11
Quella mattina si era alzata di pessimo umore senza alcuna apparente ragione.
L’anno scolastico giunto quasi al termine e la giornata, che si preannunciava soleggiata e luminosa, non potevano certo costituire motivo di malcontento. E invece…
Si disse che, probabilmente, doveva aver dormito molto male.
Scese al piano inferiore per fare colazione. La prima persona che le venne incontro fu naturalmente John Collins, con un sorriso radioso.
- Buongiorno, mio sole splendente! – esordì, prendendola per mano. Lavinia ridacchiò, tentando di schermirsi. John era sempre carinissimo con lei ma, a volte, le sue attenzioni la mettevano in imbarazzo. In quel momento, ad esempio, erano sotto il tiro delle occhiate di un paio di insegnanti e alcune studentesse, e la cosa le stava dando parecchio fastidio. Ma, a quanto pare, avrebbe dovuto farci l’abitudine.
- Buongiorno, John. – esclamò in tono forzatamente vivace, raggiungendo rapida il tavolo già apparecchiato per la colazione.
- Come va stamattina? Hai dormito bene?- si informò gentilmente il giovane insegnante, sgranandole addosso i suoi luminosi occhi azzurri.
- Purtroppo anche stanotte ho avuto qualche difficoltà a riposare… Non so che cosa mi stia succedendo: sarà il caldo, forse, o molto probabilmente sarà che siamo giunti a fine anno e sono molto stanca. – ribattè lei, iniziando a spalmare una buona dose di marmellata di arancia amara su una fetta di toast abbrustolito.
- Ancora una notte insonne, povero tesoro mio? Hai provato a prendere la tisana calmante che ti ho consigliato ieri? – John le passò la scodella con il porridge.
Lavinia annuì distrattamente, versando il tè nella tazza; intanto pensava a come, dalla sera in cui avevano cenato fuori, avessero preso a trascorrere insieme praticamente ogni momento libero della giornata a partire dalla colazione, ma la cosa la stava rendendo un po’ insofferente.
John si occupava di lei con una premura quasi soffocante a cui, senza dubbio, non era abituata. Fu colta da un’improbabile, ridicola fantasia in cui vide Severus che le correva incontro, leggiadro, apostrofandola con espressioni amorose ad effetto, così come aveva appena fatto il giovane professore, e si costrinse a non ridere: i termini più affettuosi a cui il suo ex aveva fatto ricorso erano stati al massimo “piccola” e “mia”, e già doveva essergli costato parecchio sforzo assemblarli in un’unica frase!
Ecco, l’aveva fatto ancora… l’aveva pensato di nuovo e aveva rifatto il confronto fra loro. Scosse la testa, infastidita.
- Che c’è, amore? Un brutto pensiero?
- Oh no… no, no, stavo solo riflettendo su… ecco, ragionavo su alcune cose mie, sai, come succede ogni tanto…
Lavinia si sforzò di sorridere e represse una piccola smorfia seccata. Ma era mai possibile che dovesse rendergli conto di ogni minima considerazione? E poi, quel rivolgersi a lei sempre in termini zuccherosi:
tesoro, amore, luce dei miei occhi. Non era un po’ presto per considerare già “amore” una relazione appena nata?
- Stamattina temo proprio che, dopo le due ore di lezione con il terzo anno, dovrò chiudermi in biblioteca per fare qualche ricerca.
Lavinia dirottò il discorso per evitare che John insistesse ancora nel voler approfondire la natura dei suoi soliloqui.
- Benissimo. Posso aiutarti? Ho un paio di ore buche anch’io.
- No, grazie John, saprò cavarmela benissimo da sola, ho parecchie cose da ultimare e vorrei finire almeno per l’ora di pranzo… - lo scoraggiò con decisione ma poi, notando la sua aria delusa, allungò la mano e gli accarezzò il volto: - Su, non fare così. E’ molto meglio che me la sbrighi per conto mio. Sai com’è, alla fine la tua presenza potrebbe distrarmi troppo dalla consultazione dei testi. - aggiunse, ammiccando in tono conciliante.
