Il Calderone di Severus

Ele Snapey -Lacrima di Fenice, Long-fic; introspettivo-drammatico; AU; Severus/personaggio originale; personaggio originale, Albus Silente, Minerva McGranitt, Remus Lupin; 6° e 7° anno

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view post Posted on 9/7/2013, 10:38
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Confermo di essere in piena demenza senile! Mi sono accorta solo adesso delle recensioni, scusa Chiara perchè non ti ho ancora ringraziato sufficientemente per l'affettuosa costanza con cui mi segui e per la puntualità con cui mi dedichi splendide recensioni, che mi fanno sempre tanto, tanto piacere! :wub:



CITAZIONE (chiara53 @ 27/6/2013, 19:07) 
Tu, sadica, piazzi una foto di Severus bella e dolce davanti ai suoi occhi. Poi arriva il professorino e personalmente ti ho odiata un po’.
Ci metti del tuo per rendermelo antipatico e lo sai! Questo John Collins già so che mi farà soffrire!

Eh sì, anch'io mi odio un po' :lol: Ma non picchiarmi: il tutto rientra per forza in un percorso obbligato che deve fare questa poveraccia per arrivare alla fine ;)

CITAZIONE (chiara53 @ 27/6/2013, 19:07) 
Alla fine ero in lacrime, - ma io sono una dalla lacrima facile e lo sai – perché me lo sono visto davanti straziato e orgoglioso, inflessibile e fragile, dignitoso e disperato.
Cito l’ultima frase che ha rotto gli argini della mia emozione:
CITAZIONE
Nemmeno più ad Albus avrebbe concesso il privilegio di indovinare il suo reale stato d’animo.
Resistere. Ecco ciò che doveva fare ormai, resistere fino in fondo, nonostante si sentisse spossato.


Sei un po’ sadica, ma tanto, tanto brava! :wub:

Grazie ancora, Chiara: se sono riuscita a commuoverti significa che ho centrato l'obiettivo e la tua profonda partecipazione, il tuo apprezzamento mi danno ogni volta una grandissima soddisfazione e la motivazione per continuare a scrivere, lo sai! :lol:
Un grande abbraccio :wub:

CITAZIONE (halfbloodprincess78 @ 8/7/2013, 17:02) 
Capitolo 8

Quanta fantasia nel creare questo nuovo rifugio per Lavinia, sembra uscire dalle parole scritte e manifestarsi come un immagini vivida e quasi conosciuta. Il Professorino mi fa quasi pena, penso che alla fine verrà messo in un angolino e credo che a lui Lavinia piaccia anche parecchio e anche se lei pensa solo a Severus potrebbe venirne fuori un triangolo interessante (è la mia passione per i manga che parla). Ho trovato immensamente triste il dolore di Severus che resta sempre e comunque forzatamente chiuso dentro di lui, Lavinia almeno ha la possibilità di esternare mentre Severus tutto quello che può fare è resistere. Complimenti Ele, per la prosa scorrevole e per la storia che si fa sempre più avvincente. Alla prossima.

Prima ringrazio anche te per l'affetto con cui segui i miei "pasticci" letterari, e poi volo a leggere l'aggiornamento della tua opera omnia! ;) :P Hai ragione Cla, in queste fasi chi ci rimette sempre e di più è il povero Severus, che non ha la possibilità di far venir fuori lo strazio che lo tortura, sia per questioni caratteriali che per ovvie ragioni contestuali. :cry:
Spero che l'evolversi della vicenda continui a non deluderti, grazie infinite ancora per il sostegno morale! :lol: Un abbraccione forte!:wub:
 
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view post Posted on 24/7/2013, 14:08
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9




L’enorme orologio della scuola batté le ventitré, e il suono dei rintocchi, lenti e solenni, raggiunse lo studio del Preside immerso nella quiete, illuminato dalla luce soffusa e tremolante di alcune candele.
Due uomini, seduti ad un prezioso tavolino di mogano intarsiato su cui era appoggiata una scacchiera, stavano giocando una partita che durava da un paio d’ore. Sullo stesso ripiano erano posati anche due calici in cristallo pieni per metà di vino elfico.
Attorno a loro, era come se si fosse fermato il tempo.
Un sordo ronzio sommesso proveniva dai quadri degli ex presidi, segno di come fossero già tutti profondamente addormentati, mentre Fanny, appisolata sul trespolo, teneva gli occhietti sonnacchiosi cocciutamente puntati su quello che stava accadendo al tavolino.
- E’ quasi tempo di esami, ormai, Severus. – Silente spostò la propria Torre bianca e la portò a ridosso dei pedoni.
Il professor Piton studiò in silenzio la mossa che avrebbe dovuto effettuare a sua volta e rispose solo dopo qualche secondo.
- Che cosa hai intenzione di fare, allora? Di andare fin laggiù, portando con te Potter?
- Non ci sono altre alternative. E’ assolutamente necessario essere in due per affrontare le prove all’interno della caverna, ed arrivare all’Horcrux. – replicò il preside, in tono noncurante.
- E perché proprio lui? Sei sicuro che possa farcela? Perché non io?
- Perché per conto mio lui ha invece ottime probabilità di riuscire a sostenermi. E’ giovane, sveglio e reattivo ma, soprattutto, perché mi occorre che tu rimanga qui, a Hogwarts, in mia assenza. E’ indispensabile che tu sia qui presente per poter intervenire subito, qualunque cosa accada.
Severus prese il suo Alfiere nero, posizionandolo alle spalle della Torre del preside.
- E che cosa dovrebbe accadere proprio durante la tua assenza? Scacco al Re.
- Il giovane Malfoy, a questo punto, avrà certamente maturato il suo piano. Resta solo da aspettare di vedere come e quando lo metterà in atto. Ma, considerando che ormai manca circa un mese alla conclusione dell’anno scolastico, immagino che non possa più permettersi di perdere altro tempo e… il quando sia prossimo.
Silente spostò la propria Torre di un paio di caselle e l’Alfiere nero cadde sotto i colpi del pezzo bianco.
Piton afferrò delicatamente tra le dita lo stelo del bicchiere accanto a sé, portandolo alle labbra. Sorseggiò lentamente il contenuto color rubino senza staccare gli occhi attenti dalla scacchiera.
- Suppongo che il giovane Malfoy sia costretto ad aspettare il tuo ritorno per attuare, eventualmente, il suo piano. Perciò la mia presenza a Hogwarts, se fosse solo questo il motivo, non sarebbe così indispensabile. – obiettò, deponendo il calice.
- Certamente. Ma è anche probabile che abbia messo in conto di farsi aiutare da qualcuno nell’attuazione del progetto… Qualcuno che potrebbe introdursi a Hogwarts approfittando della mia assenza, appunto. – puntualizzò il preside.
Severus lo fissò, inarcando il sopracciglio sinistro.
- Non sono venuto a sapere, recentemente, di possibili intrusioni al castello da parte di Mangiamorte! – sbottò in tono acido.
- Oh no, ragazzo mio, non sto mettendo in dubbio il tuo perfetto lavoro di spionaggio… – esclamò Silente, sorridendo. - Sto solo ipotizzando che il giovane Malfoy potrebbe aver trovato il modo per far penetrare qualcuno nel castello in completa segretezza, ed è per questo che si rende necessaria la tua presenza.
- E con quale sistema, Albus? Gli incantesimi di protezione sono a prova di qualunque tentativo di introdursi qui dentro.
- Ti ricordo che, purtroppo, tre anni fa Melissa Fairchild ci riuscì benissimo, e con lei entrarono Dissennatori e Troll!
Sul volto di Severus passò un’ombra di inquietudine, al ricordo del drammatico episodio che gli era quasi costata la vita.
- La Fairchild era una pazza criminale molto ben organizzata. Draco è solo un ragazzo. - osservò, scrutando il volto di Silente con gli occhi ridotti a fessure.
- Vero. Ma è un ragazzo molto spaventato. E disperato. Perciò pronto a tutto.
Piton abbassò di nuovo lo sguardo sui pezzi rimanenti sparsi sulla scacchiera.
- Immagino che ormai siamo alla resa dei conti. - commentò a bassa voce, portando la propria Torre a ridosso di quella del preside.
Il piccolo pezzo nero, con incredibile freddezza, abbatté quello bianco prendendone il posto nella casella vicino al Re.
- Di nuovo scacco. – mormorò, intrecciando le dita.
- Già, ci siamo… E tu sai quello che devi fare, Severus. – ribattè Albus con calma olimpica, accennando ad un sorriso. Mosse il Re bianco, in modo tale da metterlo in salvo fuori dalla portata della Torre di Severus e, allo stesso tempo, anche del Cavallo che lo avrebbe divorato nel caso avesse deciso di mangiare il pezzo avversario.
Ma, senza avvedersene, lo espose all’attacco della Regina nera in agguato parecchie caselle più in su.
Severus annuì lentamente e guardò Silente con occhi che erano divenuti abissi incolmabili.
- Sì, so quello che devo fare. Scacco Matto. – mormorò in tono quasi impercettibile e mosse la propria Regina, andando ad uccidere il Re.

§§§§§§§§§§§



Lavinia chiuse dietro di sé la porta della camera.
Con un sospiro si liberò della leggera giacca di seta e la gettò sulla sedia accanto al letto, su cui si distese stancamente.
Ecco, lo aveva fatto. Aveva accettato infine di uscire a cena con John Collins e lui, subito dopo, l’aveva condotta in un punto molto romantico della passeggiata che da Colle Belloncio andava fino al paese di Ravi. Lì l’aveva baciata, sotto un cielo punteggiato di stelle.
L’aveva lasciato fare. Negli ultimi mesi il professor Collins si era dimostrato così premuroso, delicato, galante e attento alle sue esigenze che, alla fine, si era convinta di aver davvero bisogno di una persona del genere accanto a sè, per poter condurre di nuovo un’esistenza serena.
Giugno era appena iniziato e gli esami si avvicinavano rapidamente; l’anno scolastico stava volgendo al termine e le vacanze erano alle porte, Lavinia sarebbe presto tornata a trascorrerle a casa, così che, lui, aveva iniziato a stringerla d’assedio con più decisione.
Quella sera l’aveva portata a mangiare in un delizioso ristorante tipico, abbarbicato sulle colline da cui avevano potuto godere della vista di un tramonto incantevole, seduti ad un tavolo sistemato sotto il porticato protetto da una cascata di glicine profumato.
John, con la precisione e la determinazione di un generale prussiano, aveva studiato a tavolino l’infallibile strategia che l’avrebbe fatta sicuramente capitolare.
La serata si era rivelata senza dubbio piacevole.
Il caldo profumo nell’aria che presagiva l’estate imminente, le dolci colline toscane quietamente immerse nel buio spruzzato dalle luci lontane dei paesi che riposavano sui declivi e il cielo stellato ingentilito da uno spicchio di luna, avevano fatto da degna cornice all’immancabile suggello finale del romantico dopocena.
Ma, quando John l’aveva baciata, non aveva sentito il cuore galoppare, impazzito di felicità, e il cervello fulminato. Non le era affatto mancato il fiato per l’emozione e le gambe l’avevano sorretta benissimo; non era successo nulla di quanto accaduto la prima volta in cui lei e Severus…
“Basta, devi smetterla di fare paragoni!” pensò infastidita, alzandosi dal letto.
Intanto perché, però, quando lui aveva accennato a un eventuale proseguimento di serata in camera di uno dei due, aveva declinato subito l’invito, tirando in ballo una fantomatica emicrania?
Si diresse in bagno per struccarsi ma, prima, fece una piccola deviazione verso la foto sul comò, da dove continuava a dardeggiare lo sguardo penetrante dell’uomo che aveva deciso di archiviare.
La fissò ancora per qualche secondo: ecco colui che era stato in grado di farle provare sensazioni uniche e irripetibili, ma che ormai apparteneva al passato.
Non esisteva più, chiuso, finito!
Afferrò la cornice e ripose la fotografia velocemente nel secondo cassetto, chiudendolo in fretta.
“Bravissima. Questo è ciò che dovevi fare mesi fa. Ma va bene lo stesso, meglio tardi che mai.” congetturò di nuovo tra sé.
Iniziò a prepararsi per la notte, ripensando alla serata che aveva trascorso con John e continuò a sforzarsi di considerare quanto fosse carino, garbato, amabile, educato, spiritoso e piacevole conversatore.
Ma quando ti accarezza e ti sfiora la mano non senti alcun brivido…
Sorrise all’idea di come avessero scoperto parecchi gusti in comune su musica e letture.
Ma quando ti parla non rimani ad ascoltarlo incantata dal suono della sua voce e, spesso, ti perdi in altri pensieri…
Valutò di come avesse davvero due bellissimi occhi azzurri, e uno sguardo franco e trasparente.
Ma quando lo guardi non ti smarrisci in quegli occhi, e non ti senti rimescolare dentro…
Cercò di ignorare la vocina insistente che stava instillandole continuamente mille dubbi.
“Ma certo che ho preso la decisione giusta: John mi aiuterà a dimenticare.” si accorse di aver parlato ad alta voce, rivolta allo specchio del bagno in cui vedeva riflesso il proprio volto decisamente più affilato e spento rispetto al passato.“E magari anche a non andare definitivamente fuori di testa!” sospirò, spense le luci e si coricò, senza pensare più a nulla.
Si addormentò quasi subito ma, durante la notte, si svegliò di soprassalto coperta di sudore, con il cuore che martellava in gola.
Era successo di nuovo!
L’incubo ricorrente che aveva sospeso le sue visite notturne da quasi un anno era tornato, improvvisamente e senza una ragione apparente, esattamente uguale a come lo ricordava in ogni particolare, tranne che nel finale.
Stavolta infatti al posto di Severus, a terra, esangue, c’era zio Albus.
Rimase con gli occhi spalancati ad osservare il buio attorno a lei per cinque minuti buoni, raggomitolata sotto le coperte nonostante il caldo.
Adesso non c’erano le braccia forti di Severus a stringerla e a cullarla, che sapevano come calmarla fino a farla riaddormentare.
Non c’erano e non ci sarebbero più state.
Il dolore prese lentamente il posto della paura e lacrime silenziose iniziarono a scendere andando a morire sul cuscino.
Pianse per un po’, sentendo che le stava facendo bene; il sonno la colse poco dopo e nessun incubo venne più a disturbarla.

