperto che non solo non era morto, (noi del Calderone lo sapevamo già) ma addirittura aveva accettato di diventare il Preside di Hogwarts.
Quello che è successo e quanto ci siamo detti l’ho raccontato già.
Quello che invece ho conservato come ricordo perenne è il Suo fazzoletto.
Vi ho già detto che sono di lacrima facile, chi mi conosce lo sa e, naturalmente, per l’emozione dell’incontro non ho potuto che versarne un piccolo fiume: così lui me lo ha prestato.
Da quasi un anno, dopo averlo lavato, stirato e accarezzato innumerevoli volte, ho sperato che in qualche modo quel pezzetto di stoffa mi riportasse a Hogwarts, o meglio mi riportasse da lui.

Me lo sono augurato tanto, ma non è accaduto niente e mi sono detta che la mancanza di un fazzoletto, anche se ricamato con le sue iniziali, non era cosa che potesse costringerlo ad accettare di rivedermi con la scusa di restituirglielo.
L’ho riposto in una piccola scatola d’argento, comperata per l’occasione.
Adesso è lì, sul mio comò, dove posso vederla e avere la scusa di aprirla, prima di andare a dormire, per contemplare il fazzoletto e per ricordarmi del momento in cui le sue dita mi hanno sfiorato con gentilezza nel prestarmelo.

Veramente nella scatola ho messo un’altra piccola cosa, non si sa mai, mi sono detta… siamo tanto vicini al suo compleanno, ma non ci speravo più di tanto.

Invece avrei dovuto essere più fiduciosa!
Adesso vi racconto.

Qualche sera fa riflettevo sul fatto che ormai il compleanno di Severus era alle porte; avrei tanto voluto consegnargli il piccolo regalo, augurargli buon compleanno. E così ho preso tra le mani il suo fazzoletto e ho pensato a lui con grande intensità: quanto sarebbe stato bello ridarglielo insieme al mio piccolo dono!
Ebbene, è stato allora che il piccolo oggetto ha scintillato.
Scintille, vere, scintilline argentate, leggere come piccole bolle di sapone: è bastato un istante e mi sono ritrovata in un luogo sconosciuto.
No, non ero a Hogwarts.
Ero al centro di una strada innevata.
La strada era in leggera salita; ai lati, le case avevano il tetto coperto di neve e le vetrine bombate erano illuminate e strane.
Tanta gente affollava la via ed è stato in quel momento che ho capito dove fossi: ero a Hogsmeade.
Il alto, in lontananza, svettava il castello di Hogwarts.
Ho guardato molte volte le immagini del piccolo paese nei film e ne ho letto le descrizione nei libri.
Le casette addossate l’una all’altra sembravano cercare di scaldarsi, mentre io in “comode” ciabatte e felpa casalinga rabbrividivo: in mano tenevo stretto il fazzoletto e la scatola che lo aveva contenuto.

Paura, ho provato tanta paura e tanto freddo, mi sono guardata intorno consapevole di essere in un luogo alieno e incapace di tornare indietro.
La curiosità mi ha spinto ad avvicinarmi ad una delle esposizioni e, per conservare un minimo di calore, sono scivolata a sedere in un angolo dove non c’era neve ammucchiata, chiudendomi a palla: le ginocchia vicino al petto, mi sono appoggiata alla vetrina sbirciandone il contenuto. C’erano piume di ogni forma e colore, boccette d’inchiostro e pergamene.
Sono rimasta così, battendo i denti e chiedendomi se non fosse il caso di entrare, prima di prendere una polmonite.
La neve intanto aveva ricominciato a cadere leggera in soffici fiocchi e se non fossi stata tanto a disagio avrei detto che il paesaggio che mi circondava era da favola.

