Il Calderone di Severus

Ele Snapey -Lacrima di Fenice, Long-fic; introspettivo-drammatico; AU; Severus/personaggio originale; personaggio originale, Albus Silente, Minerva McGranitt, Remus Lupin; 6° e 7° anno

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view post Posted on 27/11/2012, 17:51
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Inizio con questo primo capitolo a pubblicare finalmente quella che scherzosamente definisco l'Opera Omnia, alla quale lavoro ormai da tre anni :( (perfino il mio fidanzato mi ha sgridato, perchè ci sto mettendo troppo :P !) Chissà che farlo non mi porti bene e mi faccia trovare il tempo per starle dietro più costantemente. ;)
Questo è il quarto e ultimo episodio della tetralogia dedicata al pairing Severus/Lavinia, iniziata con la prima long fic intitolata Mercoledì 31 ottobre, ore 22;45... Ringrazio anticipatamente chi avrà la voglia e la costanza di leggersela, e un grazie grande grande alla pazienza di Ida! ;) :P

Titolo: Lacrima di Fenice
Autore/data: Ele Snapey
Beta-reader: Ida59
Tipologia: long fic
Rating: Per tutti
Genere: introspettivo, drammatico
Personaggi: Severus Piton, personaggio originale, Albus Silente, Minerva McGranitt, Remus Lupin, Harry, Ron, Hermione, Neville, Luna, Ginny.
Pairing: Severus, personaggio originale
Epoca: Hogwarts, 6°/7° anno
Avvertimenti: AU.

Riassunto: A Hogwarts purtroppo ci si prepara ad affrontare tempi sempre più difficili, e i destini di Severus e Lavinia sono ormai appesi ad un filo...

Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.