- Ok, allora ci vediamo qui per pranzo. – si rassegnò il giovane e Lavinia annuì riconoscente.
Aveva decisamente bisogno di un po’ di respiro, ogni tanto.
Terminò di fare colazione e salì di corsa in camera per recuperare i compiti del giorno prima già corretti. Erano quasi le nove, ora in cui iniziavano le lezioni, e si accorse di essere, come di consueto, in leggero ritardo.
Trafelata afferrò le pergamene impilate sulla scrivania ma, prima di uscire, un picchiettio nervoso sui vetri attirò la sua attenzione. Guardò in quella direzione della finestra e scoprì che uno splendido esemplare di gufo reale si era appena appollaiato sul davanzale.
Lo riconobbe all’istante: era un gufo proveniente da Hogwarts e aveva legato alla zampa un messaggio. Rimase perplessa ad osservarlo mentre Andrew, che di solito era molto tranquillo, si agitava nervoso in gabbia.
Un messaggio da Hogwarts, a quell’ora? Strano… Zia Minerva era solita farle pervenire notizie nel pomeriggio, sapendola più libera da impegni scolastici.
Avvertì una sottile, strana inquietudine strisciare subdola lungo la spina dorsale.
Con il cuore che aveva preso a battere un po’ più velocemente si avvicinò alla finestra e la aprì.
Il volatile si lasciò sfilare docilmente il messaggio dalla zampetta, poi aprì le ali e compì un breve tragitto all’interno della camera, planando proprio accanto alla gabbietta del suo gufo, sempre più agitato.
Lavinia srotolò nervosamente la piccola pergamena e sedette sul bordo del letto; lesse la breve missiva vergata dalla mano precisa della professoressa McGranitt e accusò nel medesimo istante un tuffo al cuore.
“ Mia cara, la notte scorsa tuo zio Albus ha avuto un incidente. I tuoi sono già stati avvertiti, ma è necessaria anche la tua presenza. Vieni appena puoi. Zia Minerva. - p.s. mi raccomando, usa un mezzo di trasporto sicuro! ”Lasciò cadere in grembo le mani che stringevano il piccolo messaggio e fissò il gufo reale che stava becchettando tranquillamente il biscottino infilato tra le sbarre della gabbia di un Andrew molto contrariato.
“… tuo zio Albus ha avuto un incidente…” Cosa significavano quelle poche righe vaghe, buttate giù in fretta, che sembravano nascondere qualcosa di terribilmente stonato?
La mano! Certo, forse era successo qualcosa a causa di quella maledetta mano. O forse, per quanto grave, l’infortunio era probabilmente in via di risoluzione, dal momento che la professoressa McGranitt la invitava a raggiungere Hogwarts non appena avesse potuto e con un mezzo di trasporto sicuro.
Mille dubbi le si affastellarono in testa in mezzo secondo. Si alzò, fece qualche passo per la stanza, tornò a sedersi sulla sedia e si rialzò di nuovo. Non sapeva che fare; in più, l’essere completamente all’oscuro circa la reale entità dei fatti non la aiutava certo a rilassarsi.
Decise che sarebbe partita subito: non poteva rimanere a lungo in quello stato.
Setacciò la piccola scrivania in cerca di un foglio bianco e, trovatolo, vi scarabocchiò sopra in fretta un
“Arrivo immediatamente – L.”; quindi afferrò il gufo reale che, irritato per la rinuncia al biscottino, oppose un po’ di resistenza quando cercò di legargli la missiva alla zampina.
Una volta liberato riprese subito il volo, scomparendo in fretta dalla vista della giovane donna che, nel frattempo, aveva iniziato a preparare i bagagli. Cacciò alla rinfusa i propri effetti personali nel baule, un po’ facendoli levitare e un po’ buttandoli dentro a mano.