E’ stato allora che un mantello nero mi ha coperto all’improvviso.
Sono stata colta alla sprovvista ed ho sussultato lanciando uno strillo.
Severus Piton era davanti a me, appena uscito da quel negozio e mi guardava cercando di evitare di ridere.
- Sembra che ti piaccia farti trovare sepolta dalla neve! - ha detto con tono lievemente ironico.
Io mi sono limitata a starnutire tre volte di fila e a stringermi nel suo mantello: era morbido, profumato di spezie, ma soprattutto caldo e Suo.
Mi sono resa conto tutto d’un tratto che il mio desiderio si era avverato e, gelata e tremante, gli ho allungato il suo fazzoletto.
- Eccolo, Professore, - ho sillabato battendo i denti, – glielo ho riportato.
- Da quello che vedo serve più a te che a me. - ha pronunciato, mentre gli occhi si illuminavano di una luce maliziosa.
- Possiamo andare in un posto caldo? - ho chiesto cercando di impietosirlo e mostrandogli le mie pantofole grondanti acqua e neve sciolta.
Credo che quello sia stato un momento topico, perché l’ho visto trattenersi a stento, riprendere con difficoltà l’autocontrollo e cercare di nascondere quello che sarebbe stato uno scoppio di risa.
Dovevo essere un ben misero spettacolo.
Tuttavia, solo in un angolo della mia mente, peraltro del tutto annichilita dalla sua presenza, mi sono ritrovata molto, molto arrabbiata.
- Temo sia colpa tua, Severus, se sono in queste condizioni. Visto che sei un mago e di quelli bravi, potresti aiutarmi, invece di ridere! – ho esclamato con voce un tantino alterata.
- Scusami! - ha sussurrato sorridendo colpevole, poi ha fatto volteggiare la bacchetta una, due, tre volte.
Scarponcini antipioggia, piumino imbottito e guanti sono miracolosamente comparsi a coprirmi e scaldarmi.
Peccato per il mantello - tornato nel frattempo sulle sue spalle - ho pensato, ma così mi sarei potuta godere la sua presenza senza morire di freddo.
- Allora, Chiara: eccoti di nuovo qui! - ha esclamato, mentre si avviava lungo High Street.
- Perché non siamo ad Hogwarts? – che domanda del cavolo, mi son detta, ma ormai l’avevo formulata.
- Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere vedere il villaggio di Hogsmeade, se ne parla molto nei libri, mi pare. Ti ho immaginato curiosa di visitarlo. Il mio fazzoletto ti ha portato esattamente dove mi trovavo io: non ho pensato che avrei perso tanto tempo a scegliere piume nuove… - ha pronunciato sottovoce con aria colpevole.
- Non importa. - ho esalato a quel punto guardandolo sorridere ancora. Poi mi sono messa in marcia accanto a lui che, da vero cavaliere, mi ha offerto il braccio.

Ma vi rendete conto? Ero sottobraccio a Severus Piton: io, proprio io!

Ho cercato di ricordarmi tutte le domande che mi ero ripromessa di fargli, ma nella mia mente c’era solo il vuoto e una felicità incredibile.
Volevo solo stare accanto a lui e godere di quell’attimo.
Niente poteva essere più importante, nessun quesito, nessuna intrigante richiesta.

Mentre ammiravo le vetrine sottobraccio a Severus constatavo sotto le mie dita la morbidezza della stoffa della giacca e potevo sentire i muscoli dell’avambraccio seguire i miei movimenti per aiutarmi a camminare nella neve.
Meraviglioso.
- Vogliamo sederci ai Tre manici di scopa? - ha chiesto invitante.
Attraverso la vetrina potevo vedere il bar di Madama Rosmerta affollato di persone.
- Troppa gente. - ho detto, pensando a voce alta.
Si è girato verso di me con uno sguardo interrogativo.
Temevo di perdermi il momento di condivisione a due che mi aspettavo. Ero incerta e lui ha capito il perché della mia titubanza. Ha scosso il capo ed ha aggiunto
- Non preoccuparti, potremo chiacchierare liberamente lo stesso, vedrai: fidati di me. - ha pronunciato con aria complice.


