Il Calderone di Severus

Invito a sorpresa

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view post Posted on 6/1/2021, 18:05
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Pozionista abile

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Cavolo, Barbara, perchè riesci sempre a farmi commuovere? :sob:
La bellezza di ogni racconto contenuto in questa discussione è che rivela un po' della natura di ognuna di noi, attraverso la descrizione dell'approccio con lui e le emozioni che ne scaturiscono. E qui di emozione ce n'è da vendere.

Il tuo racconto è dolcissimo, ma non smielato, ricco di fantasia ma anche abbastanza realistico (perchè è molto probabile che, fosse possibile incontrarlo davvero, il prof si comporti esattamente così come hai raccontato tu :lol: ) e rivela la tua grande delicatezza d'animo, la capacità di entrare in sintonia con le persone attraverso una bella dose di empatia e sensibilità.

E poi, tocco finale di incomparabile poesia, il richiamo al desiderio espresso nella letterina di Natale, che mi aveva già fatto sciogliere, e adesso mi ha fatto ri-sciogliere 3_3
Una chiusura adorabile, deliziosa, proprio di quelle che piacciono a me, così come il delicato frullare d'ali di un meraviglioso regalo di Natale pieno di speranza.
 
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view post Posted on 6/1/2021, 20:35
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Barbara, il tuo racconto, a parte essere geniale per l'idea che hai avuto, è di una dolcezza travolgente.
Ha ragione Ele, è commovente.
Lo è perché tocca le corde del cuore in modo sincero, totalmente sincero.
La tua reazione al suo "cospetto" è palpabile, l'ho vissuta fortissimo, e quando si arriva alla fine
al nido sul davanzale, al riferimento alla tua letterina,


ho provato sensazioni bellissime, è una cosa meravigliosa, ti abbraccerei!

Grazie per questo tuo racconto, è stato davvero emozionante fare questo viaggio con te ❤
 
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view post Posted on 6/1/2021, 22:17
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Buca-calderoni

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No ragazze, così siete voi che mi fate commuovere.
Non mi aspettavo davvero dei commenti come questi.
Pensare che il mio racconto mi sembrava una sciocchezza dopo aver letto i vostri, compresi i precedenti pubblicati per ‘Invito a sorpresa’, e non lo dico per falsa modestia, ma sono assolutamente sincera, come sono proprio io quella che non riesce a mettere in fila due parole di fronte a Severus e che invece parla di continuo con se’ stessa.
È vero, Ele, i racconti di questa discussione rivelano molto di noi, del nostro modo di vivere le emozioni, del nostro modo di essere e di mettersi in relazione con lui e con noi stesse, anche se non credo di meritare tutte le bellissime cose che dici di me.
Scusate se ho espresso solo un millesimo dell’emozione che ho provato leggendo i vostri commenti, riesco ad aggiungere solo un immenso grazie, e vorrei abbracciarvi forte, tutte e due.
Grazie <3 <3 <3
 
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Xe83
view post Posted on 8/1/2021, 10:39




Cara Barbara, il tuo racconto è meraviglioso.
La tua scrittura è vera, la si sente tutta, battere nel cuore, scorrere sulla pelle. Riesci a coinvolgere il lettore accompagnandolo passo passo a scoprire stupende pagine di vita, di sogni, di desideri e di grandi emozioni, costruite in modo impeccabile e raffinato.

Il tuo racconto l'ho riletto più volte: mi è piaciuto tanto e ad ogni rilettura assaporavo parole, espressioni, gustandone la dolcezza. È un racconto delicato, di una delicatezza sublime, incantevole e l'idea che hai avuto è geniale! Geniale e nuova.
Severus è lui, sembra di sentirlo parlare, (fa impressione da tanto è riconoscibile) e tu sei tu: dolce, sensibile, generosa, auto ironica e tanto ingegnosa.🌹
 
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Xe83
view post Posted on 8/1/2021, 12:23




Titolo: Fluida foschia
Autore: Xe83
Data: Gennaio 2021
Beta-reader: Anouk (la mia beta e la mia coscienza)
Tipologia: one-shot
Rating: per tutti
Genere: introspettivo, commedia
Personaggi: Severus, Xe, Severus bambino, Lily bambina, Eileen Prince
Pairing: nessuno
Epoca: post 7° anno
Avvertimenti: AU
Riassunto: "Non vorrei mai offendere nessuno, ma sono così stupidamente timida che spesso sembro fredda e indifferente, quando invece sono solo trattenuta dalla mia naturale goffaggine" .
(Jane Austen)

Ringrazio Gabrix1967 e Lady Memory per aver risolto, con pazienza, un mio "dubbio patologico".

Racconto scritto per l'iniziativa "Invito a sorpresa"

Disclaimer: I personaggi e i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I personaggi originali, i luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.


Fluida foschia

Anouk era stata esplicita, con la smaterializzazione si prova una vertigine non proprio lieve. Avevo il timore di percepirla: è una sensazione che conosco bene ogni volta che guardo il mondo dall'alto e non avevo voglia di riprovarla. Invece mi è toccata la passaporta, attivata direttamente dalla lettera, ma il capogiro l'ho avvertito ugualmenre, abbastanza intenso, seguito da una nausea sgradevole e fastidiosa.

Sono giunta a destinazione e credo di trovarmi a terra. Davanti a me distinguo chiaramente solo una fluida e continua foschia, come una magica sospensione e fatico a discernere ciò che mi circonda.
Capisco all"istante: nello scomodo e maldestro atterraggio ho frantumato le lenti degli occhiali, quindi evito di guardarmi intorno, è un'operazione che non mi riuscirebbe. Percepisco il pavimento, ruvido, duro, freddo, sui toni del grigio, poco confortevole. Mi rimetto in piedi, cerco di riprendere l'equilibrio e la postura eretta.

Una voce dietro me mi gela all'istante, mi rendo conto di non essere sola. È un suono sconosciuto alle orecchie, ma allo stesso tempo noto alla mia anima: non ho dubbi, è lui. Mentre sento un intenso formicolio intorpidirmi gli arti, mi volto cautamente cercando di dissimulare la mia incontenibile emozione.
Intuisco una figura alta scura, imponente, a tratti indefinita.
La prima volta che incontro Severus non riesco a vederlo, non posso distinguerlo precisamente dall'ambiente.
Vorrei tanto avere vicino le ragazze del Forum. Invece sono sola, con un fruscio d'ali nel petto, la mascella contratta e i brividi lungo il collo.

Odo nitidamente pronunciare "Oculus reparo" e i miei occhiali tornano integri. Dalla minuscola finestra entra la tenue luce di un sole invernale, insufficiente ad illuminare la piccola stanza colma di libri. Casa sua. Odore di carta, profumo di lui.
È tutto come mi ero immaginata, tante volte.
Severus è immobile di fronte a me, il mio cuore salta un battito. Il Professore mi guarda, la saliva si solidifica in un istante e quando cerco di deglutire sento graffiare le pareti della gola. Ho la chiara sensazione che non riuscirò facilmente ad emettere suoni di senso compiuto quindi, con tutte le mie forze, sprigiono balbettando uno stentato «grazie».
Ricevo uno sguardo molto intenso, che fatico a sostenere, lui sembra capire tutto e questo sgretola le mie residue certezze. Sento le guance diventare bollenti e in testa ho una grande confusione che lievita esponenzialmente. Vorrei solo sprofondare o meglio scomparire all'istante. Mi rivolge la parola, ma mi è impossibile distinguere e interpretare i suoni, percepisco solo un fastidioso ronzio e spero vivamente non ponga domande che necessitino una risposta.

