Va bene, allora eccoti servita.
Se non te lo ricordi dalla lettura precedente, questa è la scena in cui Snape raggiunge il suo momento più crudele. Molti dei lettori originali si sono (giustamente) indignati con me e con lui, ma poi... poi comincia la risalita.
Eccolo:
Parte XI
La prima vera lezione di Snape ai suoi studenti del secondo anno iniziò mentre un violento temporale esplodeva con furia, e l tuoni rimbombavano in un cielo livido e nuvoloso. I pannelli splendidamente decorati delle antiche finestre vibravano e mandavano vividi lampi colorati ogni volta che un fulmine attraversava l’aria. L’elettricità pervadeva l’atmosfera, e gli scoppi dei tuoni faceva sussultare di paura i più impressionabili dei ragazzi. Le torce diffondevano una luce tremula ma intensa. In quel contrasto tra chiaro e scuro, dove le ombre oscillanti davano un effetto ancor più tridimensionale agli oggetti e i calderoni apparivano immensi rispetto alle figurette che si muovevano in mezzo a loro, Severus Snape sembrava stranamente piatto mentre i lampi si riflettevano sulla superficie irregolare della sua tela.
La classe era evidentemente a disagio. Per la prima volta, i ragazzi erano soli col loro nuovo professore, e lo stavano considerando sospettosamente con occhiate furtive. Quelli che avevano raccolto informazioni da genitori o parenti più vecchi si erano precipitati a raccontare agli altri i racconti sulla fama terrificante di Snape come insegnante. Sussurri erano stati scambiati nei corridoi riguardo il suo esser stato un seguace del Signore Oscuro. Alcuni dei Serpeverde erano combattuti tra il sentimento di lealtà alla loro Casa e le diverse sensazioni di sfiducia, rabbia o odio suscitate dal flusso delle informazioni ricevute. Le precedenti spiegazioni della Preside McGonagall erano state quindi cancellate dal torrente di notizie arrivate direttamente dalle case e dalle famiglie. Eppure, nessun genitore si era opposto alla singolare scelta della Preside: nessun padre aveva protestato indignato, nessuna madre aveva mandato un gufo per esprimere la sua preoccupazione. I ragazzi era stati lasciati soli a farsi domande in un mare di dubbi, e la diffidenza adesso faceva incupire i loro visi ed esitare le loro voci, mentre la tempesta infuriava fuori dalle finestre e dentro i loro cuori.
Snape accolse la classe con un freddo sorriso che si trasformò in un’espressione sardonica non appena James Potter apparve sotto l’apertura della porta. Il ragazzo era nervoso, e anche se faceva mostra di un atteggiamento baldanzoso, in qualche modo evitava di guardare direttamente il suo insegnante. Con la sua lunga esperienza, Snape si mise immediatamente in guardia, e la piega sarcastica delle sue labbra si accentuò ancora di più.
Il ritratto si aspettava una sfida. Meglio ancora, non vedeva l’ora che accadesse.
*************
La lezione iniziò con una piccola conferenza, nella quale il mago spiegò alcuni degli errori più evidenti che aveva notato nel loro precedente incontro. Era faticoso correggere abitudini che si erano radicate dopo un anno di pratica, perciò i ragazzi dovevano venir corretti il prima possibile. Snape ebbe un brivido pensando agli studenti più grandi: quanti altri comportamenti sbagliati aveva incoraggiato Zabini con il suo lassismo?
Seguì poi un veloce sondaggio e, mentre faceva domande non troppo impegnative, il nuovo professore in realtà indagava e confrontava le interazioni tra gli studenti: osservava le dinamiche della classe per capire chi erano i capi, chi gli elementi deboli, chi i più entusiasti o preparati, e finalmente, chi potevano essere i potenziali disturbatori.
Presto individuò due gruppi principali: uno faceva capo ai Serpeverde, l’altro si radunava attorno ai Grifondoro. Niente di nuovo in tutto ciò, pensò Snape con un sospiro, ricordando il passato. L’unica differenza degna di nota era che adesso i Corvonero sembravano far squadra con gli studenti verde e argento, e il polo della loro attrazione era indubbiamente Jennifer Avery… Un altro interessante dettaglio che avrebbe richiesto ulteriori investigazioni.