Si interruppe quando si rese conto, all’improvviso, che avrebbe dovuto avvertire subito la preside della sua necessità di partire.
Scese al piano di sotto e la prima persona che incontrò fu proprio lei che la stava cercando per tutto l’istituto, dal momento che la sua classe era ancora scoperta.
Non appena la individuò Delphine Stevenson le andò incontro a passo di carica; sul volto aveva stampata un’aria seccata.
- Professoressa O’Connor, ma dove diamine è sparita? Le lezioni sono iniziate da almeno venti minuti e ho dovuto chiedere al professor Fitzpatrick di coprire gentilmente la sua classe fintanto che…- si bloccò, perché si accorse all’istante dell’espressione preoccupata della giovane donna.
- Le è successo qualcosa, Lavinia? – chiese subito ridimensionando il tono.
- Purtroppo sì, professoressa Stevenson, giusto di lei avevo bisogno. Mi deve scusare ma ho appena ricevuto un gufo da Hogwarts in cui mi avvertono che zio Albus, ieri notte, è stato vittima di un incidente e mi pregano di raggiungere subito la scuola.
- Un incidente al professor Silente? Oh Merlino! Spero non sia nulla di grave.
Lavinia, senza proferire parola, consegnò alla preside il messaggio in questione.
La Stevenson lesse rapidamente le poche righe, alzò la testa e la fissò con aria indulgente.
- Non si preoccupi, mia cara, parta quando vuole. A Villa Belloncio è a disposizione la Metropolvere, così farà prima che con qualsiasi altro mezzo. C’è un camino di riferimento a Hogwarts o nei pressi? – l’efficienza e la sensibilità della preside ebbero il potere di rincuorarla.
- Sì, a Hogsmeade ne è provvisto il locale di madama Rosmerta, e da lì si può arrivare al castello anche a piedi. – rispose Lavinia, grata per l’insperata opportunità che le si presentava.
- Bene, allora sistemi le ultime cose e poi venga nel mio ufficio. E ci faccia sapere come sta il professor Silente, mi raccomando! - aggiunse la direttrice, mentre si allontanava in fretta per andare ad avvertire il professor Fitzpatrick che avrebbe dovuto sacrificare la propria ora buca in supplenza della collega.
Lavinia la seguì per qualche secondo con lo sguardo inquieto, poi decise di raggiungere l’aula in cui stava tenendo lezione John per avvertirlo dell’improvviso cambio di programma che avrebbe stravolto quella giornata apparentemente tranquilla. Il professor Collins uscì subito dalla classe non appena gli fece discretamente cenno se poteva interrompere per qualche minuto la spiegazione in corso.
- Di qualunque cosa tu abbia bisogno fammelo sapere subito, ti prego. Non fare come al solito di testa tua. – sussurrò d’impeto il giovane, non appena gli ebbe fatto leggere il messaggio. Davanti all’espressione impenetrabile della ragazza, insistette.
- Lavinia, voglio che tu mi prometta che mi darai tue notizie il più presto possibile. Se dovessi avere bisogno di me non esitare a chiedere, qualunque cosa, hai capito? Sai che sarò pronto a raggiungerti in qualsiasi momento!
- Ok, te lo prometto John, ma non usare quel tono ansioso e non farmi quella faccia preoccupata che sono già abbastanza in paranoia. – ribattè, sottovoce, prendendogli il viso tra le mani. Dallo spiraglio della porta, che era rimasta socchiusa, intravide i volti curiosi degli studenti protendersi verso la soglia per cercare di captare che cosa stesse avvenendo tra i due insegnanti.
Si staccò subito da lui, ma l’uomo la afferrò delicatamente per le spalle e la condusse verso un punto del corridoio dove gli sguardi invadenti non potessero arrivare; la baciò con dolcezza, guardandola intensamente.
- Per favore, non farmi stare in pensiero.