Si avvicina con movimenti controllati ed eleganti, mentre vorrei fuggire lontano, dove l'emozione non mi possa raggiungere, ma non mi sposto di un millimetro. I miei occhi si spalancano: timore e stupore fanno a pugni nel mio cuore e sento che lui, con infinito garbo, mi accompagna ad accomodarmi sul divano, prendendo poi posto sulla poltrona, di fronte.

Mi concentro e cerco di ritornare in me: non posso sprecare stupidamente l'occasione della vita, quella in cui mi viene concesso di incontrarlo. Finalmente avverto un diffuso calore che mi risveglia dal torpore. Inizio a distinguere la sua voce, mi faccio coraggio e in una sua pausa mi inserisco con un laconico e diretto «buonasera Prof!».
Accoglie la mia battuta decisamente fuori luogo distendendo le labbra per regalarmi un meraviglioso accenno di sorriso. Probabilmente mi ha già salutata mezz'ora prima, mi avrà posto almeno una decina di domande, che io non ho nemmeno sentito, e si sarà abituato a sostenere un artefatto monologo in cui la mia presenza offre lo stesso contributo della tappezzeria.

Lo guardo e dentro di me ripeto "ciao, figo pazzesco, ha davvero ragione Anouk, sei un figo pazzesco".
Lui, con un movimento elegante e preciso del braccio alza la bacchetta e appare un vassoio con un piatto di deliziosi biscotti al burro e due tazzine di caffè.
Me ne porge una, sa che lo bevo amaro.
Mi avvicino con trepidazione alla sua mano e con un fugace tocco ne sfioro le dita: sento la sua pelle tiepida, asciutta.
Vorrei poterla accarezzare fin dove iniziano gli abiti e poi proseguire oltre, guadagnando nuovi centimetri con inconsueti gesti arditi. Vorrei sentirne l'odore, avvicinare la punta della lingua e scoprirne il sapore. Mi vergogno del mio pensiero che non riesco ad arginare e ad inibire. Spero non abbia letto tutto nella mia mente, sarebbe troppo imbarazzante da condividere.

Severus mi conosce, meglio di quanto io possa immaginare. Questa consapevolezza mi mette a disagio, mi provoca soggezione, imbarazzo, ma allo stesso tempo è rassicurante: suggerisce che
l'impronta del suo essere mi appartiene, farà sempre parte di me, sarà eternamente connessa alla mia anima con un ancoraggio permanente. È una percezione sconvolgente e meravigliosa: il continuo fluire di stimoli cari, necessari e versatili lungo una direzione senza limiti, in continua espansione.

Cambio posizione delle gambe e sento graffiare sopra al ginocchio destro. Ricordo di avere qualcosa per Severus nella tasca dei jeans. Me ne ero completamente dimenticata. Frugo nei calzoni e gli porgo il segnalibro che ho preparato per lui. Un oggetto artigianale, impreciso, il meglio di quanto sia riuscita a fare con impegno e pazienza.
Qualcosa di mio tra le sue mani, nei suoi libri; una traccia di me nelle sue giornate.
Una parte di me tra le sue mani, tra le pagine dei suoi complessi volumi.

Il tempo vola: fuori dalla minuscola finestra del soggiorno la luce sta lasciando il posto alle tenebre. Severus mi fa avvicinare ai vetri e mi invita a guardare fuori: mi ritrovo catapultata in una realtà diversa; scorgo immagini che sembrano appartenere ad un tempo passato.
Una lieve foschia viene ferita dalla luce dei lampioni; in fondo alla via scorgo a fatica la sagoma severa della ciminiera ancora in funzione; ombre sinistre e veloci sbucano all'improvviso per dileguarsi dietro ai portoni. In alto, in cielo, un quadrato di stelle sorride alla notte.
Sto guardando il mondo, la medesima Spinner's End di quando Severus era bambino.
Mi volto verso il Professore, lui mi sta fissando con un sorriso misterioso, io rimango stupefatta da ciò che vedo. Attorno a noi il salotto ha volato sulle ali del tempo, trasformandosi all'istante.
Sul pavimento due ragazzini bocconi giocano a biglie: il bimbo ha lunghi capelli neri, lei morbidi ricci rossi. I miei occhi si voltano verso la cucina, in direzione dell'acquaio dove una donna alta, esile e smunta rigoverna malandate stoviglie aiutandosi con logori strofinacci.
Pochi attimi e la magia termina, tutto svanisce.
Il passato ha lasciato la stretta del presente e di quell'abbraccio temporale non è rimasto che un impalpabile malinconico profumo. Severus mi regala uno sguardo intenso, ermetico, ma eloquente. Nei suoi occhi ricerco nostalgia. Non ne trovo, nemmeno un goccio. Nei miei, invece, rintraccio un sottile velo di lacrime che fatico a trattenere.

È tardi, è giunta l'ora dei saluti. Ho tanta voglia di abbracciarlo, di stirngerlo, ma non posso, il mio desiderio non seguirebbe una condotta sociale corretta, e così so che non muoverò nemmeno un passo nella sua direzione, purtroppo.
«Grazie di tutto, Professore».
«Chiamami Severus, come fai sempre».
«Sì, nei sogni, nei miei pensieri, ma, vedi, ora ti ho davvero davanti e tutto si complica».
«Ti sbagli, sono sempre io».
«Adesso per andarmene devo usare la passaporta, vero?».
«Se non vuoi rimanere qui».
«Allora nascondimi qui da te, dove nessuno mi potrà mai trovare. Scusami. Ci rivedremo un giorno? Lascia stare, non fare caso alle mie domande, sono una che apre bocca e ci dà fiato.
Severus, a presto e grazie».

Attraverso la passaporta senza esitazione, evitando di voltarmi indietro: emozioni contrastanti, che non ho tempo di distinguere e di analizzare, mi arpionano il cuore. Sento il calore del suo sguardo accompagnarmi come un faro nella notte, mentre un vortice luminoso mi prende in consegna e inizia a strapazzarmi.

