Una notte di Magia
Sono seduta da più di un quarto d’ora sulla panchina gelida del parchetto immerso nel silenzio, vicino a casa mia. Sono le 18:00 del 13 dicembre, e l’unica compagnia che ho è la strana quiete di questa serata invernale così piena di presagi.
E’ una serata abbastanza fredda ma tersa, e io continuo a fissare i rami spogli che si stagliano, neri e contorti, contro il cielo ormai scuro in cui si sta timidamente accendendo qualche stella.
Continuo a contemplare, come ipnotizzata, il loro scintillio, mentre una leggera foschia sta scendendo placidamente ad accarezzare alberi e prati.
Infine torno a guardare la busta che sto rigirando tra le mani da più di un quarto d’ora.
La guardo e il cuore ricomincia a galoppare.
Non è concepibile… non può essere vero… è uno scherzo, tranquilla Elena, qualcuno ti ha fatto uno scherzo mastodontico e veramente ben architettato… sarà di sicuro una candid camera, devi solo scoprire dov’è nascosta…
Eppure il timbro in ceralacca sembra proprio quello originale.
Le mani mi tremano un po’ per il freddo e un po’ perché, più osservo il timbro e la busta su cui spicca una grafia precisa e pulita tracciata con inchiostro verde scuro, più sento svolazzare una miriade di farfalle nello stomaco.
“To miss Ele Snapey…
Davvero curioso come sia stato utilizzato il mio nick.
… Parchetto di via Zendrini, Milano. Italia.”
E infatti è qui che oggi, nel primo pomeriggio, mentre lo attraversavo, me lo sono trovato davanti appollaiato sullo schienale di una delle panchine di legno verniciato di verde. Il gufo, intendo.
Un magnifico, enorme esemplare di gufo reale dal piumaggio grigio chiaro con qualche spruzzata di cenere, che sembrava crogiolarsi soddisfatto al tiepido calore del sole dicembrino, in solenne attesa di qualcosa…. O qualcuno…
Qualcuno che mai avrei immaginato fossi proprio io.
Percorro ogni giorno quel tratto di giardino per andare a lavorare ma, a parte passerotti, merli e cornacchie grigie, non mi era mai capitato di vedere prima di allora un gufo. E poi proprio lì, in un anonimo giardinetto cittadino, e in pieno giorno!
Di botto avevo rallentato l’andatura, scrutando con un misto di apprensione e sorpresa il volatile che pareva ricambiare il mio sguardo. I suoi grandi occhi tondi mi avevano seguito con quella caratteristica espressione attonita e fissa, fino a quando non mi ero sentita costretta a fermarmi di fronte alla panchina.
Avevo lanciato nervosamente qualche occhiata attorno, ma il luogo a quell’ora era deserto.
Dovevo dunque pensare che il gufo stesse aspettando giusto me?
- Uhu uh uhu…
L’animale inaspettatamente aveva emesso un educato borbottio, tendendo (sì, proprio tendendomi) la zampina a cui era legato qualcosa di molto somigliante a una busta color pergamena e, a quel punto, i battiti del mio cuore avevano accelerato in modo esponenziale, senza che ancora ne comprendessi a pieno il motivo.
Turbata mi ero avvicinata di un paio di passi alla panchina da cui il volatile mi osservava con piglio autorevole, e forse ormai anche un po’ compassionevole.
- Ciao, splendore… - avevo mormorato, deglutendo. – E’ per… per me?
A mia volta avevo osato tendere con prudenza la mano verso di lui.
- Uhu uh – Aveva risposto socchiudendo con dolcezza gli occhi enormi, mentre continuava a porgermi la zampetta a cui era legato il plico.
- E’… è per me, quindi… grazie, bellezza!
Certo che se qualche conoscente fosse passato di lì, vedendomi mentre parlavo da sola con un gufo…
Si era lasciato avvicinare e io gli avevo accarezzato il piumaggio morbido, sussurrandogli ancora qualche complimento. Poi avevo slacciato il cordino, ritrovandomi a stringere tra le dita una busta piuttosto spessa.
Mi era bastato leggere l’indirizzo e dare un’occhiata al sigillo in ceralacca rossa perché il respiro si fermasse, assieme al mondo.
- Non è possibile… non è possibile…
Avevo continuato a farfugliare forse una decina di volte, ripetendomelo in modo ossessivo come per convincermi che non stavo sognando; nel frattempo il mio piumato messaggero aveva dispiegato le grandi ali spiccando regalmente il volo, lasciandomi lì, semiparalizzata da una sorta di stupefatta eccitazione, in mezzo al parchetto spoglio.
Mi ero risvegliata da quello stato catatonico qualche attimo dopo, rendendomi conto di essere in grave ritardo sull’orario di lavoro.
Conscia di non avere né il tempo, né la tranquillità necessari per leggere il contenuto della lettera con la dovuta concentrazione, (sebbene una curiosità morbosa avesse preso il sopravvento sullo sbigottimento) avevo cacciato la avevo in borsa, sperando che il pomeriggio trascorresse alla velocità della luce per potermi dedicare a lei più tardi, in completa solitudine.
E ora sono qui, seduta sulla stessa panchina, nello stesso parchetto ora buio ma sempre deserto, a rigirarmi la busta tra le mani, scaldata dalla luce discreta di un piccolo lampione.