§§§§§§§§§§§




Era scesa la notte, ormai, ma non aveva nessuna intenzione di andare a dormire.
Ancora completamente vestito osservava il pezzetto di cielo plumbeo che poteva intravedere dalle finestre a bocca di lupo, nella penombra del proprio ufficio; un’inquietudine insopportabile gli opprimeva il petto e nuvole cupe si rincorrevano in un cielo ancora più nero, esatta immagine di ciò che stava passando nella sua testa.
Silente e Potter avevano lasciato il castello parecchie ore prima, in direzione di Hogsmeade.
Alla luce del crepuscolo aveva visto allontanarsi il vecchio con il manto da viaggio ripiegato sul braccio e sapeva che, accanto a lui, nascosto sotto il Mantello dell’Invisibilità, stava trotterellando il ragazzo.
Albus, prima di partire, lo aveva messo al corrente nei minimi particolari circa l’itinerario che aveva in programma, pregandolo di tenersi pronto in qualsiasi momento e per qualsiasi evenienza.
Qualsiasi evenienza… Sentì, nell’aria carica di elettricità, che quella notte sarebbe accaduto davvero quel qualcosa di tanto temuto, avvertendolo anche nelle mani, inspiegabilmente gelide nonostante la temperatura mite, e sulla pelle sotto la quale il sangue pareva aver smesso di scorrere.
Aveva già abbondantemente percepito, valutando il ritardo in cui erano il preside e il ragazzo, come forse non tutto fosse andato liscio; un chiaro segnale che il destino stava per compiersi.
Alzò ancora gli occhi verso il cielo carico di cattivi presagi, quasi rassegnato.
Merlino solo sapeva quanto avesse lavorato su se stesso, in quell’ultimo periodo, per cercare di prepararsi ad affrontare quel momento ma, nonostante il ricorso costante ed estremo a forza d’animo e coraggio, non si sentiva ancora pronto a farlo e, probabilmente, davvero pronto non lo sarebbe mai stato.
Ma la cosa peggiore era stata quella di dover mantenere, con freddezza, un’apparenza assolutamente normale, nonostante il devastante pensiero di ciò a cui stava andando incontro.
Chiuse per un attimo gli occhi, respirò a fondo e posò la mano destra all’altezza del cuore, sperando così di poterne calmare il battito affrettato.
Tornò a scrutare la fetta di cielo che si intravedeva dalla sua postazione e sobbalzò, perché all’improvviso gli parve di scorgere una sagoma indistinta in volo su una scopa, diretta a tutta velocità verso la Torre di Astronomia.
Da lì, però, non era possibile vedere la Torre e quindi avere la conferma che qualcuno in carne ed ossa vi fosse atterrato o meno.
Ebbe tuttavia l’impressione che un inspiegabile bagliore verde illuminasse il cielo tempestoso.
Allora si spostò rapido verso la porta e tese le orecchie: al di là del battente in legno massiccio, gli sembrò di sentire delle urla. Rimase in ascolto, trattenendo il fiato, e gli parve ancora più chiaramente di percepire come qualcuno di sopra stesse gridando.
Rimase immobile per qualche istante, indeciso se rimanere o uscire subito a pattugliare i corridoi: in fin dei conti era presente un bel numero di Auror al castello, messi lì a presidio fisso.
La sua incertezza bastò a trattenerlo fino a che alcuni colpi concitati all’uscio lo riscossero.
- Severus apri… apri subito, per carità!
Con due balzi fu alla porta, la spalancò e si ritrovò dentro lo studio, senza quasi rendersene conto, il professor Vitious con il fiato mozzo, pallidissimo, in preda ad una frenesia incontenibile.
- Severus, i Mangiamorte! I Mangiamorte sono penetrati nel castello, Merlino solo sa come! Si stanno dirigendo verso la Torre di Astronomia, dove pare ci sia già qualcuno arrivato in volo. – la vocetta del piccolo insegnante, già stridula in condizioni normali, era resa ancora più acuta dallo stato di forte agitazione.
- Calma Filius. Calmati e cerca di essere più chiaro: i Mangiamorte sono nel castello e qualcuno è sulla Torre di Astronomia? Assurdo, come è potuto accadere?! I corridoi sono pattugliati dagli Auror e le barriere magiche a protezione della scuola sono tutte attivate. – Si curvò istintivamente verso il collega tanto più basso, cercando di mantenersi lucido e controllato, mentre il cervello elaborava velocemente le informazioni appena ricevute.
Dunque gli occhi non l’avevano ingannato: qualcuno era atterrato sulla Torre di Astronomia e l’unico che poteva averlo fatto, riuscendo a superare i sistemi d’allarme presenti attorno ai bastioni, era Silente, il solo che conoscesse il modo per disattivarli.
- E’ così Severus, so che è incredibile ma i Mangiamorte sono nel castello e sopra la Torre più alta brilla il Marchio Nero! – squittì Vitious, angosciato, afferrandogli la veste per cercare di convincerlo a fidarsi delle sue parole all’apparenza folli.
Severus concentrò lo sguardo affilato e attento sul piccolo insegnante che continuava a strepitare.
- Minerva sta già organizzando la resistenza nell’ala ovest con gli altri insegnanti; sono arrivati anche Lupin e alcuni membri dell’Ordine per cercare di fermarli ma c’è assoluto bisogno di te, Severus, non c’è un secondo da perdere, vieni, presto!
Il momento, dunque, era giunto.
Severus avvertì una sferzata di adrenalina correre lungo la spina dorsale e si concentrò brevemente per richiamare il sangue freddo necessario ad affrontare, da quell’istante, tutto quello che avrebbe trovato sulla propria strada.
- Precedimi. Prendo la bacchetta e sono subito con te. – esclamò, rivolto al collega, dirigendosi verso la scrivania su cui riposava il legno sottile. Vitious ansimò qualcosa che sembrava un assenso e si girò per guadagnare svelto l’uscita.
Piton impugnò la bacchetta magica: purtroppo non poteva permettere a niente e nessuno di mandare all’aria l’intero piano.
Si voltò verso il piccolo mago e, con un’occhiata carica di rimorso, la puntò su di lui.
“Perdonami, Filius…”
- Stupeficium! –
Il raggio rosso partì dalla punta dell’asta e colpì l’ignaro insegnante di Incantesimi alle spalle, facendogli compiere un piccolo volo che terminò all’altro capo del locale con un tonfo attutito dal tappeto che impreziosiva il pavimento.
Severus si avvicinò al minuscolo corpo schiantato, riverso a terra come un fagottino di stracci abbandonato, e lo osservò attentamente per assicurarsi che la caduta non avesse prodotto danni ulteriori.
Poi, avuta la conferma che Vitious si sarebbe ripreso con una semplice visita in infermeria, raggiunse la porta con due falcate e la oltrepassò.
Stava per richiudersela alle spalle, quando il suono sottile di due voci esitanti, proveniente da un angolo buio del corridoio, gli gelò il sangue nelle vene.
- Professor Piton…
Si voltò di scatto, incredulo: Granger e Lovegood!? Che cosa diavolo ci facevano lì, fuori dalla soglia del suo ufficio?
Raddrizzò le spalle e le osservò, freddamente, dall’alto in basso.
- E voi, signorine, per quale curioso motivo siete nei Sotterranei, a quest’ora, quando invece dovreste essere nei vostri dormitori?– sibilò, in tono inquisitorio.
- Professore, sappiamo che sta succedendo qualcosa di molto grave di sopra e siamo… ehm… siamo venute a cercarla. – rispose Hermione, con voce tremante e incerta.
Balle! A giudicare dal violento rossore che imporporava le guance della ragazza, quelle due piccole impiccione dovevano essere nascoste lì da chissà quanto a tenere d’occhio l’uscio del suo studio.
Quindi, dovevano aver di sicuro visto Vitious entrare… ma non uscire!
Si augurò che però non avessero sentito ciò che era avvenuto dietro a quella porta. Pensò rapidamente a come depistarle: non poteva certo schiantare anche loro.
Si chinò verso le due studentesse, assumendo un’espressione che avrebbe fatto passare la voglia di replicare anche a un Dissennatore.
- Granger e Lovegood, ringraziate il cielo che io non possa perdere altro tempo, se davvero i Mangiamorte sono penetrati nel castello, come mi ha riferito il professor Vitious. Lui però ha avuto un malore, purtroppo: occupatevene voi, e rimanete qui al sicuro! – scandì, gelido, e si involò verso le scale.
Hermione e Luna osservarono per un lungo attimo lo sventolio del suo mantello nero confondersi nella penombra, fino a che lo videro sparire inghiottito dalla notte che gravava in fondo alle segrete, poi si affrettarono a entrare nello studio di Piton per sincerarsi sulle condizioni del loro insegnante di Incantesimi.
Severus intanto saliva le scale a tre gradini per volta.
In fretta. Doveva fare più in fretta per arrivare in tempo sulla Torre di Astronomia!
Il respiro si era fatto corto e l’aria inalata urgentemente gli bruciava in gola, scendendo come una lama di fuoco nei polmoni.
Mano a mano che risaliva il clamore dello scontro giungeva alle orecchie sempre più nitido e spaventoso. Poteva distinguere nettamente le grida di dolore, le esplosioni degli incantesimi che andavano ad infrangersi sui muri e il fragore dei crolli.
Infine raggiunse il piano da cui partiva la scala a chiocciola che portava sulla Torre.
Di fronte a lui si apriva uno scenario desolante e pauroso.
Alcune persone, che faticò a distinguere a causa del fumo denso che avvolgeva il campo di battaglia, stavano combattendo con accanimento. Tutt’attorno, le pareti crivellate dalle deflagrazioni continuavano a sbriciolarsi sotto i colpi degli incantesimi che fallivano il bersaglio o venivano deviati.
Ignorando ciò che stava avvenendo sotto i propri occhi scrutò oltre la cortina di polvere e individuò le scale conducenti ai bastioni.
Doveva raggiungerle, a tutti i costi!
Sfrecciò di corsa tra i contendenti mentre il mantello si sollevava in larghe volute sulle sue spalle, come una imponente nuvola nera. Riuscì ad evitare agilmente un paio di schiantesimi vaganti, diretti verso di lui.
Vide con la coda dell’occhio Tonks battersi come una tigre e, a sinistra, un Mangiamorte, biondo ed enorme, impegnato a duellare con la McGranitt.
Infilò di corsa le scale, senza che nessuno provasse a fermarlo. Il fumo acre gli riempiva le narici e fece uno sforzo enorme per non mettersi a tossire.
Una rampa, due, tre… Ad un tratto si trovò davanti a una barriera invisibile bloccante, eretta a metà della scalinata. Doveva essere stata piazzata lì dai Mangiamorte ad impedire il passaggio degli Auror ma, per attraversarla, sicuramente gli sarebbe bastato avere il loro stesso, tristo lasciapassare: il Marchio Nero tatuato sul braccio!
E così accadde; Severus salì come un pazzo la serie conclusiva di scalini e fu dinanzi al battente in legno, oltre il quale si stava concretizzando l’ultimo atto di una tragedia già ampiamente annunciata.
Si fermò, con il fiato mozzo, per un istante che gli parve lungo una vita.
Spalancò la bocca all’avida ricerca di aria e si artigliò con la mano sinistra il petto, cercando di calmare i battiti convulsi del cuore.
Sotto di lui proseguiva lo scontro tra il caos indescrivibile, eppure riuscì a distinguere le voci delle persone che erano sui bastioni, al di là del battente.
- Ora, Draco, presto! *
Gli sembrò di riconoscere il timbro volgare e odioso della voce di Amycus.
Serrò gli occhi che bruciavano in modo insopportabile.
Doveva intervenire, subito, ora che il sangue aveva smesso di scorrere come un fiume in piena nelle vene, rischiando di farle esplodere.
Strinse la bacchetta nel pugno. Era pronto, e aveva di nuovo recuperato il totale controllo di sé.
Spinse la porta.



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* Tratto da HP e il Principe Mezzosangue, cap. 27


Edited by Ele Snapey - 25/7/2013, 18:34
 
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view post Posted on 24/7/2013, 17:41
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Wow questo capitolo merita un commento fatto con calma, ora sono troppo agitata.
Stupendo!!! :applauso: :applauso:
 
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view post Posted on 24/7/2013, 18:08

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Aaaaahhhhh!
Oddio, oddio, oddio!
Sono stata in fibrillazione per tutta la lettura, praticamente in apnea.
Oddio... già mi viene il magone, mi viene voglia di entrare nella storia e dire "alt, fermi tutti, nessuno muore e soprattutto nessuno soffre più!". :cry:
Ele... sei meravigliosa! :wub:
 
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view post Posted on 24/7/2013, 22:53
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Grazie per l'attenzione ragazze. ;) Eh sì, questo capitolo è abbastanza cruciale.


CITAZIONE (pingui79 @ 24/7/2013, 19:08) 
Oddio... già mi viene il magone, mi viene voglia di entrare nella storia e dire "alt, fermi tutti, nessuno muore e soprattutto nessuno soffre più!". :cry:

E' la stessa cosa che avrei voluto fare io, scrivendolo, cioè poter intervenire per cambiare i fatti. Purtroppo la storia a questo punto la conosciamo tutti, e non può essere modificata :(
Ma sono proprio contenta di essere riuscita a farti rimanere in apnea per tutta la durata del capitolo, grazie mille Kià! :wub:
 
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view post Posted on 25/7/2013, 17:13
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Con piacere, come promesso, ecco due righe di commento. :wub:

9



La partita a scacchi è stupenda, è la quiete che preannuncia la tempesta quelle pedine bianche e nere che si dispongono e agiscono preannunciando un futuro fin troppo evidente. Ho apprezzato il gesto calmo di Severus che solleva il bicchiere, la descrizione dell’ambiente, la pace e la serenità di una sera tra amici che contrasta con le parole che si scambiano Silente e Severus: da rabbrividire e commuoversi.
Poi, lo stacco in Toscana, e qui - come sai - ti ho odiato cara Ele, ma solo un pochino, in fondo ogni frase in corsivo è l’ammissione di amarlo ancora e una verità rivelata.
Infine è arrivato il brano conclusivo, per merito del quale ho perso il senso della realtà. Io non ero davanti al pc, ero lì, con Severus, ho visto lo sguardo rivolto al cielo, ho sentito il battito forsennato del cuore, ho amato la sua disperazione protetta e raccontata da te mille e mille volte meglio della sua creatrice matrigna. Ero con lui nella corsa affannata e, gradino dopo gradino, ho sentito crescere l’ansia e la certezza del destino di un eroe : Il momento, dunque, era giunto.
Con quattro sole parole hai disegnato tutto un mondo di emozioni.
Il mantello che sventola dietro a lui è una cosa viva che lo segue lassù, fino al sommo della torre, dove ci sarà solo dolore e rimorso.
Sei stata eccezionalmente brava nello scrivere, seguendo sia il libro che il tuo cuore, questo passo tra i più drammatici di tutti e sette i libri.
Indimenticabile lo sguardo al cielo, rubato al film da un montatore deficiente!
Complimenti Ele con tutto il cuore.
 
