Allora, intanto vorrei ringraziare di nuovo tantissimo e veramente di cuore tutti coloro che mi stanno leggendo e in particolare chi mi ha lasciato un messaggio, ovvero Fink, Chiara53, Ellyson e Ele Snapey.
Siete state davvero gentili, mentre io credo di non aver saputo esprimere in maniera decente la mia gratitudine per il vostro incoraggiamento. Ho riletto le mie risposte e ho pensato che, al vostro posto, mi sarei mandata al diavolo, anzi, a bere la pozione Oppositus.
Quindi GRAZIE di nuovo
Come scrivo sempre nei miei racconti inglesi, "your support is greatly appreciated!"
Poi, aggiungo l'ultimo capitolo che sono riuscita a scrivere, così forse qualche curiosità ce la togliamo
Un abbraccio, e "see you later", cercherò di trovare un po' di tempo.
8. Raccogliere i cocci può far male alle maniLa serata arrancò verso la fine. Una fine molto cupa.
All’ora di cena, un paio d’ore dopo la sparizione, non c’era ancora alcuna traccia di Severus. I suoi colleghi si sedettero a tavola pensierosi. Hermione mandò a dire che preferiva non partecipare e che avrebbe spilluzzicato un toast in camera sua, ma venne snidata da Minerva che la trascinò in Sala Grande quasi di forza. Gli studenti mangiavano facendo il solito chiasso, e questo smorzò le conversazioni, a parte brevi commenti volanti che si intrecciavano da un lato all’altro della tavolata.
La sparizione del professore di Pozioni aveva dato il via ad una specie di lotteria dei pronostici, in cui ognuno dava una sua interpretazione dell’accaduto... a seconda di come vedeva la cosa, ovviamente. C’era chi pensava che Severus se l’era squagliata e sarebbe tornato dopo aver architettato una spiegazione plausibile per la sua fuga vergognosa; chi invece riteneva che fosse corso a documentarsi meglio prima di affrontare la prova; altri commentarono francamente che non sapevano cosa pensare, ma nessuno mise in dubbio le capacità di Hermione. La cosa la rinfrancò molto, perché era arrivata a cena terrorizzata all’idea di venir sottoposta ad una specie di processo fatto di occhiate ostili.
Minerva, che a tavola se l’era tenuta vicino, aveva fatto il possibile per rincuorarla e alla fine, era arrivata a dirle,”Devi pensare che Severus ha il doppio della tua età e una grandissima esperienza in materia di pozioni. Se ha accettato di provare la tua creazione, aveva evidentemente capito che non c’erano pericoli… sai, i pozionisti hanno i loro metodi… credo ci sia una specie di sesto senso per queste cose…”
E le aveva stretto la mano come una vecchia zia affettuosa.
Tutto molto bello, aveva considerato Hermione dentro di sé, ma nella sua ansia protettiva, Minerva non si era resa conto di star parlando proprio con una futura pozionista. Tutte quelle sciocchezze sul sesto senso non avevano appunto “senso”.
Nel suo anno di studio precedente, Hermione aveva letto varie storie su pozionisti audaci che avevano finito per avvelenarsi da sé stessi. Addirittura, aveva scoperto un libretto in biblioteca che, ricalcando le storie poliziesche babbane, presentava ben dieci casi particolari ancora irrisolti sotto il titolo “Scomparse misteriose: fatalità, delitto o suicidio?” e ne elencava i nomi attribuitigli dalla fantasia popolare: “Il caso del dente di drago marcio” oppure “Il caso dell’osso disossato”. All’epoca l’aveva trovato divertente, ma adesso non avrebbe voluto rientrare a far parte di quella casistica, magari sotto il titolo de “Il caso del professore scomparso”.
Un ulteriore avvenimento giunse poi a scompigliarle definitivamente i nervi.
Nonostante l’antipatia che provava per Hermione, Sibilla ne aveva una grande stima. O meglio, aveva una grande stima per le sue doti di “sgobbona”, come soleva dipingerla ai colleghi quando Hermione non era presente.