Edited by Xe83 - 8/1/2021, 17:28
 
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view post Posted on 8/1/2021, 15:59
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CITAZIONE (silver doe @ 6/1/2021, 22:17) 
No ragazze, così siete voi che mi fate commuovere.
Non mi aspettavo davvero dei commenti come questi.
Pensare che il mio racconto mi sembrava una sciocchezza dopo aver letto i vostri, compresi i precedenti pubblicati per ‘Invito a sorpresa’, e non lo dico per falsa modestia, ma sono assolutamente sincera, come sono proprio io quella che non riesce a mettere in fila due parole di fronte a Severus e che invece parla di continuo con se’ stessa.
È vero, Ele, i racconti di questa discussione rivelano molto di noi, del nostro modo di vivere le emozioni, del nostro modo di essere e di mettersi in relazione con lui e con noi stesse, anche se non credo di meritare tutte le bellissime cose che dici di me.
Scusate se ho espresso solo un millesimo dell’emozione che ho provato leggendo i vostri commenti, riesco ad aggiungere solo un immenso grazie, e vorrei abbracciarvi forte, tutte e due.
Grazie <3 <3 <3

Ci abbracceremo virtualmente domani sera :* :* :*
 
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view post Posted on 8/1/2021, 21:12
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:lovelove: Per fare gli auguri di compleanno a Severus andate QUI! :lovelove:


Invito a sorpresa

Anouk: Neve e Anice Stellato
Silver Doe: Una pozionista esperta?
Xe83: Fluida foschia


Compleanno Severus

Silver Doe - Letterina di Natale
Ellyson - Buon tutto, Severus
Ania DarkRed - Balla, Severus…





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Edited by Ida59 - 9/1/2021, 16:12
 
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Fluida foschia - Xe83

Splendida incursione a Hogwarts la tua, cara Xe. Ho adorato respirare il profumo delle emozioni forti contenute nel tuo racconto, talmente palpabili e coinvolgenti da avermi fatto sentire presente e compartecipe delle tue sensazioni per tutta la durata della narrazione.

Una cosa davvero pazzesca che hai saputo fare è dare corpo alle tue emozioni, dare vita ai tuoi sentimenti, concretizzare il tuo bisogno di sentire e toccare l'oggetto di un desiderio di norma confinato alla fantasia e renderlo miracolosamente vivo, persona reale, come se il tuo incontro con lui fosse avvenuto veramente e ce ne esponessi ogni risvolto con una proprietà descrittiva fantastica e di straordinaria efficacia.

In questa avventura tratteggiata splendidamente, si percepiscono in modo strepitoso ogni tua impressione, ogni speranza, il tuo batticuore, ogni particolare colto dal tuo sguardo vigile, i pensieri un po' arditi formulati dalla mente di donnina innamorata, e il timore che lui ne possa cogliere un paio di quelli tra i più... spavaldi ^U^

E in questo ci sei dentro tutta te stessa, Xe, in modo davvero adorabile: un viaggio dell'anima molto bello e prezioso, grazie per averlo condiviso con noi! <3
 
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view post Posted on 10/1/2021, 21:53
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CITAZIONE (Xe83 @ 8/1/2021, 12:23) 
Titolo: Fluida foschia

Cara Xe, parlare del nostro incontro con Severus vuol dire rendere protagoniste del racconto direttamente noi stesse, senza filtri, e rendere conto in prima persona dei nostri comportamenti tipici, reazioni, emozioni.
E ti descrivi in modo sincero e originale, e la tua emozione è talmente forte e palpabile che non sappiamo neppure quello che Severus ti sta dicendo, ammesso che stia dicendo qualcosa.
Quello che di lui giunge a te e a noi sono i suoi gesti gentili e comprensivi, e quello che ti mostra di se stesso non passa attraverso le parole, ma attraverso la condivisione di un breve ma significativo momento del suo passato.
Originale anche il modo in cui lo fa, misterioso e non chiaramente definito, forse lasciandoti entrare direttamente nei suoi pensieri, in una sorta di legilimanzia al contrario? O almeno così l’ho interpretato io.
Bellissima la citazione della Austen (scrittrice che adoro) che, come tutto il racconto, lascia intravedere una Xenia forse un po’ diversa dal travolgente ciclone che ogni giorno ci fa sorridere con le sue battute sul forum, una Xenia timida e deliziosamente adorabile.
 
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view post Posted on 11/1/2021, 14:52
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I ♥ Severus


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Arrivo tardi a leggere e commentare, lo so e chiedo venia.

Fluida foschia - Xe83

CITAZIONE
Inizio a distinguere la sua voce, mi faccio coraggio e in una sua pausa mi inserisco con un laconico e diretto «buonasera Prof!».
Accoglie la mia battuta decisamente fuori luogo distendendo le labbra per regalarmi un meraviglioso accenno di sorriso. Probabilmente mi ha già salutata mezz'ora prima, mi avrà posto almeno una decina di domande, che io non ho nemmeno sentito, e si sarà abituato a sostenere un artefatto monologo in cui la mia presenza offre lo stesso contributo della tappezzeria.

Da scompisciarsi dal ridere.
Tra l'altro, chi ti coneoce e sa come parli, si gode il racconto che è una meraviglia, perchè sei proprio tu a paralre, a raccontare in prima persona e sento la tua voce, il tuo modo di fare/parlare: delizioso!

CITAZIONE
Lo guardo e dentro di me ripeto "ciao, figo pazzesco, ha davvero ragione Anouk, sei un figo pazzesco".

:lol: :lol: :lol:

CITAZIONE
Frugo nei calzoni e gli porgo il segnalibro che ho preparato per lui. Un oggetto artigianale, impreciso, il meglio di quanto sia riuscita a fare con impegno e pazienza.
Qualcosa di mio tra le sue mani, nei suoi libri; una traccia di me nelle sue giornate.
Una parte di me tra le sue mani, tra le pagine dei suoi complessi volumi.

Bellissima idea!

CITAZIONE
Allora nascondimi qui da te, dove nessuno mi potrà mai trovare. Scusami. Ci rivedremo un giorno? Lascia stare, non fare caso alle mie domande, sono una che apre bocca e ci dà fiato.

Eeh... sarebbe bello, bello, bello!

 
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Xe83
view post Posted on 13/1/2021, 22:09




Grazie di cuore carissime Ele, Barbara ed Ida. Grazie per avermi letta e per le bellissime parole che avete dedicato al mio racconto.
Devo confessarvi che non è stato facile scrivere e parlare dell'incontro con Severus. Non è mai semplice parlare di se stessi, si vorrebbe sempre poter scrivere di altro, ma a volte bisogna farlo. Avete perfettamente ragione: "Invito a sorpresa" chiede di parlare di noi in relazione a Severus e da ciò non si puo fuggire, non ci si può esimere dal farlo. Mentre si inizia a scrivere si capisce all'istante di trovarsi di fronte ad una "sfida", un'esperienza particolare, coinvolgente, anche complessa, ma comunque tanto tanto stimolante. ❤️
 
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view post Posted on 12/2/2021, 10:49
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GabrixSnape

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CITAZIONE (Anouk @ 23/12/2020, 12:06) 
Titolo: Neve e Anice Stellato

Un ringraziamento speciale a Gabry per il prezioso aiuto nella ricerca di un dettaglio

Anouk, non credo di avere ancora commentato il tuo racconto, ma leggo il tuo ringraziamento e ci tengo a dirti che non ho fatto niente di speciale. E' bello condividere una passione e confrontarsi. Se questo ti ha aiutato, non posso che esserne felice. <3
 
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view post Posted on 12/2/2021, 11:21
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view post Posted on 8/12/2021, 10:16
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I ♥ Severus


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Quest'anno l'iniziativa "Invito a sorpresa" rimane dormiente perchè festeggeremo il 15° compleanno del "Calderone di Severus" per un intero anno con l'iniziativa

15anni


Chi, però, volesse scrivere un brano nel rispetto delle regole di "Invito a sorpresa" può sempre liberamente farlo, anche nel corso dell'anno.