Lavinia lo rassicurò con un sorriso.
- Sì, certo, stai tranquillo! Arrivederci, caro…
Con un ultimo cenno di saluto si allontanò, e guadagnò quasi di corsa le scale. Giunse in camera con il fiato corto e liberò il gufo dalla gabbia con l’intenzione di spedirlo subito al castello così, almeno lui, non avrebbe costituito un problema come bagaglio. Terminò in qualche modo di fare le valige, poi afferrò la bacchetta magica e si predispose a miniaturizzarle: usando la Metropolvere le avrebbe potute portare comodamente nella borsa a tracolla.
Infine si fermò un istante e volse lo sguardo attorno a sé; realizzò allora che stava per abbandonare quel luogo, a cui non era riuscita ad affezionarsi più di tanto, per tornare là dove aveva lasciato il cuore.
Non era trascorso giorno, in quei sei mesi, senza che dedicasse un pensiero a Hogwarts, e ora si apprestava a farvi ritorno.
Ne prese finalmente coscienza e si sentì pervadere da un’ emozione travolgente che sostituì la cupa preoccupazione che l’aveva assillata fino a quel momento: avrebbe rivisto i luoghi a lei cari, e tutti coloro da cui si era separata. Avrebbe rivisto anche…
lui.Sedette sul bordo del letto, respirando piano e comprimendo lo stomaco con la mano nel tentativo di dominare l’ansia feroce che l’aveva assalita con inaspettata violenza, rischiando di farla star male. Dopo qualche minuto, riuscì a connettere di nuovo con una certa lucidità.
“Andiamo, ragazza mia, che ti succede? Controllati. Non è proprio il caso di andar fuori di testa perché, molto probabilmente, rivedrai una persona che non ricorda nemmeno più che esisti. Non è proprio il caso, soprattutto dopo la notizia che hai appena ricevuto.”Verificò di nuovo che tutto fosse a posto e di non aver dimenticato nulla, quindi uscì diretta all’ufficio della preside, senza immaginare che quella sarebbe stata l’ultima volta che vedeva la sua stanza.
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- Non ho avuto il coraggio di scriverglielo, Remus… Non potevo!
Minerva McGranitt, il volto profondamente segnato e stanco, guardò per un istante il giovane mago dall’aria precocemente invecchiata che sedeva di fronte a lei, poi serrò gli occhi.
- Se le avessi comunicato subito ciò che era realmente successo e in quale modo, sa solo il cielo in che stato avrebbe affrontato il viaggio! - proseguì, con voce incrinata. - Sarebbe stata capace di arrivare dall’Italia a cavallo di quella orribile bicicletta, con il rischio di ammazzarsi prima. E poi… ci sono troppe cose da dover spiegare… troppe da capire e troppe da accettare. Ho preferito aspettare che fosse qui, per poterle parlare direttamente, come ho fatto con i suoi genitori.
Il suo piglio, da sempre fermo e inflessibile, ora vacillava paurosamente e sembrava avere il doppio degli anni.
Erano passate alcune ore dal terribile accaduto e nessuno sembrava ancora in grado di mettere insieme un pensiero connesso.
Il corpo di Silente riposava momentaneamente in una piccola aula fuori uso, vegliato a turno da Elfi, professori e studenti, in attesa che venisse deciso qualcosa riguardo la tumulazione.
Remus Lupin ficcò per l’ennesima volta una mano tra i capelli grigi e scarmigliati.
Portava sul volto le tracce di un profondo affaticamento e, a giudicare dagli occhi lividi e cerchiati, era come se non dormisse da giorni.
- C’è poco da spiegare, capire, accettare – mormorò a bassa voce. - Questa è una tragedia assurda. Non potrò mai
capire e
accettare quello che è successo.
