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L’uomo ebbe un lieve sussulto e si voltò.
Sul volto accigliato, un po’ più pallido del solito, apparve immediatamente un’espressione allarmata; gli occhi dardeggiarono dalla giovane donna che gli stava di fronte, alla porta socchiusa da cui era passata.
- Non… non ti ho sentita entrare, ero… ero convinto fosse chiusa... Io, ero venuto a sistemare alcune cose prima di scendere in camera ad aspettarti. - mormorò nervosamente, tamburellando le dita sulla cattedra che aveva raggiunto con un paio di rapide falcate.
Sembrava quasi che Lavinia l’avesse sorpreso in un territorio che non era il suo, nell’atto di mettere le mani tra cose che non gli appartenevano, e si affrettò a giustificare la propria presenza con una punta di nervosismo.
- Oh, ma... io stavo appunto andando lì. Tu mi avevi detto di raggiungerti dopo cena, e così stavo facendo quando, passando davanti all’aula, ho visto la porta accostata e ho trovato questo un po’ strano… Perciò sono entrata per dare un’occhiata. Scusami, non volevo disturbarti, se devi lavorare ancora ci possiamo vedere più tardi…
- No, non ti preoccupare, rimani pure. Ho alcune cose importanti da dirti, anzi… una cosa, molto importante, e per niente facile. Ma, che ora è? – domandò Severus, soppesando le parole: dopo il primo attimo di smarrimento sembrava aver recuperato il consueto atteggiamento freddo e controllato.
- Credo siano le nove e un quarto. – rispose Lavinia, turbata.
- E’ colpa mia, scusami, non mi sono accorto di come fosse già così tardi. – replicò lui, indugiando a lungo con lo sguardo sull’abbigliamento della donna che, nel frattempo, si era liberata del mantello.
- Non importa, Severus. Che cosa devi dirmi di così importante?
Lavinia sentì crescere la strana sensazione di inquietudine che l’aveva assalita da qualche minuto.
Il volto immobile dell’uomo, alla fioca luce delle candele, le sembrò mortalmente pallido e spento e il persistere del suo silenzio la convinse che ciò che doveva comunicarle non sarebbe stato per nulla piacevole.
– Severus… di qualsiasi cosa si tratti… riguarda zio Albus, vero? Dunque il suo è un male incurabile? – lo incalzò, sempre più preoccupata.
L’uomo si appoggiò con la mano alla scrivania, come a sostenersi, e alzò gli occhi impenetrabili a fissare quelli pieni di angoscia della giovane.
- No, non si tratta di tuo zio, per il momento. Si tratta di noi due.
Lo sguardo di Lavinia si fece pungente.
- Noi due? Ah sì, giusto, dobbiamo riprendere la discussione di questo pomeriggio, interrotta dalla Sprite. Perfetto, dimmi pure, avrei anch’io un paio di chiarimenti da…
- E’ finita, Lavinia…
Severus aveva pronunciato le tre paroline in tono piatto.
Per un attimo lungo un secolo, Lavinia lo fissò trasecolata. Aprì la bocca un paio di volte per ribattere, senza trovare termini adatti, poi finalmente recuperò la voce.
- Scusa? Forse non ho capito esattamente il senso della frase. Finita cosa, Severus?
- La nostra storia. E’ finita. Nel senso che io non voglio più proseguire questa relazione.
Lavinia, fissandolo inebetita, indietreggiò di alcuni passi, come colpita da un violento pugno in pieno viso.
- M-ma che cosa stai dicendo… Stai… stai scherzando, non è vero? – balbettò, smarrita.
Severus fece un rigido cenno negativo con la testa.
I suoi occhi erano diventati due freddi cristalli neri e inaccessibili, e Lavinia perse ogni punto di riferimento.
Si accasciò su una sedia dallo schienale alto e lo guardò a lungo, implorante, sperando che lui tornasse in sé e si avvicinasse per prenderla tra le braccia e sussurrarle che era solo un orribile, tragico scherzo ordito per punirla delle tante, troppe volte in cui, ultimamente, lo aveva fiaccato con le sue lamentele.