1




- Professoressa…
La voce di Seamus Finnigan le giunse lontana e ovattata. Immersa in altri pensieri, non si era accorta della mano che sventolava in aria da qualche secondo.
- Professoressa! – anche Lavanda Brown provò ad attirare la sua attenzione, e Lavinia si riscosse.
- Ehm… sì, scusate ragazzi, stavo pensando a… di che hai bisogno Seamus? - diresse lo sguardo, che aveva tenuto fino a quel momento fisso su alcune pergamene, verso lo studente alzatosi in piedi.
- Nel tema che ci ha assegnato viene richiesto un riferimento esplicito al sistema che useremmo per far levitare sostanze liquide. Dobbiamo enunciare anche la formula di aritmanzia che l’accompagna, o è sufficiente descrivere il nostro procedimento mentale?
- E’ sufficiente dichiarare il procedimento Seamus ma, naturalmente, se qualcuno di voi ricordasse con esattezza anche il Teorema di Artheos e riuscisse a spiegarlo correttamente, regalerebbe al proprio lavoro un tocco di qualità non indifferente.
Guardò sorridendo Hermione china sulla propria pergamena, intenta sicuramente ad aggiungere con solerzia la formula del teorema.
Le due ore di Levitazione e Spostamento degli Oggetti con la sola Forza della Mente stavano terminando.
Quel giorno aveva assegnato al sesto anno di Grifondoro e Tassorosso un tema riassuntivo del programma svolto fino a quel momento.
Alcuni avevano già consegnato il lavoro e le pergamene si stavano rapidamente impilando davanti a lei, ma non era riuscita a concentrarsi anche solo vagamente su uno degli elaborati terminati perché il pensiero continuava a vagare, con ostinazione, altrove.
Lasciò correre lo sguardo sul resto della classe.
Ron e Harry stavano ultimando il compito con espressione estremamente concentrata, Neville fissava ipnotizzato il muro davanti a sé mordicchiando la penna d’oca, mentre Ernie McMillan si era appena alzato diretto alla cattedra per consegnare.
– Ragazzi, avete soltanto altri dieci minuti. Coloro che hanno già terminato sono pregati di non disturbare i compagni ancora al lavoro. – li avvertì, capovolgendo la clessidra sulla cattedra, e la mente prese di nuovo il largo.
Gli ultimi giorni erano stati piuttosto pesanti: Severus aveva latitato parecchio e in più, tutte le volte che aveva cercato qualche attimo tranquillo per riuscire a sapere da lui come si stesse evolvendo la situazione, si era sempre mostrato evasivo.
Inoltre lo sentiva freddo, lontano e, dall’ultima volta che erano stati insieme, erano passate esattamente due settimane.
Tutto ciò le era bastato e avanzato per renderla inquieta, frustrata e infelice, ma non poteva certo obbligarlo a dedicarle l’attenzione e il tempo che lei avrebbe preteso, certo a scapito del delicato compito che stava assolvendo.
In realtà nemmeno lei sapeva bene in che cosa consistesse di preciso il lavoro che stava svolgendo Severus per conto di zio Albus e dell’Ordine.
Era riuscita a carpire solo qualche informazione generica riguardo a come fosse tornato ad avere qualche contatto con il Signore Oscuro e la cerchia dei Mangiamorte.
Probabile che il suo lavoro consistesse nel raccogliere più notizie possibili su ciò che sembrava stessero tentando di riorganizzare, per poter monitorare ogni loro movimento dopo gli episodi inquietanti verificatisi l’anno precedente.
Severus gliene aveva parlato qualche volta, rimanendo però sempre molto sul vago, perché non voleva assolutamente che lei si preoccupasse, e questo Lavinia l’aveva capito.
Di certo non era mai stato troppo esplicito sulla natura dell’incarico che aveva accettato di svolgere per non metterla in apprensione, ma ciò non aveva fatto altro che alimentare le sue preoccupazioni. E non c’era verso di cavargli informazioni più precise.
A volte era più nervoso e taciturno del solito e, in tal caso, Lavinia sapeva molto bene come l’insistere sul farsi dire che cosa non andasse avrebbe solo sortito l’effetto contrario.
Da un po’ di tempo a quella parte, inutile negarlo, anche il loro rapporto stava risentendo del clima cupo e negativo che pareva aver ammorbato in modo subdolo i corridoi, le sale, le aule e ogni ambiente di Hogwarts.
Ultimamente poi, lo strano male che aveva colpito zio Albus e che Severus non riusciva a contrastare con efficacia, aveva contribuito ad aggravare la tensione.
Il suono della campanella la riportò al presente.
Alzò lo sguardo su Hermione, già di fronte alla cattedra con la mano tesa che stringeva la pergamena; dietro di lei arrivavano Ron e Harry. Li osservò in silenzio per qualche secondo, pensierosa.
Come erano diventati grandi in quei tre anni... Grandi e inseparabili, nonostante le difficoltà.
In realtà si era anche accorta di come, da qualche tempo, Hermione nutrisse per Ron un sentimento che andava un po' più oltre quella che fino a poco tempo prima era stata solo una semplice, profonda amicizia.
Sorrise impercettibilmente mentre i ragazzi consegnavano i loro compiti, salutandola prima di uscire per raggiungere l’aula di Trasfigurazione.
Quando anche l’ultimo studente ebbe lasciato la classe, Lavinia si alzò stringendo al petto la bella pila di pergamene da correggere, e uscì sul corridoio affollato di studenti per il cambio d’ora.
Si avviò verso la sala insegnanti, rispondendo al saluto di alcuni di loro.
Incrociò ad un tratto lo sguardo freddo di Draco Malfoy che stava imboccando, da solo, le scale che portavano ai piani superiori.
Per un attimo le parve di cogliere negli occhi color del ghiaccio un guizzo di paura, come fosse stato sorpreso a fare qualcosa di sporco.
Lavinia non aveva mai avuto simpatia per il ragazzo ma, all’improvviso, fu fortemente tentata di avvicinarsi per chiedergli se andava tutto bene.
Draco interruppe fulmineo il contatto visivo e proseguì per la propria strada, lasciando la giovane donna a chiedersi dove stesse andando privo dei due energumeni che lo accompagnavano ovunque.
Anche lui comunque, ultimamente, le era parso molto strano; sembrava sempre distratto, pensieroso, malinconico e non riusciva nemmeno più ad essere arrogante.
Il fatto che il padre fosse rinchiuso ad Azkaban era, con molta probabilità, il motivo principale del suo stato d’animo.
Decise che ne avrebbe senz’altro parlato con Severus. Come punto di riferimento educativo del ragazzo avrebbe potuto avvicinarlo per saperne di più, e aiutarlo infinitamente meglio di quanto sarebbe stata in grado di fare lei.
Giunse in sala professori nell’istante in cui Horace Lumacorno stava uscendone carico di libri.
– Buongiorno mia cara. C’è chi viene e chi va! – esclamò con quel tono gioviale, un po’ forzato, che però le suscitava simpatia.
- Buongiorno Horace, come va?
- Abbastanza bene. Ho appena parlato con tuo zio. Pare non abbia ancora trovato un buon rimedio al problema che riguarda la mano. – fece un cenno di diniego con la testa.
- Già. Severus sta dannandosi per trovare una soluzione definitiva ma, a quanto pare, per ora è riuscito solo a limitare i danni. – rispose lei un po’ preoccupata.
- Stai tranquilla, Lavinia. Severus alla fine troverà sicuramente la cura giusta. Quel ragazzo è un genio; te l’ho mai detto che ai tempi in cui è stato mio alunno fu l’unico a riuscire a portare brillantemente a termine un perfetto Distillato di Morte Apparente? E’ una Pozione difficilissima da ottenere e lui vi riuscì a soli 15 anni!
- No, non lo sapevo, ma non faccio fatica a crederle, Horace! – esclamò la giovane insegnante ridacchiando, e un piccolo sussulto di orgoglio le imporporò le guance.
- Severus fu un allievo eccezionale e… pensa che adesso Harry Potter ne sta raccogliendo egregiamente l’eredità. Tutto sua madre, il ragazzo. Bravissimo come lei in Pozioni ma anche, per altri versi, così sorprendentemente simile a suo padre!
Scambiarono ancora alcune battute, poi il professor Lumacorno si accorse di essere in ritardo per l’inizio delle lezioni e scappò verso i Sotterranei, lasciando Lavinia a meditare, un po’ perplessa, sull’ultima affermazione riguardo l'eccellenza di Harry in Pozioni.
Non le sembrava di ricordare che il giovanotto avesse mai dato prova di particolare abilità in materia. O forse Severus era stato davvero sempre troppo prevenuto nei suoi confronti.
Entrò nel locale spazioso, immerso nella quieta penombra rischiarata dalle candele; si accomodò al lungo tavolo tarlato di legno scuro e vi appoggiò sopra i compiti.
Aveva preso l’abitudine di correggerli subito, approfittando dei momenti liberi, come le aveva insegnato a fare Remus; avendo a disposizione un’ora buca, si dispose a sbrigare il noioso rituale.
Il pensiero dell’amico la distolse però quasi subito dal lavoro. Remus le mancava tantissimo.
Alla fine del terzo anno era stato costretto ad abbandonare cattedra e scuola anche grazie a Severus, dopo ciò che era stata più che altro una ripicca decisamente infantile. Lavinia aveva sempre reputato piuttosto meschino il suo comportamento nei confronti di Lupin e, in fondo, non era ancora riuscita a perdonarglielo del tutto.
Lei e Remus riuscivano a vedersi e a sentirsi ormai solo sporadicamente, e giusto perchè lui era rimasto agganciato a zio Albus come membro dell’Ordine.
La morte di Sirius, poi, gli aveva dato il colpo di grazia e ora viveva ancor più ripiegato su se stesso.
Avrebbe tanto voluto aiutarlo ma, incontrandolo così di rado, non sempre riusciva ad offrirgli tutto l’appoggio di cui avrebbe avuto bisogno.
I pensieri malinconici vennero spazzati via dall’apertura impetuosa della porta, e la sagoma di Severus si stagliò improvvisamente nel rettangolo di luce.
Il cuore della donna prese a battere all’impazzata. Cercò di sfoderare uno dei migliori sorrisi del proprio repertorio, senza troppo successo. Ma perché ogni volta che lo vedeva, gli era ancora così impossibile gestire l’emozione?
Non lo incontrava dal giorno prima, e non aveva la minima intenzione di farlo innervosire subito con un atteggiamento inquisitorio dopo che, probabilmente, era rimasto fuori anche quella notte per una delle consuete missioni misteriose di cui lo aveva incaricato zio Albus.
- Severus, non sapevo fossi già tornato. – esordì, conciliante, andandogli incontro.
- E io non mi aspettavo di trovarti qui. – ribatté cauto l’uomo, riducendo gli occhi a due fessure.