- Lo so, Remus. Anch’io non riesco a capacitarmene. Non riesco a pensare che lui non ci sia più. Mi aspetto che entri da un momento all’altro da quella porta e… – un singhiozzo le impedì di proseguire, costringendola ancora una volta a tuffare il viso nel fazzoletto. Remus la guardò, infelice; almeno lei riusciva a piangere.
Si trovavano da qualche minuto nell’ufficio del preside, avvolti da un silenzio innaturale, dopo essere fuggiti da quel tremendo caos fatto di esplosioni, urla e pianti in cui erano stati immersi fino a poche ore prima.
Avevano avuto entrambi urgente bisogno di un momento di pace, per riprendersi dal dolore e dallo sconcerto.
Lì dentro il tempo si era fermato, come se nulla fosse accaduto. Un raggio dorato di sole, entrando dalla vetrata, andò a colpire la libreria su cui riposava il cappello Parlante. Gli oggetti sulla scrivania erano nella stessa identica posizione in cui li aveva lasciati Silente l’ultima volta, mentre un’anta dell’armadio che conteneva il Pensatoio era socchiusa, segno che il preside, prima di allontanarsi dall’ufficio, ne aveva fatto uso.
L’unica cosa fuori posto in tutta quella apparente normalità, scandita dal consueto ticchettio degli strumenti d’argento, era il trespolo di Fanny vuoto.
La fenice si era allontanata in volo, alle prime luci dell’alba, subito dopo aver pianto la morte del preside con il suo canto straziante.
La professoressa McGranitt fissò stancamente il bacile di pietra istoriato da rune antiche, che si intravedeva all’interno dell’armadio, pensando che avrebbe dovuto alzarsi per chiuderlo di nuovo a chiave. La voce di Lupin, però, la distrasse da quella futile riflessione.
- Hai già avvisato il Ministero?
- Non ancora Remus… Non ancora. Mi è piombato addosso il mondo in un istante. Non so ancora da che parte iniziare a rimettere insieme i pezzi. - sospirò la vice preside, che si rese conto in quel momento di come la sua posizione gerarchica avesse improvvisamente subito uno scatto. Ora era lei a dover reggere le sorti della scuola.
- Ma bisognerà farlo, il prima possibile. Shacklebolt e Moody saranno qui a momenti. Decideremo con loro su come agire e cosa fare da ora in poi. Occorrerà affrontare anche la questione del funerale, ad esempio. – proseguì Remus, passandosi una mano sugli occhi arrossati.
Sul volto della donna si disegnò una fugace ombra di fastidio.
- D’accordo, Remus. Gradirei però che prima di prendere decisioni, soprattutto riguardo l’ultimo punto, aspettassimo che ci sia anche Lavinia.
- Giusto, giusto. Non ti preoccupare, aspetteremo che arrivi e abbia il tempo di metabolizzare l’accaduto.- si prese la testa tra le mani. - Merlino, ma che cosa sto dicendo: il cielo solo sa quanto tempo avrà bisogno per riprendersi da una tegola del genere… – gemette, tormentando ancora i capelli. - E Tu-Sai-Chi non starà certo ad aspettare!
La McGranitt si alzò faticosamente dallo scranno appartenuto a Silente, e fece il giro della scrivania, raggiungendo il giovane mago alle spalle.
Dopo un lieve attimo di esitazione gli posò una mano sul capo.
- Non so che cosa avverrà da questo momento in poi, Remus. So solo che Albus avrà un funerale degno della sua grandezza e riposerà qui, a Hogwarts, in un angolo del parco; rimarrà dove ha trascorso una vita piena di amore, dedicata ai suoi studenti, agli insegnanti e al lavoro che ha svolto sempre con passione e dedizione. Questa è stata la sua casa, Remus, e non voglio che nessuno, nemmeno il Primo Ministro della Magia in persona possa portarlo via da qui, neanche da morto!