I Tre manici di scopa è un posto particolare: soppalchi di legno, scale, in fondo alla sala un grande camino. Alcuni tavoli di legno e uno strano lampadario completano l’ambiente: io ero tutta occhi e curiosità, ma ho cercato di fare la disinvolta anche se mi sentivo osservata persino da Severus con la coda dell’occhio.
Rosmerta è amichevole e sorridente, molto gentile: si è informata se fossi un’altra delle amiche Babbane di Severus.
Sono arrossita fino alla punta dei capelli e le ho risposto che sì: ero una Babbana ed ero ospite del Professor Piton.
Lui sorrideva sotto i baffi, ma è rimasto rigorosamente muto, mentre lei se n’è andata dopo aver preso le ordinazioni ridacchiando apertamente.
Ci ha portato una burrobirra calda (per me) e un whisky incendiario per lui.

Intorno a noi con un gesto appena visibile, Severus ha lanciato un Muffliato: chi meglio del suo inventore avrebbe saputo usarlo?
Adesso nessuno avrebbe origliato e potevo stare relativamente tranquilla: mi ero già vergognata a sufficienza.
Stringevo in mano la piccola scatola d’argento che avevo portato con me.
Mi trovavo con Severus Piton nel giorno del suo compleanno e potevo fargli gli auguri di persona: solo il pensiero già mi rendeva nervosa, ansiosa e agitata Oltre Ogni Previsione.

Devo aver trascorso qualche minuto a guardarlo estasiata, osservando ogni ruga che gli segna la fronte e gli angoli degli occhi; la forma delle sue labbra (sottili, ma non troppo); il naso importante, ma perfetto per il suo viso; il volto serio e intento, mentre sorseggiava il suo liquore.
Piton è un esempio di perfetta e inimitabile imperfezione. Che potevo fare? Ho sospirato come la ragazzina sognatrice che sono e che cerco di tenere ben nascosta dentro di me: signora diversamente giovane.
Ero incantata e, ovviamente, Severus se ne deve essere accorto anche se ha continuato a sorseggiare la sua bevanda facendo finta di niente.
Avevo il cuore in gola e ho capito che non era educato continuare a fissarlo, così ho abbassato gli occhi sul mio bicchiere.
Quando, dopo un attimo ho rialzato il viso, i nostri sguardi si sono incrociati: se quello era un sogno non volevo svegliarmi.
- Dunque sei tornata: il fazzoletto ti ha ricondotto qui, come previsto! – ha esclamato riponendolo in tasca. - Sapevo che saresti voluta venire di nuovo nel nostro mondo ed oggi avevo un pomeriggio libero. Mi è parso perfetto, neve a parte. - ha ammiccato con aria complice pronunciando le ultime parole.
Quando sorride gli occhi neri e profondi si illuminano e scintillano: sì, Ida ha ragione - ho pensato – sembrano cristalli, cristalli neri.