A tavola aveva cominciato a lanciare messaggi criptati del tipo, “il mio Occhio Interiore mi assicura che Severus sta benissimo.” Da quando si era saputa la verità sulla vicenda Potter, ovvero che la prima profezia era stata rivelata appunto da Sibilla, e che a quella se ne era poi aggiunta un’altra al momento della reincarnazione di Voldemort, la veggente si era sentita ammantare di gloria imperitura. Nessuno avrebbe più potuto criticarla, e anche il “ronzino”, come continuava a definirlo lei, aveva dovuto ammettere che gli umani, nella loro follia, sono a volte guidati da forze incomprensibili persino ai centauri.
Avvolta quindi da questa aura di splendore, Sibilla si sentiva autorizzata a lanciare oscuri avvertimenti e profezie che, data la loro nebulosità, potevano essere interpretati in tantissimi modi… dopo che gli eventi si erano verificati.
Ma quella sera, Sibilla era mossa da ben altre forze. Aveva preso coraggio bevendo più del dovuto, e i vicini si accorsero che le sue predizioni si stavano facendo sempre più concrete quando cominciò a borbottare ripetutamente la stessa frase, “Come una farfalla, esco dalla crisalide! Come una farfalla, apro le mie ali!”
A fine cena, uscì dalla sala barcollando, con un sorriso vacuo stampato sul viso. Hermione ebbe un impulso premonitore e si precipitò sulle sue orme in tempo per vederla entrare nella saletta di Pozioni ed afferrare il mestolo. Minerva, arrivata subito dietro di lei, ebbe un grido d’avvertimento.
“Non farlo!”
Ma la veggente era determinata e, con una rauca risata, ribattè sprezzante, “Non puoi impedirmelo, Minerva! Come una farfalla, mi librerò nell’aria!” E inghiottì voracemente la pozione.
Non accadde nulla, e per un momento, i visi delle tre donne rifletterono intensamente solo i loro sentimenti predominanti: sollievo per Minerva ed Hermione, delusione per Sibilla.
Poi, l’espressione della veggente cambiò di colpo, e con un singhiozzo, la donna si posò le mani sulla testa. Hermione fece un passo indietro e Minerva ansimò d’orrore. Le orecchie di Sibilla si stavano ingrandendo spropositatamente e diventavano via via larghe come quelle di un elefante e ancora di più, sempre di più, in un crescendo che pareva destinato a non finire mai.
“Come… ali di farfalla…” balbettò Minerva, incapace di distogliere lo sguardo dalla sfortunata collega, e Hermione guardò con lei, in una sorta di fascinazione morbosa.
Per un lunghissimo attimo, Sibilla stette di fronte a loro come un lepidottero mostruoso, le orecchie enormi che ormai toccavano terra palpitanti. Poi il peso di quelle appendici smisurate vinse la sua resistenza, e la veggente cadde sul pavimento, piangendo e gridando.
“Presto, l’antidoto!” comandò Minerva, ed Hermione, riscossasi dalla trance, si precipitò verso un flacone nascosto in un angolo. Come Merlino volle, fecero inghiottire alcuni sorsi alla sfortunata strega che, ormai atterrita, si rifiutava di collaborare e accusava Hermione dell’accaduto.
“Ora basta, Sibilla!” le ordinò fermamente Minerva. “Eri stata avvisata di non toccare la pozione, eravate stati avvisati tutti!”
L’ansia e l’agitazione che le stringevano le viscere furono felici dell’occasione di sfogarsi che le veniva presentata, e la povera Sibilla si prese una lavata di capo come mai le era capitata dai tempi in cui, bimba di sei anni, aveva pasticciato con la bacchetta di sua madre, trasformandola per alcune ore in un rospo. Come avesse fatto suo padre a capire che quell’anfibio gorgogliante era sua moglie restava per Sibilla tuttora un mistero, anche se aveva sentito alcune frasi decisamente illuminanti sul rapporto che legava i suoi genitori.
Le orecchie le si sgonfiarono leggermente, ma restarono tuttavia di proporzioni allarmanti, e a quel punto, Sibilla cominciò a singhiozzare disperatamente, dicendo che aveva mal interpretato le premonizioni del suo Occhio Interiore che aveva voluto avvisarla, non certo tradirla come invece aveva fatto quella detestabile ragazza di fronte a lei, che l’aveva sempre odiata sin dai tempi di scuola e non le aveva mai creduto e aveva sparlato di lei e si era rifiutata di… seguire… le… sue… lezioni…
Distrutta dallo shock emotivo e dall’alcol sbevazzato, Sibilla si addormentò di colpo sull’ultima frase, lasciando Minerva e Hermione interdette. Poi, l’anziana strega si rivolse alla giovane pozionista fallita – così ormai si vedeva Hermione – e le chiese quietamente, “Signorina Granger, tu sai che non ho mai dubitato di te e delle tue capacità. Ma a questo punto mi domando: cosa accidenti hai mescolato in quel calderone?”