Lavinia gli si avvicinò e protese il viso per ricevere un bacio.
Severus si abbassò e posò rapidamente le proprie labbra su quelle della donna.
- Oh… non con tutta questa passione, amor mio! – si lasciò sfuggire lei, guardandolo in tralice.
Non ce l’aveva fatta a far finta di nulla: il tono che aveva usato lasciava trapelare chiaramente una sfumatura delusa e il mago la osservò per un lungo istante con occhi impenetrabili e labbra strette.
- C’è qualcosa che non va, Lavinia? – domandò infine, glaciale, scandendo bene le parole.
La giovane indietreggiò di un passo, sconcertata; lo guardò a lungo, indecisa per un attimo se fingere di non aver colto la provocazione nella sua risposta o replicare a tono. Optò per una via di mezzo.
- Certo che qualcosa non va. Avevo deciso di non iniziare a lamentarmi di nuovo su come il nostro rapporto non stia funzionando proprio a meraviglia, da due settimane a questa parte ma, adesso, perdonami, non ce la faccio ad andare avanti così… - sbottò, cercando di non calcare sull'accento polemico.
- Mi piacerebbe riuscire a capire che cosa intendi per “rapporto che funziona a meraviglia”. – replicò Severus, inarcando il sopracciglio destro.
- Severus, mi stai prendendo in giro?- scattò lei, d'impulso.
- Attenta… ti stai facendo di nuovo gestire dai nervi, come succede regolarmente ogni volta che discutiamo. - la gelò l’uomo, imperturbabile, muovendo qualche passo pigro verso l’interno del locale.
Lei rimase a fissargli per qualche secondo l’ampia schiena, dopo che si fu voltato per continuare a fare ciò per cui era entrato in sala professori. Quando assumeva quell’atteggiamento riusciva a farla uscire letteralmente dai gangheri.
- Sai benissimo che cosa intendo per rapporto funzionante…- riprese Lavinia, sforzandosi di riprendere un tono pacato. - Tanto per dirne una, sono due settimane che non vedo il tuo letto, professore! Ma a parte questo lato squisitamente prosaico, della cui mancanza è chiaro come ormai non risenta più la tua elevata spiritualità, il problema è che noi non parliamo più da un bel pezzo e tu, perdonami se te lo rinfaccio per l’ennesima volta, sei comunque distante mille miglia da me! Se per te questo significa avere un “rapporto che funziona a meraviglia” allora, mi dispiace, la vediamo in modo diametralmente opposto. – continuò, seguendolo nei suoi spostamenti dall’armadio al tavolo.
L'uomo si voltò di scatto, dedicandole un'occhiata raggelante.
- Ti è mai passato ultimamente per la testolina che io, in questo periodo, sebbene non stia a tediarti con il resoconto delle mie gesta, possa avere parecchie cose da fare, magari anche piuttosto stressanti, impegnative e molto poco gradevoli?- il suo tono suonò velatamente aggressivo.
- Certo che lo so: lo so e lo tengo presente ogni giorno, Severus, ma è anche vero come non sia proprio tutta colpa mia se non vengo messa al corrente di quanto e cosa tu abbia parecchio da fare, oltre a ciò che svolgi come insegnante. E penso che tra due persone che si amano dovrebbe esserci fiducia completa e reciproca… insomma, meno segreti, come invece non avviene tra noi da un po’ di tempo a questa parte.
Il mago, smesso di riordinare le carte che aveva appoggiato sul tavolo, si voltò ad osservarla.
- Mi sembra di averti spiegato almeno un centinaio di volte che certe cose non puoi, e non devi saperle, a prescindere dal nostro rapporto. – sibilò, avvicinando il volto a quello di Lavinia.
- E allora non devi lamentarti se sono così pressante. Io ho il diritto di pretendere da te un po’ di considerazione, ogni tanto, anzi no, scusami ho sbagliato a esprimermi: io in realtà non avrei bisogno di pretendere nulla se tu sentissi realmente il bisogno di trascorrere più tempo con me e di accordarmi la tua stima, come succedeva fino a qualche mese fa!
La donna sapeva che il suo atteggiamento avrebbe ottenuto di farlo irritare in modo totale e definitivo, ma sentì che doveva chiarire la faccenda una volta per tutte.
Severus raddrizzò le spalle, e la scrutò impassibile per qualche secondo.
Stava per replicare quando la porta della sala si aprì un’altra volta per lasciar entrare la professoressa Sprite che, canticchiando fra sé, appoggiò due Orchidee Tentacula sul tavolo.
- Oh, scusate… ehm… disturbo? – esclamò l’insegnante di Erbologia imbarazzata quando, alzando gli occhi dai vasi, si rese conto di non essere sola.
- Non disturbi affatto, Pomona, anzi, stavo per andarmene… - le rispose Piton, raccogliendo le carte che gli servivano. - In quanto al nostro discorso, Lavinia, credo sia molto meglio proseguirlo in altra sede. Ti aspetto stasera da me, dopo cena, dato che prima sarà impossibile perchè non avrò un attimo libero fino a quel momento, mi spiace.
Quindi, voltandosi di scatto, fece un secco cenno di saluto con il capo alla Sprite, prima di uscire con passo lungo e deciso dalla sala professori, seguito dal fluttuare del mantello.
Lavinia ne osservò l’incedere con aria infelice, fino a che la porta non si richiuse alle sue spalle, poi sospirò tornando a dedicare un’attenzione distratta ai compiti che attendevano ancora di essere corretti.
- Va… tutto bene? – azzardò timidamente la professoressa Sprite, cogliendo l’espressione cupa sul volto di Lavinia.
- Come? Oh sì... Sì Pomona, tutto bene. Stavo pensando a come il clima qui a Hogwarts ultimamente sia piuttosto teso, non trovi? – rispose la giovane donna, cercando di assumere un tono noncurante.
- Volevo dire… tutto bene con Severus, mia cara? – insistette l’altra.
Lavinia accennò ad un sorriso forzato. La professoressa Sprite era stata una delle sue insegnanti e la conosceva piuttosto bene, come tutti del resto, lì dentro: sarebbe stato inutile fingere.
- Beh, no… credo di no… Severus è strano, cambiato nei miei confronti. Lui sostiene che è solo la mancanza cronica di tempo che lo tiene fisicamente lontano da me, ma io lo sento così distante, in ogni senso, come se fossimo su due pianeti diversi.
Ma che cosa le era preso? Adesso si stava confidando con una persona che conosceva da parecchi anni, con la quale però aveva discusso sempre e solo di erbe magiche, di varie miscele di tè e infusi o al massimo del tempo.
Eppure, l’aspetto bonario e rassicurante della donna grassoccia e stravagante che le stava di fronte, la aveva indotta ad aprirsi.
- In realtà, anche se mi sembra tutto così assurdo, è… ecco è come se la mia presenza gli desse fastidio… voglio dire: tra me e lui c’è sempre stata un’intesa profonda a livello spirituale ma anche… ehm… non solo, non so se ho reso l’idea… - Lavinia guardò in modo allusivo la Sprite sperando che comprendesse ma, contemporaneamente, le venne il forte sospetto che non fosse mai stata coinvolta in una storia sentimentale implicante un risvolto sessuale, perciò si sentì avvampare per l’imbarazzo.
La professoressa le rivolse un sorriso incoraggiante, invitandola a proseguire con un breve cenno di capo.
- Invece, ora, sembra addirittura che cerchi di evitare di rimanere solo con me.
- Immagino sia solo una tua sensazione, Lavinia. Tu vorresti che lui ti dedicasse più tempo, è normale che una donna innamorata desideri stare assiduamente assieme al proprio amato.
Lavinia osservò incuriosita la sua ex professoressa, mentre le certezze sulle inesistenti esperienze amorose dell'anziana strega iniziavano a vacillare.
- Severus è sempre così occupato, mia cara. Me ne sono accorta perfino io dalle serre... – proseguì con una risatina chioccia. - Tuo zio gli sta affidando un sacco di incarichi anche molto impegnativi e quest’anno ha dovuto perfino affrontare un faticoso cambio di cattedra. Secondo me è questo il motivo per cui ha così poco tempo da dedicarti, ed è sempre nervoso. Voglio dire, più nervoso del solito. Hai provato a renderti attraente, evitando di infastidirlo con continue lamentele sul poco tempo che passate assieme? Sono certa che basterà questo per tornare a convincerlo di cercarti più spesso. – decretò, lanciandole un’occhiata maliziosa.
Lavinia spalancò gli occhi e guardò la Sprite, sempre più sorpresa: mai e poi mai si sarebbe aspettata proprio da lei consigli su come compiacere un uomo!
Sorrise rasserenata, allungando una mano per stringere quella paffutella della donna che le sedeva di fronte.
- Hai proprio ragione Pomona, è senz’altro come dici tu. Sarà che io, essendo così coinvolta in questa storia, tendo a vedere le cose sotto un’ottica diversa e a drammatizzare tutto quello che succede. Avevo solo bisogno di un parere obiettivo come il tuo.
La professoressa ricambiò la stretta, arrossendo.
- Siete una splendida coppia, unita e innamorata, è talmente evidente, ed è sotto gli occhi di tutti. Che cosa avresti dunque da temere? Devi semplicemente stargli vicina con molta pazienza e amore e vedrai che le cose a poco a poco si sistemeranno.
A Lavinia parve di cogliere nella voce dell’insegnante di Erbologia una leggera sfumatura di rimpianto. Forse quei discorsi avevano contribuito a riportarla indietro di tanti anni, quando anche a lei, chissà, in gioventù era capitato un grande amore mai dimenticato.
Decise tuttavia di non dar retta alla vocina tentatrice che la stuzzicava a soddisfare la curiosità riguardo la vita privata di Pomona Sprite. La guardò riconoscente mentre si alzava dalla sedia e riprendeva in mano i suoi vasi.
- Grazie ancora, mi hai risollevato il morale.
Si alzò a sua volta, la accompagnò alla porta e la aprì, affinché potesse uscire nonostante le mani impegnate dai recipienti. Prima di varcare la soglia l'insegnante di Erbologia le rivolse uno sguardo colmo d'affetto.
- Arrivederci mia cara e… ricorda: sorridi, sorridi sempre. Agli uomini non piacciono le donne sempre imbronciate e lamentose! - le dedicò una strizzatina d'occhio, poi uscì.
Lavinia, che si sentiva effettivamente meglio, ridacchiò divertita: chi l’avrebbe mai detto che la vecchia Sprite si sarebbe rivelata un’ottima consulente in affari di cuore?
Tornò a correggere i compiti con un altro spirito e si disse che, quella sera, in vista dell’incontro con Severus, avrebbe seguito il suo saggio consiglio di rendersi il più possibile comprensiva e, soprattutto, desiderabile....