- Non… non è possibile… Io, non… non capisco…- farfugliò guardandosi attorno, alla ricerca di un appiglio.
- Speravo te ne fossi accorta. Da un po’ di tempo non provo più alcun sentimento per te e… sì, è colpa mia, me ne rendo perfettamente conto, avrei dovuto dirtelo subito anziché trascinare ancora la storia fino a questo punto ma… Mi dispiace, non posso più continuare a fingere di essere coinvolto in una relazione in cui non credo più, solo per compiacerti.
Le parole, pronunciate in tono asciutto dall’uomo, entrarono come affilate lame di pugnale a farle a fette il cervello.
La giovane strega scattò in piedi, e gli puntò addosso occhi divenuti color dell’acciaio.
- No, non è vero, non può essere: non più tardi di due settimane fa abbiamo fatto l’amore e non mi è affatto sembrato che tu credessi così poco nella nostra relazione! – tagliò corto, aggressiva.
- E’ stato sesso; solo puro, sano, semplice sesso, Lavinia, non dirmi che non te ne sei accorta. Su, avanti, ammettilo che in fin dei conti è piaciuto anche a te. - Sulle labbra del mago apparve un raccapricciante sorrisetto beffardo.
- E comunque, ultimamente, non ho più nemmeno voglia di starti assieme, fisicamente, intendo. Presumo te ne sia resa conto, dal momento che continui a lamentarti di come io non riesca a trovare nemmeno uno straccio di minuto da trascorrere con te. – Severus avanzò, pigramente, di qualche passo verso di lei, sostenendo con fermezza il suo sguardo allibito e disperato allo stesso tempo.
Lavinia a quel punto reagì; allungò le mani afferrando i lembi del mantello sul petto dell’uomo e lo obbligò ad abbassarsi leggermente, avvicinando il proprio viso al suo.
- Ma che cosa diavolo stai dicendo, eh? Io non ti credo…
Non ti credo, Severus! E se anche lo fosse, dimmi… dimmelo che cosa è successo così, all’improvviso, perché l’eterno amore che mi hai sempre giurato possa essere andato a farsi fottere tanto velocemente e inspiegabilmente?
L’uomo impiegò qualche secondo nel trovare le parole giuste per rispondere.
- Lavinia, gli amori e le passioni mutano, si trasformano, vanno e vengono. Non puoi obbligare le persone e i loro sentimenti a rimanere inalterati per l’eternità. – sibilò, sardonico, afferrandole con decisione i polsi per staccarla da sé. Si raddrizzò, maestoso, in tutta l’altezza, riaggiustando le pieghe del mantello con affettazione e tornò a sfidarla con iridi cupe e impenetrabili.
Lavinia si affrettò a blandirlo, per cercare di recuperare la situazione.
- Ok, va bene, va bene, hai ragione ma allora ti dirò come la penso io: ecco, vedi, io sono sicura che c’entri ancora quel
qualcosa che non mi hai mai voluto rivelare da che hai parlato con zio Albus. Ne sono certa e non continuare a mentirmi, Severus, tu mi hai nascosto e continui a nascondermi qualcosa… - esclamò precipitosamente, ghermendogli il braccio. - E’ così, non è vero, amor mio, non è vero? Lo sapevo, è così, ecco vedi? Ho centrato il punto, dimmi che è così e io sarò disposta ad accettare qualsiasi cosa, anche di starti lontana per tutto il tempo necessario perché si sistemino le cose, anche un anno, anche due. Lo capirei sai? Ti supplico, dimmi che è così ma non che non provi più nulla per me. Non respingermi, non allontanarmi!
- Per tutti i Gargoyle, che diamine, Lavinia, risparmiami questa sceneggiata: un po’ di dignità, per cortesia! – replicò gelido l’uomo, interrompendola con una annoiata smorfia di disgusto.
La giovane donna arretrò di un passo, come ancora percossa da un brutale manrovescio, ma non si diede per vinta.