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view post Posted on 25/7/2013, 17:44
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CITAZIONE (chiara53 @ 25/7/2013, 18:13) 
Sei stata eccezionalmente brava nello scrivere, seguendo sia il libro che il tuo cuore, questo passo tra i più drammatici di tutti e sette i libri.

Ma grazie infinite per i complimenti: me felice! :lol: Ti dirò che avrei voluto scrivere seguendo ancora di più il cuore, ma se l'avessi fatto 'sto capitolo, e il prossimo naturalmente, ;) sarebbero diventati lunghi quanto tutta la fic! :D


CITAZIONE (chiara53 @ 25/7/2013, 18:13) 
Indimenticabile lo sguardo al cielo, rubato al film da un montatore deficiente!

Mitica Chiara! :lol: :lol: come vedi siamo d'accordissimo ;)
 
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view post Posted on 26/8/2013, 19:02
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10




Si trovò all’esterno, sulla Torre di Astronomia; nuvole nere, gonfie di pioggia correvano nel cielo.
Il vento freddo e umido gli schiaffeggiò il volto, lasciandolo per un momento senza fiato.
La scena che si era materializzata davanti ai suoi occhi aveva un che di surreale.
Attorno a lui si era creato il silenzio più totale e sentì addosso il peso dello sguardo di coloro che stavano prendendo parte alla macabra rappresentazione.
Cercò di metterne a fuoco i volti e registrò a malapena l’assenza di Potter. L’unica cosa che vide, però, con estrema chiarezza, furono gli occhi straordinariamente limpidi di Silente che si stava reggendo a malapena in piedi, a ridosso dei bastioni.
Lo sguardo di Albus lo trafisse ancora una volta, fermo e sereno, anche se terribilmente stanco.
E in quell’attimo Severus pensò che non avrebbe mai immaginato di potersi sentire ancora peggio di quanto gli fosse mai capitato in tutta la vita.
Si fermò per un interminabile istante ad osservare i tratti sfiniti del vecchio preside, sopraffatto dal dolore e costretto in un angolo, come una volpe braccata da una muta di cani bramosi di finirla.
Voleva che nella sua mente rimanesse impressa quell’immagine incancellabile, per poterne portare per sempre l’insopportabile carico di rimorsi che vi avrebbe fatto seguito.
Un tormento terribile, interamente riservato a lui che, da quell’attimo in poi, sarebbe tornato di nuovo ad essere uno sporco assassino e un vile traditore agli occhi del mondo.
- Abbiamo un problema, Piton. Il ragazzo non sembra in grado… *
La voce di Amycus, da qualche parte alla sua sinistra, gli giunse come dall’altro lato del pianeta.
Il momento era giunto, dunque, e lui realizzò all’istante di non essere affatto preparato. Non lo sarebbe mai stato, nemmeno se davanti avesse avuto altri cento anni per farlo.
- Severus…
Il suono agghiacciante della flebile voce di Silente che lo supplicava riuscì a sovrastare perfino il sibilo del vento e gli fermò il cuore.
Per una frazione di secondo fu certo che avrebbe voltato le spalle a tutti, per ridiscendere a precipizio gli scalini da cui era salito solo pochi attimi prima. Ma lo sguardo di Silente lo inchiodò nuovamente sul posto.
- Severus… Ti prego… *
Un’ondata di nausea gli contorse lo stomaco e percepì come il proprio volto si stesse deformando in una smorfia di disgusto, in preda all’odio verso se stesso e verso colui che lo stava obbligando a tutto ciò.
Levò la bacchetta e la puntò contro il vecchio che stava scivolando ancora, lentamente, lungo la murata dei bastioni.
- Avada Kedavra! – La voce dura e metallica con cui aveva pronunciato le parole non era nemmeno più la sua.
Il lampo verde scaturì immediatamente dalla punta della bacchetta e andò a colpire inesorabile il bersaglio.
Severus vide Albus sollevarsi, volare e sparire oltre il parapetto in meno di un secondo, più simile ad un fantoccio di paglia e stracci che all’uomo che gli aveva fatto da padre per un tempo infinito.
Lo vide svanire per sempre, risucchiato dal vuoto, accompagnato dall’urlo del vento e dalla propria disperazione.
Ecco. Era già tutto finito, come se nulla fosse accaduto. Come se la mano da cui era partita la Maledizione fosse stata quella di un altro.
Albus era morto e Severus con lui.
Per un microsecondo si rese conto di come, agli occhi dei Mangiamorte presenti, in quel momento, stesse certamente apparendo alla stregua di un eroe leggendario.
Mentre abbassava la bacchetta ebbe un altro forte conato che provò a piegarlo in due, ma riuscì con uno sforzo enorme a mantenere la postura eretta. Un ronzio persistente nelle orecchie gli stava impedendo misericordiosamente di udire le oscene urla di trionfo dei fratelli Carrow che avevano fatto seguito alla morte del nemico di sempre.
Nonostante avesse ancora solo un gran bisogno di rovesciare in un angolo il contenuto del proprio stomaco si costrinse a reagire: adesso non era più il momento di indugiare, ma era venuto quello di sparire al più presto da lì.
Afferrò Draco ancora sconvolto per il bavero della giacca e lo strattonò, obbligandolo a tornare in sé.
- Fuori di qui… Sbrigatevi! –* ordinò, mentre trascinava il ragazzo oltre la porta, giù per gli scalini. Li scese rapidamente, tallonato da Amycus e Greyback; Alecto e un enorme Mangiamorte biondo chiudevano la fila.
La battaglia infuriava ancora e Severus, tenendo Draco ben saldo per il braccio, vi si buttò in mezzo senza esitazioni.
Doveva assolutamente guadagnare la via di fuga più veloce per allontanarsi in fretta da lì: poco prima che la porticina che dava sui bastioni si richiudesse aveva scorto con la coda dell’occhio ricomparire improvvisamente Potter dal nulla.
Sapeva che adesso gli si sarebbe messo alle calcagna, ma doveva impedirgli ad ogni costo di avvicinarsi troppo a loro per evitare il grosso rischio che, a qualcuno dei mentecatti con i quali stava scappando, venisse la brillante idea di abbatterlo.
Imboccò di corsa una serie di corridoi, rischiarati a intermittenza dai bagliori degli incantesimi che continuavano a esplodere da una parte all’altra; incontrò solo alcuni studenti terrorizzati che cercarono di bloccarlo per chiedergli che cosa stesse accadendo, ma li schivò rapidamente.
Sentiva dietro di sé le grida diventare sempre più deboli e il suono secco e cadenzato dei passi concitati di Greyback, ma fu solo fino ad un certo punto perché, quando si guardò velocemente alle spalle, scoprì come del lupo mannaro non ci fosse più traccia.
Non era certo il momento di fermarsi a chiedersi che fine avesse fatto. Continuò a correre, obbligandosi a tenere lo sguardo fermo davanti a sé, la ruga severa scolpita in mezzo alla fronte.
Chiunque l’avesse guardato negli occhi vi avrebbe letto il nulla più totale, in cui l’unica immagine che continuava a scorrere era quella del vecchio corpo scomposto che si sollevava come un grottesco manichino per poi ripiombare nel vuoto oltre il parapetto.
Scese rapidamente un’altra moltitudine di gradini, passò il gargoyle che presidiava l’accesso allo studio del preside respingendo un altro attacco di nausea.
Fece ancora un paio di svolte e, infine, affrontò la scalinata che conduceva alla Sala d’Ingresso. Uscì sul cortile principale e attraversò rapido il parco buio. Voltò di nuovo la testa e si accorse di essere seguito solo dal grosso Mangiamorte biondo.
“Problemi?” gli venne spontaneo di pensare con perfida soddisfazione all’idea che pure i Carrow, dopo Greyback, avessero trovato incresciosi ostacoli sulla via di fuga.
Vide però, contemporaneamente, anche la figura di Potter che stava scendendo di corsa il declivio ed era già sulle loro tracce.
Dunque il ragazzo non demordeva, come previsto, ma anzi stava guadagnando terreno.
Allungò la falcata e si diresse deciso verso la capanna di Hagrid che precedeva il sentiero per i cancelli.
Avanti, avanti… Non poteva fermarsi, anche se sentiva ad ogni respiro una lama di fuoco scendere dentro a bruciargli il petto.
Draco gli era sempre accanto, tremante e pallido come la cera; Severus doveva tirar fuori lui e se stesso da quell’inferno, ad ogni costo, o altrimenti tutto quello che era appena successo non sarebbe valso a nulla.
Era quasi arrivato a ridosso della casupola del guardiacaccia quando, improvvisamente, un getto di luce rossa gli sfiorò la testa. Si voltò, fulmineo, rendendosi conto che era stato Harry a scagliare l’incantesimo che lo aveva mancato di poco. Lo vide a breve distanza: evidentemente aveva tagliato per la via più veloce.
L’enorme Mangiamorte biondo intanto era volato verso la capanna di Hagrid.
– Incendio!
Un’esplosione seguì immediatamente a quelle parole e dalla casupola del mezzo gigante si levarono alte le fiamme.
Severus trattenne a stento un’imprecazione: doveva fermare quel folle prima che riuscisse seriamente a compromettere tutto ma si bloccò, perché vide sopraggiungere al galoppo anche i fratelli Carrow, tallonati da Fenrir Greyback.
Si voltò di scatto verso il giovane Malfoy, paralizzato dal panico.
- Corri Draco! – ruggì al suo indirizzo, cercando di sovrastare il rombo del fuoco.
Poi si girò nuovamente in direzione di Harry e vide che era caduto a terra colpito di striscio da una maledizione lanciata probabilmente da uno dei Carrow che, assieme al lupo mannaro, stavano raggiungendo di corsa i cancelli.
Si fermò, con il cuore in gola, osservandolo mentre si rialzava a fatica.
Quanto meno era ancora vivo. Era a circa una ventina di metri e, quando fu di nuovo in piedi, barcollò verso di lui con la bacchetta tesa in avanti.
Severus attese ancora che gli si avvicinasse. Ora erano due sagome indistinte, a breve distanza l’uno dall’altro, con i contorni resi imprecisi dal denso fumo dell’incendio.
Sembrava di stare in un girone infernale, ma l’ottima vista gli permise comunque di veder partire un altro raggio cremisi direttogli contro.
Alzò la bacchetta e, con gesto pigro, deviò facilmente l’incantesimo.
Un ghigno leggero e beffardo gli sfiorò le labbra mentre pensava con immensa amarezza che a Harry non sarebbero bastati tutto l’odio, la rabbia e la disperazione di questo mondo per riuscire a far del male a Severus Piton, uno tra i maghi più potenti dopo l’Oscuro, ora che egli stesso aveva provveduto a eliminare l’unico che avrebbe potuto contrastarlo.
- Crucio!
Un altro fascio luminoso solcò la notte; il professore sollevò di nuovo il braccio, parandolo con un elegante movimento del polso.
- Niente Maledizioni senza Perdono da te, Potter… Non ne hai il coraggio, né l’abilità! - ** gli urlò di rimando, al di sopra del fragore delle fiamme.
- Incarcer…
Severus bloccò ancora l’incantesimo, quasi con noncuranza.
Ebbe la tentazione di schiantare il moccioso per dargli una bella lezione su come avrebbe dovuto applicarsi realmente, durante l’anno, allo scopo di ottenere risultati meno mediocri.
Tuttavia decise di rinunciare all’allettante proposito: aveva già perso troppo tempo con quell’insolente e doveva pensare prima di tutto a mettersi in salvo, prima che giungessero anche gli Auror.
Inaspettatamente, però, dalla acre cortina fumosa spuntò la massiccia sagoma del Mangiamorte che Severus credeva ormai in salvo oltre i cancelli e, prima che potesse intervenire, questi aveva già puntato la propria bacchetta contro Harry.
Il ragazzo crollò a terra mugolando di dolore, colpito dalla Cruciatus.
- NO! – gridò Severus, raggiungendo subito l’energumeno e afferrandogli il braccio per impedirgli di continuare a torturarlo. – Hai dimenticato gli ordini? Potter appartiene al Signore Oscuro… Dobbiamo lasciarlo stare. Via! Via! **
Il Mangiamorte obbedì con un grugnito di disappunto e, lanciando a Piton un’ultima occhiata contrariata, imboccò di corsa il sentiero che conduceva all’uscita.
Anche Severus fece per voltarsi verso i cancelli quando, all’improvviso, udì il ragazzo ancora steso a terra gridare distintamente qualcosa che lo inchiodò sul posto.
- COMBATTI… COMBATTI VIGLIACCO! **
Rimase pietrificato per qualche secondo, in preda a un vortice di pensieri violenti e sconnessi e alla sensazione che qualcuno lo stesse prendendo brutalmente a pugni.
Ma come osava? Come aveva potuto permettersi di dargli del codardo quell’arrogante, impudente, presuntuoso, tale e quale a suo padre… Lui! Lui che non sapeva, che non poteva nemmeno immaginare?
Fu costretto a fermarsi, inspirando a fondo quanta più aria possibile per arginare il forte turbamento, così Harry ne approfittò:
- Sectum…
Severus reagì con prontezza, respingendo senza sforzo anche quell’ultimo tentativo disperato.
“Sectumsempra… Non posso crederlo… Quel piccolo, miserabile idiota ha avuto il coraggio di usare ancora il Sectumsempra! E contro di me!”
Si sentiva come se gli avessero piantato un coltello lungo e affilato nella schiena; mosse risoluto verso il ragazzo, in preda ad una rabbia fredda e devastante.
Sentì che stava tremando leggermente, quando si fermò a poca distanza da lui, il viso sconvolto da collera e disperazione.
Perfino Harry, dall’altra parte, lo fissò impaurito. Sul volto dell’uomo che detestava incondizionatamente era stato abituato da sempre a ravvisare manifestazioni di maligno sarcasmo, glaciale imperturbabilità o freddo disgusto, ma mai una tale, spaventosa espressione di furia, mista a lacerante dolore. Si rannicchiò, istintivamente. Piton era terrificante: sembrava una tigre ferita, pronta a dilaniare il proprio avversario prima di abbandonare il campo.
Il ragazzo, rabbrividendo, alzò di nuovo la bacchetta e si preparò a lanciare un altro incantesimo. Ma ancora una volta il suo ex professore fu molto più veloce e si ritrovò a piroettare nell’aria, scagliato a pochi passi di distanza dal punto in cui si trovava fino a qualche attimo prima.
Oltre alla bacchetta erano volati via anche gli occhiali e, quando a tentoni finalmente riuscì a ritrovarli e ad inforcarli, focalizzò con una certa fatica, a causa del violento bagliore del fuoco, l’imponente figura di Piton che torreggiava già sopra di lui.
Severus lo fissò per un lungo istante, dall’alto, con odio e risentimento.
In quel momento, disteso ai propri piedi, vedeva solo James Potter e la sua insopportabile faccia, resa tronfia dai successi ottenuti anche attraverso le umiliazioni che gli aveva inflitto.
Udì la propria voce, paurosamente fredda e controllata, tagliare l’aria satura di fumo come una lama.
– Tu hai il coraggio di usare i miei incantesimi contro di me, Potter?
Una piega amara gli aveva deformato la bocca, mentre il tono rivelava un profondo disgusto.
- Sono stato io a inventarli… Io, il Principe Mezzosangue! E tu rivolti le mie invenzioni contro di me, come il tuo schifoso padre? Non credo… No! **
Severus fece un passo verso la bacchetta magica che giaceva accanto al ragazzo e la colpì con un calcio, mandandola a finire più in là, lontana dal suo proprietario.
Harry si alzò di scatto a sedere come punto da un insetto e gridò con tutto il fiato che gli rimaneva in corpo.
- Mi uccida, allora! Mi uccida come ha ucciso lui, vigliacco… **
Severus avvertì un altro violento pugno all’altezza dello stomaco. Rabbia, dolore, sgomento tornarono a combattersi nella mente ottenebrata dallo strazio.
Aveva avuto il coraggio di sbattergli ancora in faccia quel termine ripugnante…
Aveva osato, ancora una volta, dargli del codardo…
Assurdo, intollerabile, ingiusto, come tutto ciò che era stato costretto a compiere fino a quel momento.
Sentì un nuovo, crudele spasmo al torace e fece violenza su se stesso per trattenersi dall’urlare. Scattò in avanti, trapassando Harry con uno sguardo bruciante di collera, il volto trasfigurato dalla sofferenza.
- NON… CHIAMARMI… VIGLIACCO! – ** pronunciò a fatica, con voce che non era più nemmeno la sua, e alzò la bacchetta sferzando l’aria.
La figura nera si stagliò, netta e grandiosa, contro la luce abbacinante delle fiamme e parve per un momento sovrastare il mondo come quella di una feroce divinità pagana offesa.
Harry gemette, sentendosi sollevare e scaraventare di nuovo a qualche metro di distanza.
Severus avanzò di un altro passo, con l’intenzione di colpire di nuovo, ma un forte battito d’ali proveniente da un punto imprecisato sopra la propria testa lo costrinse ad alzare lo sguardo.
Spalancò gli occhi sull’enorme massa scura che gli stava piombando addosso emettendo grida altissime; capì di aver a che fare con un ippogrifo, e che doveva essere proprio il maledetto animale appartenuto ad Hagrid, quello con cui Sirius Black era sfuggito alla cattura alcuni anni prima.
Riuscì per un soffio ad evitare che gli artigli affilati della creatura inferocita gli cavassero gli occhi, ma rimediò comunque un paio di profondi tagli vicino alla tempia.
Si buttò di lato per schivare un altro colpo del becco potente e si gettò di corsa giù per il sentiero, verso i cancelli, sempre inseguito da Fierobecco.
Mentre correva si voltò appena per puntare la bacchetta contro l’ippogrifo, formulando mentalmente un incantesimo che ottenne di fermarlo quel tanto sufficiente a guadagnare terreno.
Arrivò finalmente in prossimità dell’uscita; aveva appena sostenuto uno sforzo terribile e anche solo respirare gli stava costando immensa fatica ma, prima di oltrepassare la linea di demarcazione oltre la quale avrebbe potuto smaterializzarsi, non poté fare a meno di girarsi di nuovo in direzione del castello.
L’incendio presso la capanna di Hagrid continuava a divampare ma intravide, con sollievo, l’enorme sagoma del guardiacaccia che, seguita da quella del suo cane, si stava agitando attorno alla propria abitazione, per poi avvicinarsi alla esile figura del ragazzo.
Dunque Rubeus e Thor erano salvi! Sorrise impercettibilmente, mentre avvertiva un rivolo di sangue caldo colare dalle ferite sul volto, e andare ad inzuppare il colletto della camicia.
Guardò per l’ultima volta Hogwarts su cui brillava ancora, ributtante, il Marchio Nero, unica
testimonianza tangibile, assieme alla miriade di finestre illuminate, della tragedia che si era appena consumata.
Una terribile fitta di angoscia lo assalì ma non gli venne concesso altro tempo per indugiare: Fierobecco stava ritornando ad ali spiegate, deciso a farlo a pezzi.
Voltò le spalle a ciò che erano stati fino a poche ore prima tutto il suo mondo e la sua vita, trasse un respiro profondo, oltrepassò i cancelli e vide Draco corrergli incontro, con gli occhi sbarrati per il terrore.
Severus, senza perdere altro tempo, afferrò di nuovo per il braccio il ragazzo e si diresse correndo verso un imponente cespuglio, presso cui li stavano aspettando i Carrow. Un secondo dopo, erano spariti tutti e quattro.