Edited by Ele Snapey - 28/8/2017, 15:52
 
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view post Posted on 26/12/2012, 15:47
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Una volta uscito sul corridoio affollato, Severus si fermò per qualche minuto fissando pensieroso l’armatura malconcia appoggiata al muro, di fronte all’entrata della sala professori.
Non si accorse minimamente del saluto che due studenti del terzo anno di Serpeverde gli rivolsero, ossequiosi, passandogli sotto il naso.
Perso nelle proprie cupe riflessioni si incamminò lentamente, diretto verso l’aula di Difesa Contro le Arti Oscure.
Si rese conto, infine, delle occhiate perplesse che alcune studentesse del quarto anno gli stavano rivolgendo già da qualche secondo dopo che, vedendolo sopraggiungere, avevano interrotto il loro fitto parlottare.
Molto probabilmente si erano domandate che cosa fosse successo al professor Piton perché questi avesse un’aria così assorta e l’incedere flemmatico, contrariamente al solito.
Il particolare lo obbligò a riscuotersi; drizzò le spalle e superò le ragazze con consueto passo marziale, mentre il mantello si sollevava in morbide volute al ritmo della sua falcata.
Era riapparsa anche la solita, severa ruga verticale tra gli occhi, a rendere ancora più dura l’espressione scolpita sul volto: ciò ottenne di far spostare rapidamente gli studenti in sosta per i corridoi.
Il professor Piton, in quel momento, sembrava decisamente una nube nera carica di tempesta sul cui passaggio era sconsigliabile farsi trovare.
Ma quello che gli studenti ovviamente non potevano immaginare, era come altrettanto neri e burrascosi fossero i pensieri che turbinavano nella sua mente.
Non ce l’aveva fatta, maledizione. In due settimane non aveva ancora trovato il coraggio necessario per affrontare Lavinia e troncare la loro storia.
Aveva disperatamente tentato da subito, dopo l’inaccettabile, assurdo colloquio con Silente, di comportarsi in modo tale da poter creare i presupposti per una rottura insanabile, ma era riuscito solamente a rendere tutto più penoso e difficile.
Lei era perennemente infelice, nervosa e assillante e pretendeva dei chiarimenti che lui non avrebbe potuto mai darle se non spezzandole il cuore.
Ma non era poi quello che meditava di fare da quindici giorni a quella parte?
Il problema era che non aveva ancora trovato il momento giusto per realizzare il folle progetto.
O, piuttosto, sarebbe stato meglio dire che non aveva ancora trovato la forza necessaria per troncare ciò che considerava un legame indissolubile.
Risultato: la situazione era divenuta insostenibile. Chiaro ormai come fosse impossibile rimandare oltre.
Quella sera, certamente, sarebbe stato il momento giusto; le aveva dato appuntamento e non avrebbe più avuto scuse per prolungare ancora un’agonia che durava da troppi giorni.
Dividersi da lei, naturalmente, avrebbe significato andare contro ogni legge fisica e naturale: Severus ne aveva bisogno come il deserto dell’acqua, come la terra del sole, come i polmoni dell’aria.
Porre fine al legame con Lavinia sarebbe stato sicuramente come votarsi al suicidio ma, in fin dei conti, lui stesso era già da tempo un uomo morto, diretto contro la propria volontà verso un destino ineluttabile, segnato fin dal maledetto giorno in cui aveva pronunciato il Voto Infrangibile.
Si accorse di aver accelerato il passo; arrivò quasi di corsa davanti all’aula.
Entrò con il respiro lievemente affannato e un’aria ancora più cupa.
Lo stavano già aspettando, seduti compostamente nei loro banchi, gli studenti del secondo anno di Corvonero e Tassorosso.
Raggiunse silenzioso la cattedra e li scrutò per un lungo attimo, gli occhi ridotti a due fessure nere e senza luce.
Gli sguardi preoccupati dei ragazzi e l’espressione sui visi rivolti a lui, in attesa che parlasse e introducesse la lezione, riflettevano un misto tra soggezione e riverenza.
- Prendete il vostro Sussidiario di Difesa Pratica.
La voce profonda e leggermente trascinata dell’insegnante spezzò il silenzio teso.
- Andate a pagina 120. Oggi vedremo come si affronta un incantesimo di Disarmo.
Il fruscio solerte delle pagine sfogliate dai ragazzi, alla ricerca del capitolo indicato dal professore, accompagnò le ultime riflessioni di Severus che iniziò ad incamminarsi lentamente tra i banchi in attesa che tutti fossero pronti a seguirlo.
Incrociò lo sguardo di una giovane studentessa della Casa di Corvonero e si fermò per una frazione di secondo.
Si chiamava Amelia Bennedict, aveva il visetto minuto e appuntito di un gattino e gli occhi grandi e azzurri come il cielo… Come quelli di Lavinia…
La ragazzina abbassò subito lo sguardo intimidita davanti a quello glaciale e impenetrabile dell’insegnante che, dopo qualche istante, riprese la lenta passeggiata tra i tavoli, iniziando la spiegazione.
- Desumo che abbiate avuto tutto il tempo necessario per trovare il capitolo; allora, procediamo. Prima di tutto vediamo se c’è già qualcuno che sa darmi la definizione esatta di Incantesimo di Disarmo o Expelliarmus…

§§§§§§§§§§§




Appena ebbe terminato di cenare, Lavinia si avviò in fretta verso la propria camera.
Aveva rinunciato al dolce per poter passare con calma a darsi una sistemata, prima di raggiungere gli alloggi di Severus.
Sua intenzione era di presentarsi da lui in versione “ammaliante” perché, qualsiasi chiarimento fosse stato in programma prima, il dopo si concludesse in modo più che soddisfacente.
Sorrise tra sé, pensando al morbido vestito intero di seta verde acqua, fornito di generosa scollatura sulla schiena e vertiginoso spacco nella gonna, che a lui era sempre piaciuto tanto.
Entrò in camera e lo estrasse dall’armadio, deponendolo sul letto e rimirandolo compiaciuta per qualche secondo.
Era parecchio tempo che non lo indossava, ma le sembrò decisamente più che adatto per quella occasione.
Lo aveva portato sempre in circostanze particolari; ricordava ad esempio, con grande piacere, il primo Capodanno festeggiato in modo speciale con lui, il Ballo del Ceppo, la festa di Halloween di due anni prima.
Tutti eventi che, poi, avevano avuto un epilogo finale assolutamente incantevole.
Le stava particolarmente bene addosso e decise che, quella sera, sarebbe stata da considerare una circostanza particolare.
Si liberò dai vestiti ed entrò in doccia.
Sotto il piacevole getto dell’acqua calda la sua mente iniziò a ripescare dal cassetto della memoria alcuni episodi passati, bellissimi e incancellabili degli ultimi tre anni della propria vita trascorsi accanto a Severus.
Chissà come e perché, la figura dell’uomo che amava sopra qualsiasi cosa, ogni volta che prendeva forma nella sua testa riusciva miracolosamente a cancellare qualsiasi tristezza, negatività o attimo infelice.
Anche in quell’istante le era bastato immaginarlo e tutte le sofferenze presenti e passate, inevitabili in una storia d’amore, erano state spazzate via in un soffio.
L’ aspetto attraente del suo volto particolare, dei suoi occhi profondi, delle sue mani mobili e intelligenti, del suo modo di muoversi elegante e discreto, le fecero provare di nuovo una forte scarica di adrenalina; pensò, per l’ennesima volta, che era proprio solo ed esclusivamente lui l’unico uomo con cui avrebbe voluto e potuto condividere la vita intera. Lui, e nessun altro.
Era straordinario come, nel mondo incantato in cui viveva, dove tutto ciò che accadeva di magico rientrava nel quotidiano, Severus rappresentasse ai suoi occhi un autentico prodigio al di fuori della norma.
Un amore immenso che aveva avuto la grande fortuna di incontrare e che, per certi versi, lei a volte sentiva ancora di non meritare.
Ma la cosa più importante era come questo legame avesse finalmente dato un senso compiuto alla sua esistenza; lui era davvero la principale ragione di vita.
Uscì dalla doccia e, rientrando in camera, si avvicinò allo Specchio delle Brame personale che aveva sonnecchiato fino a quel momento.
- Vedo che hai riesumato il vecchio, infallibile look sexy, mia cara. Qualcosa bolle in pentola, stasera, eeeh? Seratina romantica con il professore? - la apostrofò, in tono malizioso.
Lavinia aveva acquistato lo specchio qualche anno prima, dopo averlo scovato, un po’ malridotto, in un negozio di antichità magiche in Diagon Alley.
Dominava incontrastato la stanza dal muro su cui era appeso, e aveva facoltà di parola e di pensiero.
- Ma tu non stavi dormendo? O forse, fingevi di farlo? – rispose la giovane donna, ridacchiando divertita all’immancabile intromissione nei suoi affari da parte dello specchio, a cui ormai era rassegnata da tempo.
Aveva sistemato e incantato lei stessa lo Specchio delle Brame, conferendogli la voce profonda e setosa di Alan Rickman, il suo attore babbano preferito. Oltre però a riflettere la sua immagine per consigliarla quotidianamente su cosa indossare, aveva, purtroppo, rivelato anche un’ inopportuna tendenza a cacciare il naso nei fatti privati altrui, e nei suoi in particolare.
Questa propensione era così spiccata da averle creato non pochi problemi, come la volta della prima festa di San Valentino trascorsa con Severus. Sorrise ricordando l’episodio che aveva avuto dei risvolti anche piuttosto divertenti…