Finalmente, arrivarono all’esercitazione pratica. Col suo solito cipiglio sarcastico, Snape aprì il libro dipinto sulla sua scrivania e cercò una pozione per mettere alla prova i suoi studenti; ma questa volta scelse una preparazione molto difficile, perché era curioso di vedere come i differenti caratteri si sarebbero comportati davanti ad una richiesta così impegnativa.
Almeno, questa era la giustificazione che andava ripetendo a se stesso.
Tuttavia il suo sguardo continuava a posarsi su James Potter, che era spiacevolmente conscio di quell’esame incessante. Il ragazzo stava diventando sempre più nervoso e si guardava intorno come a cercare aiuto, mordicchiandosi il labbro e grattandosi la testa nello sforzo di interpretare il testo. Vicino a lui, ancora più angosciato, Arthur Macmillan si passava le dita tra i capelli, sollevandoli e scompigliandoli continuamente mentre cercava di capire le istruzioni.
Il tuono rimbombava cupamente e la vivida luce dei lampi illuminava l’aula con un effetto sinistro. L’intera classe si dimenava e si contorceva come vermi infilzati su un amo. Il compito era evidentemente troppo difficile per loro. Potevano essere “i migliori”, ma erano i migliori secondo il parere di Zabini, pensò Snape e sorrise freddamente, vedendo James grattarsi il naso perplesso mentre scambiava occhiate preoccupate con i suoi compagni.
Dall’altro lato della stanza, con un sorrisetto significativo molto simile a quello di Snape, Jennifer Avery stava tagliando i suoi vermicoli secchi in piccoli segmenti precisi, tenendo lo sguardo fisso sugli ingredienti che aveva davanti. Le sue mani si muovevano con ritmo regolare, e tutto il suo comportamento tradiva una enorme sicurezza e un contenuto disprezzo per il gruppetto patetico riunito in quella stanza.
Ecco, quello sarebbe stato un altro tipo di problema da affrontare in futuro, considerò Snape aggrottando le sopracciglia.
L’esercitazione fu presto finita. Uno dopo l’altro, i ragazzi abbandonarono l’impresa e guardarono le loro pozioni decomporsi, mentre aspettavano con angoscia di conoscere le reazioni del loro nuovo e terribile insegnante davanti a quel fallimento. James Potter era l’unico del gruppo dei Grifondoro che rifiutava di arrendersi e continuava una lotta ostinata contro le forze oscure nel suo calderone: tuttavia, era troppo nervoso per lavorare correttamente, e anche lui finì per perdere il controllo del suo procedimento. In pochi attimi, la miscela che stava rimestando cambiò colore, passando da un giallo pallido ad un incredibile arancione abbagliante.
Cercando di compensare quell’allarmante trasformazione, James aggiunse subito nuovi ingredienti, ma il calderone emise un gorgoglìo bolloso e parte del suo contenuto schizzò fuori, spruzzando il ragazzo con un liquido disgustosamente viscido.
“Ma che diavolo…” gridò James e fece un balzo indietro, mandando una tazza piena di semi a schiantarsi sul pavimento con un botto fragoroso.
“Stai attento, signor Potter!” esclamò Snape, mentre una gioia feroce gli dilatava il cuore. “Ti ho già avvertito che non siamo su un campo di Quidditich.”
Il ragazzo strinse i pugni e le sue labbra tremarono nello sforzo di controllare la rabbia, mentre raccoglieva i semi sparsi sul pavimento.
Troppo facile, pensò vendicativamente Snape, e come se avesse percepito i suoi pensieri, il calderone vomitò di nuovo un’ondata di liquido sullo sfortunato studente che si era avvicinato per controllare la sua pozione. E questa volta, le parole che sfuggirono a James furono roventi come la miscela che aveva cercato di preparare.
“Signor Potter! Modera quella lingua e pulisci il disastro che hai fatto sul pavimento!” ordinò seccamente Snape.
“Non l’ho fatto apposta!” esclamò il ragazzo indignato, e Snape esplose istantaneamente. “Rispetto, Potter! Quando ti rivolgi a me, devi chiamarmi signore o professore!”