 
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view post Posted on 30/12/2021, 18:38
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Dalla terra dove s'intrecciano misteri, magie e leggende.

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Carissime, ho scritto questa storia diversi mesi fa attendendo il momento giusto per pubblicarla e, per mancanza di tempo, non mi sono mai decisa a farla betare (ahi). Sentitevi libere di muovermi critiche o fare correzioni.
Inserisco ora il brano perché vorrei che alcuni piccoli passaggi, che ho narrato al presente in forma di diario, possano trasformarsi in un tempo passato (come le parti 'oniriche' descritte nella storia). Insomma, vorrei che un giorno potessimo considerare la terribile epoca storica che stiamo vivendo come se fosse stato solo un ''brutto sogno''.
Con la speranza di non aver fatto troppi disastri, auguro a tutte un nuovo anno di sogni e realtà meravigliose.

Titolo: Esplosioni di felicità
Autore: Lonely_Kate
Genere: commedia
Tipologia: one-shot (<5000 parole).
Rating: per tutti
Epoca: Hogwarts XXI secolo
Personaggi: Severus Snape, personaggio originale, altri personaggi (Madam Pomfrey)
Pairing: nessuno
Avvertimenti: AU
Nota: Scritta nel 2021 per l’iniziativa “Invito a sorpresa” del Calderone di Severus
Riassunto: in un racconto al limite tra il "reale’’ e l’onirico, avviene il mio incontro con il Potions Master.

Disclaimer: I personaggi e i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling ed a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.

Anno 2021, mese indefinito, giorno prima del viaggio, ore 7:00


“Lei è una testa di legno!” tuonò una voce dall’inconfondibile, profondo, timbro maschile.
“Una testarda come poche,” aggiunse gelida.
Non vi erano dubbi: il Professore era arrabbiato, quasi furente oserei dire, e sì, ce l’aveva proprio con me.
Mi trovavo immersa in una sorta di penombra azzurrognola: una fine, diafana foschia che non mi consentiva di vedere a un palmo dal naso.
Un debole chiarore proveniva dai numerosi contenitori di vetro che occupavano la parete alla mia sinistra: un guizzo, qualcosa di viscido dalla forma allungata si era mosso in un vaso, mentre due occhietti vitrei mi scrutavano da quello accanto.
Cercavo volti familiari, ma non riuscivo a muovermi, era impossibile anche solo voltare la testa.
Avvertivo anche la spiacevole sensazione che i pensieri fossero rallentati: arrancavano nella stessa nebbia in cui mi trovavo. –Cosa avevo fatto di sbagliato per meritare la ‘lavata di capo ’? Forse da me si aspettava il massimo e questa volta l’avevo proprio deluso.
Si, doveva essere così: delusione.
Un profondo senso di tristezza avvolse il mio corpo rendendolo pesante, sempre più pesante…
La sua voce continuava a rimbombarmi nella testa seguita da uno strano trillare: - possibile che qualcuno avesse con sé il cellulare?

Ore 08:30


Riiiiiiiiing… , Riiiiiiiiing…
La mia mano tasta nel vuoto alla disperata ricerca del malefico oggetto. Interrompo la fonte del disturbo ma ormai è tardi: gli occhi sono aperti.
Imposto la sveglia tutti i giorni a orari diversi a seconda del turno di lavoro.
Amo dormire e mi piace crogiolarmi a letto per qualche minuto illudendomi di avere tutto il tempo del mondo. Poi, come al solito, finisco col fare corse folli per rimettermi in pari.
Non è sempre così: certe volte preferirei che il giorno non avesse fine per non dover regalare il mio prezioso tempo al sonno, ma questo è un anno stra-ordinario e il riposo è necessario più che mai.

Molto seccata dal brusco risveglio, quella mattina mi alzo con l’amara sensazione di essere stata strappata via da qualcosa di importante.
Sul comodino accanto al letto riposa semiaperto il libro “Erbe e piante medicinali”: forse il testo ha condizionato i miei sogni.
Come di consueto, il primo gesto è accendere la moka, cui segue l’inutile tentativo di evitare di guardare, nello specchio del bagno, la donna assonnata e corrucciata con il volto semi nascosto dalla cortina di capelli lisci, scuri e unticci (sì, avete letto bene, unticci) con i quali è venuta al mondo.
-Coraggio, ora fai lo shampoo e tutto passa; ora fai lo shampoo e...
Da qualche tempo ho cestinato il mantra consolatorio che ripeto da tutta la vita: adesso amo i miei capelli. Sono una donna nuova, una donna innamorata…
Ultimo passaggio, non meno tormentoso e obbligato, è recitare la rituale preghiera al folletto dei vestiti che mi aiuti a trovare in fretta una combinazione di abiti decente da indossare, tanto a lavoro sono costretta a infilare la speciale divisa e tutto il resto.
L’irritazione del risveglio mi segue in cucina dove mi sforzo di rilassarmi facendo colazione seduta, con calma, insieme a caffè, caffellatte e un morbido cornetto. Fuori dalla finestra, il cielo è velato da nubi leggere e azzurrognole: mi ricorda la lattiginosa e quasi fluorescente foschia del sogno… e quella voce.
Scaccio le immagini con un gesto spazientito della mano: si sta facendo tardi e ho tante cose da fare, rassettare casa, riempire il frigo, preparare la cena. Un’impresa impossibile!

Ore 14:00


Al lavoro saluto tutti quelli che incontro. Ci scambiamo sorrisi, sguardi di intesa, suggerimenti per le cene non preparate, consigli su come gestire questo o quell’altro caso.
Dopo aver varcato la soglia dello spogliatoio i volti diventano irriconoscibili: siamo fantocci tutti uguali che comunicano a gesti o con fugaci battiti di ciglia. Non aiuta fingere di essere sul set di un film catastrofico già visto e dal finale scontato, oppure di essere appena sbarcati sulla Luna: del resto questo nostro pianeta non lo riconosciamo più.
Qui le giornate non terminano quasi mai come vorresti, ma lotti per non lasciarti sopraffare dall’ineluttabilità della vita e a non darla vinta al mostro invisibile.

Durante il turno, il lavoro non riesce a distrarmi: come su un’altalena la concentrazione va su e giù nel vano tentativo di evitare gli indistinti frammenti dello strano sogno che giocano a rimpiattino nella mia testa.