…Era giunto anche quel giorno. Severus aveva sempre profondamente odiato quella festa, un po’ come gli accadeva di regola per quelle ricorrenze in cui tutti si aspettano che gli altri siano più buoni e amabili.
Così Lavinia aveva ostentato la più completa indifferenza, evitando accuratamente di ricordargli che le avrebbe fatto comunque piacere ricevere anche solo un piccolo segno di affetto.
Conoscendolo, sapeva perfettamente che avrebbe preferito ingoiare un Vermicolo, piuttosto che lasciarsi andare a qualsiasi smanceria legata alla data.
Quindi, con una punta di nostalgia, aveva percorso poco prima di mezzogiorno il corridoio che conduceva in camera sua, osservando intenerita gli studenti che si aggiravano per la scuola con aria un po’ più svagata del solito.
Aveva appena terminato la lezione con il quarto anno di Tassorosso e Corvonero, e stava notando come la maggior parte dei ragazzi fosse con la mente evidentemente già rivolta a quella che sarebbe stata la piccola festa di San Valentino, prevista per quella sera in Sala Grande.
Ma, giunta davanti alla porta della propria camera, la aveva trovata semi aperta.
Allarmata, si era avvicinata al battente, rimanendo in ascolto.
Dall’interno aveva sentito provenire le note inequivocabili di un alterco e riconosciuto all’istante le voce di Severus che stava lamentandosi in tono irritato con qualcuno.
- E’ inconcepibile che io debba rendere conto di quello che ho intenzione di fare a… a…
- A uno specchio… a un semplice, inutile, volgarissimo specchio: lo dica, avanti, ne abbia il coraggio e lo dica!
Lavinia era inorridita al suono della risposta, pronunciata in tono sostenuto dalla inconfondibile voce di Alan Rickman che proveniva dal solito, incorreggibile Specchio delle Brame appeso in stanza!
- Esattamente: ad uno specchio, il cui unico scopo della propria esistenza dovrebbe essere quello di riflettere immagini e imparare a farsi gli affari suoi! – aveva sibilato Severus.
“Ommioddio… ma stanno litigando davvero! Spero sia solo un brutto sogno...” aveva pensato, sempre più allibita.
- Professor Piton, le devo ricordare che lei è penetrato nella stanza di miss O’Connor in sua assenza anche se, voglio sperare, con le migliori intenzioni; nonostante ciò mi sento in dovere di farle notare come la sua azione non sia conforme alle regole dell’ educazione e della discrezione e lei dovrebbe, quanto meno, avere la buona creanza di spiegarmi il motivo di tale intrusione - aveva proseguito imperterrito l’oggetto, in tono provocatorio e con grande sprezzo del pericolo.
“Ora lo riduce in schegge, lo sento: devo intervenire subito”.
- Ti avverto che la mia pazienza sta per esaurirsi, e non intendo assolutamente dare nessuna spiegazione di quello che sono venuto a fare, alla mia immagine riflessa lì dentro. – la voce pericolosamente suadente di Severus aveva assunto una inequivocabile sfumatura omicida.
Lavinia, a quel punto, si era immediatamente precipitata nella stanza, appena in tempo per fermare il mago che si stava avvicinando minaccioso alla parete.
- Ti prego sii clemente con lui: a volte non si rende conto di superare il limite! – aveva esclamato, fulminando lo specchio con un’occhiataccia. Severus si era bloccato immediatamente con un’espressione costernata sul volto.
- Oh no, ecco! Se questo idiota non mi avesse fatto perdere tempo con il suo terzo grado non mi avresti mai colto con le mani nel sacco.
- Ah, io sarei un idiota! Senti Lavinia, sappi che quest’uomo è entrato in camera tua, senza la minima remora, formulando un incantesimo sbloccante per aprire la porta. – aveva sbottato lo specchio, indignato.
- Certo che lo so, me ne sono accorta, dal momento che è qui dentro! A proposito che ci fai in camera mia e come ti sei permesso di entrarci in mia assenza? – aveva poi domandato, rivolta al professore con le mani sui fianchi e fingendo un'espressione indignata; stava facendo una fatica terribile nel trattenersi dallo scoppiare a ridere.
- Ti avverto, non mettertici pure tu adesso; ma si può sapere che diamine è quel coso?
- E’ il mio Specchio delle Brame Personalizzato, mi sembra evidente.
- Questo l’avevo capito, ma da dove arriva la sua voce? Solitamente quei… quegli affari possiedono una gamma molto più limitata di espressioni sia vocali che verbali; non sono minimamente in grado di formulare dei ragionamenti così elaborati.
- Lo so, lo so, ma lui è un modello più sofisticato e quando l’ho visto ho deciso di fare una piccola follia e di investire un po’ di soldini. Così ho potuto dargli capacità mnemoniche e logiche di livello superiore, e gli ho impostato la voce di Alan Rickman: non è una bomba? Pensa che mi aiuta anche nella scelta dei vestiti con un gusto davvero delizioso.
- Già, già, certamente, proprio una bomba… in grado di far saltare in aria la pazienza! - aveva bofonchiato Severus in tono sarcastico. - E, dimmi: chi sarebbe costui? – aveva proseguito sospettoso, mentre gli occhi si riducevano a due tagli inquisitori.
- Costui chi?
- Costui… questo Alan Dickman… Pickman… o come diavolo si chiama. - aveva sbottato l’uomo, leggermente spazientito.
A Lavinia era scappata una bella risata genuina.
- Ah, luuui! “R”ickman con la erre, amore mio: Alan Rickman! Stai tranquillo, è solo un attore: il mio attore babbano preferito.
- Attore babbano preferito, eh? Intanto spero che, oltre a scegliere i tuoi vestiti, non collabori anche alla selezione dei tuoi completini intimi. – aveva replicato, acido, sempre meno convinto.
- Santo cielo, ma che cosa ti salta in mente?! E non sviare il discorso: vuoi dirmi allora che cosa ci stai facendo in camera mia e per quale motivo ti avrei colto con le mani nel sacco? – aveva esclamato la ragazza sempre più divertita, avvicinandosi all’uomo.
- Ha nascosto qualcosa dietro all’armadio! – era intervenuto lo specchio con prontezza.
-Ma-la-vuoi-smettere-di-impicciarti-maledetto-ficcanaso? Santi numi, quell’arnese è insopportabile. Ma come fai a tenere una cosa del genere appesa in camera?!
- Si lo so, ha qualche piccolo difetto di fabbricazione, purtroppo, e non sono ancora riuscita a modificarlo, nonostante ci abbia tentato in tutti i modi. Arrabbiarsi non cambia nulla, credimi. – aveva cercato di rabbonirlo, trattenendosi ancora a stento dal ridere, ma nel mentre lo specchio aveva sbuffato, offesissimo, replicando petulante.
- E lei professore è veramente scorbutico e villano, lo sa? Ehi, ma cosa accidenti sta… AIUTO!
Il tentativo in corso di Severus di afferrarlo e staccarlo dal muro era stato bloccato dalle note di una melodia struggente e dolcissima, che si erano improvvisamente propagate nella stanza.
- Silenzio! – li aveva zittiti Lavinia, tendendo l’orecchio: – Da dove viene questa musica meravigliosa?
- Era la mia sorpresa per te… - Severus, stizzito, si era diretto verso l’armadio. - Che quel dannato affare è riuscito a rovinarmi! – aveva aggiunto, chinandosi a prendere da dietro il mobile il pacco abbastanza voluminoso da cui proveniva la bellissima armonia.
Piton aveva scartato l’involucro ed era subito apparsa una pianta risplendente di colori vivaci, le cui foglie multicolore vibravano, cambiando dolcemente di gradazione al suono della melodia. Lavinia aveva spalancato gli occhi incantata.
- Per la barba di Merlino, è straordinaria!
- E’ una Pianta Arcobaleno, proviene dal Caucaso: è rarissima e quasi impossibile da trovare. Ha la proprietà di “cantare” ricreando ogni volta accordi diversi per arrivare a formulare il brano musicale prediletto di chi ne è possessore. - le aveva spiegato. - Si dice che le armonie che diffonde siano tra le più belle mai udite al mondo. Mi è toccato circuire la Sprite un mese intero per convincerla a farmela arrivare attraverso i suoi fornitori specializzati. – aveva proseguito, arricciando le labbra.
– Questa avrebbe dovuto essere la sorpresa che ti avevo preparato per San Valentino: ecco perché sono entrato qui dentro in tua assenza, per nasconderla. Volevo che tu la potessi scoprire una volta avesse iniziato a cantare e con lei, naturalmente, anche il mio biglietto di auguri. – aveva concluso, imbronciato.
Lavinia si era seduta sul bordo del letto, pensando solo a come, per un mese intero, Severus si fosse organizzato a sua insaputa per poterle fare una magnifica improvvisata nel giorno di San Valentino, pur odiando la ricorrenza con tutto se stesso.
Era il regalo più bello ed esclusivo che avesse mai ricevuto in vita sua!
L’aveva guardato estasiata, sentendosi sciogliere dalla tenerezza nel vederlo in piedi con la pianta in mano e l’espressione delusa, simile a quella di un bambino che ha appena scoperto che dentro all’uovo di Pasqua non c’è la sorpresa.
- Amore mio, ma… ma io sapevo come di questa festa non ti importasse niente e così… non ti ho preso nulla. – era stata l’unica cosa che aveva potuto articolare, mortificata.
- Invece io so perfettamente quanto siano importanti per te queste irritanti ricorrenze, stupide e superflue, perciò… - aveva decretato in tono asciutto l’uomo con una smorfia disgustata, posando delicatamente la pianta sulla scrivania.
- Spero ti piaccia, almeno. – aveva aggiunto, guardandola in tralice.
- E’ la cosa più incantevole che abbia mai visto. E tu sei l’uomo più speciale che abbia mai conosciuto! – aveva affermato raggiante, precipitandosi verso di lui.
Il volto seccato di Severus si era addolcito impercettibilmente, mentre accoglieva e stringeva la donna tra le braccia.
- Ti amo ogni giorno di più, terribile professor Piton, e la cosa mi preoccupa molto, perché non so dove andrò a finire con la testa di questo passo: mi domando come questo miracolo abbia potuto accadere proprio a me, e come mi sia stato possibile vivere senza di te prima d’ora. Giurami, adesso, subito che non mi lascerai mai e poi mai… per nessun motivo. – gli aveva sussurrato dolcemente, alzandosi in punta di piedi per posargli un bacio sulle labbra.
- Smettila di prendermi in giro, o uscirò subito di qui assieme alla pianta e non ci vedrai più per tutto il resto della tua vita. – aveva ribattuto lui con voce bassa e profonda, lasciando che un sorriso straordinario gli illuminasse il volto serio.
Lavinia ne aveva contemplato per un lungo istante gli occhi neri e magnetici.
- E adesso? Come potrò ricambiare il tuo splendido pensiero? Chiedimi tutto ciò che vuoi, mio valoroso e romantico cavaliere nero, e io te lo darò. – lo aveva stuzzicato con aria complice.
- Benissimo, allora ne approfitto subito: devi giurarmi che non mi costringerai a presenziare, stasera, alla disgustosa festa di San Valentino in Sala Grande.
- Ah, è così? Traditore! – aveva strillato lei, fingendo di volersi divincolare dall’abbraccio, ma Severus l’aveva stretta ancora più forte, chinando il viso per baciarla con passione e impedirle di aggiungere altro.
- A-ehm… se magari foste così gentili da evitarmi di dover assistere a tutte le vostre effusioni. Ehi, scusatemi: sento che mi sta venendo un attacco di diabete. – si lamentò lo specchio, evidentemente stanco di riflettere l’immagine dei due innamorati strettamente allacciati fra loro.
- Se non lo distruggi tu, lo faccio io! Per tutti i Gargoyle, non posso pensare di baciare la donna che amo, sotto lo sguardo di un oggetto di volgare uso comune con l’obbligo, per giunta, di subire il fastidio dei suoi commenti. – aveva sibilato Severus, staccando per un attimo le proprie labbra da quelle di Lavinia.
- Sì lo so, lo so, è irritante quando ci si mette ma, abbi pazienza... oggi è San Valentino, cerca di essere un po’ tollerante. – gli aveva risposto sottovoce, sorridendo maliziosamente e, afferrata una coperta, era andata a coprire la superficie levigata dello specchio per poi tornare a rifugiarsi tra le sue braccia.
- Così dormirà per un po'. Dunque, professore: dove eravamo rimasti?
Quella sera nemmeno lei era scesa in Sala Grande a festeggiare.