L’aria è frizzante, profuma di Natale in arrivo, ed è come se il sigillo in ceralacca recante i simboli delle quattro case di Hogwarts mi stesse sussurrando inebrianti promesse riguardo qualcosa di inaspettato, prodigioso, emozionante, strabiliante.
Ma la ragione mi dice al tempo stesso di non illudermi, che tutto ciò non può essere vero e che sicuramente il plico che stringo in mano è stato confezionato ad arte per giocarmi un tiro colossale.
Apro, o non apro? Al diavolo… Se non apro non saprò nemmeno mai di che scherzo si tratti.
Lacero la busta con una certa agitazione ed estraggo il foglio vergato con la stessa calligrafia precisa che ha tracciato l’indirizzo, e con l’identico inchiostro verde scuro.
Inizialmente vedo tutto un po’ sfocato, tanto non riesco manco a capire in che lingua sia scritto il messaggio.
Inforco gli occhiali e quasi per magia tutto diventa chiaro e comprensivo e, mano a mano che procedo nella lettura del contenuto, il cuore riprende a battere rapidamente.
E’ un invito a recarmi a Hogwarts, anche subito, tramite una passaporta che si trova nella busta stessa.
Frugo al suo interno e le mie dita, infatti, scovano nascosto in un angolo un piccolo oggetto leggermente appuntito.
Lo stringo delicatamente tra i polpastrelli e lo estraggo, osservandolo per qualche istante con aria rapita.
E’ un bellissimo pennino da inchiostro in argento, finemente cesellato.
Se è una burla, il buontempone che l’ha architettato ha fatto comunque un ottimo lavoro.
Continuo a leggere avidamente quanto segue. Arrivo al punto in cui mi si spiega che si tratta di una passaporta di ultima generazione, da attivare tramite formula magica, e mi viene indicato che cosa dovrei fare e pronunciare per renderla funzionante.
La lettera conclude dicendo che Hogwarts sarà onorata di ricevere la mia visita. La visita di una persona che ha dimostrato sempre tanta ammirazione, apprezzamento, considerazione e rispetto nei riguardi del mondo magico e delle persone che lo abitano. Una persona altamente meritevole, alla quale perciò viene offerta la straordinaria occasione di poterlo raggiungere.
Le basterà solo decidere se e quando vorrà realizzare questa incredibile opportunità. L’invito non ha scadenza e Il pennino è l’unico mezzo per poterlo fare.
Non posso crederci, non è possibile…
non può essere vero! Rileggo ancora sbalordita il breve testo, mentre in me si stanno rimescolando una serie di sensazioni che vanno dall’ansia più totale alla felicità più assoluta.
Non so davvero che fare. Ho anche un pizzico di paura. Quel timore reverenziale che mi assale ogni volta che sono vicina a realizzare un desiderio tanto grande quanto agognato.
Mi dico però che, l’unico modo per scoprire se mi si stia prendendo per il culo o meno, è provare ad attivare la passaporta. Quindi… coraggio… facciamo almeno un tentativo.
Decido in via precauzionale di telefonare a mio padre per avvertirlo che rimarrò a dormire da un’amica.
Quindi mi guardo attorno circospetta, sperando che non ci sia davvero qualcuno nascosto nell’oscurità, dietro a un albero, pronto a sghignazzare alla vista di una povera scema che sta parlando a un pennino da inchiostro nella speranza che si attivi e la “teletrasporti” da Milano a Hogwarts.
Stringo forte il piccolo oggetto tra le dita e pronuncio a mezza voce la formula, con i battiti del cuore ormai fuori controllo.
E, siccome io per prima non ci credo fino in fondo, lo strattone inaspettato che mi risucchia in una specie di gorgo improvviso, violento e vorticoso mi coglie di sorpresa, strappandomi un grido terrorizzato.
Infine, dopo qualche secondo di panico, arriva l’atterraggio non proprio confortevole…
****
L’impatto con il suolo è repentino. E’ come se fossi precipitata dall’altezza di un paio di metri su un terreno che però, per fortuna, è abbastanza morbido.
Cerco di mettere avanti le mani per attutire la caduta, ma capitombolo lo stesso e rotolo qualche metro lungo un lieve pendio.
Infine mi fermo e, con fatica dolorante, provo a mettermi seduta.
- Ohi, ohi… che botta…
Tasto la superficie attorno a me e scopro di avere il sedere appoggiato su un tappeto di erba soffice e umida.
Intorno regna la stessa oscurità che ho lasciato nel parchetto, ma ciò non mi provoca alcuno sgomento o paura perché qua e là baluginano chiazze di neve il cui candore rischiara leggermente quello che mi circonda, quindi riesco a distinguere le sagome di grossi tronchi d’albero e macchie cespugliose.
E poi l’aria, anche se il freddo è molto pungente, sa di buono. Sembra quasi di sentire fragranza di caramello misto a profumo di more e lamponi.
Alzo lo sguardo e intravedo ancora lo stesso bellissimo cielo scuro e terso, punteggiato di stelle, tra gli stessi rami neri e spogli. Ma, che diamine… Sono ancora al punto di partenza?