Ore 21:00


Tornata a casa, sfinita, realizzo di non aver preparato in anticipo la cena. Sbuffo contrariata, impreco a bassa voce mentre le mie scarpe vengono lanciate verso la porta d’ingresso.
Come se non bastasse, sono costretta a domare la fame da lupi ancora per qualche minuto: prima la doccia, per lasciarmi alle spalle ogni dolore, ogni contaminazione del corpo e dell’anima.
Chiudo in un cassetto, che diventa sempre più grande, il vissuto della giornata: devo concedermi la possibilità di dimenticare, anche solo per poche ore.
Oltre alla stanchezza e alla fame, quella sera avevo portato a casa anche un bel mal di testa per colpa della voce maschile, vellutata e soave, che echeggiava nel mio cranio dal mattino.
Una volta in cucina, la dispensa ben rifornita mi toglie d’impiccio: spaghetti alla chitarra, olio extravergine d’oliva, aglio, pomodorini del Piennolo e basilico (di serra, vabbè).
Combinando in maniera sapiente ingredienti semplici, ma ricchi di profumi, si può dare vita a piccoli capolavori di piacere che rinfrancano lo spirito. Cucinare è come preparare una pozione, ci vuole pazienza, metodo, meticolosità.
Una pozione.

La tisana di rito, calda e fumante, mi accompagna tra le coltri per il meritato riposo; appena poggiata la testa sul cuscino mi chiedo se sarei tornata nel sogno della notte precedente.
Gli occhi si chiudono.

Anno 2021, mese indefinito, ora della notte del giorno stabilito dal fato.


Avevo freddo e avvertivo uno strano formicolio a mani e piedi.
Non ero circondata da una lattiginosa foschia, ma da una luce calda e soffusa che mi consentiva di visualizzare un ambiente vastissimo, col pavimento in pietra e il soffitto fatto di nuvole.
Lo spazio davanti ai miei occhi è occupato da decine di scranni, collocati ai lati di lunghissime tavolate di lucido legno di mogano.
Sapevo dove mi trovavo; sentivo di dover cercare qualcuno che desidero incontrare con tutta me stessa.
I strani brividi erano davvero importuni. Per Merlino, io che sono freddolosa e previdente, indossavo calze di lana sotto a pantaloni di tweed con un disegno scozzese nei toni del verde e un maglioncino a collo alto di caldo e morbido mohair blu notte.
Detesto il collo alto, ma soffro di torcicollo e sono ‘diversamente alta’, così non volevo che un banale disturbo mi impedisse di tenere lo sguardo incollato all’agognato volto del Professore dopo solo pochi minuti di estatica contemplazione. L’alternativa sarebbe stata fissare il settimo e ottavo bottoncino della nera redingote… però mica male…
Ma lui dov’era?
Cercavo di guardarmi intorno con attenzione, ma di nuovo avevo difficoltà a girare la testa, finché non notai il grande banco dei professori posto alla fine della Sala Grande.
Forse Lui era nascosto dietro la porta che conduce ai sotterranei?
Iniziai a incamminarmi fissando le fughe dell’impiantito come un immaginario filo di Arianna, ma riuscivo a fare solo pochi passi: giravo in tondo disorientata, la meta sembrava irraggiungibile…

Ore 06:00 il viaggio sta per iniziare.


I miei occhi si spalancano in una stanza immersa nella semioscurità.
La notte è stata troppo breve, agitata; una strana frenesia mi ha impedito di trovare continuità nel sonno.
Forse è colpa del freddo: ho dimenticato la finestra un po’ aperta!
Così, ormai stanca di rigirarmi nel letto e farmi avvolgere, come in un bozzolo, dalle lenzuola, mi alzo e vado dritta in cucina: urge un caffè!
Poco dopo noto una lingua di luce verdognola che filtra dalla porta d’ingresso all’appartamento; sul pavimento c’è una busta da lettera di un colore giallo paglierino con un timbro di ceralacca rossa.
La raccolgo: la carta pergamena è piacevolmente ruvida e consistente. L’indirizzo del mittente si stampa sulle retine come un marchio a fuoco.
Ma certo, è La Lettera!
Improvvisamente sono sveglissima, il cervello gira a mille; le luci, i colori e i suoni che mi circondano non sono più flebili e attenuati, vista l’ora, ma come amplificati da una sostanza psichedelica (non ne faccio uso, precisiamolo).
Con una velocità che non avrei mai immaginato avesse, il folletto dei vestiti sceglie cosa devo indossare: gli stessi abiti del sogno dissoltosi da pochi minuti.
Al trucco perdo poco tempo; i capelli vengono attorcigliati in uno chignon che mi tira sempre fuori d’impiccio. Borsa sì, borsa no, va bene sì; cappotto, sciarpa, guanti: sono pronta.
Mi accomodo al tavolo della cucina. La lettera davanti a me aspetta di essere aperta.
Mi concentro e tiro un respiro profondo.
Con mano tremante scollo il sigillo di ceralacca e apro la busta.

Hogwarts, tempo indefinito in un'ora e giorno imprecisati.


Ero tornata nella Sala Grande proprio come nel sogno, forse mi ero materializzata direttamente qui.
Lasciai che i miei occhi percorressero in lungo e in largo il vasto ambiente, soffermandosi su ogni dettaglio: i drappi con le insegne delle Case, le imponenti torce ora spente, i giochi di luce sul pavimento in pietra.
Tutto questo ancora non sembrava reale, avevo bisogno di soddisfare un altro senso per riprendermi dall’incredulità che mi faceva tremare per l’eccitazione. Mi avvicinai a uno dei lunghi tavoli, ora non imbanditi, e allungando una mano iniziai ad accarezzare la superficie liscia e lucente del legno: era tutto vero!
Non ero la prima e so che non sarei stata l’ultima fortunata a cui veniva concesso questo onore.
Anzi, forse ero più fortunata: ero arrivata qui per imparare, per cercare di scoprire qualcosa di utile al mio lavoro e potevo farlo solo grazie a un maestro speciale (ma tu guarda!).
Insieme a me c’era uno sparuto gruppo di ragazzi, decisamente più giovani, che confabulavano tra loro. Sembravano rilassati ed a loro agio: l’intrusa ero io!
Dalla piccola compagnia si staccò una ragazza alta, con lunghi capelli corvini ed occhi di smeraldo; si diresse sorridendo verso di me.
“Ciao, io sono Lixiane, una strega” mi disse, porgendomi la mano. Non ero più abituata a questo gesto e restai ferma, indecisa sul da farsi. Lei mi guardò interrogativa poi allungò entrambe le mani e strinse la mia chiusa a pugno.
“Sei una Babbana, vero? Tranquilla, non sarai sola, stanno per arrivare altri allievi come te”.
Mi rilassai e ricambiai il sorrido: ero felice di aver già fatto amicizia.