La voce dello Specchio la riportò al presente.
- Allora mia cara, posso sapere a che devo l’onore stasera di riflettere una donna così affascinante?
- Mi dispiace ma stasera rimarrai all’oscuro di quelli che sono i miei progetti.
Lavinia aveva indossato l’abito e stava rimirandosi da ogni angolazione, osservando compiaciuta come le cadesse davvero a pennello, mentre era passata alla successiva “fase trucco”.
Quando ebbe terminato, contemplò ancora una volta soddisfatta il risultato nello specchio, il quale decretò con voce vellutata che, qualsiasi cosa bollisse in pentola, sarebbe filato tutto alla perfezione.
Confortata dal suo autorevole parere e avvolta in un leggero mantello dello stesso colore del vestito, lasciò la stanza e si incamminò svelta per il corridoio deserto, illuminato dal fuoco dei bracieri.
Erano quasi le ventuno: sentì correre sulla pelle leggeri brividi e una sottile, piacevole eccitazione.
Sicura che sarebbe riuscita a risolvere ogni problema, marciò fiduciosa verso i Sotterranei accompagnata da un lieve e gradevole batticuore.
Prima però di raggiungere le scale che l’avrebbero condotta alle segrete, passò davanti all’aula di Difesa Contro le Arti Oscure.
La porta era socchiusa e, data l’ora, le parve molto strano.
Sbirciò all’interno ma, nel locale rischiarato da due sole torce dove regnava una pesante penombra, sembrò, in un primo momento, non esserci nessuno.
Non riuscì subito a distinguere i contorni di ciò che la circondava ma poi, facendo girare lentamente lo sguardo, lo vide.
Severus era nella stanza, in piedi, ritto davanti all’enorme finestrone da cui filtrava la debole luce esterna.
Le stava dando le spalle e non si era accorto di non essere più solo.
Il netto profilo dell’uomo, si stagliava nero e longilineo contro la vetrata. Evidentemente era molto assorto in profonde riflessioni, perché non si riscosse nemmeno quando lei mosse qualche passo furtivo verso di lui.
Prima di parlare, Lavinia si soffermò a guardarlo per qualche secondo, contemplando la nuca perfetta, i folti, lunghi capelli corvini che sfioravano le spalle ampie da cui partiva il lungo mantello nero e morbido che arrivava a lambire il terreno.
L’atteggiamento di Severus sembrava quasi rilassato mentre, con le braccia fiaccamente incrociate sul petto, teneva il peso del corpo sulla gamba destra. La sinistra era appena piegata e rivolta con leggera indolenza verso l’esterno.
Lavinia fu molto tentata di andarsene in silenzio per non spezzare l’incanto di quello splendido quadro incorniciato dalla vetrata.
Le sembrò quasi di profanare la quiete e la sacralità di un luogo di culto.
Ma, nonostante ciò, si avvicinò ancora e lo chiamò, sussurrandone il nome quasi con devozione.
- Severus…