- E i nostri sogni? Tutti i nostri progetti? Tutto quello per cui abbiamo sofferto e combattuto fino ad ora? Non puoi cancellare tutto! No, non è possibile... io non posso rinunciare al nostro futuro, a tutto ciò su cui abbiamo fantasticato per giorni, mesi e anni! Ti prego, dimmi che cosa devo fare per farti cambiare idea; farò qualsiasi cosa, te lo giuro, ma non allontanarmi da te, non lasciarmi, non farmi questo, Severus, o così mi uccidi. – continuò freneticamente, ignorando il gesto brusco con cui lui si liberava ancora dalla sua stretta.
- Non puoi fare nulla se non accettare il fatto che le cose non stanno più come prima. Non puoi pretendere sempre che ogni cosa ti sia dovuta, o che tu possa ottenerla ad ogni costo, come una qualsiasi, sciocca ragazzina viziata. Sei una donna adulta, intelligente e perfino razionale quando vuoi, comportati come tale, ecco che cosa puoi fare per me!
- Severus… ti supplico…
- La realtà è che
io non ti amo più, Lavinia…
Non. Ti. Amo. Più… E’ chiaro, adesso? - ribadì il mago, duramente, trafiggendola con uno sguardo polare.
Lavinia, dopo l’ennesimo attimo di totale smarrimento, scattò in avanti d’istinto, iniziando a tempestare di pugni carichi di rabbia e disperazione le braccia e il petto di Severus, che spalancò gli occhi, colto di sorpresa.
- Non è vero! Tu… tu… tu non puoi gettarmi via come un oggetto inutile, non puoi liberarti di me così! Vigliacco, egoista, bastardo senza cuore!
L’uomo reagì, afferrandole di nuovo i polsi con forza, e la immobilizzò.
-
Non-permetterti-mai-più-di-mettermi-le-mani-addosso… Intesi?
La bocca di Severus si era ridotta ad un taglio sottile, mentre lo sguardo scintillava, carico di furia repressa.
Si fissarono in silenzio per un lasso di tempo che sembrò lunghissimo, fino a quando gli occhi della ragazza, sgranati in faccia all’uomo, si riempirono finalmente di lacrime.
Si sentì completamente sconvolta, svuotata e incredula davanti a ciò che stava accadendo; di fronte a lei non c’era più l’uomo che credeva di conoscere profondamente e che aveva amato con tutta l’anima fino a poche ore prima, ma un’altra persona, uno sconosciuto privo di qualsiasi sentimento umano, un estraneo con le sembianze di Severus che la stava freddamente facendo a pezzi senza la minima pietà.
Dopo qualche secondo infinito, il mago la lasciò lentamente, voltandosi verso la vetrata e, così facendo, le diede di nuovo le spalle.
Lavinia tornò ad abbattersi sulla sedia, come una bambola di stracci, incapace di trattenere oltre il pianto.
Severus chiuse gli occhi e ghermì i bordi dello schienale di una delle poltroncine davanti alla scrivania.
- Io non ce la faccio… Non ce la faccio… Io non posso vivere senza di te… Non posso…
La udiva gemere, tra un singhiozzo e l’altro. Strinse con più forza lo schienale, fino a fermare la circolazione e a farsi venire le nocche bianche, un gemito impercettibile gli sfuggì dalla bocca appena socchiusa.
Serrò ancora le palpebre e si morse il labbro a sangue, avvertendo a sua volta, con angoscia, l’affiorare inevitabile delle lacrime.
Era come se una mano feroce gli fosse entrata in petto a strappargli il cuore.
Basta, basta per carità, che qualcuno ponesse fine a quel supplizio, il suo stesso supplizio.
Come e quanto ancora sarebbe riuscito a sopportare quella tortura, a reggere lo strazio della donna che amava?
In quell’insopportabile istante avrebbe voluto solo premersi forte le mani sulle orecchie per non sentire più nulla; invece era costretto a stare fermo lì, forte, crudele e immune da qualsiasi debolezza.