Apostrofata con quel “signorina” così formale che non sentiva da secoli, Hermione scoppiò a piangere anche lei, e per un quarto d’ora, Minerva dovette esercitare tutta la sua pazienza ed esperienza per calmare i singhiozzi della ragazza che giurava che avrebbe lasciato Hogwarts e il mondo magico per ritirarsi per sempre in qualche monastero in Tibet.
Infine, Minerva creò una barella con un tocco delicato della sua bacchetta, vi issarono la svenuta Sibilla e la seguirono fino all’infermeria, dove trovarono una Poppy silenziosa, perplessa e delusa.
“Peccato,” disse la Guaritrice in un sussurro a Hermione. “Ero sicura che ce l’avresti fatta.”
Poi aveva guardato gli occhi arrossati della ragazza e aveva rettificato, in un tentativo illogico di sollevarle il morale, “In effetti, ne sono ancora sicura. Dobbiamo solo capire cosa non ha funzionato…”
***************
Tornando tristemente verso le sue stanze, Hermione rimuginò sul problema. Era possibile che l’antico volume l’avesse ingannata? In fin dei conti, veniva dalla sezione proibita. Libri oscuri e malvagi, traditori per essenza. Un cupo rossore le invase le guance. Se davvero era così, l’avrebbe fatto a pezzi. Avrebbe lacerato le sue pagine striscia per striscia, le avrebbe radunate in mezzo alla sala di pozioni, avrebbe ballato su di loro riducendole in poltiglia, poi le avrebbe bollite nel calderone e infine bruciate sulla fiamma del…
Di colpo, si fermò e si guardò attorno. Le sue gambe e il suo inconscio l’avevano tradita, e Hermione, come vuole la tradizione, involontariamente era tornata sul luogo del delitto: la saletta di pozioni.
Era molto tardi, il castello era immerso in una quiete sonnolenta, e in quella pace sovrannaturale, la ragazza si diresse verso il calderone e guardò il liquido ormai freddo e immobile.
Che cosa diavolo aveva sbagliato? Perché non aveva funzionato? Perché, perché, perché? C’era di che ammattire per la rabbia, la delusione, la frustrazione… e diciamolo pure, il rimorso. Dove era finito il Professor Snape? Cosa gli era successo? Con una stretta al cuore, dovette riconoscere che le mancava tantissimo, e avrebbe dato qualunque cosa per poterlo rivedere sano e salvo.
Sospirò di pena, sentendo di nuovo le lacrime salirle agli occhi. Perché aveva iniziato tutta quella storia? Cosa le aveva fatto credere che ci sarebbe riuscita? Perché era stata così stupidamente orgogliosa e testarda?
“Perché?” mormorò sentendo una gran pena per sé stessa oltre che per le sfortunate vittime di quella scommessa, e sospirò profondamente, un gran sospiro tremulo di pianto.
Poi si bloccò. Le sembrava di aver udito un altro sospiro simile al suo. In quella stanza c’era forse l’eco? Non ci aveva mai fatto caso. Tese l’orecchio in ansiosa attesa ed ecco, il sospiro puntualmente si ripetè, triste come il suo, accorato come il suo. Ma da dove veniva?
Un’idea pazzesca le attraversò il cervello folgorandola sul posto. La ragazza si chinò di scatto, accovacciandosi sul pavimento, e con mano tremante alzò la tovaglia che strisciava terra.
E lì, rannicchiato contro una zampa del tavolo, seduto a terra con le braccia avvolte attorno alle gambe, c’era il professor Snape.
Che Hermione rimanesse di sale per la sorpresa è dire poco. Ma quello che l'aveva fatta letteralmente ammutolire era ben altro. Il Professor Snape era diventato la miniatura di sè stesso: non era più alto di una ventina di centimetri!