Distratta dall’emozione e dalle chiacchiere con la nuova amica, non fui abbastanza pronta ad accorgermi del rapido cambiamento dell’atmosfera che ci circondava: l’aria divenne immobile; tutti i suoni della terra erano spariti; la luce proveniente dai grandi finestroni venne oscurata.
C’era qualcuno davanti a noi.
Con uno sforzo sovrumano costrinsi la mia testa ad alzarsi (ahia, il collo!): contatto.
I suoi occhi, i miei occhi.
Il mio cuore perse un battito, o forse due… stavo per svenire?
No, non ero svenuta, fluttuavo in una bolla di felicità mista ad assoluto stupore.
Stavo guardando il volto di Severus Snape, ne ero sicura: chi mai potrebbe apparire tanto affascinante e attraente (e seducente) nonostante il corpo magro, il naso dantesco e le labbra sottili piegate in un ghigno malizioso?
Mi sentivo imprigionata in un estatico oblio dal quale nessuno avrebbe potuto risvegliarmi… tranne Lui stesso.
Intanto, il mago in nero, notando l’espressione da ebete stampata sulla mia faccia, prese a sussurrare in perfetto italiano: ”Una reazione del genere non l’avevo mai vista; queste donne Babbane provenienti dall’Italia sono esilaranti “. La soave voce del sogno scandì gelida ogni sillaba dello sberleffo.
Un rapido movimento, un fruscio spazzò il pavimento e l’aria circostante, la luce ritornò, così come i suoni e i colori. Non ero completamente annegata nel mare in tempesta scatenato dall’incontro con lui: mi costrinsi a compiere poche bracciate per recuperare ossigeno e lucidità. Seguii la direzione dello spostamento dell’aria e sbottai: “Professore, perché si prende gioco di me? Di una Babbana, certo, che ha attraversato il tempo e lo spazio solo per incontrare lei?” La ruga tra le mie sopracciglia era più profonda di quella dell’uomo, che mi fissava, tra il divertito e l’indignato, con il capo leggermente chino da un lato ed entrambe le sue di sopracciglia sollevate.
Snape, probabilmente, non si aspettava questa reazione…
Anche Lixiane si era allontanata da me di qualche passo: forse mi riteneva pericolosa.

Non paga della prova di sfacciataggine, avanzai verso il Professore di Pozioni cercando di mantenere il contatto visivo: oscurità dentro oscurità, sfida contro sfida.
Ma chi volevo prendere in giro? Il mio cuore aveva aumentato la velocità delle pulsazioni tanto da rischiare di schizzare fuori dal petto. Di sicuro Mr. Legilimanzia si era accorto della mia agitazione, ma non ne sembrava affatto intenerito. Era stato sfidato, ma senza perdere la sua imperturbabilità, replicò: “Lei deve essere quella ricercatrice interessata ad approfondire gli usi e le applicazioni delle pozioni magiche nella cura di alcuni disturbi umani di cui non ricordo il nome. Strana e inutile perdita di tempo visto che, notoriamente, i rimedi magici non funzionano con le malattie Babbane”. Ancora la sua voce strascicata era come una stola di raso che mi circondava il collo, accarezzandolo minacciosa. Lui concluse acido:” Dovrebbe rivolgersi alla Professoressa Sprout, oppure a Madam Pomfrey”.
“Forse non mi sono espressa bene, Professore”, gli risposi, tentando di tenere ferma la voce al massimo del mio autocontrollo “Io sono qui per lei, e per lei soltanto, se ne faccia una ragione!”
“La ragione è degli stolti, signora”. Dicendo questo si voltò e se ne andò, seguito dal fluttuante mantello nero, privo del suo sensuale carisma.

Hogwarts, qualche tempo dopo.


Le lezioni di Pozioni iniziarono.
Il primo approccio col Potions Master non era stato dei migliori: si era preso gioco di me, in un modo che ritenni ingiusto e maleducato. Il destino aveva voluto regalarmi un’opportunità formativa straordinaria, ma non riuscivo a essere serena. Erano inutili i tentativi di mettere a tacere la reale motivazione che mi aveva spinta a elaborare la folle fantasia di venire ad Hogwarts: un ardente desiderio di incontrare Severus Snape. Volevo osservarlo muoversi, camminare, respirare e, soprattutto, ascoltarlo parlare: udire formule, procedimenti, e pure insulti se necessario, mirabilmente sussurrati dalla sua profonda voce di seta. Non per ultimo, bramavo potermi beare dello spettacolo delle sue mani al lavoro, mani che occupavano il terzo posto nella mia personale scaletta di preferenze, dopo gli occhi dalle iridi di ossidiana e la voce di cui avevo avuto già un soddisfacente assaggio in Sala Grande.
Nonostante l’apparente atteggiamento risoluto, ero talmente emozionata e intimorita che neppure nella privacy dei pensieri riuscivo a chiamarlo Severus.
Ero stata colpita da un processo morboso a un tale stato di avanzamento che, di sicuro, non sarei mai più guarita.
Non mi importava, ero felice.

Durante il tirocinio, io e Lixiane diventammo grandi alleate, nonostante le differenze di temperamento: lei esuberante, sempre pronta a inventarsi scherzi e marachelle; io più chiusa, riservata e… noiosa. Spesso dividevamo la stessa postazione in aula.
Per lei il Professore era un insegnante come un altro, ma non per me: avevo commesso la leggerezza di aprirle il mio cuore, così la giovane strega non perdeva occasione di attirare l’attenzione di Snape per consentirmi di guardarlo più da vicino. Tutto inutile, il mio collo non ne voleva sapere di collaborare: tenevo gli occhi sempre fissi sul calderone.

***


Un giorno, verso la fine delle settimane di praticantato, un avvenimento cambiò il corso degli eventi.
Aula di Pozioni, compito del giorno: ‘Elisir curativo contro la Leptospirosi magica’.
Fu un attimo.
Le immagini che si dipanano al rallentatore: una mano con un fiammifero; la pietra focaia che sprigiona scintille che dovrebbero servire a rinvigorire la fiamma morente sotto il calderone; una scintilla che finisce all’interno del contenitore ribollente; il contenuto esonda, cadendo sulla fiamma ardente in basso.
“Attenta Lixie!”. Urlai con tutto il fiato che avevo in gola.
Mi voltai verso di lei con le braccia tese in avanti nel tentativo di allontanarla rapidamente dal calderone.
Troppo tardi.
Una fiammata improvvisa, enorme, terribile.
Un boato, una vera e propria detonazione, accompagnata da uno strano suono: come spruzzi di lava incandescente che si spiaccicano sulle pareti.
Una nube azzurro scuro, dall’acre odore, si diffuse ovunque.
Respirando quei fumi persi i sensi.

Mi risvegliai in infermeria. Avevo una visione parziale e offuscata del mondo. C’era qualcosa sul mio viso che mi copriva parte del volto e dell’occhio sinistro.
Provai a sollevarmi, niente.
Provai a muovere gli arti: bene, le gambe e i piedi c’erano, le braccia pure, ma le mani…
“Dove sono le mie mani?”, esclamai sgomenta: due ridicoli fusi biancastri occupavano il posto delle mie estremità; sotto strati di bende dovrebbero esserci polsi e dita.
“Ma che diavolo?”
Come un flash riapparvero gli avvenimenti del… giorno prima? Ore prima?
Ero confusa, dolorante, irritata. Chiamai ad alta voce: “C’è qualcuno qui?”.
Madam Pomfrey sbucò da un angolo della camera, separato da una tenda grigiastra, e si avvicinò solerte al mio capezzale.
“Di cosa hai bisogno, cara?” mi chiese in tono professionale.
“Voglio sapere cosa è successo e da quanto tempo sono in questo stato, per favore”.
Ributtai la testa sul cuscino sbuffando, ero troppo debole.
La donna, dai lineamenti gentili, indossava una divisa da infermiera risalente al secolo scorso. Con poche parole mi rinfrescò la memoria su quanto accaduto nel laboratorio di Pozioni: ero in questo letto da tre giorni!
Chiesi notizie di Lixiane e scoprii che, fortunatamente, il salvataggio era servito a risparmiarla. Nessun altro, poi, era stato seriamente coinvolto dall’esplosione.
Insomma, uno spiacevole incidente.
Non avrei mai immaginato che preparare pozioni potesse essere così pericoloso. Credevo che tutto potesse risolversi con una pulita e un rapido incantesimo di riparo.
Io ero ustionata dalla testa alle mani!
Un’ustione magica oppure no?
Il punto è che, magiche o no, le ferite mi facevano un gran male.
Chiesi un rimedio per il dolore, lo ottenni (bleah) e mi riaddormentai.