Non poteva voltarsi, correre da lei per stringerla forte tra le braccia e cullarla; non poteva chiederle perdono per tutto il male che le stava arrecando, assicurandole che non avrebbe mai e poi mai smesso di amarla, nemmeno per un secondo, e non poteva neanche fuggire da quell’aula maledetta, lontano da quel pianto lancinante.
Severus non poteva, e basta.
Attese in silenzio, per un tempo che gli sembrò eterno e permise a due lacrime di traboccare e percorrere lentamente il volto, fino ad andare a morire sul candido colletto della camicia.
Dopo alcuni minuti il pianto disperato di Lavinia si calmò, scemando in una serie di ostinati singulti.
Severus decise che poteva di nuovo voltarsi per fronteggiarla.
Il volto della ragazza era congestionato, gli occhi gonfi e rossi abbassati a fissare un punto imprecisato del pavimento, l’espressione profondamente abbattuta.
Provò una morsa tale al petto che gli fu quasi impossibile continuare a respirare.
Nonostante ciò, le si avvicinò flemmatico quel tanto che gli permise di allungarle un fazzoletto.
– Spero che la crisi sia servita a scaricare la tensione. – mormorò, sforzandosi di mantenere un tono neutrale.
Lavinia alzò lo sguardo colmo di sconforto senza dire una parola e lo fissò. Poi si levò stancamente dalla sedia.
- Sono dunque queste le ultime cose che hai da dirmi, Severus? – chiese con inflessione talmente debole e affaticata che l’uomo faticò quasi a udirla.
- Sì. E’ tutto, Lavinia. Mi dispiace che tu l’abbia presa così. – ribadì con studiata lentezza, socchiudendo gli occhi.
- Ti dispiace che io l’abbia presa… così?!
Sul volto della donna allora si dipinse, nonostante il dolore devastante, un’espressione di incredulità.
- Severus... io non so più chi tu sia, o forse non l’ho mai realmente saputo. Credevo di conoscere ed amare un uomo e adesso mi ritrovo davanti uno sconosciuto. Una persona completamente diversa dall'uomo ricco di umanità, passioni e sentimenti a cui avevo affidato i miei progetti, i miei sogni, il mio futuro… tutta la mia vita! Vorrei che tu potessi provare anche solo per un attimo ciò che sto passando in questo istante, perché sono sicura di come tu, per primo, rabbrividiresti di disgusto davanti al freddo calcolatore che ho davanti... uno che non esita a disfarsi di ciò che non rientra più nei suoi piani. Mi fai paura. Chi sei, davvero? Un uomo che, pur conoscendo l’entità e la profondità dei sentimenti della donna che lo ha sempre amato, dopo averla liquidata senza pensarci troppo, ha anche il coraggio di dire che gli dispiace, ed è stupito di come l’abbia presa, è un uomo senz’anima. Che cosa avrei dovuto fare, secondo te? Uscire di qui canticchiando un motivo delle sorelle Stravagarie? Tu mi hai distrutto, Severus. Come vedi non uso mezzi termini. Mi hai fatto a pezzi, mi hai portato via l’anima, l’hai fatta a brandelli e ci hai passeggiato sopra senza la minima considerazione, senza remore, senza rispetto. Anzi, hai anche avuto il coraggio di invitarmi, infastidito, ad avere un po’ di decenza nell'esternare il mio dolore. Hai ragione, ti accontento subito: con tutta la dignità che mi rimane ti annuncio che, da questo istante, per me non esisti e non esisterai più, Severus. Per me, da ora, è come se tu fossi morto! Addio, e scusa il disturbo.
Il mago sostenne imperturbabile lo sguardo carico di infelicità della giovane donna, ma fu solo per una frazione di secondo.
Era chiaro di come avesse parlato spinta dal dolore, ma non riuscì a mantenersi più così impassibile di fronte alla dichiarazione estremamente dura, e ai suoi occhi, divenuti freddi e trasparenti come il ghiaccio.
Mosse qualche passo verso il centro del locale per nascondersi nella penombra: doveva impedirle di veder passare nelle iridi nere in tempesta l’evidente turbamento che lo aveva assalito.