Il giovane rialzò la testa e la guardò; sul volto della anziana strega era scolpita un’espressione dolorosa ma fortemente risoluta. Remus sorrise debolmente di fronte alla grande determinazione di Minerva, e le fu terribilmente grato; l’idea che le spoglie del preside riposassero nel luogo che più aveva amato, sembrava anche a lui l’unica alternativa possibile.
- E Harry? – gli domandò la donna, improvvisamente.
- Il ragazzo è sconvolto. Comprensibile. Ho dovuto obbligarlo quasi con la forza a lasciare l’aula in cui abbiamo deposto il corpo, perchè tornasse in infermeria a farsi dare un’occhiata dalla Chips. Finalmente si è convinto e Ginny l’ha accompagnato. E’ moralmente distrutto… Come dargli torto? Ha perso un altro importantissimo punto di riferimento; prima Sirius, adesso Albus…
Remus si accasciò di nuovo sulla poltrona e Minerva scosse la testa, pervasa da uno smisurato senso d’impotenza.
- Sembra tutto così irreale, un incubo senza fine… Severus, come ha potuto? Questa è la cosa peggiore, ciò che mi priverà del sonno per il resto della vita: Severus! Non posso credere che sia stata la sua mano ad uccidere Albus. Non è possibile, Remus, non è possibile!
- Non vuoi credere a ciò che ha visto Harry? Eppure lui era lì, presente, sotto il mantello. – replicò Lupin con voce bassa e roca.
- E’ inammissibile. Deve esserci una spiegazione a quello che è successo. Severus non può aver fatto una cosa così mostruosa senza una ragione, anche la più assurda… – Minerva prese a tormentarsi le mani, misurando a passi lenti lo studio. - Albus aveva totale, cieca fiducia in lui, non può essersi sbagliato così grossolanamente, Remus!
- Ed è stata proprio questa sua irragionevole e cocciuta cecità a ucciderlo! – ringhiò l’uomo, interrompendo la professoressa con un pugno rabbioso sulla scrivania.
- Non è possibile, non è possibile. – gemette Minerva, le mani premute sulla bocca nel tentativo di soffocare il dolore.
- Maledetto, sporco assassino… – continuò Remus con voce tremante di collera. Non si era mai sentito così pieno di odio verso qualcuno. In quell’istante sapeva solo che prima o poi lo avrebbe trovato e, allora, per Severus Piton sarebbe finita nel più atroce dei modi.
- Quando penso a come ha saputo fingere, ingannandoci con tali abilità e perfidia. Perfino con Lavinia ha recitato in maniera esemplare. E’ riuscito per anni a farle credere di amarla. E io che, da completo idiota, ho perfino favorito e benedetto la loro unione...– una smorfia amara alterò i tratti già tirati del volto. - Che razza di serpente velenoso! E’ incredibile come sia riuscito a simulare in modo così perfetto!
La McGranitt si fermò, improvvisamente, aggrottando le sopracciglia.
- Ora, finalmente, si spiega il suo comportamento nei confronti di quella povera ragazza. Ecco che cosa aveva in mente e si stava già predisponendo a fare, quando ha deciso di lasciarla in modo tanto repentino. Santo cielo, è terribile… D’altronde, da Occlumante eccezionale quale è, per lui deve essere stato un gioco da ragazzi prendersi gioco di tutti noi. – sussurrò turbata.
Il silenzio gravò pesante dopo quell’ultima constatazione, appena prima che un frullare d’ali, proveniente dall’esterno, li sorprendesse entrambi.
La professoressa si diresse velocemente verso la finestra a bifora e fece entrare il gufo.
Ne afferrò la zampina e staccò delicatamente il messaggio che vi era legato.
- “Arrivo immediatamente”… - lesse ad alta voce.
Alzò la testa e guardò l’ex professore di Difesa Contro le Arti Oscure.
- Remus, è il gufo che ho spedito a Lavinia questa mattina all’alba. Dunque, significa che sarà qui a momenti. – gli annunciò, stancamente.