________________________________________________________________

* Tratto da HP e il Principe Mezzosangue, cap.27
** Tratto da HP e il Principe Mezzosangue, cap.28


Edited by Ele Snapey - 26/8/2013, 21:20
 
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view post Posted on 26/8/2013, 20:45

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Toccante, vibrante e commovente.
Le emozioni di Severus sono tangibili e vivide che non è possibile non commuoversi.

Harry mi verrebbe voglia di schiantarlo sul serio, se non che soffre anche lui ma purtroppo non ha capito una cippa di quel che è appena avvenuto sotto i suoi occhi.

Grazie, Ele, per averci regalato questo prezioso e commovente punto di vista. :wub:
 
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view post Posted on 27/8/2013, 12:30
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Splendido più bello di un film, più commovente del libro, terribilmente commovente.

CITAZIONE
La figura nera si stagliò, netta e grandiosa, contro la luce abbacinante delle fiamme e parve per un momento sovrastare il mondo come quella di una feroce divinità pagana offesa.

Di questa frase terrò memoria, è tragica e potente.
Il resto è tragicamente realistico, stavolta ti sei superata: complimenti Ele!
Bravissima. :wub: :wub:
 
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view post Posted on 27/8/2013, 14:24
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Vi ringrazio di cuore, care Chiare :wub: Vedere che state seguendo e apprezzando costantemente mi gratifica assai! ^_^
Grazie ai vostri commenti ho il conforto di sapere che uno dei miei intenti principali, cioè di rendere visibile agli occhi di chi legge tutto quello che ha sofferto Severus, per ora non si è rivelato un disastro :lol:
 