Ho preso il coraggio a due mani e, mentre sorseggiava il suo liquore aspettando che mi decidessi a dire qualcosa, ho appoggiato la mia scatola sul tavolo e ho parlato molto velocemente per non dargli modo di ribattere:
- Questa è per te, Severus: buon compleanno! So che a te non piace festeggiare, ma si tratta di una piccola cosa. Perdonami e accettala. – ha sollevato il sopracciglio e ha scosso la testa, ed io ho finalmente ripreso fiato.
- Volete tutti ricordarmi che sto invecchiando! - ha esclamato; poi ha preso l’oggetto che gli porgevo e l’ha osservato con attenzione. Era una scatola di legno di ciliegio guarnita d’argento, ma il vero regalo era nascosto dentro.
- E’ molto bella - ha commentato quasi imbarazzato.
- Guarda cosa contiene. - ho sussurrato.
Poi ho trattenuto il fiato.
L’ha aperta e ha trovato quello che avevo scelto per lui con amore e riconoscenza.
Tuttavia in quel momento, davanti a lui grande, bruno e cupo tutto mi è sembrato così futile tra le sue dita, così poco adatto, così sciocco e infantile…
- Un angelo? - Ha mormorato stupito maneggiando con attenzione il piccolo oggetto di cristallo: mi ha guardata e mi sono sentita letta dentro, fin nell’anima. Una sensazione strana, mai provata.
- Sì, Severus – ho pronunciato abbassando lo sguardo. – un angelo che ti rappresenta.
- Mi rappresenta? Io sono quanto di più diverso da una creatura simile: gli angeli sono puri, candidi, innocenti… - l’ho visto diventare triste e mai avrei voluto che accadesse.
Così l’ho fissato dritto negli occhi che si erano fatti cupi e bui e mi sono spiegata:
- Gli angeli sono creature che proteggono, aiutano e consolano: custodiscono. Chi più di te ha protetto e aiutato tutti senza chiedere né ricevere mai niente in cambio?
Di nuovo ho visto lo stupore dipingersi sul suo volto e allora mi sono fatta coraggio ed ho proseguito.
- Tu hai attraversato l’inferno, Severus, hai purificato il tuo cuore e hai protetto il mondo magico e Babbano: chi meglio di te potrebbe essere uguale ad un angelo di cristallo? Fragile, sì, come lo è ogni creatura umana; frangibile, sì, ma ricco di luce come la tua anima. - ho sospirato ed ho concluso con un filo di voce – Tu non lo sai, ma hai aiutato anche me, quando la notte era più buia: ti ho pensato, ti ho immaginato, perché allora non sapevo che tu esistessi davvero. E’ bastato. Io ho scritto per te un’altra vita, ho cercato di renderti felice: è così che anch’io ho ritrovato la strada per tornare verso la luce e verso la serenità.
- Io ho fatto tutto questo? - ha bisbigliato quasi a disagio.
- Tu lo hai fatto! - ho detto con forza. – hai aiutato con il tuo esempio tante persone che adesso ti vogliono bene: sei apprezzato e amato per quello che sei e che sei stato.
Severus si è rigirato ancora il piccolo angelo tra le dita e la luce che vi si rifletteva si è trasformata in un piccolo arcobaleno iridescente.
- E’ un oggetto bellissimo - ha pronunciato; poi mi ha guardato di nuovo negli occhi – Non ho potuto fare a meno poco fa di leggerti nel cuore: sai qual è la mia specialità, vero?
- Sei un Legilimens - ho sussurrato - il migliore…
Il silenzio si è allargato fino a diventare una bolla di emozioni.
Mi è sfuggita una lacrima insieme ad un sorriso.
Ha sorriso anche lui, ha asciugato con il fazzoletto la mia lacrima e lo ha riposto nella scatola con l’angelo di cristallo; poi ha detto soltanto una parola:
- Grazie!

***

Adesso sono tornata, ma mi sono portata via il suo ricordo, la sua gratitudine e la promessa che di tanto in tanto un gufo porterà una lettera per una Babbana, per me, che con lo stesso mezzo dovrò rispondergli.
- Saremo amici di penna! - mi ha detto nel salutarmi sorridendo.
Aspetterò.
 
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view post Posted on 7/1/2018, 20:46
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Fondi-calderoni

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Allora...
prima cosa chiedo scusa a Severus, perché doveva essere una cosa per il suo compleanno e invece il regalo lo ha fatto lui a me

poi chiedo scusa al concetto di fiction (!) perché in realtà ho finito per scrivere una specie di autoanalisi pubblica

poi poi ...chiedo di nuovo scusa a Severus, perché non solo mi ha fatto il regalo, ma mi ha fatto anche da analista, non pagato per giunta

e infine ringrazio Ida per avermi provocato, qualche settimana fa, stanandomi su questa cosa del gufo, perché alla fine scrivendo questo pezzo ho compreso nuove cose di me e ho congiunto molti aspetti della mia vita che altrimenti sarebbero rimasti pezzi separati e inerti

ecco qui


Long John Silver


My heart's in the Highlands, my heart is not here;

Già trovarsi in Scozia…

My heart's in the Highlands, a-chasing the deer;
Chasing the wild-deer, and following the roe;


E percorrere – ho quasi paura a dirlo...