Il silenzio quasi sacrale è rotto all’improvviso dal richiamo lontano di una civetta e, a quel punto, decido di alzarmi con cautela, spazzolando i jeans e la giacca a vento dal terriccio.
Poi alzo ancora gli occhi alle cime degli alberi e al cielo che (adesso me ne rendo conto) è molto più stellato di quello che ho lasciato.
Una volta celeste che sembra incantata brilla meravigliosamente attraverso le fronde spoglie, e io sento all’improvviso un brivido attraversarmi la pelle, perché finalmente ho capito.
Ma certo… questo non è più il parchetto di via Zendrini… Questo è Il Parco…
Sono nel parco del Castello!Avverto un improvviso vuoto allo stomaco e mi costringo a ruotare lentamente su me stessa.
Vedendo ciò che è alle mie spalle, la mia bocca si spalanca in automatico mentre un altro brivido, ancora più intenso, mi rizza ogni pelo presente sull’epidermide.
Eccolo lì… imponente, magnifico, grandioso, spettacolare, magico, luminoso.
Era semplicemente alle mie spalle, i miei occhi non lo avevano ancora visto ma c’è… Eccome se c’è il Castello!
– Se è un sogno nessuno osi svegliarmi, o lo ucciderò… – mormoro, estasiata, sentendomi esplodere per l’eccitazione.
E’ esattamente come l’avevo sempre immaginato e descritto nei miei racconti. Esattamente così.
Provo a darmi il classico pizzicotto sulla guancia, convinta di ritrovarmi di botto nel mio lett; ma il Castello rimane lì, reale e concreto, con le sue torri e i suoi pinnacoli svettanti verso il cielo, pieno di finestre illuminate che rischiarano la notte e si riflettono come tante lanternine sulla placida superficie nera del lago… Sì, proprio il Lago Nero, quello del Torneo Tremaghi e della Piovra Gigante!
Esiste sul serio e io sono veramente qui a contemplarlo, inebriata, come fosse un miraggio. Ma non è un miraggio! Via via che i secondi passano sono sempre un po’ più consapevole del fatto di aver ricevuto l’opportunità pazzesca di vivere qualcosa che non potrò nemmeno raccontare, perché nessuno mi crederebbe.
Avverto ad un tratto, impellente, il bisogno di esternare tutta l’entusiasmo e la gioia che sto provando e, lanciandomi giù a rotta di collo per il sentierino che conduce verso l’edificio, mi metto a urlare come una pazza dimentica del fatto che potrei inciampare e schiantarmi ad ogni passo. In ogni caso non mi sorge il benché minimo il sospetto che con le mie urla potrei star profanando la magnifica quiete di questo luogo magico.
- Salve, Hogwaaaaarts! Sono quiiiii! Sono quiiiiii! Iooo Sonoooo qu…
- Non avrei mai immaginato che da un corpo così minuscolo potesse fuoriuscire tanto frastuono, e oltretutto così considerevolmente fastidioso…
Mi blocco immediatamente all’udire quelle parole scaturite dal buio, che provengono da poco più in basso rispetto a dove mi sono paralizzata.
- Chi… chi è là… - La voce mi esce spezzata, un po’ per lo spavento e un po’ per il fiatone.
Un’ombra longilinea esce dall’oscurità degli alberi, e si avvicina con passo lento e misurato.
Indossa un lungo mantello, lo vedo sventolare impercettibilmente, ed è nero dalla testa ai piedi.
Invece di rispondere alla mia richiesta di identificazione, prosegue in tono basso e carico di sottile ironia.
- La sua voce è inversamente proporzionale alla sua statura, a quanto vedo…
A quel punto mi ha quasi raggiunto, ma io non ho più bisogno di distinguere la sua fisionomia perché, ancor prima di poterlo guardare in faccia so chi è, e il cuore fa un doppio carpiato mozzandomi il respiro.
I pensieri mi si affastellano confusamente in testa…
“Non è concepibile… non può esistere… è già un incredibile prodigio che io sia qui. E’ perciò assai improbabile che a tutto ciò possa seguire un altro miracolo… “Lui è morto, purtroppo, avevo dovuto prenderne atto e rassegnarmi con il cuore a pezzi anni fa.
Di conseguenza, anche dopo aver ricevuto l’invito da Hogwarts, e fino a quell’istante, non mi ero costruita alcuna illusione sul fatto che avrei perfino potuto incontrarlo: in nessun modo sarebbe stato realizzabile un desiderio di quella portata, semplicemente perché Lui non c’era più!
E invece… Invece è proprio davanti a me, reale ed effettivo come il castello con le sue mille torri, stupefacente e bello come un’apparizione insperata ma tanto vagheggiata e, proprio per questo, tanto sconvolgente.
Alto, magro, paludato in una pesante cappa nera, con il volto scarno appena allungato e segnato da alcune rughe collocate sul volto al posto giusto che gli conferiscono una piacevole aria vissuta.
Ha un naso importante, i capelli corvini e lucidi che non arrivano nemmeno a lambire le spalle e occhi terribilmente espressivi, profondi e neri come la notte che ci circonda, sotto il tiro dei quali mi sento ancora di più piccola.
So di avere la bocca spalancata da qualche secondo ma il cervello in cortocircuito non riesce a far partire l’input per il comando di chiusura.