Lupin si alzò di scatto dalla sedia: la prospettiva di dover comunicare la terribile notizia all’amica gli stava procurando grande agitazione, e Minerva lo notò; gli posò delicatamente una mano sul braccio.
- Tranquillo, penserò io a parlarle. Tu vai pure, adesso: immagino che Ninfadora ti stia cercando disperatamente per tutto il castello e giù ci sia bisogno di te.
Il giovane mago la guardò con espressione dimessa, in cui la vicepreside percepì con chiarezza un moto di gratitudine. Capiva perfettamente come egli preferisse tornare ad affrontare il caos, fuori da quella stanza, piuttosto che lo strazio dell’amica.
Lo guardò mentre si approssimava alla porta, e la oltrepassava con le spalle un po’ curve e il passo lento, quasi strascicato.
Poi tornò a sedere sul seggio del preside e rimase a fissare lo spazio vuoto sulla parete, accanto agli altri ritratti, pronto a ricevere presto quello nuovo.
Il pensiero che, da quel momento in poi, Albus sarebbe stato presente solo in forma di raffigurazione le procurò un’altra fitta al cuore: che ne sarebbe stato di Hogwarts e di tutti loro, ora che l’unico mago al mondo in grado di contrastare il potere dell’Oscuro non c’era più?
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Guardò l’orologio a clessidra appeso sopra al bancone dei Tre Manici di Scopa.
Erano le sedici di un pomeriggio assolato e, come al solito, il locale a quell’ora era frequentato da pochi, sconosciuti avventori.
La Metropolvere riusciva sempre a scombussolarla; in più la distanza che aveva dovuto coprire era stata maggiore rispetto a quella a cui era abituata di norma.
Si spazzolò i vestiti leggermente coperti di cenere. Sentiva la testa ronzare e girare, anche per l’agitazione di trovarsi in un ambiente che le era familiare.
Rosmerta, a quanto pareva, quel giorno era assente. Al bancone si stava affaccendando un giovane aiutante, che indirizzò lo sguardo verso il camino e le fece un breve cenno di saluto. Non conosceva il giovane, ma rispose educatamente al suo benvenuto con un sorriso.
Si avvicinò al bancone e il ragazzo si rivolse a lei in tono confidenziale.
- Buongiorno. Viaggiato bene? Desidera qualcosa da bere?
- Oh sì, grazie, mi dia un succo di zucca ghiacciato. Arrivo dall’Italia, mi sento ancora un po’ scombinata e ho una gran sete.
Il giovane emise un leggero fischio di stupore.
- Ehi, certo che si è sparata un bel viaggetto! Sa, qui non siamo certo abituati a veder arrivare molta gente con la Metropolvere, e comunque di solito non da così lontano. – ridacchiò, versando il succo in un bicchiere.
- Rosmerta… ehm… non c’è? – domandò un po’ titubante Lavinia, sorseggiando la bevanda: non voleva fare la figura dell’impicciona, con quello che in fin dei conti era un emerito sconosciuto.
- No. Madama Rosmerta è indisposta. Non so che cosa le sia successo. Lavoro qui da un paio di mesi come aiutante e oggi avrei dovuto essere a casa di riposo, ma stamattina mi ha mandato un gufo urgente in cui mi pregava di aprire il locale, senza specificare altro.
Il ragazzo aveva voglia di chiacchierare e proseguì, asciugando il bancone con lo straccio.
- Lei la conosce, quindi? E’ di queste parti?
Evidentemente a lui non è che importasse un granché di essere altrettanto discreto.
- Beh sì, in un certo senso… cioè, non proprio… - tergiversò, – Voglio dire che… non mi fermo a Hogsmeade, ma salgo al castello.
Il giovanotto emise un altro fischio sommesso.
- Caspita! Su al castello? Tira una brutta aria in questi giorni, qui attorno, e pare che sia successo qualcosa di grosso su al castello.