La classe agghiacciò e fece un passo indietro, allarmata. Improvvisamente, quell’insegnante dipinto era diventato molto più vero e terrificante della maggioranza dei suoi colleghi vivi.
Incrociando le braccia nella sua posa favorita, Snape abbassò la voce fino a raggiungere un preoccupante tono gelido. “Quello non è il tuo calderone, Potter?”
“Sì, ma---“
“Niente scuse!” rispose seccamente il mago. “Prenditela con la tua incompetenza, Potter, se hai rovinato la tua preparazione e sbagliato il test. Non dimenticarti che sei in un corso che richiede cervello, non muscoli.”
“Non ho chiesto io di essere ammesso… signore,” rispose il ragazzo, risentito per quelle continue allusioni alle sue prodezze sportive.
“Pulisci quel disastro!” ordinò Snape con un tono che fece rabbrividire tutti gli altri studenti, muti spettatori di quella scena.
“Scriverò a mio padre quello che è successo,” sussurrò rabbiosamente James ad Arthur Macmillan mentre cercava di ripulirsi del liquido disgustoso che aveva addosso. Ma purtroppo per lui, l’udito di Snape era ormai altamente sviluppato dopo tutti quegli anni di insegnamento.
“Ho avuto il piacere di insegnare a tuo padre, signor Potter,” esordì quindi il mago con voce lenta e carica di significato. “Anche lui pensava di poter trasgredire le regole quando era ragazzo, eppure non credo che sarebbe felice di sentire che stai seguendo le sue orme anche in questo. Puoi sempre chiederglielo, naturalmente.”
Snape si interruppe per guardare James negli occhi.
“Ma ti avverto che, in questa classe, l’ultima parola è la mia,” concluse con un sorriso freddo.
“Allora andrò a parlare con la Professoressa McGonagall! Non voglio più stare in questo corso!” sbottò James con infantile risentimento.
Il tuono rimbombò ancora con un ruggito risonante, come se volesse sottolineare quella dichiarazione, e vividi lampi rossi esplosero nella mente di Snape, coagulandosi in piccole macchie vibranti.
“Metti a posto quel caos, Potter, se non vuoi che ti dia una punizione.”
Il ragazzo e il professore incrociarono lo sguardo, fissandosi in una sfida silenziosa.
“NO!” gridò James; poi, ribollendo di collera, girò le spalle al ritratto e cominciò ad avviarsi verso la porta; tuttavia, i suoi passi divennero immediatamente incerti, come se stesse già rimpiangendo quella decisione troppo affrettata, e i suoi occhi lanciarono occhiate in giro, chiedendo mutamente ai suoi compagni di dire qualcosa, di difenderlo, di dargli un qualche supporto. Ma nessuno si mosse, e imitando il loro professore, anche Jennifer Avery incrociò le braccia, ostentando un freddo sorriso sulle labbra.
“Cosa pensi di fare, Potter?” chiese Snape aspramente.
“Me ne vado,” rispose James, con voce tremante resa ancora più acuta dalla tensione.
“Non credo proprio.
Auxilium!”
Un cigolio inquietante rispose a questa chiamata. Risvegliandosi dal suo sonno inanimato, una delle armature posizionate agli angoli della stanza si raddrizzò improvvisamente e cominciò a camminare a passi pesanti, con un pauroso suono stridente.
Alcuni dei ragazzi ansimarono di terrore, ma praticamente tutti erano paralizzati e affascinati dalla scena, felici in cuor loro che il professore avesse dimenticato la fine ingloriosa dei loro esperimenti e trovato un così conveniente capro espiatorio.
James impallidì. Era la prima volta che si trovava di fronte un avversario magico così potente, e di certo non aveva pensato che l’uomo nel ritratto potesse avere un simile alleato al suo fianco. Il ragazzo si fermò e studiò il nemico. Poi, con un’espressione determinata, cercò di aggirarlo, usando le varie tecniche che aveva imparato e che funzionavano così bene sul campo di Quidditch.
Si curvò, fece una finta e cercò di superare la statua con un balzo, mentre Snape sorrideva in silenzio, assaporando il momento in cui quel ragazzino viziato sarebbe stato costretto a tornarsene vergognoso al suo posto. Aver stregato quegli impressionanti guardiani – in modo che lui, ormai costretto in un quadro, potesse risvegliarli alla vita quando necessario - era stata una splendida idea.