Lo fisso con aria che gli deve sembrare decisamente ridicola, perché vedo aleggiare sul suo viso un’espressione divertita e un angolo della bocca elegante e sottile si piega in su.
Il sorriso obliquo! Mi ha appena dedicato il suo famoso sorriso obliquo, e io lo sto vedendo veramente, con questi stessi occhi!
E’ troppo. Sento le gambe cedere e un lieve senso di vertigine.
– Miss Ele Snapey, suppongo?
La sua voce è controllata e suadente e, nonostante il marasma del mio cervello in pappa, mi viene da considerare a come io l’abbia sempre immaginata profonda e setosa come quella di Alan Rickman; così come, nella mia fantasia malata di fanwriter, gli ho sempre attribuito le sembianze imponenti e la presenza carismatica dell’attore che lo impersonava sul grande schermo.
Ma anche se l’uomo che ho davanti ovviamente non è Alan, trovo che sia ugualmente perfetto anche così com’è.
- Adesso può anche chiudere la bocca. – aggiunge, con lo stesso accento composto e divertito.
- Sì… certo… io… io sono… sono io…. ma lei non… non è possibile… lei non può essere… cioè… volevo dire… come… - cerco di blaterare qualcosa, farfuglio, incespico nelle parole, in testa ho tabula rasa e non riesco a formulare una risposta connessa ma soprattutto a spiegarmi il perché io lo capisca perfettamente, nonostante stia di certo parlando inglese.
Lui allora mi viene in soccorso, scoccandomi un’occhiata sorniona.
– Non si preoccupi, comprendo perfettamente il suo stato, ho già avuto il piacere di conoscere alcune sue consimili prima di questa notte, perciò ero già preparato ad affrontare… diciamo così… la sua reazione…
Annuisco a scatti, imbarazzata, cercando di ritrovare una parvenza di lucidità ma invano.
– Sì, sono Severus Piton… o Severus Snape, come preferisce. E no, non sono morto come può ben vedere. Inoltre lei mi può perfettamente comprendere perché si trova a Hogwarts, in un mondo dove la Magia rende tutto possibile… - dichiara con una sobria solennità, mantenendo però sempre quell’incredibile sorrisetto appena accennato sulla bocca, mentre con il suo sguardo profondo scandaglia il mio.
– I libri della Rowling hanno riportato verità parziali, anche molto romanzate. Johanna si è divertita parecchio a lavorare di fantasia, specialmente per quanto riguarda la mia fine che in realtà non si è mai verificata, come invece ha raccontato nell’ultimo libro. Anche se devo ammettere che, per ciò che riguarda il mio personaggio letterario, prima della sua morte, quanto raccontato nei libri è accaduto veramente e quasi per intero.
- Cioè, vuol dire che tutto quanto ha fatto, dalla spia per l’Ordine, al doppiogioco con Voldemort, all’uccisione di Silente, corrisponde a verità?
- Sì, praticamente… - mi risponde, brusco, mentre sul volto passa un’ombra che gli spegne il sorriso. Immediatamente mi do dell’imbecille, accorgendomi troppo tardi di aver tirato in ballo, fra le tante cose che avrei potuto andare a pescare, una delle cose peggiori: la morte di Albus.
– Mi scusi… scusi… non volevo… - Cerco goffamente di rimediare alla gaffe, ma lui raddrizza le spalle superando l’attimo di tristezza e torna a guardarmi dall’alto in basso con aria più distesa, anche se sempre molto seria.
- Non deve scusarsi. Ormai è accaduto, e non è più possibile porre rimedio a quanto sono stato costretto a fare, come ben saprà. Ho commesso azioni spaventose di cui porto ancora adesso il peso. Spesso sono stato obbligato a prendere decisioni terribili, a volte anche nel giro di poche ore o addirittura di pochi minuti. Ho dovuto far fronte a momenti che non augurerei nemmeno al mio peggior nemico, obbligato a obbedire a ordini impensabili e a sopportare la gravità di pesanti responsabilità da solo... Ho dovuto agire, pensare ed eseguire le mie scelte
sempre e comunque da solo…Si interrompe lasciando vagare per un attimo lo sguardo carico di malinconia sulla distesa dei prati ghiacciati e sugli alberi spogli, silenziosi e rispettosi spettatori del suo tanto dignitoso quanto giustificabilissimo breve sfogo.
Ho gli occhi lucidi mentre pendo dalle sue labbra e mi limito ad aspettare, con il cuore a mille, che prosegua con quella sua voce bassa e ancora giovane caratterizzata però un’inflessione matura e un po’ amara, anche se vorrei buttarmi in avanti ad abbracciarlo stretto.
So tuttavia che lui odierebbe quel contatto spontaneo, affettuoso, ma comunque invadente.
Quindi mi trattengo, rendendomi conto di come ogni sua parola sia oro, e avere il privilegio di ascoltarlo un regalo talmente immenso da andare oltre il desiderio di poterlo
toccare. – Ma nonostante tutto… – riprende, dopo la piccola pausa di riflessione, tornando a guardarmi.
– Nonostante tutto lo rifarei. Rifarei ogni cosa, pur sapendo di andare incontro a grandi sofferenze e rinunce. Ripercorrerei comunque quello stesso cammino che ha portato a una straordinaria vittoria… avvenuta, forse davvero, anche un po’ per merito mio.