The birth-place of Valour, the country of Worth;

…I corridoi di Hogwarts…

Wherever I wander, wherever I rove,
The hills of the Highlands for ever I love.


Ma arrivare ed essere ossessionati da un canto popolare scozzese che parla di valore, amore e... cervi: è veramente troppo.

Decisamente c’è qualcosa che non va e non saprei nemmeno da dove cominciare ad analizzare con un minimo di raziocinio la cosa.

Quel gufo – che poi io sono più tipo “contenuto” da nottola di Minerva – e invece di un gufo stiamo parlando, un grande e austero gufo, il mio messaggero inter-mondano che è venuto a pescarmi direttamente dal divano di casa...

E adesso io (non) sono qui. A far risuonare i tacchi degli anfibi sulle lastre di pietra (sì, di Hogwarts ...pare!).

E non sto bene. Anzi sto bene, sto male e soprattutto non so come stare. Pare che il messaggio di invito sia da parte del Preside.

Questo vuoto intorno, questi corridoi immensi e mangiati dall'oscurità...
Benvenute, almeno, le vacanze di Natale che hanno spopolato il luogo, lasciandomi quella solitudine e quella sospensione necessari a non smarrirsi del tutto, a non dovermi “spiegare” a una miriade di giovani maghi e streghe. Gli Omini Vestiti di Bianco, quelli in effetti non avrebbero bisogno di spiegazioni... per gestirmi!

Il mio cuore è nelle Highlands...

Sì, lo è davvero, almeno un pezzo.

E accidenti se il suono, e il silenzio, fanno un luogo. Il rimbombo dei passi, il battito cardiaco, gocce da qualche parte né troppo lontana, né troppo vicina, scricchiolii, qualcosa che fruscia.

Severus Snape.

Il corpo sa cose che la coscienza non sa... Mi accorgo di essere già nei Sotterranei. Nella caverna buia. Lui sta già aspettando probabilmente, ma non posso dirigermi verso il suo studio, mi gira la testa, l’umidità ha un odore antico - e ctonio direi, se non sembrasse strano anche a me l’aggettivo -, mi trapassa le ossa.

La Sala dei Serpeverde mi sembra un buon compromesso per cercare rifugio. Fortuna che tutto è accessibile, che non c’è nessuno e, chissà, gli Elfi stanno approfittando per sistemare un po’ la scuola prima della riapertura.

È come sprofondare in una liquida luce verde... (tabula smaragdina... ) Questo è uno spazio “in levare”, sospeso, ultima estrema soglia tra la pietra del castello e l’ovatta scura del Lago Nero: un luogo che mi avvolge e mi culla. Io non so se incontrerò Severus Snape, ma qui lui è in tutto, nel profumo di ebano e palissandro, nella penombra sfidata da lame di luce cangianti, nella forza inesorabile e discreta dell’acqua, nel suono sordo – compagno costante – dell’onda del lago - potenza controllata. Temo di esserne innamorata. Probabilmente non è una buona notizia per me. Ma potrebbe essere già qualcosa almeno ammetterlo.

La mia attenzione è catturata da una particolare finestra della Sala, più nitida delle altre. Mi avvicino a quella che sembra una parete d’acqua ...no, non è una parete d’acqua, è uno specchio: c’è dentro la stanza, e ci sono io, riflessa. Almeno credo. Somiglio a un fantasma nell’espressione. Giacca tuxedo, t-shirt scura e serigrafata d’ordinanza, e un piccolo scarabeo d’argento che rotola una piccola perla: una spilla (l’Egitto sa di alchimia e magia, e capacità di rinascita: spero che lui l’apprezzi). Sospiro. Guardo di nuovo nello specchio del mio desiderio e il sangue mi si ferma. Lui è dietro di me. E mi sta fissando.