Lavinia, intanto, aveva raccolto il proprio mantello, e si stava avviando con passo incerto verso la porta.
Le si avvicinò, rigido e impettito.
- Che cosa farai, adesso? – la domanda gli era uscita suo malgrado, prima di riuscire a trattenerla.
- Non credo ti riguardi e, soprattutto, ti importi più, ormai. Da questo momento, ciò che farò sarà solo ed esclusivamente un problema mio. - rispose con voce atona, e gli voltò le spalle. Poi aprì decisa il battente e vi sparì oltre, senza girarsi.
Non appena la porta si fu richiusa con forza, Severus rimase ad osservare impietrito il punto in cui era scomparsa; portò la mano davanti agli occhi e crollò a sedere sulla stessa poltrona, di fronte alla scrivania, di cui aveva tormentato poco prima lo schienale.
Appoggiò il gomito allo scrittoio e stette così per un tempo infinito, con la mano premuta sugli occhi e l’altra abbandonata in grembo, tormentato dal ronzio assordante che il pesante silenzio, calato subito dopo che Lavinia aveva sbattuto la porta dietro di sé, aveva lasciato.
In testa il vuoto totale e nell’animo spezzato, ancora una volta, solo il desiderio di non esistere più.
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Appena fuori dallo studio, Lavinia cercò di muovere qualche passo lungo il corridoio.
Non sapeva di preciso che direzione prendere, aveva la vista appannata e ad un tratto non percepì più nulla.
Intuiva vagamente che avrebbero dovuto esserci ancora bracieri e armature a ridosso delle pareti, e che ad un certo punto iniziava la serie di finestre a bifora che guardavano sul piccolo cortile ovest. Di fronte poi esisteva, forse, un angolo a gomito e una porta che immetteva sulle scale che portavano ai piani superiori, ma non vedeva nulla di tutto ciò.
La testa ottenebrata da una sorta di nebbia in cui si accendeva unicamente una scritta intermittente a caratteri cubitali:
Non mi ama più, è finita… Non mi ama più… Non mi ama più…Mosse qualche passo vacillante verso quella che le pareva la direzione giusta, con lo sguardo immobile, fisso davanti a sé.
Era bastata poco meno di mezz’ora perchè ogni traccia, anche minima, di felicità, fosse spazzata via dall’uragano che si era appena abbattuto sulla propria esistenza.
Meno di trenta minuti, per ritrovarsi improvvisamente all’inferno.
Tre anni trascorsi a costruire pazientemente un rapporto che aveva fermamente creduto indistruttibile, annientati in neanche milleottocento secondi.
Di una sola cosa ormai aveva certezza: in tutta la vita non le era mai capitato di soffrire così intensamente, e il problema era che non aveva mai nemmeno messo in conto potesse accadere una cosa del genere.
D’altronde non avrebbe potuto essere diversamente: lo aveva amato in modo totale, anima e corpo, era più che normale che adesso si sentisse completamente devastata, dentro e fuori.
Forse stava sognando.
Forse l’incubo ricorrente, che faceva da un paio di anni a quella parte, si era trasformato.
Per una frazione di secondo sperò in modo assurdo che fosse così e arrivò quasi a convincersi che si sarebbe svegliata all’istante in un letto confortevole, con lui accanto.
Ma si rese conto, lo stesso momento in cui il desiderio prendeva forma, di essere assolutamente sveglia e di stare vivendo in diretta una terribile realtà.
Fortunatamente non incontrò nessuno sul percorso.
Sarebbe stato oltremodo spiacevole dover giustificare a chicchessia lo stato pietoso in cui versava.
Ipotizzò per un attimo di andare subito a raccontare tutto a zio Albus – ah, se Remus fosse stato lì… – che forse l’avrebbe aiutata, convincendo Severus a ripensarci.
Poi si diede della mentecatta, anche solo per aver formulato un'ipotesi del genere: se anche lo zio fosse riuscito nell’intento, che cosa sarebbe stato vivere con un uomo che rimaneva accanto a lei solo perché costretto a farlo?