Nella voce distinguo una nota pacata di orgoglio, mentre negli occhi corvini brilla un lampo di certezza.
E io, a quel punto, non posso fare a meno di contemplarlo come fosse un dio splendente di luce, consapevole e fiera una volta di più del suo infinito coraggio.
– Lei è stato veramente un… un eroe… e non è stato
solo un po’ per merito suo, se Harry è riuscito a sconfiggere Voldemort, alla fine… Lei ha giocato un ruolo fondamentale nella sconfitta di Voldemort. - riesco a ritrovare a stento un filo di voce, ed è evidente come dal mio sguardo trapeli l’ammirazione profonda che sto provando, perché mi rivolge ancora un altro sorriso misurato, ma riconoscente. Scuote appena il capo e si lascia sfuggire un impercettibile sospiro.
– Non sono un eroe, né una brava persona, glielo assicuro. Altrimenti non mi sarei lasciato persuadere a commettere l’errore più grande della mia vita, ciò che mi ha indotto a compiere le azioni più orribili e mi ha condannato a veder morire le persone che ho amato.
– Come errore intende scegliere di entrare a far parte della schiera dei Mangiamorte?
Annuisce, con dolente lentezza, assorto nei suoi pensieri e mi si stringe il cuore.
Avrei di nuovo una folle voglia di afferrargli le mani, di accarezzarlo e di sussurrargli buone parole per tentare di consolarlo. Ma mi limito ragionevolmente a prendere un lungo respiro, cercando parole che possano dare un senso alla sua amarezza.
– Se non avesse fatto quell’errore, però… non ci sarebbe stato tutto il resto e… e non ci sarebbe stato il Severus Piton che, grazie a quella scelta, è diventato l’uomo eccezionale, forte del suo valore e del suo coraggio che conosco, e che ha sfidato, combattuto e contribuito a sconfiggere Voldemort anche a costo della vita. Il Severus Piton che ha conquistato l’ammirazione, il rispetto e l’amore di tantissima gente non sarebbe esistito… un vero, gigantesco peccato!
Lui mi osserva, con un pizzico di sorpresa, sollevando il sopracciglio in una delle sue tipiche espressioni e, così facendo, assesta un’altra legnata alla mia ragione già abbastanza compromessa.
Poi, senza aggiungere nulla, muove qualche passo verso di me.
Il mio cuore perde qualche colpo. Ora mi è proprio di fronte, posso vedere perfino le pupille leggermente più scure all’interno delle iridi color carbone.
Allunga la mano e, mentre io non oso neanche respirare, appoggia le dita sulla mia fronte.
- Chiuda gli occhi… - sussurra, quasi con dolcezza.
Obbedisco, serrandoli di scatto, e sento la leggera, calda pressione delle sue dita questa volta sulle palpebre. Sono convinta che, quando le avrò sollevate di nuovo, mi ritroverò rannicchiata nel mio letto e scoprirò che è davvero stato tutto un sogno.
E invece, dopo che lui mi ha invitato a guardarlo di nuovo, scopro di essere ancora nel parco di Hogwarts e lui è sempre lì, davanti a me, solo che…
- Ooohssssanto… cieeeeelo…. - balbetto, spalancando gli occhi.
Porto le mani al volto, incapace di credere al nuovo prodigio che si è palesato ai miei occhi e sento un maledetto nodo stringermi forte la gola.
Davanti a me c’è sempre Severus Piton, solo che adesso ha davvero le magnifiche fattezze di Alan Rickman, e indossa l’elegante mantello che gli ho sempre visto portare nei film e la mitica casacca straripante di bottoncini!
- Non è possibile… - mormoro senza fiato, sopraffatta dalla commozione, mentre le lacrime che ho trattenuto a fatica fino a quel momento iniziano a scendere inesorabilmente lungo le mie guance arrossate dal freddo.
- Grazie per quello che mi ha appena fatto presente, e che io non ho mai imparato a considerare abbastanza… - mi dice, con la stessa voce profonda e setosa dell’attore. Il che mi provoca un’ulteriore crisi di pianto che mi impedisce di replicare.
Vederlo esattamente così, a un passo da me, come l’ho sempre immaginato, sognato, desiderato e descritto in un sacco di storie – ennesimo, stupefacente regalo che mi viene fatto in questa notte portentosa - mi sta dando un’emozione smisurata. Anche se allo stesso tempo mi secca molto di aver sbracato così davanti a lui.
Ancora una volta il professore interviene a cavarmi dall’impiccio.
– Questa è Magia, miss Snapey, e io so che è da quando l’ho incontrata che desidera quello che stanno vedendo ora i suoi occhi. Se però avessi immaginato di farla stare così male non mi sarei mai permesso di…
- Oh, no, non si deve affatto giustificare. Il problema è solo mio e della mia esagerata emotività, mi scusi.
Mi ha letto dentro, sin dal primo istante in cui ha guardato dritto nelle mie pupille, certo… che idiota che sono, come ho potuto sottovalutare una cosa del genere? Ma lui non poteva certo sapere come anche Alan non ci fosse più, e spiegargli ora una cosa del genere probabilmente lo mortificherebbe.
