Luoghi di spettacolo: il Theatron
Per cominciare questa chiacchierata dirò che Teatro, nonostante l’intuitiva semplicità del senso, è una parola dall’etimologia complessa.
Infatti in origine fu usata dai Greci per indicare non la gradinata dalla quale si contemplava lo spettacolo , ma piuttosto il pubblico che vi assisteva e solo in seguito
Theatron (da
“theàomai”, vedo) servì ad indicare l’intero l'edificio destinato alla rappresentazione.
Tutte le notizie che si hanno sull'origine della struttura del teatro greco vengono tratte dai resti archeologici, dalla pittura vascolare e, solo in parte, dagli scrittori del tempo; in tutte le fonti scritte l’origine della struttura architettonica viene fatto discendere dalla natura stessa delle rappresentazioni che vi si svolgevano.
Possiamo dire che
in principio fu la piazza; in altre parole il primo teatro fu uno spiazzo intorno al quale gli spettatori si sedevano alla meglio per ascoltare poeti e cantori che eseguivano ditirambi (dal gr.
dithyrambos, uno dei nomi dati a Dioniso, parola ricollegabile con
thriambos tripudio, baccano, strepito).
I ditirambi erano un genere di poesia lirica corale, che celebrava originariamente Dioniso e il culto dionisiaco (trattò poi anche altri soggetti, estranei a Dioniso); i ditirambi, scritti in metri varî, erano cantati da un coro che danzava in cerchio, accompagnato dalla musica.
Si attribuisce a tale Arione di Metimna
* (vissuto a cavallo del 600 a.C.) il merito di avere perfezionato questo genere poetico, creando uno schema metrico. Dai racconti di Erodoto sappiamo che costui ebbe un grande successo perfino all’estero, in Sicilia; e che si esibiva con corona d’alloro e costume di scena.
Fino all'epoca ellenistica (III-I sec. a.C.) il teatro è connesso al culto di Dioniso.
Durante le feste in onore del dio, che si svolgevano in primavera, gli abitanti di Atene formavano delle processioni che terminavano con un sacrificio, davanti all'altare del santuario della divinità, durante le quali eseguivano canti ditirambici.
L’area destinata alle rappresentazioni si evolve da semplice spiazzo per il pubblico a spazio delimitato (circolare o a trapezio), circondato da panche di legno, fino a divenire opera architettonica vera e propria nel corso del V- IV sec. a. C..
Campanile di Giotto: Andrea Pisano - il Teatro o Carro di Tespi La tradizione attribuisce le prime forme di teatro organizzato a Tespi, poeta e “attore” egli stesso, vissuto verso la metà del VI secolo a.C.
Tespi ebbe una sua compagnia girovaga, il cosiddetto
Carro di Tespi, su cui trasportava attrezzi di scena, arredi, costumi e maschere e il cui significato venne poi traslato ad indicare una sorta di bazar nel quale può essere contenuto di tutto.
La figura di Tespi è avvolta nella leggenda.
Secondo il Marmor Parium
**, Tespi avrebbe fatto rappresentare la prima tragedia nell’Olimpíade LXI (536 533 a.C.), in occasione delle Grandi Dionisie. Nativo d’Icaria, borgo dell’Attica famoso per un culto di Dioniso, la sua venuta ad Atene e l’attività di tragediografo sono collegate, secondo alcune testimonianze, all’impulso dato da Pisistrato al culto dionisiaco.
Tespi sul suo carro trainato da buoi innalzava un palco; due attori con i visi dipinti cantavano dei cori di argomento storico. Dopo qualche tempo Tespi vi aggiunse un terzo attore, il quale separatamente dai cori recitava dei versi: nacque così il ruolo dell’attore distinto dal coro.
Quello che è sicuro è che, agli inizi, lo spazio per le rappresentazioni veniva ricavato da luoghi preesistenti, magari in qualche modo recintati; con il progredire e il complicarsi dell'azione scenica il teatro divenne un'opera architettonica a sè stante, ma comunque e sempre a cielo aperto.
Il vero e proprio teatro a struttura stabile nasce in Grecia verso il IV sec. a.C. come luogo dove, spesso in occasione di feste pubbliche, avvenivano le rappresentazioni di tragedie e commedie.