Edited by Ele Snapey - 28/12/2012, 00:20
 
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view post Posted on 26/12/2012, 16:18
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Troppo bella. Non ce la faccio a trattenere oltre il mio entusiasmo. Mi riservo commenti più approfonditi più avanti, vista la "lotteria" incombente.
Stile perfetto, Severus tuo e...nostro immaginando Alan.
La trama si preannuncia carica di nuvole scure, ma lo specchio fatato mi riconcilia con il mondo.
Brava, brava, brava. Buon anno Ele. Ti meriti il tuo "personale" Severus ai tuoi piedi, magari senza specchi intorno. :D
 
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view post Posted on 26/12/2012, 16:48
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Grazie mille Chia, me troppo felice che la storia ti stia prendendo! :wub: Per ora non è ancora accaduto nulla, ma come hai ben intuito le nuvole preannunciano tempesta ;)
 
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view post Posted on 27/1/2013, 22:31
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L’uomo ebbe un lieve sussulto e si voltò.
Sul volto accigliato, un po’ più pallido del solito, apparve immediatamente un’espressione allarmata; gli occhi dardeggiarono dalla giovane donna che gli stava di fronte, alla porta socchiusa da cui era passata.
- Non… non ti ho sentita entrare, ero… ero convinto fosse chiusa... Io, ero venuto a sistemare alcune cose prima di scendere in camera ad aspettarti. - mormorò nervosamente, tamburellando le dita sulla cattedra che aveva raggiunto con un paio di rapide falcate.
Sembrava quasi che Lavinia l’avesse sorpreso in un territorio che non era il suo, nell’atto di mettere le mani tra cose che non gli appartenevano, e si affrettò a giustificare la propria presenza con una punta di nervosismo.
- Oh, ma... io stavo appunto andando lì. Tu mi avevi detto di raggiungerti dopo cena, e così stavo facendo quando, passando davanti all’aula, ho visto la porta accostata e ho trovato questo un po’ strano… Perciò sono entrata per dare un’occhiata. Scusami, non volevo disturbarti, se devi lavorare ancora ci possiamo vedere più tardi…
- No, non ti preoccupare, rimani pure. Ho alcune cose importanti da dirti, anzi… una cosa, molto importante, e per niente facile. Ma, che ora è? – domandò Severus, soppesando le parole: dopo il primo attimo di smarrimento sembrava aver recuperato il consueto atteggiamento freddo e controllato.
- Credo siano le nove e un quarto. – rispose Lavinia, turbata.
- E’ colpa mia, scusami, non mi sono accorto di come fosse già così tardi. – replicò lui, indugiando a lungo con lo sguardo sull’abbigliamento della donna che, nel frattempo, si era liberata del mantello.
- Non importa, Severus. Che cosa devi dirmi di così importante?
Lavinia sentì crescere la strana sensazione di inquietudine che l’aveva assalita da qualche minuto.
Il volto immobile dell’uomo, alla fioca luce delle candele, le sembrò mortalmente pallido e spento e il persistere del suo silenzio la convinse che ciò che doveva comunicarle non sarebbe stato per nulla piacevole.
– Severus… di qualsiasi cosa si tratti… riguarda zio Albus, vero? Dunque il suo è un male incurabile? – lo incalzò, sempre più preoccupata.
L’uomo si appoggiò con la mano alla scrivania, come a sostenersi, e alzò gli occhi impenetrabili a fissare quelli pieni di angoscia della giovane.
- No, non si tratta di tuo zio, per il momento. Si tratta di noi due.
Lo sguardo di Lavinia si fece pungente.
- Noi due? Ah sì, giusto, dobbiamo riprendere la discussione di questo pomeriggio, interrotta dalla Sprite. Perfetto, dimmi pure, avrei anch’io un paio di chiarimenti da…
- E’ finita, Lavinia…
Severus aveva pronunciato le tre paroline in tono piatto.
Per un attimo lungo un secolo, Lavinia lo fissò trasecolata. Aprì la bocca un paio di volte per ribattere, senza trovare termini adatti, poi finalmente recuperò la voce.
- Scusa? Forse non ho capito esattamente il senso della frase. Finita cosa, Severus?
- La nostra storia. E’ finita. Nel senso che io non voglio più proseguire questa relazione.
Lavinia, fissandolo inebetita, indietreggiò di alcuni passi, come colpita da un violento pugno in pieno viso.
- M-ma che cosa stai dicendo… Stai… stai scherzando, non è vero? – balbettò, smarrita.
Severus fece un rigido cenno negativo con la testa.
I suoi occhi erano diventati due freddi cristalli neri e inaccessibili, e Lavinia perse ogni punto di riferimento.
Si accasciò su una sedia dallo schienale alto e lo guardò a lungo, implorante, sperando che lui tornasse in sé e si avvicinasse per prenderla tra le braccia e sussurrarle che era solo un orribile, tragico scherzo ordito per punirla delle tante, troppe volte in cui, ultimamente, lo aveva fiaccato con le sue lamentele.
- Non… non è possibile… Io, non… non capisco…- farfugliò guardandosi attorno, alla ricerca di un appiglio.
- Speravo te ne fossi accorta. Da un po’ di tempo non provo più alcun sentimento per te e… sì, è colpa mia, me ne rendo perfettamente conto, avrei dovuto dirtelo subito anziché trascinare ancora la storia fino a questo punto ma… Mi dispiace, non posso più continuare a fingere di essere coinvolto in una relazione in cui non credo più, solo per compiacerti.
Le parole, pronunciate in tono asciutto dall’uomo, entrarono come affilate lame di pugnale a farle a fette il cervello.
La giovane strega scattò in piedi, e gli puntò addosso occhi divenuti color dell’acciaio.
- No, non è vero, non può essere: non più tardi di due settimane fa abbiamo fatto l’amore e non mi è affatto sembrato che tu credessi così poco nella nostra relazione! – tagliò corto, aggressiva.
- E’ stato sesso; solo puro, sano, semplice sesso, Lavinia, non dirmi che non te ne sei accorta. Su, avanti, ammettilo che in fin dei conti è piaciuto anche a te. - Sulle labbra del mago apparve un raccapricciante sorrisetto beffardo.
- E comunque, ultimamente, non ho più nemmeno voglia di starti assieme, fisicamente, intendo. Presumo te ne sia resa conto, dal momento che continui a lamentarti di come io non riesca a trovare nemmeno uno straccio di minuto da trascorrere con te. – Severus avanzò, pigramente, di qualche passo verso di lei, sostenendo con fermezza il suo sguardo allibito e disperato allo stesso tempo.
Lavinia a quel punto reagì; allungò le mani afferrando i lembi del mantello sul petto dell’uomo e lo obbligò ad abbassarsi leggermente, avvicinando il proprio viso al suo.
- Ma che cosa diavolo stai dicendo, eh? Io non ti credo… Non ti credo, Severus! E se anche lo fosse, dimmi… dimmelo che cosa è successo così, all’improvviso, perché l’eterno amore che mi hai sempre giurato possa essere andato a farsi fottere tanto velocemente e inspiegabilmente?
L’uomo impiegò qualche secondo nel trovare le parole giuste per rispondere.
- Lavinia, gli amori e le passioni mutano, si trasformano, vanno e vengono. Non puoi obbligare le persone e i loro sentimenti a rimanere inalterati per l’eternità. – sibilò, sardonico, afferrandole con decisione i polsi per staccarla da sé. Si raddrizzò, maestoso, in tutta l’altezza, riaggiustando le pieghe del mantello con affettazione e tornò a sfidarla con iridi cupe e impenetrabili.