– E’ solo un’illusione, ma voglio che in questa particolare notte in cui le farò da guida all’interno del castello lei la viva come una realtà. E’ ciò che ha sempre sognato e mai realizzato… Mi permetta, in questo modo, di dimostrarle riconoscenza per la dedizione, la fiducia e il rispetto che ha sempre avuto nei miei confronti in tutti questi anni.
- Io invece le chiedo ancora scusa… perché non riesco a trovare parole adatte per ringraziarla di questo regalo dal valore incalcolabile… mi sento così stupida. - singhiozzo, cercando di ricompormi e di un fazzoletto di carta nella tasca della giacca a vento. Mi porge gentilmente il suo e, mentre lo guardo oltre il velo acquoso delle lacrime, con enorme gratitudine, mi sento riscaldare da una sensazione di grande pace e di completezza.
- Non deve sentirsi così. So quello che prova… – mi rassicura. – E non se ne deve vergognare. Le sue lacrime sono il ringraziamento più bello e sincero per me. Una testimonianza d’amore incrollabile che mi lusinga, mi rasserena e mi fa sentire più sicuro di non aver buttato proprio un’intera esistenza alle ortiche.
Quindi cambia espressione si avvolge nel mantello e, indicando il sentiero, decreta.
- Ora, se permette, direi che di freddo ne abbiamo preso abbastanza. Meglio se ci avviamo verso il castello dove troveremo ad attenderci della buona cioccolata calda. Poi questa notte la accompagnerò a fare un lungo giro della struttura. Sappia inoltre che risponderò a ogni domanda vorrà farmi e a qualsiasi curiosità vorrà soddisfare. Che ne dice, il programma la soddisfa?
Approvo vigorosamente, ancora troppo incredula per riuscire a replicare: sto parlando con il bellissimo Severus Piton dei miei voli pindarici più alti, e davanti a me ho la prospettiva di passare un’intera notte in sua compagnia. Ma nemmeno nei miei sogni più arditi è mai stato tutto così perfetto!
Si avvia per il sentiero fiancheggiato dagli alberi e io lo seguo cercando con lo sguardo di non perdere una sola virgola di lui, dallo sventolio del mantello al suo passo lungo e morbido, dal modo compassato ma educato con cui si rivolge a me, alle sue movenze misurate ed eleganti.
Ha le gambe lunghe e cammina veloce e io, per colpa delle mie zampette corte, fatico a stargli dietro.
Se ne accorge quasi subito, perciò ad un tratto si volta apostrofandomi con il solito accento un po’ beffardo che fa così deliziosamente parte della sua natura.
– Problemi, miss Ele Snapey?
– Sì… ehm… cioè, ho solo qualche problemino a seguirla… - rispondo, sbuffando come un mantice.
- Rallenterò, a patto che mi tolga una curiosità. – propone, sfidandomi con un’occhiata pungente. Siamo quasi giunti al portone d’entrata, dopo aver oltrepassato il Ponte Sospeso, e io che non ho smesso di guardarmi attorno incantata, torno a fissarlo con aria un po’ interdetta dalla richiesta.
- Come le è saltato in mente di modificare il mio nome in quel modo ridicolo, per usarlo come nick name?
Arrossisco, imbarazzata, e sulle prime non so che cosa dire. Poi decido di fare la cosa più ovvia: dire la verità.
- Oh, beh… ecco… mi sono permessa di farlo per affetto, insomma, per renderlo un po’… ehm… un po’ più puccioso…
-
Puccioso?! - Eccolo il sopracciglio destro che scatta ancora in su, mentre mi affetta con uno sguardo affilato.
Io, sempre più nel pallone, mi ritrovo tra me e me a solidarizzare con Neville Paciock.
Infine decido di andare temerariamente fino in fondo, anche perché sul suo volto è riapparsa una scintilla divertita.
- Esatto, puccioso… Ero alla ricerca di un nick che comprendesse il suo nome e, nel contempo, esprimesse lo smisurato affetto che avevo per lei… cioè… per il personaggio di Severus Snape. Et voilà, ecco saltar fuori l’idea di associarlo a qualcosa di morbido e tenero come Winnie the Pooh, un orsetto dolcissimo che nel mio mondo è un personaggio della letteratura babbana adorato dai bambini, all’opposto rispetto a quanto la Rowling scriveva di lei… duro, cinico, freddo, severo e terrorizzante…
Mi fermo e lo guardo, un po’ in soggezione. Ma lui sta ascoltando con estremo interesse e mi fa cenno di proseguire.
- E da qui è nato il diminutivo… ehm… Snapey the Pooh, di conseguenza Ele Snapey… ecco, è tutto… Ho chiamato così anche il mio gatto… - concludo velocemente, sbirciandolo di sottecchi.
- Ah… Winnie the Pooh e… il suo gatto… Notevole. – commenta, scandendo le parole; poi arriccia le labbra e mi scocca l’occhiata che si darebbe a qualcosa di appicicaticcio.
Quindi mi volta di nuovo le spalle e riprende a camminare ma io, anche se non vedo la sua espressione, capisco che se la sta ridacchiando sotto i baffi perché, quando mi parla di nuovo, lo percepisco dal tono.
– E’ inutile che le precisi che non tutto ciò che la Rowling ha scritto su di me sia attendibile, vero?