Ovviamente Il teatro, inteso come ambiente o edificio adibito a qualsiasi tipo di rappresentazione, ha subito nel corso della sua storia una notevole evoluzione architettonica.
Nel VI-V secolo a.C., la maggior parte del teatro è fatto di legno.
Di legno erano le panche per gli spettatori, gli
ikria( dal gr.
ikrion, legno, tavolato) , il cui insieme formava il
koilon (dall’aggettivo greco
koilos, concavo), l’auditorium, insomma la platea: questa fu prima trapezoidale e, solo più tardi, curvilineo, quando al legno, che si incendiava facilmente provocando parecchi incidenti, si sostituì la pietra.
Devo aggiungere che sulle panche sedeva un pubblico piuttosto agitato che partecipava agli agoni drammatici in modo piuttosto indisciplinato alzandosi in piedi per applaudire, gridare, protestare o battendo rumorosamente i calcagni contro le tavole per esprimere il proprio disappunto nei confronti di un attore. Non deve dunque meravigliare che queste costruzioni, già di per sè non particolarmente sicure, potessero crollare come ci informa la Suda (il lessico bizantino d'autore ignoto che ci è già capitato d’incontrare).
Ed ecco un altro motivo per cui i teatri divennero architettonicamente molto più stabili e furono costruiti in solida pietra.
Lo spazio piano dove il “coro” eseguiva le danze si chiamava orchestra ( dal greco
orcheomai, io danzo), situata oltre l'orchestra da un lato doveva esserci una tenda o un baracchino per cambiare maschere e costumi, come quelli che vengono usati oggi per le rappresentazioni all’aperto: la
skené, la scena, che serviva anche a creare uno sfondo all'azione degli attori, era fonoriflettente e fronteggiava il
koilon, cioè gli spettatori.
Molti stavano in piedi, altri seduti sulle panche di legno, poste quasi sempre su di un pendio naturale scelto per permettere a tutti di vedere e ascoltare senza coprirsi la visuale e con un’acustica migliore.
Non esiste un corrispettivo di palcoscenico nel teatro greco più arcaico: l'azione scenica si svolgeva infatti nell'orchestra. Solo successivamente, con l'introduzione della skenè e con l'inizio dell'utilizzo di essa come elemento scenico, gli attori poterono servirsi di essa come di uno spazio utile all'azione teatrale. Questa risultava quindi divisa in due, proprio perché, mentre l'elemento verbale restava relegato alla
skenè, il canto e la danza si svolgevano nell’orchestra.
Il teatro greco in pietra, i cui perfezionamenti strutturali furono legati al successo e allo sviluppo delle rappresentazioni drammatiche in Grecia e in Asia Minore, aveva forma a ferro di cavallo, delimitata ai due estremi da muri di sostegno, gli
analemmata (dal gr.
analemma, base).
Le parti in cui era distinta la struttura definitiva e resistente al tempo del teatro Greco (di cui esempi eccellenti sono quello di Taormina, Epidauro, Delfi e Atene, per citare i meglio conservati), sono sostanzialmente tre.
Teatro greco di Epidauro
Il
koilon, dove sedevano gli spettatori.
I sedili erano fatti in pietra: un piano superiore su cui sedeva lo spettatore, e uno inferiore leggermente curvo su cui poneva i piedi. La cavea era in genere costruita scavando o adattando un pendio naturale del terreno (i romani invece costruiranno tutto artificialmente)
La divisione in settori del
koilon, ricalcava la gerarchia sociale, né più né meno di adesso.
La fila a diretto contatto con l'orchestra era riservata agli arconti, sacerdoti e strateghi, i “vip” diremmo oggi; nei settori superiori trovavano posto i membri dell’assemblea, cioè i personaggi importanti, ma senza esagerare; più in alto ancora i cittadini ed infine coloro che non erano in possesso della cittadinanza, gli stranieri, le donne e gli schiavi.
L'insieme della gradinata nei teatri come quello di Dioniso ad Atene o quello di Epidauro raccoglieva circa 17.000 spettatori, ed era attraversata da un gradino più largo degli altri, detto
diàzoma ( da
dià, attraverso e
zonnymi, cingere), il quale aveva la funzione di dividere la gradinata in due sezioni, una nella parte superiore, una in quella inferiore. Per favorire ingresso, uscita e sistemazione ai posti, erano state ricavate delle scalette (
klimakes, dal gr.
klimax, scala) che dividevano in più spicchi la gradinata, in settori verticali di numero variabile, secondo l’ampiezza della cavea, detti
kerkides ( da
kerkis, cuneo).