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view post Posted on 29/9/2013, 22:37
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Quella mattina si era alzata di pessimo umore senza alcuna apparente ragione.
L’anno scolastico giunto quasi al termine e la giornata, che si preannunciava soleggiata e luminosa, non potevano certo costituire motivo di malcontento. E invece…
Si disse che, probabilmente, doveva aver dormito molto male.
Scese al piano inferiore per fare colazione. La prima persona che le venne incontro fu naturalmente John Collins, con un sorriso radioso.
- Buongiorno, mio sole splendente! – esordì, prendendola per mano. Lavinia ridacchiò, tentando di schermirsi. John era sempre carinissimo con lei ma, a volte, le sue attenzioni la mettevano in imbarazzo. In quel momento, ad esempio, erano sotto il tiro delle occhiate di un paio di insegnanti e alcune studentesse, e la cosa le stava dando parecchio fastidio. Ma, a quanto pare, avrebbe dovuto farci l’abitudine.
- Buongiorno, John. – esclamò in tono forzatamente vivace, raggiungendo rapida il tavolo già apparecchiato per la colazione.
- Come va stamattina? Hai dormito bene?- si informò gentilmente il giovane insegnante, sgranandole addosso i suoi luminosi occhi azzurri.
- Purtroppo anche stanotte ho avuto qualche difficoltà a riposare… Non so che cosa mi stia succedendo: sarà il caldo, forse, o molto probabilmente sarà che siamo giunti a fine anno e sono molto stanca. – ribattè lei, iniziando a spalmare una buona dose di marmellata di arancia amara su una fetta di toast abbrustolito.
- Ancora una notte insonne, povero tesoro mio? Hai provato a prendere la tisana calmante che ti ho consigliato ieri? – John le passò la scodella con il porridge.
Lavinia annuì distrattamente, versando il tè nella tazza; intanto pensava a come, dalla sera in cui avevano cenato fuori, avessero preso a trascorrere insieme praticamente ogni momento libero della giornata a partire dalla colazione, ma la cosa la stava rendendo un po’ insofferente.
John si occupava di lei con una premura quasi soffocante a cui, senza dubbio, non era abituata. Fu colta da un’improbabile, ridicola fantasia in cui vide Severus che le correva incontro, leggiadro, apostrofandola con espressioni amorose ad effetto, così come aveva appena fatto il giovane professore, e si costrinse a non ridere: i termini più affettuosi a cui il suo ex aveva fatto ricorso erano stati al massimo “piccola” e “mia”, e già doveva essergli costato parecchio sforzo assemblarli in un’unica frase!
Ecco, l’aveva fatto ancora… l’aveva pensato di nuovo e aveva rifatto il confronto fra loro. Scosse la testa, infastidita.
- Che c’è, amore? Un brutto pensiero?
- Oh no… no, no, stavo solo riflettendo su… ecco, ragionavo su alcune cose mie, sai, come succede ogni tanto…
Lavinia si sforzò di sorridere e represse una piccola smorfia seccata. Ma era mai possibile che dovesse rendergli conto di ogni minima considerazione? E poi, quel rivolgersi a lei sempre in termini zuccherosi: tesoro, amore, luce dei miei occhi. Non era un po’ presto per considerare già “amore” una relazione appena nata?
- Stamattina temo proprio che, dopo le due ore di lezione con il terzo anno, dovrò chiudermi in biblioteca per fare qualche ricerca.
Lavinia dirottò il discorso per evitare che John insistesse ancora nel voler approfondire la natura dei suoi soliloqui.
- Benissimo. Posso aiutarti? Ho un paio di ore buche anch’io.
- No, grazie John, saprò cavarmela benissimo da sola, ho parecchie cose da ultimare e vorrei finire almeno per l’ora di pranzo… - lo scoraggiò con decisione ma poi, notando la sua aria delusa, allungò la mano e gli accarezzò il volto: - Su, non fare così. E’ molto meglio che me la sbrighi per conto mio. Sai com’è, alla fine la tua presenza potrebbe distrarmi troppo dalla consultazione dei testi. - aggiunse, ammiccando in tono conciliante.
- Ok, allora ci vediamo qui per pranzo. – si rassegnò il giovane e Lavinia annuì riconoscente.
Aveva decisamente bisogno di un po’ di respiro, ogni tanto.
Terminò di fare colazione e salì di corsa in camera per recuperare i compiti del giorno prima già corretti. Erano quasi le nove, ora in cui iniziavano le lezioni, e si accorse di essere, come di consueto, in leggero ritardo.
Trafelata afferrò le pergamene impilate sulla scrivania ma, prima di uscire, un picchiettio nervoso sui vetri attirò la sua attenzione. Guardò in quella direzione della finestra e scoprì che uno splendido esemplare di gufo reale si era appena appollaiato sul davanzale.
Lo riconobbe all’istante: era un gufo proveniente da Hogwarts e aveva legato alla zampa un messaggio. Rimase perplessa ad osservarlo mentre Andrew, che di solito era molto tranquillo, si agitava nervoso in gabbia.
Un messaggio da Hogwarts, a quell’ora? Strano… Zia Minerva era solita farle pervenire notizie nel pomeriggio, sapendola più libera da impegni scolastici.
Avvertì una sottile, strana inquietudine strisciare subdola lungo la spina dorsale.
Con il cuore che aveva preso a battere un po’ più velocemente si avvicinò alla finestra e la aprì.
Il volatile si lasciò sfilare docilmente il messaggio dalla zampetta, poi aprì le ali e compì un breve tragitto all’interno della camera, planando proprio accanto alla gabbietta del suo gufo, sempre più agitato.
Lavinia srotolò nervosamente la piccola pergamena e sedette sul bordo del letto; lesse la breve missiva vergata dalla mano precisa della professoressa McGranitt e accusò nel medesimo istante un tuffo al cuore.
“ Mia cara, la notte scorsa tuo zio Albus ha avuto un incidente. I tuoi sono già stati avvertiti, ma è necessaria anche la tua presenza. Vieni appena puoi. Zia Minerva. - p.s. mi raccomando, usa un mezzo di trasporto sicuro! ”
Lasciò cadere in grembo le mani che stringevano il piccolo messaggio e fissò il gufo reale che stava becchettando tranquillamente il biscottino infilato tra le sbarre della gabbia di un Andrew molto contrariato.
“… tuo zio Albus ha avuto un incidente…”
Cosa significavano quelle poche righe vaghe, buttate giù in fretta, che sembravano nascondere qualcosa di terribilmente stonato?
La mano! Certo, forse era successo qualcosa a causa di quella maledetta mano. O forse, per quanto grave, l’infortunio era probabilmente in via di risoluzione, dal momento che la professoressa McGranitt la invitava a raggiungere Hogwarts non appena avesse potuto e con un mezzo di trasporto sicuro.
Mille dubbi le si affastellarono in testa in mezzo secondo. Si alzò, fece qualche passo per la stanza, tornò a sedersi sulla sedia e si rialzò di nuovo. Non sapeva che fare; in più, l’essere completamente all’oscuro circa la reale entità dei fatti non la aiutava certo a rilassarsi.
Decise che sarebbe partita subito: non poteva rimanere a lungo in quello stato.
Setacciò la piccola scrivania in cerca di un foglio bianco e, trovatolo, vi scarabocchiò sopra in fretta un “Arrivo immediatamente – L.”; quindi afferrò il gufo reale che, irritato per la rinuncia al biscottino, oppose un po’ di resistenza quando cercò di legargli la missiva alla zampina.
Una volta liberato riprese subito il volo, scomparendo in fretta dalla vista della giovane donna che, nel frattempo, aveva iniziato a preparare i bagagli. Cacciò alla rinfusa i propri effetti personali nel baule, un po’ facendoli levitare e un po’ buttandoli dentro a mano.
Si interruppe quando si rese conto, all’improvviso, che avrebbe dovuto avvertire subito la preside della sua necessità di partire.
Scese al piano di sotto e la prima persona che incontrò fu proprio lei che la stava cercando per tutto l’istituto, dal momento che la sua classe era ancora scoperta.
Non appena la individuò Delphine Stevenson le andò incontro a passo di carica; sul volto aveva stampata un’aria seccata.
- Professoressa O’Connor, ma dove diamine è sparita? Le lezioni sono iniziate da almeno venti minuti e ho dovuto chiedere al professor Fitzpatrick di coprire gentilmente la sua classe fintanto che…- si bloccò, perché si accorse all’istante dell’espressione preoccupata della giovane donna.
- Le è successo qualcosa, Lavinia? – chiese subito ridimensionando il tono.
- Purtroppo sì, professoressa Stevenson, giusto di lei avevo bisogno. Mi deve scusare ma ho appena ricevuto un gufo da Hogwarts in cui mi avvertono che zio Albus, ieri notte, è stato vittima di un incidente e mi pregano di raggiungere subito la scuola.
- Un incidente al professor Silente? Oh Merlino! Spero non sia nulla di grave.
Lavinia, senza proferire parola, consegnò alla preside il messaggio in questione.
La Stevenson lesse rapidamente le poche righe, alzò la testa e la fissò con aria indulgente.
- Non si preoccupi, mia cara, parta quando vuole. A Villa Belloncio è a disposizione la Metropolvere, così farà prima che con qualsiasi altro mezzo. C’è un camino di riferimento a Hogwarts o nei pressi? – l’efficienza e la sensibilità della preside ebbero il potere di rincuorarla.
- Sì, a Hogsmeade ne è provvisto il locale di madama Rosmerta, e da lì si può arrivare al castello anche a piedi. – rispose Lavinia, grata per l’insperata opportunità che le si presentava.
- Bene, allora sistemi le ultime cose e poi venga nel mio ufficio. E ci faccia sapere come sta il professor Silente, mi raccomando! - aggiunse la direttrice, mentre si allontanava in fretta per andare ad avvertire il professor Fitzpatrick che avrebbe dovuto sacrificare la propria ora buca in supplenza della collega.
Lavinia la seguì per qualche secondo con lo sguardo inquieto, poi decise di raggiungere l’aula in cui stava tenendo lezione John per avvertirlo dell’improvviso cambio di programma che avrebbe stravolto quella giornata apparentemente tranquilla. Il professor Collins uscì subito dalla classe non appena gli fece discretamente cenno se poteva interrompere per qualche minuto la spiegazione in corso.
- Di qualunque cosa tu abbia bisogno fammelo sapere subito, ti prego. Non fare come al solito di testa tua. – sussurrò d’impeto il giovane, non appena gli ebbe fatto leggere il messaggio. Davanti all’espressione impenetrabile della ragazza, insistette.
- Lavinia, voglio che tu mi prometta che mi darai tue notizie il più presto possibile. Se dovessi avere bisogno di me non esitare a chiedere, qualunque cosa, hai capito? Sai che sarò pronto a raggiungerti in qualsiasi momento!
- Ok, te lo prometto John, ma non usare quel tono ansioso e non farmi quella faccia preoccupata che sono già abbastanza in paranoia. – ribattè, sottovoce, prendendogli il viso tra le mani. Dallo spiraglio della porta, che era rimasta socchiusa, intravide i volti curiosi degli studenti protendersi verso la soglia per cercare di captare che cosa stesse avvenendo tra i due insegnanti.
Si staccò subito da lui, ma l’uomo la afferrò delicatamente per le spalle e la condusse verso un punto del corridoio dove gli sguardi invadenti non potessero arrivare; la baciò con dolcezza, guardandola intensamente.
- Per favore, non farmi stare in pensiero.
Lavinia lo rassicurò con un sorriso.
- Sì, certo, stai tranquillo! Arrivederci, caro…
Con un ultimo cenno di saluto si allontanò, e guadagnò quasi di corsa le scale. Giunse in camera con il fiato corto e liberò il gufo dalla gabbia con l’intenzione di spedirlo subito al castello così, almeno lui, non avrebbe costituito un problema come bagaglio. Terminò in qualche modo di fare le valige, poi afferrò la bacchetta magica e si predispose a miniaturizzarle: usando la Metropolvere le avrebbe potute portare comodamente nella borsa a tracolla.
Infine si fermò un istante e volse lo sguardo attorno a sé; realizzò allora che stava per abbandonare quel luogo, a cui non era riuscita ad affezionarsi più di tanto, per tornare là dove aveva lasciato il cuore.
Non era trascorso giorno, in quei sei mesi, senza che dedicasse un pensiero a Hogwarts, e ora si apprestava a farvi ritorno.
Ne prese finalmente coscienza e si sentì pervadere da un’ emozione travolgente che sostituì la cupa preoccupazione che l’aveva assillata fino a quel momento: avrebbe rivisto i luoghi a lei cari, e tutti coloro da cui si era separata. Avrebbe rivisto anche… lui.
Sedette sul bordo del letto, respirando piano e comprimendo lo stomaco con la mano nel tentativo di dominare l’ansia feroce che l’aveva assalita con inaspettata violenza, rischiando di farla star male. Dopo qualche minuto, riuscì a connettere di nuovo con una certa lucidità.
“Andiamo, ragazza mia, che ti succede? Controllati. Non è proprio il caso di andar fuori di testa perché, molto probabilmente, rivedrai una persona che non ricorda nemmeno più che esisti. Non è proprio il caso, soprattutto dopo la notizia che hai appena ricevuto.”
Verificò di nuovo che tutto fosse a posto e di non aver dimenticato nulla, quindi uscì diretta all’ufficio della preside, senza immaginare che quella sarebbe stata l’ultima volta che vedeva la sua stanza.


§§§§§§§§§§§




- Non ho avuto il coraggio di scriverglielo, Remus… Non potevo!
Minerva McGranitt, il volto profondamente segnato e stanco, guardò per un istante il giovane mago dall’aria precocemente invecchiata che sedeva di fronte a lei, poi serrò gli occhi.
- Se le avessi comunicato subito ciò che era realmente successo e in quale modo, sa solo il cielo in che stato avrebbe affrontato il viaggio! - proseguì, con voce incrinata. - Sarebbe stata capace di arrivare dall’Italia a cavallo di quella orribile bicicletta, con il rischio di ammazzarsi prima. E poi… ci sono troppe cose da dover spiegare… troppe da capire e troppe da accettare. Ho preferito aspettare che fosse qui, per poterle parlare direttamente, come ho fatto con i suoi genitori.
Il suo piglio, da sempre fermo e inflessibile, ora vacillava paurosamente e sembrava avere il doppio degli anni.
Erano passate alcune ore dal terribile accaduto e nessuno sembrava ancora in grado di mettere insieme un pensiero connesso.
Il corpo di Silente riposava momentaneamente in una piccola aula fuori uso, vegliato a turno da Elfi, professori e studenti, in attesa che venisse deciso qualcosa riguardo la tumulazione.
Remus Lupin ficcò per l’ennesima volta una mano tra i capelli grigi e scarmigliati.
Portava sul volto le tracce di un profondo affaticamento e, a giudicare dagli occhi lividi e cerchiati, era come se non dormisse da giorni.
- C’è poco da spiegare, capire, accettare – mormorò a bassa voce. - Questa è una tragedia assurda. Non potrò mai capire e accettare quello che è successo.
- Lo so, Remus. Anch’io non riesco a capacitarmene. Non riesco a pensare che lui non ci sia più. Mi aspetto che entri da un momento all’altro da quella porta e… – un singhiozzo le impedì di proseguire, costringendola ancora una volta a tuffare il viso nel fazzoletto. Remus la guardò, infelice; almeno lei riusciva a piangere.
Si trovavano da qualche minuto nell’ufficio del preside, avvolti da un silenzio innaturale, dopo essere fuggiti da quel tremendo caos fatto di esplosioni, urla e pianti in cui erano stati immersi fino a poche ore prima.
Avevano avuto entrambi urgente bisogno di un momento di pace, per riprendersi dal dolore e dallo sconcerto.
Lì dentro il tempo si era fermato, come se nulla fosse accaduto. Un raggio dorato di sole, entrando dalla vetrata, andò a colpire la libreria su cui riposava il cappello Parlante. Gli oggetti sulla scrivania erano nella stessa identica posizione in cui li aveva lasciati Silente l’ultima volta, mentre un’anta dell’armadio che conteneva il Pensatoio era socchiusa, segno che il preside, prima di allontanarsi dall’ufficio, ne aveva fatto uso.
L’unica cosa fuori posto in tutta quella apparente normalità, scandita dal consueto ticchettio degli strumenti d’argento, era il trespolo di Fanny vuoto.
La fenice si era allontanata in volo, alle prime luci dell’alba, subito dopo aver pianto la morte del preside con il suo canto straziante.
La professoressa McGranitt fissò stancamente il bacile di pietra istoriato da rune antiche, che si intravedeva all’interno dell’armadio, pensando che avrebbe dovuto alzarsi per chiuderlo di nuovo a chiave. La voce di Lupin, però, la distrasse da quella futile riflessione.
- Hai già avvisato il Ministero?
- Non ancora Remus… Non ancora. Mi è piombato addosso il mondo in un istante. Non so ancora da che parte iniziare a rimettere insieme i pezzi. - sospirò la vice preside, che si rese conto in quel momento di come la sua posizione gerarchica avesse improvvisamente subito uno scatto. Ora era lei a dover reggere le sorti della scuola.
- Ma bisognerà farlo, il prima possibile. Shacklebolt e Moody saranno qui a momenti. Decideremo con loro su come agire e cosa fare da ora in poi. Occorrerà affrontare anche la questione del funerale, ad esempio. – proseguì Remus, passandosi una mano sugli occhi arrossati.
Sul volto della donna si disegnò una fugace ombra di fastidio.
- D’accordo, Remus. Gradirei però che prima di prendere decisioni, soprattutto riguardo l’ultimo punto, aspettassimo che ci sia anche Lavinia.
- Giusto, giusto. Non ti preoccupare, aspetteremo che arrivi e abbia il tempo di metabolizzare l’accaduto.- si prese la testa tra le mani. - Merlino, ma che cosa sto dicendo: il cielo solo sa quanto tempo avrà bisogno per riprendersi da una tegola del genere… – gemette, tormentando ancora i capelli. - E Tu-Sai-Chi non starà certo ad aspettare!
La McGranitt si alzò faticosamente dallo scranno appartenuto a Silente, e fece il giro della scrivania, raggiungendo il giovane mago alle spalle.
Dopo un lieve attimo di esitazione gli posò una mano sul capo.
- Non so che cosa avverrà da questo momento in poi, Remus. So solo che Albus avrà un funerale degno della sua grandezza e riposerà qui, a Hogwarts, in un angolo del parco; rimarrà dove ha trascorso una vita piena di amore, dedicata ai suoi studenti, agli insegnanti e al lavoro che ha svolto sempre con passione e dedizione. Questa è stata la sua casa, Remus, e non voglio che nessuno, nemmeno il Primo Ministro della Magia in persona possa portarlo via da qui, neanche da morto!
Il giovane rialzò la testa e la guardò; sul volto della anziana strega era scolpita un’espressione dolorosa ma fortemente risoluta. Remus sorrise debolmente di fronte alla grande determinazione di Minerva, e le fu terribilmente grato; l’idea che le spoglie del preside riposassero nel luogo che più aveva amato, sembrava anche a lui l’unica alternativa possibile.
- E Harry? – gli domandò la donna, improvvisamente.
- Il ragazzo è sconvolto. Comprensibile. Ho dovuto obbligarlo quasi con la forza a lasciare l’aula in cui abbiamo deposto il corpo, perchè tornasse in infermeria a farsi dare un’occhiata dalla Chips. Finalmente si è convinto e Ginny l’ha accompagnato. E’ moralmente distrutto… Come dargli torto? Ha perso un altro importantissimo punto di riferimento; prima Sirius, adesso Albus…
Remus si accasciò di nuovo sulla poltrona e Minerva scosse la testa, pervasa da uno smisurato senso d’impotenza.
- Sembra tutto così irreale, un incubo senza fine… Severus, come ha potuto? Questa è la cosa peggiore, ciò che mi priverà del sonno per il resto della vita: Severus! Non posso credere che sia stata la sua mano ad uccidere Albus. Non è possibile, Remus, non è possibile!
- Non vuoi credere a ciò che ha visto Harry? Eppure lui era lì, presente, sotto il mantello. – replicò Lupin con voce bassa e roca.
- E’ inammissibile. Deve esserci una spiegazione a quello che è successo. Severus non può aver fatto una cosa così mostruosa senza una ragione, anche la più assurda… – Minerva prese a tormentarsi le mani, misurando a passi lenti lo studio. - Albus aveva totale, cieca fiducia in lui, non può essersi sbagliato così grossolanamente, Remus!
- Ed è stata proprio questa sua irragionevole e cocciuta cecità a ucciderlo! – ringhiò l’uomo, interrompendo la professoressa con un pugno rabbioso sulla scrivania.
- Non è possibile, non è possibile. – gemette Minerva, le mani premute sulla bocca nel tentativo di soffocare il dolore.
- Maledetto, sporco assassino… – continuò Remus con voce tremante di collera. Non si era mai sentito così pieno di odio verso qualcuno. In quell’istante sapeva solo che prima o poi lo avrebbe trovato e, allora, per Severus Piton sarebbe finita nel più atroce dei modi.
- Quando penso a come ha saputo fingere, ingannandoci con tali abilità e perfidia. Perfino con Lavinia ha recitato in maniera esemplare. E’ riuscito per anni a farle credere di amarla. E io che, da completo idiota, ho perfino favorito e benedetto la loro unione...– una smorfia amara alterò i tratti già tirati del volto. - Che razza di serpente velenoso! E’ incredibile come sia riuscito a simulare in modo così perfetto!
La McGranitt si fermò, improvvisamente, aggrottando le sopracciglia.
- Ora, finalmente, si spiega il suo comportamento nei confronti di quella povera ragazza. Ecco che cosa aveva in mente e si stava già predisponendo a fare, quando ha deciso di lasciarla in modo tanto repentino. Santo cielo, è terribile… D’altronde, da Occlumante eccezionale quale è, per lui deve essere stato un gioco da ragazzi prendersi gioco di tutti noi. – sussurrò turbata.
Il silenzio gravò pesante dopo quell’ultima constatazione, appena prima che un frullare d’ali, proveniente dall’esterno, li sorprendesse entrambi.
La professoressa si diresse velocemente verso la finestra a bifora e fece entrare il gufo.
Ne afferrò la zampina e staccò delicatamente il messaggio che vi era legato.
- “Arrivo immediatamente”… - lesse ad alta voce.
Alzò la testa e guardò l’ex professore di Difesa Contro le Arti Oscure.
- Remus, è il gufo che ho spedito a Lavinia questa mattina all’alba. Dunque, significa che sarà qui a momenti. – gli annunciò, stancamente.
Lupin si alzò di scatto dalla sedia: la prospettiva di dover comunicare la terribile notizia all’amica gli stava procurando grande agitazione, e Minerva lo notò; gli posò delicatamente una mano sul braccio.
- Tranquillo, penserò io a parlarle. Tu vai pure, adesso: immagino che Ninfadora ti stia cercando disperatamente per tutto il castello e giù ci sia bisogno di te.
Il giovane mago la guardò con espressione dimessa, in cui la vicepreside percepì con chiarezza un moto di gratitudine. Capiva perfettamente come egli preferisse tornare ad affrontare il caos, fuori da quella stanza, piuttosto che lo strazio dell’amica.
Lo guardò mentre si approssimava alla porta, e la oltrepassava con le spalle un po’ curve e il passo lento, quasi strascicato.
Poi tornò a sedere sul seggio del preside e rimase a fissare lo spazio vuoto sulla parete, accanto agli altri ritratti, pronto a ricevere presto quello nuovo.
Il pensiero che, da quel momento in poi, Albus sarebbe stato presente solo in forma di raffigurazione le procurò un’altra fitta al cuore: che ne sarebbe stato di Hogwarts e di tutti loro, ora che l’unico mago al mondo in grado di contrastare il potere dell’Oscuro non c’era più?