Quando riaprii gli occhi era notte fonda. Le pupille ci misero un po’ a dilatarsi per adattarsi al buio, ma continuavo a vedere tutto nero.
Finalmente intuii che non era il nero della notte quello che avevo davanti, ma qualcosa di più solido, definito.
Rieccoci a dover sollevare la testa (stavolta il collo no).
Lui era di fronte a me, sembrava gigantesco e più nero del solito. La benda sull’occhio mi rendeva difficile definirne i tratti e l’espressione che aveva in viso.
“Come si sente?” chiese a un tratto, con una voce bassa e lontana che sembrava provenire da un sogno.
“Sto davvero benissimo”, risposi in fretta, usando un tono ironico di cui mi pentii troppo tardi.
Lui parve aver trattenuto il respiro per una manciata di secondi, poi replicò con voce gelida e tagliente: “Lei è una testa di legno. Una sciocca Grifondoro coraggiosa. Come le è saltato in mente di lanciarsi su quel calderone pronto ad esplodere?”. Anche la stanza stava diventando gelida.
“Ma come, Professore, avrei dovuto lasciare che investisse in pieno la mia amica Lixie?” Gli risposi stupita e infreddolita.
“Certo, il suo cervello era impegnato solo a pensare di effettuare uno spettacolare salvataggio”, sibilò con gli occhi ridotti a fessure e un mezzo sorriso beffardo “Invece di notare che mi ero immediatamente mosso e con un incantesimo avrei impedito il disastro avvenuto! Lei non osserva mai quello che faccio o quello che le dico di fare, è proprio una sciocca testa di legno e anche presuntuosa!” Il Professore era furibondo.
Restai allibita, le parole mi morirono in gola. Io non lo guardavo mai? Ma se non facevo altro, continuamente! Certo è vero che me ne vergognavo, così ero rapidissima a distogliere lo sguardo quando lui si avvicinava per controllare cosa stavo combinando col lavoro. E poi non ero presuntuosa, nulla di più falso!
Le lacrime spingevano dietro i miei occhi con prepotenza, ma non avrei pianto davanti a lui, non volevo che mi ritenesse anche una debole.
Ad un tratto, con un detestabile tono mellifluo, disse: “Tra due giorni ci sarà l’esame di fine corso e non credo che lei sarà in grado di sostenerlo. Visto che ha preferito chiudere il soggiorno in questa scuola con uno show personale, le annuncio che le verrà fornito solo un attestato di partecipazione senza quello di competenza, per il cui conseguimento è necessario aver superato l’esame finale”.
Strinsi forte gli occhi, avevo iniziato a piangere davvero: silenziose lacrime lasciarono una scia rovente sulle mie guance.
Lui si voltò e se ne andò.
Odiavo quel mantello, lo detestavo, non volevo più vederlo.

Hogwarts, altri giorni dopo


Avevo trascorso ben sei settimane ad Hogwarts, frequentando assiduamente il laboratorio di Pozioni, ma non riuscendo ad avvicinarmi al Professore Snape per più del tempo necessario a ricevere un’occhiataccia e un non tanto muto rimprovero.
Non credevo di essere un’incapace testa di legno, me la cavavo dignitosamente, avendo premura di imparare il più possibile.
Compiacere lui era un’impresa titanica: ti sfiancava, minava di continuo al tuo più profondo senso di autostima. Era un insegnante inflessibile, ma, senza ombra di dubbio, molto, molto preparato, che pretendeva il massimo dai suoi studenti.
Ne ero forse meno innamorata perché scoraggiata dall’evidenza dei fatti? No, no, e di nuovo no. Conoscendolo davvero mi ero sforzata di essere obiettiva, cercando di giudicarne i comportamenti fingendo di non avere contezza della sua storia, di quello che nascondeva sotto la seducente veste nera. Era molto difficile non lasciarsi irritare dall’atteggiamento di impassibile freddezza che adoperava con tutti, ma io ero maledetta, ero condannata dalla consapevolezza di ciò che si celava dietro l’invisibile maschera d’argento: un cuore circondato da un fuoco ardente e luminoso.
Chissà se un giorno sarei riuscita a farmi scaldare anche solo un po’ dal riflesso di quel sole.

I colleghi di corso erano passati a informarsi sul mio stato di salute e avevano portato Cioccorane e Bacchette di liquirizia, le mie preferite, soprattutto perché avevano un aroma un tantino pungente. Lixiane era affranta, non sapeva come consolarmi per il mancato esame. Le augurai buona fortuna e iniziai ad accomiatarmi da lei: chissà se ci saremmo più incontrate.

Hogwarts, ultimo giorno


La mattina degli esami fu gratificata da un sole brillante, dal canto della primavera alle porte, e da un’aria frizzante che Madama Pomfrey si prodigò di far entrare in infermeria dalla finestra a me più vicina.
La tristezza però non si placò: cercavo consolazione pensando a quanto ero stata fortunata a beneficiare di questa meravigliosa avventura, anche se, per così dire, incompleta.
Ma il senso di incompiuto da dove proveniva? Dal mancato esame finale o dalla mia incapacità di aver raggiunto almeno un cordiale rapporto con l’adorato e venerato Professore?