Insomma per avere un’idea, basta pensare alla sala di un cinema che, pur non avendo sempre forma semicircolare, è tuttavia suddivisa esattamente come un teatro greco.
Per la serie: non abbiamo inventato niente!
L'accesso al teatro degli spettatori avveniva o dall’alto (come spesso oggi) o attraverso le
parodoi ("passaggi laterali") accanto all’orchestra, spesso lievemente inclinate, arricchite da statue e dediche votive, utili agli attori e agli spettatori, chiuse da porte solo in età più tarda (III- II sec.a.C.).
Da quella di destra, per convenzione, entravano i personaggi provenienti dalla città, dall’altra di sinistra quelli che giungevano dalla campagna.
Il secondo elemento era l'
orkhestra, cioè lo spazio centrale del teatro greco, quello riservato al coro ed era collocata tra il piano inferiore della cavea e la scena.
Essa era di forma circolare; presentava ai lati due ingressi (
parodoi, dal gr.
parà, accanto,
odos, via, strada: passaggio), attraverso i quali il coro raggiungeva il suo posto e si allontanava alla fine dello spettacolo. Nel periodo più antico attraverso le parodoi entrava anche il pubblico.
L’orchestra era lo spazio destinato alle evoluzioni e spostamenti del coro
***.
Nei teatri che si sono conservati e dai quali è possibile comprenderne la struttura, l’orchestra appare circondata per poco più della metà del perimetro dalla cavea, mentre tutto intorno correva un canale coperto che convogliava le acque defluenti dalla collina.
Il diametro dell’orchestra nei teatri maggiori era superiore ai venti metri e, al centro troneggiava l’altare di Dioniso a presiedere e proteggere le esibizioni teatrali.
Terzo elemento era la
skenè, la scena che era situata ad un livello più alto dell'orchestra con la
quale comunicava mediante scale. La sua funzione originaria era soltanto pratica, cioè forniva agli attori un luogo appartato per prepararsi senza essere visti. Divenne poi sempre più complessa e abbellita da colonne, nicchie e frontoni. Dal 425 a.C. fu costruita in pietra e con maggiori ornamenti.
La scena, anche quando i teatri erano costruiti in pietra, aveva parecchi elementi lignei, per lo più con valore decorativo. Essi erano costituiti da pannelli di varia grandezza dipinti.
In seguito, alla fine del V secolo a.C., la
skenè venne già pensata come vero e proprio edificio scenico.
Era provvista di una fossa profonda per gli scenari, di una pedana su cui recitavano gli attori e un fondale con tre porte.
Con il tempo la scena fu rialzata e spinta in avanti con un proscenio (palcoscenico rialzato), la cui fronte era di solito un porticato a colonne con tavole di legno dipinte. Quinte girevoli con decorazioni di paesaggi consentivano i cambiamenti di scena. Verso la fine del V secolo a.C. l'impianto scenico si fece più articolato e s'introdusse l'uso di macchine teatrali, scene rotanti, piattaforme mobili.
Le notizie riguardo le scene e le macchine, utilizzate nel teatro greco sono fornite da Aristotele, Polluce (sofista e grammatico greco del II sec. d.C.) e Vitruvio (trattatista latino). La scena greca si avvaleva di tre porte nella skené, una grande al centro per l'ingresso dell'attore principale, quella di destra per il secondo attore e quella a sinistra doveva rappresentare una prigione, un deserto o un tempio in rovina. C'erano numerose macchine teatrali che servivano a creare la scena e gli effetti speciali.
Per la scena c'erano dei prismi triangolari dipinti su ogni lato, girevoli, sistemati alle due entrate laterali. Per gli effetti c'erano le macchine per produrre suoni e fulmini, botole da cui spettri e spiriti facevano la loro apparizione, torri, piattaforme basse su rotelle, una carrucola con un gancio che serviva a sollevare e abbassare le divinità, gru per portare via in fretta i cadaveri, anche se nell'epoca più antica non potendosi mostrare le scene di violenza, esse venivano introdotte o raccontate da un messaggero.