Ed è... uno splendore, non si può dire altro. Immobile e fluido allo stesso tempo. Una potenza magnetica, materiale nella sua concretezza fisica – una “cosa” che riconosco subito come energia magica, anche se è la prima volta che la vivo. È proprio Severus Snape. Alto, quel naso aquilino da antico romano, completamente avvolto nell’eleganza del mantello, nuvola di setoso nero così intenso che quasi diviene blu mentre ondeggia...

«Se non ti volti, se non cambi la tua prospettiva... non potrai mai sapere, se quello che stai guardando è la proiezione di un sogno oppure la verità... »

(la sua voce di cioccolato e rum scuro) (questa è magia antica... ha il potere di richiamarmi immediatamente in ogni fibra e in ogni pensiero all'assoluta presenza paralizzante del qui ed ora).

Ipnosi. Trance. Sento il mio corpo che si volta. I suoi occhi. I suoi occhi sono due luminose, vive, agate nere, e non due tunnel senza fondo.

«Sai perché sei qui».

No, non lo so.

Ma lo comprendo.


Lo so come si sanno improvvisamente quei pensieri muti e non verbalizzati che ci crescono dentro, ci orientano, e ci abitano, da molto tempo prima che li accogliamo scientemente, felicemente sorpresi di queste idee nuove e compiute, ma che in realtà sono già “noi” da tempo.

Non riesco a parlare. Non posso piangere. Non sono nemmeno in grado - se è il caso - di ringraziare per l’invito.

Confido nella sua Legilimanzia esperta. Di sicuro non sento in me alcuna volontà di resistere a suoi eventuali tocchi mentali esplorativi. La sola idea della sua mente che lambisce la mia, io terra e lui acqua, di lui che passa come un’onda gentile, movimento presente/assente sulla concreta, scura, mia “rena interiore” di consapevolezze in maturazione, mi riempie di pace.

Non solo il suo sguardo è luminoso: il volto è disteso, il velo di ironia con cui mi osserva è un’increspatura tesa a mantenere una distanza che, invece di allontanare, alimenta quella differenza che attrae. Le sofferenze, il dolore, le prove enormi della sua vita sono inscritte nelle linee, nei segni del viso, niente è sparito, ma ...acquisito, come se avesse trovato una composizione, una accettazione non passiva, ma deliberata.

Mi sembra di poter immaginare che sia felice. Nel modo in cui potrebbe probabilmente esserlo Severus Snape. E considerato che anche io non riesco a pensare parola più scivolosa di “felicità”.

«Allora sai che sono una figura antica, già sono in te da molto tempo».

Il fatto che il sopracciglio si sia, con questo, alzato alle sue leggendarie vette mi preoccupa un bel po’. Sta chiarendo una verità, e non so se sono disponibile ad ascoltare.

Non da sempre, ma comunque da decenni. Almeno da quando ero una bambina di otto anni. Adesso lo vedo.

Una teoria maschile in trasformazione mi passa come una scia nella memoria.

Mi si spalancano gli occhi per la comprensione. Sono certa che in questo momento anche il mio sguardo brilla. Come riluce Venere portando il mattino.

Severus regala un mezzo sorriso sghembo e timido.

Animus.

«Non sei qui per incontrare me, ma per trovare te».

Ci sono delle esperienze, dei momenti, delle percezioni di intensità tale che è impossibile distinguere al loro interno anche fatti fondamentali come piacere, dolore o stabilire da quale parte di una qualsiasi polarizzazione collocarli. Come quando si è toccati dal gelo del gennaio più definitivo e non si sa più se si sta provando sulla pelle un freddo estremo, o un estremo bruciare.

E comunque. Sbattere le palpebre e deglutire non mi sciolgono il groppo in gola. Non avevo previsto che comprendere mi facesse sentire modalità “first-year”, una ragazzina del primo anno davanti al “no-foolish-wand-waving-in this-class” del Potion Master.