Ma l’armatura era ancora più risoluta a compiere il suo dovere di quanto potessero immaginarsi sia Snape che James. Dopo un tentativo andato a vuoto, un braccio di ferro inaspettatamente lungo si protese fino ad una dimensione inverosimile e afferrò il ragazzo per la caviglia. Di colpo, James si trovò a testa in giù, con le braccia che quasi toccavano il pavimento, mentre la creatura si girava trionfante verso Snape per presentargli il suo prigioniero penzolante.
“Lasciami andare!” stillò il ragazzo, mezzo soffocato da quella scomoda posizione, e l’intera classe trattenne il respiro, spaventata e allo stesso tempo incapace di reagire.
Un lampo solitario illuminò violentemente la stanza, e gli occhi di Snape si dilatarono, mentre i ricordi lo trascinavano indietro nel tempo. Adesso aveva di nuovo sedici anni e guardava quella scena da una distanza remota, ed era il suo se stesso più giovane, sollevato da un Levicorpus, che gridava e si contorceva per liberarsi… ma nessuno interveniva per aiutarlo. Era stato il nonno di James ad umiliare il giovane Severus davanti ai loro compagni, e un odio improvviso sgorgò bruciante nelle vene di Snape mentre riviveva quell’episodio così disonorevole con rabbia impotente. Emozioni che non avrebbe mai pensato di poter provare ancora si risvegliarono selvagge nelle sue fibre, e per un momento, l’oscurità velò la sua mente.
James indossava calzoni sotto l’uniforme. Almeno gli era stata risparmiata l’umiliazione di mostrare al pubblico la sua biancheria intima. Ma, scivolando fuori da una delle sue tasche, un bigliettino scintillante cadde graziosamente al suolo, e lì, con una piccola esplosione, si trasformò nel ritratto nebbioso di una ragazzina. Nel silenzio improvviso che si era creato, una voce dolce dichiarò, “
Ti amo, James!”
La classe esplose in una risata liberatoria, e il ragazzo appeso a testa in giù, mortificato, scoppiò a piangere.
L’intero episodio era durato solo pochi secondo, ma Snape si sentì come se fosse tornato da un lungo viaggio nel tempo. L’amarezza gli strinse il cuore. No, non c’era né gioia né soddisfazione né piacere nell’umiliazione di quel ragazzino i cui occhi rispecchiavano la stessa angoscia che il mago provava nel suo animo.
“Basta!” Snape si scoprì a gridare. Immediatamente, gli studenti fecero silenzio e arretrarono spaventati di fronte alla furia che si stava diffondendo sui lineamenti del loro professore.
“Lascialo andare!” il mago ordinò all’armatura, e la creatura gentilmente depose al suolo James, che si raggomitolò a terra singhiozzando, rifiutando di guardare i suoi compagni.
“Dieci punti in meno ad ogni Casa!” dichiarò aspramente il mago, e gli studenti abbassarono lo sguardo in un silenzio risentito. Poi Snape si rivolse a James.
“Pulirai quel disordine prima di andartene, Potter. Questo è tutto, e spero che non mi darai più motivi per lamentarmi di te,” disse quietamente.
“Ma così arriverà tardi a Trasfigurazione!” Arthur Macmillan, l’unico a non aver riso alla scena precedente, non potè trattenersi dall’esprimere la sua ansia.
“In questo caso, tu lo aiuterai, signor Macmillan. Le punizioni sono molto più sopportabili quando si condividono con gli amici. E poi, subito dopo, avrai una nuova occasione di dimostrare la tua amicizia quando arriverete entrambi in ritardo a Trasfigurazione.”
Arthur abbassò la testa, troppo spaventato per replicare.
“La lezione è finita,” annunciò Snape, e con lo stesso silenzio risentito di prima, i ragazzi presero i libri e lasciarono la stanza. Fuori da quella mura, la tempesta si stava calmando, ma il tuono ancora risuonava in lontananza, come se rispecchiasse le molte contrastanti emozioni che permeavano gli animi.