Vi lascio con un’ultima notiziola: l'attore in Grecia, professione riservata esclusivamente ai maschi, era denominato,
hypockrites ossia
colui che finge.
Il termine deriva dal verbo
hypokrinomai, il cui significato generale (“comunico un fatto interiore o segreto [dopo averlo ben vagliato]”) viene usato in due accezioni particolari: “interpreto” (specialmente sogni, oracoli, o altre manifestazioni della divinità) e “rispondo” (dopo aver attentamente esaminato i fatti).
Solo nel momento in cui la parola ispirata divenne, sulla scena, una tecnica artistica particolare, il suo significato si trasformò:
hypokrites venne a designare unicamente l’“attore” in quanto interprete di caratteri e personaggi nella finzione scenica, cioè un simulatore, ed ecco da cosa deriva il significato della nostra parola
ipocrita.
La prossima volta, se non vi siete troppo annoiati, vi parlerò dell’eccezionale acustica dei teatri greci, delle maschere, dei costumi di scena e di due tra i teatri più famosi: il teatro di Epidauro e quello di Taormina.
*Secondo la leggenda, Arione, apprezzato compositore e suonatore di cetra, si congedò dal tiranno di Corinto per vagare nel mondo allora noto e dimostrare a tutti la sua eccelsa bravura. Il successo non tardò a venire ed egli accumulò molte ricchezze che fecero gola ad alcuni marinai che lo stavano trasportando da Taranto in Sicilia.
Al largo, i marinai decisero di uccidere Arione e di derubarlo. A tal fine gli diedero la possibilità di scegliere la sua sorte tra il suicidio o l’affidarsi ai flutti del mare. Arione (su consiglio del dio Apollo,), decise di gettarsi in mare. Non prima, però di aver cantato una lode ad Apollo, accompagnato dalla sua cetra.
È a questo punto della leggenda che entrano in scena i delfini che, attratti dal canto, circondarono la nave. Non appena Arione si gettò in mare, non visto dai marinai, un delfino lo trasportò sul suo dorso fin sulla terra ferma, al santuario di Poseidone, in Grecia, dove il mammifero marino morì.
Arione ritornò presso la corte del tiranno di Corinto il quale, ascoltata la storia, ordinò di dare sepoltura al delfino e di erigere un monumento in suo onore.
Ma la leggenda ha ancora in serbo una sorpresa spettacolare: Apollo, per rendere immortale la bravura di Arione e la generosità del delfino che lo salvò, trasportò in cielo entrambi, trasformandoli in costellazioni (la costellazione della Lira e la costellazione del Delfino).
**Marmor Parium: E’ un’iscrizione risalente alla metà del III secolo a.C., incisa su una lastra di marmo che riporta numerosi avvenimenti della storia greca. Autore anonimo.
***Il coro (da
coreuein, danzare)al tempo di Eschilo era composto da 12 coreuti, che divennero 15 con Sofocle. Era formato dai coreuti che cantavano e ballavano, guidati dal corifeo. Si può dire che fosse un vero e proprio personaggio che commentava le azioni. Non per forza, però, ciò che diceva aveva a che fare con la scena. Il coro raccoglieva l’umore della città e lo esprimeva. Al tempo di Eschilo il coro eseguiva il suo canto in armonia con la musica e con la danza. Anche quando non agisce, il coro è sempre presente, ma non blocca nè devia il corso dei fatti. Il coro dialogava con gli attori, commentava l’azione e guidava lo spettatore nella comprensione di ciò che accadeva.
Bibliografia e link:
<i>I greci a Teatro, di H.C. Baldry, ed. Laterza
La tragedia Greca, di A. Rodighiero, ed. il Mulino
La città greca, G.Glotz, ed Einaudi
Storia dell’arte classica. Arte greca, Giulio Quirino Giglioli, ed. Vallardi
http://doc.studenti.it/appunti/letteratura-greca/coro-
www.laboratoriosicsi.it/siti/melpomene/Architettura.htm
www.parodos.it/news/struttura_del_teatro_antico.htm
www.treccani.it/enciclopedia/teatro/
http://geomodi.blogspot.it/2012/02/storia-...fondimenti.html
Edited by chiara53 - 11/4/2023, 19:21