- Che cosa intende, scusi? – reagì Lavinia, scrutando preoccupata il volto semplice dell’aiutante di Rosmerta.
- Oh, io non so nulla, ma gira voce che alcuni Mangiamorte siano penetrati a Hogwarts la scorsa notte…
Lavinia rimase impietrita, con il bicchiere sollevato a mezz’aria, ad osservarlo mentre lavava alcuni boccali per nulla turbato, come se le avesse appena comunicato le previsioni del tempo.
- E’… è meglio che mi sbrighi, allora. Quanto le devo? – balbettò la giovane donna, trangugiando il succo di zucca rimanente e frugando nella borsa alla ricerca dei soldi.
- Nulla, oggi offre la casa… - esclamò l’altro gioviale, strizzandole l’occhio. - Sale a piedi o vuole che le procuri un mezzo di trasporto?
- No… no. Vado a piedi, grazie. - mormorò lei, confusa, accusando un altro leggero capogiro.
Con il cuore in tumulto si avviò in fretta verso l’uscita, lasciando il giovane ad osservarla con un’espressione ottusamente stupita in faccia.
Quando fu per le strade della cittadina, inondate di sole, imboccò il sentiero che conduceva a Hogwarts continuando a pensare a ciò che le aveva appena rivelato l’oste.
Era vero, dunque? I Mangiamorte erano riusciti a forzare le difese della scuola e a entrare? E zio Albus quindi poteva essere stato ferito nello scontro con alcuni di loro? O qualcuno poteva essere rimasto addirittura…
ucciso?
Il volto di Severus le apparve prepotentemente davanti agli occhi e sentì le gambe assumere la consistenza del pudding.
Le mancò l’aria, complice anche il caldo, e dovette sedere, boccheggiante, sul grosso masso che riposava accanto al ciglio del viottolo ombreggiato da un abete maestoso.
Alzò lo sguardo e scorse tra le chiome degli alberi le prime torri del castello, avvertendo contemporaneamente un'altra morsa micidiale allo stomaco e il velo di sudore sulla fronte ghiacciare.
Un presentimento orribile si affacciò alla mente e, per un istante, fu tentata di tornare indietro: si rese conto che non ce l’avrebbe fatta. Non poteva, non voleva arrivare lassù per sentirsi dire che…
Lavinia si rialzò di scatto dall’improvvisato sedile e, quasi rabbiosamente, si obbligò a riprendere il cammino. Ormai era arrivata fin lì, ed era necessario sapere.
Durante il percorso si impegnò con tutte le forze per ritrovare la calma, costringendosi a pensare in modo razionale; dopo dieci minuti era al cospetto dei grandi cancelli sorvegliati dai cinghiali alati.
Un lungo brivido le attraversò la spina dorsale. Si fermò dietro le inferriate con il cuore che martellava impazzito e abbracciò con una lunga occhiata l’intero viale d’entrata costeggiato dagli alberi.
Osservò attentamente ogni pietra sul percorso, ogni singola pianta, ogni arbusto.
Era come riconoscerli e ritrovarli, uno per uno.
Guardò il cielo terso contro cui si stagliavano le chiome rigogliose dei pini, degli abeti, dei pioppi e dei larici del parco; accarezzò con lo sguardo il punto in cui iniziava il declivio che portava al Lago Nero, più in basso. Respirò il profumo dell’aria che sapeva di sottobosco e di acqua dolce.
Poi, più in alto, intravide finalmente la sagoma imponente del castello, con le torri illuminate dal sole.
Là dentro era racchiusa la sua vera esistenza ed erano conservati gli unici ricordi degni di essere considerati tali; si sentì come se avesse lasciato quel luogo solo il giorno prima.
Una nuova ondata di emozione la travolse e lacrime silenziose iniziarono a scendere piano a rigarle le guance, obbligandola a dimenticare per qualche minuto il reale motivo che l’aveva ricondotta lì.
Era di nuovo a Hogwarts: era tornata a casa.