- Certo, professore, lo immagino perfettamente…
Si volta ancora per un attimo e, per qualche istante, i nostri sguardi si incrociano, complici.
Così, mentre oltrepassiamo il grande portone d’ingresso della scuola, io ho ancora un sorriso largo da un orecchio all’altro stampato sulla faccia.
Da quel momento entro a far parte, per una notte, del mondo magico di Hogwarts.
Dopo avermi condotto nelle cucine, dove un paio di Elfi solerti ci servono svelti due cioccolate mai assaggiate così buone, inizia a mostrarmi gli ambienti cominciando proprio da lì.
Successivamente andiamo in Sala Grande e lì io mi perdo nell’ammirazione dei tavoli riservati alle Case, dello scranno del Preside, delle clessidre delle Case situate alle spalle del tavolo dei professori e del soffitto a volta celeste punteggiato di stelle.
Io lo tempesto di domande e lui, molto pazientemente, soddisfa ogni mia curiosità.
Poi mi guida per i corridoi intiepiditi dai tizzoni ancora ardenti dei bracieri, sulle cui pareti riposano i quadri animati. Un sottile russare di sottofondo, proveniente dalle cornici, ci accompagna durante il percorso fino a giungere nel cortile di Trasfigurazione, enorme e calato in un silenzio assoluto e incantato.
Hogwarts è addormentata e, al momento - a parte gli Elfi di turno in cucina - ci è capitato di incrociare solo un paio di fantasmi sofferenti di insonnia. Ma il fascino del castello è incredibilmente amplificato proprio dalla pace notturna in cui si trova immerso, e pazienza se non riuscirò a fare la conoscenza di altri personaggi amati.
Alzo gli occhi e osservo estasiata il cielo della Scozia limpido, nero, gremito di punti luminosi.
Lui mi fa notare come anche quello del mondo magico sia lo stesso cielo del mondo babbano, e si possano scorgere a occhio nudo la Via Lattea, i Carri Maggiore e Minore e le varie costellazioni.
Me le indica, spiegandomi il significato di molte di loro; io intanto lo osservo in continuazione, rapita, cercando di non perdermi nemmeno una frazione di secondo di lui, beandomi del suono pacato e profondo della sua voce.
Accidenti, sto guardando le stelle con il professor Severus Piton!
Gente, se mi vedeste: sto guardando le stelle con lui anche se non riesco ancora a rendermene pienamente conto, mannaggia a me, perché ciò che mi sta capitando è tanta, troppa roba tutta insieme!
Ma non c’è tempo per rifletterci sopra, perché lui deve farmi vedere ancora un sacco di cose.
Raggiungiamo le varie aule, i cortili, perfino un paio di stupende Sale Comuni deserte perché gli studenti, ovviamente, sono ancora tutti a sognare sotto le coperte dei loro letti nei dormitori.
Infine, mi annuncia che visiteremo finalmente il Sotterraneo del castello.
E siccome a quel punto sono perfino riuscita a convincerlo a passare al tu e a non apostrofarmi più con quel ridicolo titolo di miss, prima che iniziamo a scendere la lunga scala che si tuffa nelle profondità del castello, afferro il coraggio a due mani e gli chiedo di prestarmi ancora un po’ di attenzione, perché gli devo dire una cosa che reputo importante.
– Voglio che tu sappia che ho immaginato di scendere là sotto miliardi di volte. – oso confessargli.
- Ah sì? – replica, socchiudendo le palpebre e il suo sguardo diventa pungente e sottile.
- L’ho fantasticato non sai quanto, e ci ho scritto un sacco di storie ambientate in questo stesso Sotterraneo. Ho scritto tante fanfiction – sai, è così che si chiamano nel mio mondo le storie dedicate a te - in cui ho raccontato come alla fine il tuo coraggio, la tua forza e il tuo eroismo abbiano permesso di superare ogni ostacolo perchè al termine della guerra magica che era stata vinta soprattutto grazie a te, ti fossero riconosciuti i meriti che ti spettavano e…
- Lo so. So tutto, Elena… – mi interrompe, guardandomi con assorta dolcezza. – E forse le tue… fanfiction, così come quelle di numerose altre persone, non si sono mai discostate molto da ciò che è accaduto realmente. Alla fine della guerra, però, io ero così stanco di tutto che chiesi a Johanna, alla quale avevo già dato il mio consenso per l’uso dei fatti riguardanti la mia persona, di far comunque morire il professor Piton al termine della saga. Avevo bisogno di andarmene in qualche modo, sentivo la necessità di seppellire realmente il vecchio Severus, l’uomo che aveva sbagliato troppo, sulla cui coscienza gravavano troppe colpe e che non riusciva a liberarsi dai rimorsi. Avevo bisogno che nessuno mi cercasse più… Mi occorreva scomparire, dal momento che il destino non me lo aveva concesso, condannandomi a sopravvivere alle persone che più avevo amato e della cui morte ero stato responsabile.
Stavolta non riesco a trattenermi. Anche se so come lui detesti essere toccato seguo il mio istinto.
Così chiudo gli occhi e lo abbraccio, di sorpresa, sfidando la sorte, pronta a sentirlo gridare e a divincolarsi inorridito.