Le gambe cedettero all’idea di ciò che sarebbe stata la vita da quel giorno in poi.
Non ce l’avrebbe mai fatta ad affrontarla, senza di lui.
Severus, in fin dei conti, poteva aver ragione sul fatto che non fosse ancora così matura per riuscire ad affrontare rinunce importanti e dolorose, ma il discorso le pareva ben diverso in questo caso, dal momento che si trattava di dover rinunciare a tutto!
Arrivò quasi in trance davanti alla porta della propria camera.
Entrò e lasciò scivolare a terra il mantello, rivelando quel vestito tanto sexy che lasciava scoperte schiena e gambe, e che non era servito a nulla.
Lo Specchio delle Brame sembrava profondamente addormentato. Facendo molta attenzione a non fare rumore per non svegliarlo, si diresse verso il letto, al buio, e vi si buttò sopra rimanendovi come un mucchio di stracci logori, gettato lì da una mano noncurante.
Rimase così tutta la notte, alternando pause di sonno agitato e senza sogni a momenti in cui si svegliava piangendo; gli occhi erano gonfi e dolenti e la testa pulsava in modo insopportabile ma questo non le impedì di continuare a soffocare i singhiozzi nel cuscino, per non farsi udire dallo specchio.
Arrivò l’alba e la vide sorgere; incapace di riprendere sonno, si alzò e andò alle finestre a bifora rivolte sul cortile principale, piacevolmente immerso nella lieve bruma del primo mattino.
Rabbrividì per il freddo. Anche le fiamme nel caminetto si erano spente.
Si concentrò brevemente sui ciocchi silenziosi e nel buio guizzò una vampa vivace, seguita da altre allegre lingue di fuoco che ben presto riscaldarono di nuovo l’ambiente.
Sospirò e si guardò attorno, riflettendo su come in quegli anni fosse riuscita a domare l’istinto distruttivo che la prendeva quando era emotivamente sotto pressione.
Ormai non le capitava più di perdere il controllo della Forza Mentale che l’aveva sempre portata, in passato, a distruggere qualsiasi cosa capitasse a tiro, con il rischio di far del male seriamente a se stessa o agli altri.
Anche questo era un importante risultato conquistato grazie a Severus che, pazientemente, le aveva insegnato a gestire la mente.
Se così non fosse stato, la sua stanza dopo quella notte sarebbe stata ridotta a un cumulo di macerie.
Sorrise amaramente tra sé: Severus l’aveva fatta crescere e forgiata, rendendola una donna più matura e cosciente. Adesso, lui l’aveva distrutta.
Scorse il mattiniero professor Vitious attraversare il cortile a passettini veloci diretto verso il proprio ufficio sulla Torre Ovest, mentre Gazza iniziava le faccende giornaliere, tallonato da Mrs.Purr.
Allora decise di muoversi; andò in bagno, si guardò nello specchio sopra il lavandino e vide riflesso il proprio volto tumefatto e stravolto, quasi irriconoscibile, torturato da una notte allucinante trascorsa a consumare tutte le lacrime che aveva in corpo.
Si sciacquò il viso, lentamente, priva di forze e trovò sollievo momentaneo nella carezza fresca dell’acqua sulla pelle.
Ovviamente era impensabile scendere in Sala Grande per colazione e, successivamente, tenere le lezioni in quello stato.
Considerò che avrebbe dovuto subito avvertire zia Minerva, in modo di permetterle di trovare per tempo un supplente.
Legò alla zampetta del proprio gufo un breve messaggio indirizzato alla Vicepreside in cui si scusava per l’improvvisa assenza, ma stava davvero male e quindi sarebbe rimasta a letto tutto il giorno.
Poi, dopo aver liberato Andrew con la missiva, decise di prendere un filtro per il mal di testa, si tolse l’abito sgualcito e si cacciò sotto le coperte, risoluta a sparire almeno per quel giorno dalla faccia della terra.