Riesco a riavermi a sufficienza da avere almeno la presenza di porgere a Severus il dono che avevo pensato per lui. Per il suo compleanno, per questa circostanza così unica di incontro. Anche se - adesso che so - questo gesto non ha più molta importanza.

Gli porgo Athenaeum, l’ultimo numero del 1800 in ristampa anastatica, e, ancora una volta, non c’è bisogno che io dica niente. Apre la rivista esattamente al punto degli Inni alla notte di Novalis. Severus emette un divertito suono di smorfia, qualcosa tra un sogghigno, uno sbuffo, una risata mascherata.

(Il fatto che, sì, ci conosciamo in effetti da molto tempo ...non mi impedisce di mettere su un incontrollato viso rosso!)

«Permettimi di ricambiare».

Da una scaffalatura della Sala si muove e fluttua verso di me un ...libro per ragazzi. Babbano, direi, per giunta (e sorrido, ritrovandomi a pensare che l’attuale presidenza Snape sta facendo le cose davvero bene, se certe sorprese si ritrovano nella Sala Comune dei Serpeverde). Eccolo. Mi atterra tra le mani Treasure Island di Stevenson, in una splendida copia, la prima edizione illustrata inglese del 1885, con le immagini del francese Georges Roux.

Ma non è per questa meraviglia libraria che mi scivolano dagli occhi lacrime. E lui lo sa bene.

«Un dono».

La ragazzina di otto anni e la donna di oggi che indossa il tuxedo e gli anfibi come fossero un’armatura si stanno guardando in uno specchio d’acqua, e ogni punto è un inizio e una fine insieme. Ripetizione continua.

«Con un piccolo consiglio da alchimista».

Il libro si apre e una verde frase appare, lettera dopo lettera, vergata come dedica. "L’Opera filosofica non è altro che un processo di soluzione e risolidificazione: si scioglie il corpo e si solidifica lo spirito".

Severus sorride ironico.

E niente va perduto.

La Grande Opera della trasformazione.

Fa male divenire ciò che si è. Nel racconto, tuttavia, il processo si fa più lieve.

Sorrido anche io, e con il dorso della mano mi asciugo le lacrime.

Edited by UnforgivenSweetie - 7/1/2018, 22:27
 
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view post Posted on 7/1/2018, 22:28
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Waaaao! Autoanalisi, cultura e Opera alchemica à gogò!
Ho dovuto più volte cercare conforto da Google (santo Goolge!) e devo ammettere che questa è la più strana "fanfiction" mai letta! Ma, di certo, anche molto intrigante, da rileggere con calma e attenzione per gustarla per bene, sviscerando ogni recondito significato nelle pieghe di uno strano ermetismo.

CITAZIONE (UnforgivenSweetie @ 7/1/2018, 20:46) 
e infine ringrazio Ida per avermi provocato, qualche settimana fa, stanandomi su questa cosa del gufo, perché alla fine scrivendo questo pezzo ho compreso nuove cose di me e ho congiunto molti aspetti della mia vita che altrimenti sarebbero rimasti pezzi separati e inerti

Questo è molto bello, ma, lasciatelo dire, non sei la prima persona che deve a Severus una profonda (ri)scoperta di sè.
Benvenuta nel nutrito gruppo delle... miracolate. ;) :P :lol:


Adesso, però, devi darmi il titolo del brano per inserirlo nell'indice.
 
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view post Posted on 7/1/2018, 22:56
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Ciao Ida!

mi fa piacere che questa cosa, così terribilmente personale che mi è venuta fuori, abbia una sua leggibilità!

sì. mi rendo conto di essere entrata "mani e piedi" nel club di cui parli... ^_^

il titolo è, con buona pace di Severus che con me è stato decisamente clemente: Long John Silver

(è un titolo personale e criptico come la storia, ma chiamarla "Animus", che era l'altra opzione che ho scartato, sarebbe stato un pochino eccessivo :lol: )
 
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view post Posted on 7/1/2018, 23:06
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I ♥ Severus


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Ok, posso comprendere la difficile scelta tra le due opzioni. ;)
 
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