*************
Non appena fu solo con Arthur, James si rimise lentamente in piedi. Senza dire una parola, chiudendosi dietro un muro di freddezza, cominciò a pulire il pavimento con gli occhi ancora gonfi di lacrime brucianti. Arthur gli andò vicino e cercò di confortare l’amico posandogli goffamente una mano sulla spalla. Ma James si scostò bruscamente, stringendo le labbra. Sconfortato, Arthur fece un respiro profondo, poi, ricordando la loro situazione, si girò a guardare verso il ritratto con una luce di apprensione sul viso. Ma il quadro era vuoto, e i due ragazzi si rilassarono con un sospiro di sollievo.
“Lo odio!” James mormorò, impallidendo sotto la violenza delle sue emozioni. “Lo odio! LO ODIO!!! Hai visto come si è divertito alla scena?”
“Ecco…” disse Arthur a disagio, “ti avevo detto di lasciare il biglietto di Margaret nella nostra stanza…”
“Non parlavo di quello, scemo! Non hai sentito cosa ha detto? Mi odia per via della mia famiglia, perché ho questo nome!”
“Però mi sembra che con tuo fratello vada d’accordo…” provò di nuovo Arthur, deglutendo preoccupato. Non voleva litigare col suo amico, ma James poteva diventare pericoloso in occasioni come quelle.
“Al è uno stupido! L’ho già avvisato! Scommetto che Snape gli farà un brutto scherzo quando meno se lo aspetta. Snape odia tutti i Potter!”
Il ragazzo si fermò per prender fiato e concluse bruscamente, “Prima o poi troverò un modo per fargliela pagare!”
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Minerva sorbiva lentamente il suo infuso alle erbe. Ultimamente, si era lamentata di noiosi doloretti alle giunture, e Snape, che era diventato molto protettivo verso la sua vecchia amica, aveva convinto Zabini – be’, effettivamente lo aveva obbligato – a preparare una speciale miscela rinvigorente ogni sera, in modo che le fosse d’aiuto. Poi aveva cominciato a passare le sue serate con lei, godendosi un’ultima chiacchierata prima che la donna si ritirasse nelle sue stanze. Nella cerchia dei suoi nuovi colleghi – sempre molto cauti ed educati in sua presenza – Minerva era l’unica di cui gli importasse veramente, la sola in quella scuola che avesse condiviso con lui così tanti avvenimenti importanti della sua vita.
“Allora,” chiese lei quietamente, “è ancora James Potter, Severus? Non finirà mai questa storia? Dopo tutto, è la terza generazione! Il sangue dovrà pur essersi annacquato dopo tutti questi anni… nonostante l’aggiunta dei cromosomi Weasley.”
Minerva alzò lo sguardo con un sorriso, ma Snape sospirò e rimase in silenzio. Quella mattina, aveva guardato negli occhi i suoi demoni. La scena avvenuta in classe ancora gli rimescolava lo stomaco e non desiderava parlarne. Oltretutto, aveva la spiacevole impressione che Minerva riuscisse a percepire i suoi sentimenti. La sua gentilezza era più dolorosa di un rimprovero.
“E che mi dici di suo fratello?” continuò affabilmente la Preside. “Pensavo che fossi affezionato al giovane Albus Severus…”
Snape sentì un fremito d’angoscia nel cuore. Non voleva pensare al suo studente preferito. Come avrebbe reagito il bambino all’umiliazione inflitta a suo fratello?
“Sono spiacente, Minerva,” si decise finalmente a dire, “ma quel ragazzo meritava un castigo. Comunque, come ti ho già detto, sono sempre disposto a dare le dimissioni.”
“Ma come ti ho già detto, io non posso accettarle,” rispose Minerva con un sorriso e scosse la testa. “Non ce l’hai messa tutta, Severus. E io ho bisogno di te in questa scuola. Perciò, per favore, prova ancora e fai del tuo meglio.”
Minerva finì placidamente di bere, poi inclinò la testa per guardare con affetto il suo compagno così insolitamente imbarazzato.
“Non te la caverai così facilmente questa volta, Severus. Non con me a dare gli ordini.”
Edited by Lady Memory - 15/10/2016, 18:14