§§§§§§§§§§§



Guardò l’orologio a clessidra appeso sopra al bancone dei Tre Manici di Scopa.
Erano le sedici di un pomeriggio assolato e, come al solito, il locale a quell’ora era frequentato da pochi, sconosciuti avventori.
La Metropolvere riusciva sempre a scombussolarla; in più la distanza che aveva dovuto coprire era stata maggiore rispetto a quella a cui era abituata di norma.
Si spazzolò i vestiti leggermente coperti di cenere. Sentiva la testa ronzare e girare, anche per l’agitazione di trovarsi in un ambiente che le era familiare.
Rosmerta, a quanto pareva, quel giorno era assente. Al bancone si stava affaccendando un giovane aiutante, che indirizzò lo sguardo verso il camino e le fece un breve cenno di saluto. Non conosceva il giovane, ma rispose educatamente al suo benvenuto con un sorriso.
Si avvicinò al bancone e il ragazzo si rivolse a lei in tono confidenziale.
- Buongiorno. Viaggiato bene? Desidera qualcosa da bere?
- Oh sì, grazie, mi dia un succo di zucca ghiacciato. Arrivo dall’Italia, mi sento ancora un po’ scombinata e ho una gran sete.
Il giovane emise un leggero fischio di stupore.
- Ehi, certo che si è sparata un bel viaggetto! Sa, qui non siamo certo abituati a veder arrivare molta gente con la Metropolvere, e comunque di solito non da così lontano. – ridacchiò, versando il succo in un bicchiere.
- Rosmerta… ehm… non c’è? – domandò un po’ titubante Lavinia, sorseggiando la bevanda: non voleva fare la figura dell’impicciona, con quello che in fin dei conti era un emerito sconosciuto.
- No. Madama Rosmerta è indisposta. Non so che cosa le sia successo. Lavoro qui da un paio di mesi come aiutante e oggi avrei dovuto essere a casa di riposo, ma stamattina mi ha mandato un gufo urgente in cui mi pregava di aprire il locale, senza specificare altro.
Il ragazzo aveva voglia di chiacchierare e proseguì, asciugando il bancone con lo straccio.
- Lei la conosce, quindi? E’ di queste parti?
Evidentemente a lui non è che importasse un granché di essere altrettanto discreto.
- Beh sì, in un certo senso… cioè, non proprio… - tergiversò, – Voglio dire che… non mi fermo a Hogsmeade, ma salgo al castello.
Il giovanotto emise un altro fischio sommesso.
- Caspita! Su al castello? Tira una brutta aria in questi giorni, qui attorno, e pare che sia successo qualcosa di grosso su al castello.
- Che cosa intende, scusi? – reagì Lavinia, scrutando preoccupata il volto semplice dell’aiutante di Rosmerta.
- Oh, io non so nulla, ma gira voce che alcuni Mangiamorte siano penetrati a Hogwarts la scorsa notte…
Lavinia rimase impietrita, con il bicchiere sollevato a mezz’aria, ad osservarlo mentre lavava alcuni boccali per nulla turbato, come se le avesse appena comunicato le previsioni del tempo.
- E’… è meglio che mi sbrighi, allora. Quanto le devo? – balbettò la giovane donna, trangugiando il succo di zucca rimanente e frugando nella borsa alla ricerca dei soldi.
- Nulla, oggi offre la casa… - esclamò l’altro gioviale, strizzandole l’occhio. - Sale a piedi o vuole che le procuri un mezzo di trasporto?
- No… no. Vado a piedi, grazie. - mormorò lei, confusa, accusando un altro leggero capogiro.
Con il cuore in tumulto si avviò in fretta verso l’uscita, lasciando il giovane ad osservarla con un’espressione ottusamente stupita in faccia.
Quando fu per le strade della cittadina, inondate di sole, imboccò il sentiero che conduceva a Hogwarts continuando a pensare a ciò che le aveva appena rivelato l’oste.
Era vero, dunque? I Mangiamorte erano riusciti a forzare le difese della scuola e a entrare? E zio Albus quindi poteva essere stato ferito nello scontro con alcuni di loro? O qualcuno poteva essere rimasto addirittura… ucciso?
Il volto di Severus le apparve prepotentemente davanti agli occhi e sentì le gambe assumere la consistenza del pudding.
Le mancò l’aria, complice anche il caldo, e dovette sedere, boccheggiante, sul grosso masso che riposava accanto al ciglio del viottolo ombreggiato da un abete maestoso.
Alzò lo sguardo e scorse tra le chiome degli alberi le prime torri del castello, avvertendo contemporaneamente un'altra morsa micidiale allo stomaco e il velo di sudore sulla fronte ghiacciare.
Un presentimento orribile si affacciò alla mente e, per un istante, fu tentata di tornare indietro: si rese conto che non ce l’avrebbe fatta. Non poteva, non voleva arrivare lassù per sentirsi dire che…
Lavinia si rialzò di scatto dall’improvvisato sedile e, quasi rabbiosamente, si obbligò a riprendere il cammino. Ormai era arrivata fin lì, ed era necessario sapere.
Durante il percorso si impegnò con tutte le forze per ritrovare la calma, costringendosi a pensare in modo razionale; dopo dieci minuti era al cospetto dei grandi cancelli sorvegliati dai cinghiali alati.
Un lungo brivido le attraversò la spina dorsale. Si fermò dietro le inferriate con il cuore che martellava impazzito e abbracciò con una lunga occhiata l’intero viale d’entrata costeggiato dagli alberi.
Osservò attentamente ogni pietra sul percorso, ogni singola pianta, ogni arbusto.
Era come riconoscerli e ritrovarli, uno per uno.
Guardò il cielo terso contro cui si stagliavano le chiome rigogliose dei pini, degli abeti, dei pioppi e dei larici del parco; accarezzò con lo sguardo il punto in cui iniziava il declivio che portava al Lago Nero, più in basso. Respirò il profumo dell’aria che sapeva di sottobosco e di acqua dolce.
Poi, più in alto, intravide finalmente la sagoma imponente del castello, con le torri illuminate dal sole.
Là dentro era racchiusa la sua vera esistenza ed erano conservati gli unici ricordi degni di essere considerati tali; si sentì come se avesse lasciato quel luogo solo il giorno prima.
Una nuova ondata di emozione la travolse e lacrime silenziose iniziarono a scendere piano a rigarle le guance, obbligandola a dimenticare per qualche minuto il reale motivo che l’aveva ricondotta lì.
Era di nuovo a Hogwarts: era tornata a casa.
 
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view post Posted on 1/10/2013, 18:12
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Mamma mia, sono senza fiato, ho letto di corsa, mentre le tue parole mi generavano un'ansia crescente. Mi sembrava di essere Lavinia (sì, magari!).
Capitolo molto vivido, descrittivo e stressante per il lettore!
Sto ovviamente scherzando, ma mi è molto piaciuto perchè Severus è lì, nascosto tra le righe, nei pensieri e nel cuore.
Ora mi tocca aspettare ancora.
Ultima considerazione: John mi sta francamente antipatico, ha sempre più le caratteristiche di un tale che conoscevo e che ho faticato a scaricare (all'epoca), occhi azzurri, gentile e appiccicoso. Ele, lo conosci per caso?
Aspetto Severus con timore, chissà lui che farà, che penserà - povero - Lavinia non sa cosa l'aspetta e lei mi fa pena e tenerezza insieme.
Brava hai tenuto alta la tensione anche in questo capitolo.
A presto (spero). :wub: :wub:
 
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view post Posted on 1/10/2013, 23:35
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Non posso fare altro che ringraziarti ancora tanto per l'affettuosa attenzione che riservi all'evolversi della storia, mia cara :wub:

CITAZIONE (chiara53 @ 1/10/2013, 19:12) 
...Ultima considerazione: John mi sta francamente antipatico, ha sempre più le caratteristiche di un tale che conoscevo e che ho faticato a scaricare (all'epoca), occhi azzurri, gentile e appiccicoso. Ele, lo conosci per caso?

Eh, sì, John è ispirato ad una persona che conosco anche io, ma non è così antipatico: è solo interessato a Lavinia porello, e fa quasi tenerezza perchè in fin dei conti avverte che il suo sentimento non è ricambiato, ma non può fare a meno di sperare che se lui le starà vicino assiduamente, forse potrà spuntarla contro quel rivale che dovrebbe appartenere al passato, ma che purtroppo è sempre ben presente ;)

CITAZIONE (chiara53 @ 1/10/2013, 19:12) 
...Aspetto Severus con timore, chissà lui che farà, che penserà - povero - Lavinia non sa cosa l'aspetta e lei mi fa pena e tenerezza insieme.

La vicenda è ancora lunga, ed effettivamente i due, come puoi ben immaginare, dovranno passarne ancora un bel po' di vicissitudini, poveri davvero! ;) :D
 