Un insieme di rumori diversissimi tra loro raggiunse le mie orecchie: una porta spalancata, voci sovrapposte, uno strano stridio come di tavoli e sedie trascinati.
Improvvisamente si materializzò, quasi per intera, l’aula di Pozioni, con banchi, calderoni e scaffali con i vasi degli ingredienti.
L’intera scolaresca, in processione ordinata, entrò e si dispose a sistemare e occupare le varie postazioni, ognuna con un tavolino e un calderone.
L’infermeria era irriconoscibile.
Madam Pomfrey borbottava una serie di improperi, poco intellegibili, rivolti all’alta figura, di nero vestita che, con passo di marcia, incedeva al centro di questa aula di fortuna.
Lo sguardo di tutti andava da lui a me, da me a lui, in una stravagante partita di tennis, con gli occhi dei presenti a sostituire le gialle palline.
Il Professore, senza inutili esitazioni, esordì con tono perentorio: “Oggi l’esame finale del nostro corso di Pozioni Curative, si terrà qui. Siete tutti invitati a non distrarvi e a prestare il massimo dell’attenzione nello svolgimento della prova a cui sarete sottoposti. Debbo fare una necessaria precisazione: la signora qui presente, vostra compagna di corso, è palesemente impossibilitata a preparare la pozione assegnata con le sue proprie mani. Saranno, dunque, mie le mani che assembleranno i vari ingredienti del composto, ma sarà lei a guidarmi nel farlo. È indubbio che la mia esperienza nel preparare pozioni è di gran lunga superiore alla vostra, quindi, questo vantaggio sarà tenuto in conto ai fini del voto finale. Ora, siete tutti pronti?”.
Nel preciso istante in cui furono pronunciate le ultime parole, il Professore si rivolse a me: i suoi occhi mi trapassarono risvegliandomi dall’inconcepibile e irrecuperabile stupore in cui ero piombata. La mia lingua e il palato si erano prosciugati per quanto tempo ero rimasta con la bocca aperta.
Mi alzai a fatica dal letto, vergognandomi da morire della camicia da notte che indossavo, e mi diressi alla postazione assegnata. La mia sedia era rivolta verso di lui che teneva di fronte a sé il calderone ancora spento e, posizionati alla sua destra, una serie di vasetti ed erbe varie.
“Oggi dovrete preparare la Pozione Rituale della Vita Eterna”, disse ad alta voce, abbracciando con lo sguardo l’intera aula improvvisata. Poi, voltandosi di nuovo verso di me, chiese deciso: “Iniziamo?”.
Gli allievi si misero al lavoro.
Il silenzio era palpabile, tutti sembravano aver smesso di respirare. Io ero in apnea da almeno dieci minuti. Almeno il rossore, che di sicuro avevo in volto, mi restituiva un aspetto più sano… o da persona appena strangolata.
Il Professore non muoveva un muscolo senza che io gli dicessi quale ingrediente prendere, come tagliarlo o sminuzzarlo o pestarlo, quando alzare o abbassare la fiamma, e quante volte rimestare e in che verso.
Qualche volta aveva anche provato a fregarmi, allungando la mano verso l’ingrediente sbagliato, ma io l’avevo fermato subito. Mi guardava allora con una luce divertita negli occhi, o almeno così sembrava.
Le pause erano imbarazzantissime: in quei momenti teneva lo sguardo fisso su di me con un’espressione indecifrabile.
Il mio cervello aveva vinto da tempo sul cuore il folle impulso di gettargli le braccia al collo per ringraziarlo dello straordinario gesto gentile che aveva avuto: una fattura non era proprio l’ideale in quel momento.

I minuti scorrevano veloci, la prova stava volgendo al termine.
Dai banchi vicini provenivano urletti di compiacimento o mugolii sconsolati. Osservando le altre postazioni vedevo sguardi afflitti rivolti a calderoni fumanti da cui era fuoriuscito uno strano materiale fluorescente. Qualcun altro cercava, invece, di liberarsi braccia e mani da una sostanza vischiosa e gelatinosa che, ad ogni sforzo, pareva diventare ancora più appiccicosa.
Il mio calderone, posto davanti al mio professore, aveva la fiamma ormai spenta: al suo interno una soluzione dal tenue colore rosato roteava placida, mandando bagliori luccicosi.
Timorosa, alzai lo sguardo verso il volto di Snape: mi fissava con occhi di brace. Era incredibile e stupefacente l’effetto che ti facevano: dopo i primi secondi in cui ti perdevi nel nero profondo delle sue iridi, finivi con l’iniziare a percepire una strana tensione, come se una enorme e invisibile calamita adoperasse tutto il suo magnetismo per legare ancora di più i tuoi occhi ai suoi o per attrarre ancora di più tra loro le vostre menti. Non è un’esperienza spiacevole: all’inizio ti disorienta, poi il ‘’rapimento’’ diventa totalizzante come una malia che ti mantiene sospesa in un dolce oblio. Potresti restare così per ore o per una vita intera.

Era stata un’esperienza indescrivibile. Avevo completamente dimenticato di essere in una infermeria con decine di letti, in camicia da notte, seduta a un piccolo tavolo traballante con sopra un calderone e con, accanto, la maestosa figura di un uomo, ancor più magico del Castello che ci circondava, che sembrava compiaciuto di quanto poteva vedere.
La sua voce mi risvegliò dal torpore. Dopo aver gettato una rapida occhiata panoramica su tutti i presenti, sentenziò: ”La prova è finita, portatemi un campione della pozione con la fiaschetta che avete in dotazione ed etichettatela per bene; riponete gli ingredienti e abbiate cura di lavare i vostri calderoni. Stasera, alle diciannove, vedrete affissi i giudizi all’ingresso della Sala Grande. Dopo la cena avverrà la consegna del diploma di “Pozionista esperto in pozioni curative”.
Rapidamente girò sui tacchi e andò via.
Questa volta non c’era nessun mantello a seguirlo, ma sarebbe stato inutile: non lo odiavo più, la mia gratitudine era diventata incommensurabile.

***


Eravamo stati tutti promossi. I giudizi impietosamente esposti agli sguardi degli allievi della scuola presenti a cena.
Il professore aveva adottato un metodo di assegnazione dei voti che teneva conto del ‘’vantaggio’’ di cui aveva parlato come una sorta di bonus: al voto ottenuto da ciascun esaminando veniva aggiunto il bonus, mentre a me il bonus venne sottratto dal punteggio finale.
Ero felicissima, avevo concluso il corso dignitosamente e sarei potuta entrare, a testa alta -ma con entrambe le mani nascoste sotto la divisa- in Sala Grande.
La mia amica Lixiane aveva conquistato il punteggio più alto.

Alla fine del banchetto venne annunciata l’assegnazione delle pergamene.
Il Professor Snape raggiunse il centro del lungo palco in legno su cui erano disposti i tavoli e le sedie dei docenti della scuola di magia.
Era meraviglioso: il suo abito sembrava intessuto in lucida seta nera, tanto era cangiante alla luce morbida delle torce della sala; la lunga fila dei bottoncini, sul davanti della redingote, si muoveva piano, seguendo dolcemente gli atti del suo respiro.
Iniziò a chiamare, uno ad uno, tutti gli studenti del corso. Alla consegna della pergamena stringeva loro la mano: un gesto che, anni fa, non avrebbe neppure accennato.
Sorrideva? No, quello direi proprio di no, ma aveva sul volto un’espressione serena, tranquilla.
Venne il momento di Lixiane e il mio. Fu lei, questa volta, a prestarmi le sue mani per ritirare l’agognato attestato.
Non potendo stringermi la mano il Professore indugiò qualche attimo in più nei miei occhi.
Io sorrisi, gli regalai il più radioso sorriso di cui ero capace e, senza vergogna, sperai che lui potesse leggere nella mia mente tutte le parole d’amore che conoscevo.
Ero sicura, sì, ero sicura che, dietro quegli occhi di ossidiana lucente, lui stesse almeno ricambiando il sorriso.
Al prossimo anno Professore, spero, con tutto il cuore, di rivederti ancora.

Ora posso svegliarmi.

Edited by Lonely_Kate - 2/1/2022, 12:38
 
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