Infatti inizialmente lo sento irrigidirsi. Poi però si rilassa e si lascia coccolare per qualche istante.
Mi stacco quasi subito da lui, evitando di approfittarne troppo, e torno a guardarlo negli occhi.
Li abbiamo entrambi lucidi.
– Sono così felice di averti potuto conoscere. Felice e onorata di aver conosciuto l’uomo straordinario, unico, speciale che sei. – mi limito a dirgli, perché so che tanto lui può leggere direttamente nella mia testa il bene enorme e sincero che gli voglio, perciò non c’è davvero bisogno di aggiungere altro.
Lui si limita a regalarmi uno dei suoi brevi, favolosi sorrisi obliqui. Poi si riscuote subito, perché è chiaro come a Severus Snape non piacciano troppo le smancerie, anche se so che il calore del mio abbraccio gli ha fatto piacere, e inizia a scendere i gradini con me prontamente alle calcagna.
I Sotterranei sono misteriosi, affascinanti, emozionanti. E’ un intrico freddo e umido di gallerie rischiarate dalle torce, su cui si aprono porte, porticine e anfratti, e da cui partono altre scale segrete.
Sono il suo regno e li adoro, mi piacciono, anche se penso a come non riuscirei mai a vivere per troppo tempo là sotto, nonostante tutto l’amore che provo per lui.
Dopo averli percorsi in lungo e in largo, e dopo aver visitato ovviamente anche l’aula di Pozioni e il suo ufficio, ritorniamo in superficie.
Mi porta sulla Torre di Astronomia, il punto più alto, quello da cui si può guardare anche oltre l’orizzonte e la vista di cui si gode è mozzafiato.
Da lì vediamo il chiarore dell’alba che si sta annunciando dietro i profili scuri dei rilievi delle Highlands.
Capisco che ormai la notte è passata, e la mia splendida avventura sta volgendo al termine.
Già mi sento assalire da una fitta di nostalgia. L'idea di dovermi separare da lui mi provoca ancora un grosso nodo alla gola, anche se so che il ricordo di questa notte di Magia rimarrà indelebile per molto, ma molto tempo ancora.
– E’ arrivato il momento di salutarci, Elena. – afferma quietamente, guardando verso il sorgere del sole.
– Hai con te il pennino d’argento che ti riporterà a casa?
Oh cacchio, il pennino! Un’ondata di panico mi assale… dove l’ho messo? Inizio a frugare frenetica nelle tasche della giacca e dei pantaloni senza trovarlo, e gli lancio un’occhiata comicamente disperata.
Lui mi osserva per un po’, quindi, ostentando un’esagerata espressione di rassegnazione, me ne porge un altro.
– Cerca di non perderlo, e di non dimenticare la formula per la sua attivazione. - mi raccomanda.
– Che cosa significa? – domando, sentendo un barlume di speranza riaccendersi in me.
– Che potrebbe tornarti ancora utile…
Annuisco, e lo stomaco si chiude di nuovo per l’emozione, mentre una sensazione di straordinaria leggerezza mi avvolge scacciando all’istante ogni malinconia; quindi abbraccio con una lunghissima occhiata il panorama infinito che si sta tingendo dei caldi colori di un nuovo mattino.
Stringendo la minuscola passaporta d’argento tra le dita, lo guardo con occhi raggianti di gioia e di infinita riconoscenza.
– Addio, Severus, e grazie di tutto. E’ stata la notte più importante della mia vita. Una notte straordinaria che non dimenticherò mai. Così come tu non devi mai dimenticare che, oltre quell’orizzonte, c’è e ci sarà sempre chi ti vuol bene da morire.
Gli rivolgo ancora un sorriso grato, poi, le ultime cose che percepisco subito dopo aver pronunciato la formula magica - e prima che il solito strappo mi porti via - sono il suo sguardo che brilla come nero cristallo raro e le sue ultime, preziose parole.
- Non addio, Elena… ma arrivederci…
***
L’atterraggio è come al solito molto brusco e riporta alla dura realtà.
Dopo un paio di rimbalzi sul suolo erboso rimango seduta per qualche istante a massaggiarmi il povero posteriore dolorante e a guardarmi attorno, frastornata.
Una bruma gelida sfiora il prato del parchetto da cui ero partita, fortunatamente a quell’ora ancora deserto.
Guardo i rami spogli che si stagliano contro un cielo grigio di foschia, rischiarato dalla debole luce del primo mattino, e torno indietro con la mente per concedermi ancora qualche secondo in cui assaporare il ricordo vivo e palpitante di quanto ho appena vissuto.
Mi rialzo infreddolita per raggiungere il tepore di casa mia. Ma, colta da un improvviso, tremendo pensiero, inizio a frugare ansiosamente in tutte le tasche.
– Il pennino… porca di quella… dov’è il pennino…
Infine, quando la disperazione sembra avere il sopravvento, un piccolo luccichio fra i fili d’erba attira la mia attenzione.
Lo raccolgo, tirando un sospiro di sollievo. Eccolo, il mio pennino d’argento di inestimabile valore, la mia preziosissima passaporta per la felicità.
Lo ripongo accuratamente nella tasca della giacca a vento e, con il cuore traboccante di certezze, mi avvio lentamente verso casa.
Edited by Ele Snapey - 4/1/2017, 22:35