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view post Posted on 28/10/2013, 22:46
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Da quanto tempo se ne stava sdraiato supino, immobile come morto sul letto di quella camera che sapeva di polvere e umidità, con le persiane e le finestre sprangate?
Uno, due o forse tre, dieci, cento giorni? Aveva perso la cognizione del tempo. Da parecchie ore ormai si limitava semplicemente a rimanere riverso su un vecchio materasso, con le braccia stese lungo i fianchi, vivo solo all’apparenza.
Era in quelle condizioni da quasi due giorni, alternando a brevi momenti di torpore uno stato di veglia febbricitante pesante come il piombo e privo di sogni.
Le uniche volte in cui si era alzato era stato per trascinarsi in bagno.
La luce del primo pomeriggio filtrava dalle fessure delle vecchie imposte e una sottile lama brulicante di pulviscolo andò a colpire il petto, la cui attività respiratoria era talmente impercettibile da sembrare inesistente.
Dopo aver messo in salvo Draco si era subito presentato all’Oscuro per riferire quanto successo e chiedere il permesso di sparire per un certo periodo, in attesa che le acque si calmassero.
Ottenutolo aveva raggiunto Londra, dove si era rifugiato in un piccolo albergo malfamato, imboscato in una sordida via del quartiere di Camden Town.
L’intento, naturalmente, era quello di far perdere le proprie tracce alle squadre di Auror, certamente impegnate nella più colossale caccia all’uomo del secolo.
Non mangiava da più di due giorni, ma non sarebbe stata di certo la fame ad ucciderlo, di quel passo.
Aveva bevuto solo un po’ d’acqua per cercare di dare sollievo alla gola riarsa e si era tamponato con noncuranza le ferite sul volto; per il resto, era come se qualsiasi altra cosa fosse superflua.
Il giorno e la notte si erano avvicendati al di là degli scuri, senza che lui ne avesse coscienza.
Era così, dunque, che ci si doveva sentire da morti? Freddi, immobili, privi di qualsiasi bisogno materiale e spirituale, avulsi da qualsiasi cosa fosse presente intorno, scollegati da ogni esigenza fisica o pensiero metafisico?
Evidentemente no, dal momento che continuava a provare la sensazione sgradevole di avere un corpo e una mente che, per quanto privati da ogni necessità, seguitavano implacabili a torturarlo.
Era dalla notte infame che anelava al nulla più totale. E ce l’avrebbe fatta, se non fosse stato per quel cuore che si ostinava a pulsare, debolmente, ma con caparbietà.
Grazie alle sue profonde conoscenze sarebbe stato in grado di farla finita in un migliaio di modi diversi ma sapeva perfettamente che, prima o poi, avrebbe dovuto alzarsi da quel sudario per proseguire nella missione che gli era stata affidata dall’uomo che aveva appena ucciso e al quale stava tentando disperatamente di non pensare: l’unico sistema per non impazzire sarebbe stato quello di morire davvero… Però lui non poteva concedersi nemmeno quel sollievo.
O forse impazzito lo era già, a furia di stare lì ad arrovellarsi su concetti senza senso, per evitare che l’incubo del corpo esamine di Albus che precipitava dalla torre lo tormentasse in continuazione; considerò grottesco come, in quello stesso istante, dalla parte dei buoni stessero certamente pensando a dove poteva essere Severus Piton: impegnato, senza dubbio, a brindare alla morte del nemico!
Potter, Lupin, Minerva, gli ex colleghi, gli studenti, Moody, Shacklebolt… Li vide tutti, come proiettati sulla scalcinata parete che aveva di fronte, mentre discutevano tra loro, convinti di come lo sporco traditore ed assassino fosse già, per forza, alla corte dell’Oscuro Signore, tra calici d’oro e banchetti sfarzosi organizzati per celebrare la sua impresa.
Se solo avessero potuto vedere in che condizioni versava, in realtà, lo sporco traditore e assassino.
Il Marchio Nero sull’avambraccio iniziò improvvisamente a bruciare. La mano di Severus scattò ad artigliarlo; il padrone reclamava il proprio servo prediletto.
Ora che gli aveva dato la prova decisiva di fedeltà assoluta, l’Oscuro era impaziente di averlo presso di sé: la tregua che gli aveva concesso era già finita.
L’idea di doversi muovere da quel rifugio asettico e sicuro per raggiungere il Quartier Generale lo fece stare ancora peggio, se mai fosse stato possibile.
Adesso arrivava davvero la fase più difficile.
Un solo, piccolo, insignificante errore avrebbe potuto tradirlo e, assieme a lui, sarebbero andati a farsi fottere tutti.
Forti brividi tornarono a scuoterlo e si sentì avvampare, segno che la febbre non lo aveva mai mollato e ora si era probabilmente rialzata.
Si costrinse a reagire una volta per tutte, cercando di mettersi a sedere sul bordo del letto; era però troppo debole e ripiombò supino sul materasso con il volto madido di sudore.
Allungò la mano verso il comodino cercando a tentoni la bacchetta che vi giaceva abbandonata da quasi due giorni. Quando l’ebbe trovata la strinse convulsamente tra le dita, e se la portò al petto.
La penombra era opprimente, soffocante; si slacciò i bottoni di giacca e camicia, inspirando avidamente quanta più aria possibile.
Puntò la bacchetta alla gola pronunciando a mezza voce un veloce incantesimo di risanamento. La febbre scese rapidamente e si sentì un po’ più in forza.
Doveva assolutamente raggiungere al più presto villa Malfoy, per evitare che a Voldemort sorgessero ancora pericolosi sospetti circa il suo ritardo; era già successo che una mancata risposta alla chiamata fosse andata molto vicina a far saltare la propria copertura. Ora non poteva più accadere.
Si diresse faticosamente in bagno con l’intenzione di darsi una sistemata. Quando lo specchio polveroso e scheggiato, appeso sopra al lavabo, gli rimandò la propria immagine si spaventò, vedendovi riflesso un volto quasi irriconoscibile.
I lunghi capelli neri, sporchi e stopposi, spiovevano sugli occhi privi di vita, mentre le ferite spiccavano gonfie e rosse sulla fronte. Erano l’unica nota di colore in mezzo al pallore cadaverico di un viso scavato e ombreggiato dalla barba non fatta che sbucava dal colletto della camicia slacciato e ancora macchiato di sangue.
Passò una mano sullo specchio, come a voler cancellare quel ritratto della disperazione, e chiuse gli occhi reprimendo un gemito. Non poteva certo presentarsi in quelle condizioni, ma ci sarebbe voluta almeno una settimana per recuperare un aspetto umano.
Non c’era tempo. Scese nelle strade popolose del quartiere intenzionato a trovare ciò che gli sarebbe servito per rimettersi in sesto: un po’ di cibo, del vino, erbe essiccate e alcuni ingredienti con cui avrebbe potuto preparare qualcosa di molto simile ad un filtro per la cicatrizzazione rapida delle lesioni e della Pozione Corroborante.
La variegata umanità presente in Camden Town gli permise di mescolarsi tra la folla senza dare troppo nell’occhio e trovò tutto ciò che gli serviva in un piccolo supermarket in fondo alla via principale, rifornito perfino dell’impossibile.
Circa un paio d’ore più tardi Severus era riuscito a recuperare un’apparenza normale, almeno esteriormente.
Con l’aiuto della bacchetta aveva anche sistemato camicia, giacca e mantello. Nel farlo, dalla tasca interna di quest’ultimo era scivolato fuori un biglietto accuratamente ripiegato.
Aveva ricordato che cosa fosse ancor prima di leggerne il contenuto: era il foglietto su cui Lavinia aveva schizzato il suo ritratto e riportato il testo della canzone d’amore Babbana che le piaceva tanto.
Quel disegno e quelle frasi erano stati espressamente dedicati a lui con infinito amore, sul piccolo pezzo di carta che aveva ritrovato per caso, secoli prima, nel registro di classe, e che aveva deciso di conservare proprio nella tasca interna del mantello.
Era l’unico ricordo rimastogli di lei… Sapeva che non se ne sarebbe separato mai.
Dopo aver osservato a lungo, in silenzio, le linee morbide della calligrafia con cui erano state vergate le parole, aveva ripiegato il foglietto senza battere ciglio e lo aveva riposto di nuovo nel piccolo nascondiglio di stoffa nera, dalla parte del cuore.
Poi, dando un’ultima, rapida occhiata alla camera malmessa che aveva tacitamente assistito al suo supplizio, si era avviato alla porta e, aperto il battente, era uscito di nuovo in strada quando ormai il tardo pomeriggio stava volgendo al tramonto.

§§§§§§§§§§§



Una moltitudine enorme. Una miriade di maghi, streghe e creature più disparate era lì, in riva alle placide acque del Lago, in attesa che le esequie avessero inizio.
Lavinia sentì alle proprie spalle la presenza di tutte quelle persone; avvertiva soltanto il brulicare della folla e il suo sommesso brusio, perché aveva ostinatamente evitato di voltarsi fin dal momento in cui si era seduta al proprio posto, in prima fila.
A sinistra sedevano suo padre e sua madre, mentre a destra c’era la professoressa McGranitt.
L’aria profumava di estate, di bosco, di fiori e dell’acqua che sciabordava placidamente sulle sponde del lago. La giornata era illuminata da uno splendido sole: davvero un bel giorno per celebrare il funerale di zio Albus.
Minerva McGranitt sbirciò con discrezione il profilo della ragazza. Era molto preoccupata per lei e lo aveva confidato anche ai suoi genitori. Dal momento in cui le aveva comunicato l’accaduto, due giorni prima, con tutto il tatto e la delicatezza possibili, Lavinia aveva smesso praticamente di parlare.
Riandò con il pensiero all’attimo in cui la ragazza aveva appreso la terribile notizia. Ripensò a come, in un primo momento, Lavinia l’avesse fissata con occhi vitrei, come se ciò che aveva appena ascoltato fossero solo gli incredibili vaneggiamenti di una vecchia pazza.
Poi, una volta compresa l’enormità della tragedia, era impallidita improvvisamente afferrandosi al tavolo; Minerva era riuscita ad agguantarla appena in tempo per evitare che cadesse.
Non aveva emesso un grido, né versato una lacrima. Si era limitata ad accasciarsi sulla poltrona e a rimanere con lo sguardo allucinato, fisso sul pavimento per un lunghissimo istante, senza alcuna reazione; poi l’aveva guardata di nuovo con quelle pupille vacue e aveva scosso la testa, come a negare un’evidenza troppo dura da accettare.
La Vicepreside si era aspettata di dover affrontare un dolore e un pianto straziati, invece, nulla; da quel momento, Lavinia aveva avuto il vuoto nello sguardo e nelle azioni, ed erano due giorni che si muoveva catatonica per il castello, rispondendo alle domande solo a monosillabi.
Era giunta anche una piccola rappresentanza del Collegio Privato Villa Belloncio, con la preside Delphine Valery Stevenson e John Collins in testa, naturalmente, che però la ragazza aveva fino a quel momento rifiutato di incontrare.
Madama Chips le aveva somministrato un calmante a base di estratti di erbe consigliate dalla professoressa Sprite, Remus aveva cercato di starle vicino il più possibile, ma Lavinia era semplicemente assente da quel contesto e la McGranitt si rendeva conto che, se il suo dolore non avesse trovato una via d’uscita, la faccenda si sarebbe ulteriormente complicata.
Anche quella mattina non c’era stato verso di dissuaderla dallo scendere, in enorme anticipo, per raggiungere il proprio posto riservato in prima fila. Non c’era riuscita nemmeno sua madre. Era lì già da tre ore prima dell’inizio della cerimonia funebre.
Minerva non l’aveva persa d’occhio, osservandola dalla finestra del proprio ufficio mentre sbrigava le ultime formalità per la sistemazione delle delegazioni straniere; la giovane donna si era limitata ad alternare brevi passeggiate sulle rive del lago, in assorta contemplazione della rigogliosa natura del parco, a momenti in cui stava seduta a fissare la superficie levigata di marmo bianco su cui sarebbe stato deposto il corpo di Silente.
Non c’era nulla da fare: Lavinia era in un altro mondo, con la sola compagnia dei pensieri più cupi.
La folla ammutolì improvvisamente e la professoressa McGranitt si costrinse a distogliere l’attenzione dal profilo della giovane e dalle proprie riflessioni.
I passi pesanti di Hagrid, accompagnati dai suoi sonori singhiozzi, percorsero il corridoio centrale lasciato libero tra le due lunghe file di sedie.
Gli astanti osservarono nel silenzio irreale, spezzato solo da qualche pianto sommesso, il greve incedere del mezzo gigante che reggeva il corpo esamine del preside con semplicità, quasi avesse tra le braccia una piuma, e raggiungeva la pietra tombale bianca deponendovelo con estrema delicatezza.
Lavinia fissò con espressione immobile il corpo spezzato adagiato sulla pietra fredda. Non riusciva a provare nulla.
Quello non poteva essere il cadavere di zio Albus; era solo un fantoccio che ne riproduceva le sembianze. Perché la gente attorno si ostinava a piangere e che cos’era quella messinscena penosa a cui era costretta a partecipare?
Sicuramente lo zio, in quel preciso istante, se ne stava nascosto da qualche parte, lì attorno, intento a godersi quello spettacolo grottesco allestito per qualche motivo misterioso che forse c’entrava con una precisa strategia dell’Ordine.
Il fantasma di un sorriso aleggiò per un microsecondo sulle sue labbra, all’idea del grande vecchio appostato dietro ad un tronco qualsiasi della Foresta Proibita che li spiava divertito.
Volse lo sguardo verso gli alberi convinta di intravedere, tra il verde delle fronde, il baluginare delle lenti dei suoi occhialini a mezzaluna colpiti da un raggio di sole.
Poi si girò leggermente verso i posti occupati da Harry e gli amici.
Il volto del ragazzo era devastato dallo sconforto; accanto a lui Hermione e Ginny piangevano senza ritegno.
Avrebbe voluto alzarsi e andare a dire loro di non disperarsi, che zio Albus era di certo al sicuro, lì nei pressi, a seguire lo svolgersi della cerimonia.
Tornò a concentrarsi su ciò che stava succedendo davanti a sé, ora che le esequie avevano avuto inizio. Tutti vollero esprimere il loro commosso tributo ad Albus Silente, a partire dal popolo del lago, così come i Centauri e le delegazioni straniere; un’importante autorità parlò a nome del Ministero e del Primo Ministro stesso, Rufus Scrimgeour.
Si accorse che, nel frattempo, sua madre aveva posato delicatamente la mano sulle sue, tenute raccolte in grembo. Si voltò ad osservare quasi incuriosita il suo volto inondato di lacrime mentre seguiva con attenzione le parole che stava pronunciando in quel momento il portavoce della delegazione di Durmstrang.
A quel punto iniziò a provare un forte fastidio nei confronti di tutti coloro che la circondavano: il cordoglio dei presenti, le lacrime, le parole affrante, l’atmosfera carica di lutto. Ogni cosa e persona le sembrarono così false e artefatte che ebbe l’improvvisa voglia di alzarsi e andarsene.
Appena prima che iniziasse il funerale le era già toccato subire le espressioni compunte e le parole di circostanza, rivolte a lei e ai suoi, in tono contrito, dalla lunga fila di maghi e streghe che si erano affollati attorno a loro. Era proprio arrivata alla saturazione.
Non era nemmeno riuscita a parlare con Harry che sapeva essere l’unico testimone riguardo a ciò che era realmente successo.
Aveva un sacco di cose da chiedergli; Harry sarebbe stato sicuramente in grado di chiarire una montagna di particolari e soddisfare il suo enorme bisogno di sapere.
Zia Minerva le aveva accennato solo una parte di quanto accaduto la tragica notte sulla Torre di Astronomia ma senza scendere troppo nei dettagli, e la cosa aveva contribuito a deprimerla ulteriormente, oltre che irritarla.
Avrebbe voluto farsi spiegare da lui come erano andate esattamente le cose ma, chissà perché, ogni volta che si erano creati i presupposti favorevoli per poterlo incontrare da solo c’era sempre stato qualcuno che le aveva impedito di avvicinarlo.
Le sarebbe tanto piaciuto sapere, in primo luogo, come diavolo gli fosse venuto in mente di raccontare che zio Albus era stato ucciso dall’Avada Kedavra di Severus!
Mai e poi mai Severus avrebbe fatto una cosa del genere… Mai e poi mai, nemmeno per salvare se stesso!
L’aveva fatta soffrire in modo terribile, certo, con lei si era davvero comportato da bastardo incommensurabile, ma da qui ad essere un traditore assassino correva un abisso.
Lo conosceva troppo bene e sapeva con certezza che non avrebbe assolutamente mai potuto arrivare a simili vette di scelleratezza.
Ma era proprio sicura di conoscerlo così bene? Un dubbio malsano iniziò a insinuarsi velenosamente tra i pensieri sconnessi, mentre Madame Maxime terminava di esprimere pubblicamente il proprio cordoglio e quello dell’intera Beauxbatons.
“Infatti: pensavi di conoscerlo talmente bene da essere più che certa che il suo amore per te sarebbe durato tutta la vita, e invece…”
Lavinia si agitò nervosamente sulla sedia mentre l’ometto in nero, che aveva officiato la cerimonia, concludeva il proprio sermone dedicato al più grande preside che Hogwarts avesse mai avuto e invitava gli astanti a rivolgergli un ultimo, grande applauso di commiato.
Improvvisamente fiamme bianche, alte e splendenti si alzarono dalla lastra di marmo levigata su cui era adagiato il corpo e la folla presente manifestò il proprio affetto con un lungo consenso.
Lavinia si portò una mano alla bocca, trattenendo un grido: davanti agli occhi, nello stesso istante in cui il corpo del preside spariva inghiottito dal fuoco, le era apparsa, nitida e impressionante, l’immagine di Severus con la bacchetta puntata contro il vecchio; in mezzo al fumo denso e argenteo che disegnava strane volute le parve di intravedere anche una splendida fenice che, spiegando le ali, si librò in alto verso l’azzurro terso del cielo. E finalmente realizzò.
Zio Albus non c’era più… Se ne era andato davvero, per sempre, e a causare la sua morte era stato Severus…
Si alzò di scatto in piedi, come morsa da un serpente. La realtà le si era appena rivelata, cruda e impietosa, colpendola con una violenza inaudita dopo due giorni in cui aveva fatto di tutto per negarla; era come se un maglio di ferro le fosse calato in testa, proprio lì, davanti alla luminosa tomba bianca che aveva preso il posto della fredda tavola di marmo.
Avvertì appena le mani di sua madre e di Minerva McGranitt tentare di trattenerla mentre fuggiva lungo il passaggio tra le sedie, lontano da lì, il più distante possibile.
Percepì confusamente gli occhi dei presenti su di sé e la voce di Remus pronunciare il suo nome mentre gli passava accanto di corsa, appena più forte dei singhiozzi fragorosi di Hagrid che non aveva ancora cessato di piangere.
Continuò a correre come una matta, con la mano premuta sulla bocca, fino a raggiungere il cortile di accesso al castello.
Imboccò la scalinata principale e si trovò nel vasto ingresso; si buttò contro il portone chiuso della Sala Grande e lo spinse con furia disperata fino a quando i due colossali battenti si dischiusero, lasciando intravedere un ambiente desolatamente vuoto e privo di vita.
Lavinia entrò, al colmo dello sforzo, e percorse ansimando il varco tra le file di tavoli che avevano accolto fino a pochi giorni prima rumorose schiere di studenti intenti a consumare festosamente i loro pasti, fino ad arrivare davanti al seggio dall’alto schienale posto al centro del lungo tavolo riservato agli insegnanti.
Lo contemplò per un lungo istante e una forte fitta di angoscia la passò da parte a parte come una stilettata.
Zio Albus non sarebbe stato più lì a dare il proprio bonario benvenuto agli studenti… A distribuire le sue sagge parole durante l’anno quando fosse stato necessario… A chiuderlo con i suoi amabili discorsi di commiato… Non avrebbe più consumato lì i suoi pasti… Non l’avrebbe più rassicurata con il suo sguardo… Semplicemente, non ci sarebbe più stato.
Si accasciò con un gemito disperato sulla panca più vicina lasciando che il dolore devastante defluisse come un fiume in piena.
Il pianto, trattenuto a forza fino a quel momento, prese a scuoterla brutalmente e i suoi singhiozzi convulsi furono l’unico, intollerabile suono ad echeggiare per l’enorme ambiente deserto.
Zio Albus non l’avrebbe più consigliata, protetta, consolata, ma la cosa più terribile era che a portarlo via al mondo e a tutti coloro che avevano ancora un bisogno enorme della sua preziosa presenza, era stato l’uomo nel quale lei stessa aveva sempre riposto stima e fiducia totali, l’uomo che aveva amato più di se stessa.
Severus l’aveva ingannata per anni; non l’aveva mai amata e si era preso gioco di lei, di Silente, dell’Ordine. Aveva mentito a tutti quanti per reggere lo sporco doppiogioco che doveva condurlo infine al suo reale obiettivo, a quell’epilogo spaventoso.
Ecco, quella era davvero la cosa più dolorosa e terrificante!
Improvvisamente i battenti della Sala Grande si riaprirono con un leggero scricchiolio; passi lunghi e veloci percorsero il corridoio tra le panche, diretti verso di lei.
Lavinia sentì che stavano avvicinandosi rapidamente ma, fiaccata dal lungo pianto, non ebbe neanche la forza di voltarsi a guardare chi fosse entrato.
Lasciò che lo sconosciuto la raggiungesse e due mani forti ma delicate la afferrassero per le spalle, nel tentativo di sollevarla dal tavolo su cui era accasciata.
- Lavinia…
Riconobbe la voce dall’inflessione dolce e rassicurante di Remus, che l’aveva seguita fin lì dopo averla vista abbandonare di corsa la cerimonia.
La giovane donna si volse verso di lui, incapace di una qualsiasi reazione; lo fissò, scorgendo a malapena i tratti sciupati del volto attraverso il velo acquoso delle lacrime. L’uomo, in silenzio, la avvolse in un abbraccio forte e rassicurante, permettendole di continuare a dare sfogo al dolore contro la propria spalla.
- Piangi, piccola, piangi… finalmente. Non sai quanto abbiamo aspettato che tu lo facessi! Piangi tutto il tempo che vuoi.
- R-Remus… S-Severus… come ha… come ha p-potuto? – balbettò tra i singulti, la bocca premuta contro la giacca lisa del mago.
- Sì, lo so, è terribile, disumano, inaccettabile; nessuno è riuscito ancora a darsi una spiegazione per quello che è successo. – cercò di calmarla l’amico, accarezzandole la testa.
- Come ha potuto ucciderlo così? - il tono di Lavinia si era alzato, fino a diventare quasi un grido. Remus cercò parole ragionevoli che potessero colmare almeno in parte quell’abisso di disperazione ma si rese conto di come non ci fosse nulla di ragionevole in ciò che li aveva appena coinvolti tutti.
- Non lo so… non lo so, piccola. – sussurrò, frustrato.
La ragazza si scostò per un attimo da lui e gli sgranò in faccia gli occhi congestionati, aggrappandosi al bavero della giacca.
- Non è possibile che mi abbia completamente mentito per tre anni. Non è possibile, capisci Remus? C’è qualcosa che non va. Deve esserci per forza una ragione che spieghi quello che ha fatto… Deve esserci dietro assolutamente qualcosa che noi non sappiamo! – esclamò, tra un singulto e l’altro, animata da ciò che pareva essere una folle rivelazione improvvisa e per un istante Lupin temette seriamente che fosse impazzita.
- L’unica, semplice ragione a giustificazione di ciò che ha fatto è che ha sempre lavorato per il lato oscuro facendoci abilmente credere il contrario. – replicò il giovane mago, cercando di mantenere il tono più cauto possibile.
- No, no, no! Zio Albus non si sarebbe mai fidato ciecamente di lui se fosse stato come dici. Avrebbe scoperto prima o poi il suo gioco! – ribatté caparbiamente lei.
- Lavinia, Piton è sempre stato un Occlumante eccezionale e ha lavorato per anni come spia per tuo zio. La sua straordinaria abilità nel mascherare emozioni e reali intenzioni è ciò che gli ha permesso di continuare a sopravvivere in condizioni di pericolo estremo. Se così non fosse stato, avrebbe perso la vita almeno un migliaio di volte. Tu non conosci parecchie cose di lui, credimi, ed è così che purtroppo è riuscito ad ingannare anche Silente.
- Zio Albus era capace di leggere nel cuore e nella mente di chiunque: mi rifiuto di credere che non abbia mai veramente capito chi fosse in realtà, e quali fossero i suoi scopi. – sbottò lei, alzandosi e iniziando a passeggiare nervosamente lungo le file di tavoli.
Lupin emise un lungo sospiro, cercando di mantenere la calma davanti all’irragionevolezza dell’amica. Se c’era una cosa che trovava intollerabile, negli ultimi giorni, era proprio l’idea di come il vecchio preside avesse sottovalutato con ostinazione le riserve che parecchi membri dell’Ordine nutrivano da sempre nei riguardi di Severus Piton. Ed eccoli lì, ora, tutti quanti, a subire le gravissime conseguenze di una fiducia così malriposta.
- Lavinia, odio doverti parlare così brutalmente, soprattutto in questo momento, ma mi costringi a ricordarti che Severus si è servito di te fino a che gli è tornato comodo, per poi lasciarti quando…
- Non può aver finto di amarmi in modo tanto plateale! Sono sicura al cento per cento che mi abbia corrisposto, almeno fino a poco prima di…
- Balle! - proruppe Lupin, esasperato, ma si sforzò precipitosamente di tornare al solito tono pacato, dopo l’attimo di fuori controllo. Pinzò la radice del naso tra pollice e indice per tentare di placare il brutto mal di testa che lo tormentava da qualche ora.
- Lavinia, so quanto sia orribile e impossibile da accettare tutto ciò, ma per quanto ci sembri di vivere in un incubo purtroppo ora non possiamo fare altro, perché per adesso è così. La verità è che Piton è un traditore, un assassino e ha ucciso Albus Silente, perché era ed è rimasto un Mangiamorte, anche quando sembrava che fosse passato definitivamente dalla nostra parte, punto e basta. Non hai idea di quanto comprenda il tuo dolore e ne provi dispiacere; è come se lui ti avesse piallato una seconda volta, lo capisco benissimo, ma questa è la realtà. Vorrei solo poterla cancellare con un colpo di bacchetta magica o tornare indietro per modificarla… magari potessi farlo, mi capisci? Lo so, è spaventoso, ma nessuno è in grado di cambiare quanto è accaduto e devi fartene una ragione.
La donna gli puntò addosso lo sguardo incredulo e gonfio di lacrime.
Le aveva già sentite quelle parole, alcuni mesi prima, quando Severus aveva deciso di mollarla senza il minimo rispetto per i suoi sentimenti; era proprio stato zio Albus, forse, a dire le stesse cose per cercare di consolarla: “… è terribile ma questa è la realtà e devi accettarla… Vorrei poterla cancellare con un colpo di bacchetta magica ma non è possibile…”
Parole sterili, inutili, che le ronzavano in testa ora così come allora, aride e prive di qualsiasi conforto.
E così come allora si sentiva senza energie, completamente svuotata, impotente.
- E non escludo che, oltretutto, si sia divertito con te anche per poter attuare nei nostri confronti una vendetta ancora più sottile. In fin dei conti, in qualche modo, hai fatto parte anche tu dei Malandrini, ai tempi… - aggiunse Remus, continuando ad infierire forse senza nemmeno rendersene conto.
- Grazie per averlo delicatamente sottolineato.
- Scusami, sto tentando di farti capire come sia profondamente ingiusto continuare a tormentarti per causa sua, dopo tutto quello che ti ha fatto patire. Un individuo simile è solo un volgare criminale e merita unicamente di essere disprezzato. Posso comprendere che tu stia male per la morte di tuo zio, ma non che tu soffra per il fatto che è stato Piton a ucciderlo. Dovevamo aspettarcelo, in fin dei conti.
- Ma come sarebbe a dire: “dovevamo aspettarcelo”?! Maledizione Remus, ti ho sempre considerato un uomo molto aperto e intelligente, ma adesso mi devo ricredere! - lo aggredì Lavinia, fissandolo sconcertata. - Come fai a condannarlo senza sapere cosa sia successo esattamente sulla Torre? Tu eri lì, per caso?
Lupin la guardò tristemente per un lungo istante, infine scosse la testa.
- Io no, ma c’era Harry, l’hai dimenticato? Vedo che continui a tentare di giustificarlo, nonostante tutto… – sospirò rassegnato e, alzandosi per dirigersi verso l’uscita, le fece capire che rinunciava a combattere contro la sua ostinazione. Lo seguì, decisa a non mollare.
- Non posso crederlo, Remus. Non riesco e non riuscirò mai ad accettare una cosa del genere: tutto questo è delirante. Non posso essermi ingannata totalmente su di lui, e per tutti questi anni! – gli urlò dietro, afferrandolo per un lembo della giacca. L’uomo si voltò di scatto e questa volta sul viso non vi era più traccia di comprensione ma un’espressione dura e severa.
- Ah sì, ne sei convinta? Bene, se è questo che credi, io non ho più nulla da dirti; rinuncio a farti ragionare, tanto non ci sono mai riuscito. Ma sta bene attenta a come e quando ti confronterai con altre persone: non credo saranno così tolleranti nei confronti delle tue opinioni. Ti avverto, se continuerai a rimanere su queste posizioni andrai incontro a dolori e a delusioni ben peggiori, e allora non so se io ci sarò ancora a consolarti!
Lavinia rimase immobile in mezzo al passaggio fra i tavoli di Serpeverde e Tassorosso a fissare la schiena dell’amico che si allontanava. Capì di averlo deluso oltre misura.
- Remus… - tentò di richiamarlo debolmente.
Lupin si voltò ancora prima di uscire, il volto segnato da una grande amarezza.
- Ne riparleremo quando avrai modificato la tua visione distorta. Mi spiace, ma in questo momento stiamo comunicando in due lingue diverse e io non intendo discutere ancora con una persona che si intestardisce a negare l’evidenza. Riflettici bene sopra, Lavinia, se non altro per rispetto a tuo zio! – dichiarò, lapidario, imboccando il portone e la giovane donna si sentì ancora più disperatamente sola, sotto la volta di cielo blu cobalto della Sala Grande che si stava lentamente tingendo dei colori del tramonto.
 
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166 replies since 27/11/2012, 17:51   3271 views
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