Lavinia si affrettò a blandirlo, per cercare di recuperare la situazione.
- Ok, va bene, va bene, hai ragione ma allora ti dirò come la penso io: ecco, vedi, io sono sicura che c’entri ancora quel qualcosa che non mi hai mai voluto rivelare da che hai parlato con zio Albus. Ne sono certa e non continuare a mentirmi, Severus, tu mi hai nascosto e continui a nascondermi qualcosa… - esclamò precipitosamente, ghermendogli il braccio. - E’ così, non è vero, amor mio, non è vero? Lo sapevo, è così, ecco vedi? Ho centrato il punto, dimmi che è così e io sarò disposta ad accettare qualsiasi cosa, anche di starti lontana per tutto il tempo necessario perché si sistemino le cose, anche un anno, anche due. Lo capirei sai? Ti supplico, dimmi che è così ma non che non provi più nulla per me. Non respingermi, non allontanarmi!
- Per tutti i Gargoyle, che diamine, Lavinia, risparmiami questa sceneggiata: un po’ di dignità, per cortesia! – replicò gelido l’uomo, interrompendola con una annoiata smorfia di disgusto.
La giovane donna arretrò di un passo, come ancora percossa da un brutale manrovescio, ma non si diede per vinta.
- E i nostri sogni? Tutti i nostri progetti? Tutto quello per cui abbiamo sofferto e combattuto fino ad ora? Non puoi cancellare tutto! No, non è possibile... io non posso rinunciare al nostro futuro, a tutto ciò su cui abbiamo fantasticato per giorni, mesi e anni! Ti prego, dimmi che cosa devo fare per farti cambiare idea; farò qualsiasi cosa, te lo giuro, ma non allontanarmi da te, non lasciarmi, non farmi questo, Severus, o così mi uccidi. – continuò freneticamente, ignorando il gesto brusco con cui lui si liberava ancora dalla sua stretta.
- Non puoi fare nulla se non accettare il fatto che le cose non stanno più come prima. Non puoi pretendere sempre che ogni cosa ti sia dovuta, o che tu possa ottenerla ad ogni costo, come una qualsiasi, sciocca ragazzina viziata. Sei una donna adulta, intelligente e perfino razionale quando vuoi, comportati come tale, ecco che cosa puoi fare per me!
- Severus… ti supplico…
- La realtà è che io non ti amo più, Lavinia… Non. Ti. Amo. Più… E’ chiaro, adesso? - ribadì il mago, duramente, trafiggendola con uno sguardo polare.
Lavinia, dopo l’ennesimo attimo di totale smarrimento, scattò in avanti d’istinto, iniziando a tempestare di pugni carichi di rabbia e disperazione le braccia e il petto di Severus, che spalancò gli occhi, colto di sorpresa.
- Non è vero! Tu… tu… tu non puoi gettarmi via come un oggetto inutile, non puoi liberarti di me così! Vigliacco, egoista, bastardo senza cuore!
L’uomo reagì, afferrandole di nuovo i polsi con forza, e la immobilizzò.
- Non-permetterti-mai-più-di-mettermi-le-mani-addosso… Intesi?
La bocca di Severus si era ridotta ad un taglio sottile, mentre lo sguardo scintillava, carico di furia repressa.
Si fissarono in silenzio per un lasso di tempo che sembrò lunghissimo, fino a quando gli occhi della ragazza, sgranati in faccia all’uomo, si riempirono finalmente di lacrime.
Si sentì completamente sconvolta, svuotata e incredula davanti a ciò che stava accadendo; di fronte a lei non c’era più l’uomo che credeva di conoscere profondamente e che aveva amato con tutta l’anima fino a poche ore prima, ma un’altra persona, uno sconosciuto privo di qualsiasi sentimento umano, un estraneo con le sembianze di Severus che la stava freddamente facendo a pezzi senza la minima pietà.
Dopo qualche secondo infinito, il mago la lasciò lentamente, voltandosi verso la vetrata e, così facendo, le diede di nuovo le spalle.
Lavinia tornò ad abbattersi sulla sedia, come una bambola di stracci, incapace di trattenere oltre il pianto.
Severus chiuse gli occhi e ghermì i bordi dello schienale di una delle poltroncine davanti alla scrivania.
- Io non ce la faccio… Non ce la faccio… Io non posso vivere senza di te… Non posso…
La udiva gemere, tra un singhiozzo e l’altro. Strinse con più forza lo schienale, fino a fermare la circolazione e a farsi venire le nocche bianche, un gemito impercettibile gli sfuggì dalla bocca appena socchiusa.
Serrò ancora le palpebre e si morse il labbro a sangue, avvertendo a sua volta, con angoscia, l’affiorare inevitabile delle lacrime.
Era come se una mano feroce gli fosse entrata in petto a strappargli il cuore.
Basta, basta per carità, che qualcuno ponesse fine a quel supplizio, il suo stesso supplizio.
Come e quanto ancora sarebbe riuscito a sopportare quella tortura, a reggere lo strazio della donna che amava?
In quell’insopportabile istante avrebbe voluto solo premersi forte le mani sulle orecchie per non sentire più nulla; invece era costretto a stare fermo lì, forte, crudele e immune da qualsiasi debolezza.
Non poteva voltarsi, correre da lei per stringerla forte tra le braccia e cullarla; non poteva chiederle perdono per tutto il male che le stava arrecando, assicurandole che non avrebbe mai e poi mai smesso di amarla, nemmeno per un secondo, e non poteva neanche fuggire da quell’aula maledetta, lontano da quel pianto lancinante.
Severus non poteva, e basta.
Attese in silenzio, per un tempo che gli sembrò eterno e permise a due lacrime di traboccare e percorrere lentamente il volto, fino ad andare a morire sul candido colletto della camicia.
Dopo alcuni minuti il pianto disperato di Lavinia si calmò, scemando in una serie di ostinati singulti.
Severus decise che poteva di nuovo voltarsi per fronteggiarla.
Il volto della ragazza era congestionato, gli occhi gonfi e rossi abbassati a fissare un punto imprecisato del pavimento, l’espressione profondamente abbattuta.
Provò una morsa tale al petto che gli fu quasi impossibile continuare a respirare.
Nonostante ciò, le si avvicinò flemmatico quel tanto che gli permise di allungarle un fazzoletto.
– Spero che la crisi sia servita a scaricare la tensione. – mormorò, sforzandosi di mantenere un tono neutrale.
Lavinia alzò lo sguardo colmo di sconforto senza dire una parola e lo fissò. Poi si levò stancamente dalla sedia.
- Sono dunque queste le ultime cose che hai da dirmi, Severus? – chiese con inflessione talmente debole e affaticata che l’uomo faticò quasi a udirla.
- Sì. E’ tutto, Lavinia. Mi dispiace che tu l’abbia presa così. – ribadì con studiata lentezza, socchiudendo gli occhi.
- Ti dispiace che io l’abbia presa… così?!
Sul volto della donna allora si dipinse, nonostante il dolore devastante, un’espressione di incredulità.
- Severus... io non so più chi tu sia, o forse non l’ho mai realmente saputo. Credevo di conoscere ed amare un uomo e adesso mi ritrovo davanti uno sconosciuto. Una persona completamente diversa dall'uomo ricco di umanità, passioni e sentimenti a cui avevo affidato i miei progetti, i miei sogni, il mio futuro… tutta la mia vita! Vorrei che tu potessi provare anche solo per un attimo ciò che sto passando in questo istante, perché sono sicura di come tu, per primo, rabbrividiresti di disgusto davanti al freddo calcolatore che ho davanti... uno che non esita a disfarsi di ciò che non rientra più nei suoi piani. Mi fai paura. Chi sei, davvero? Un uomo che, pur conoscendo l’entità e la profondità dei sentimenti della donna che lo ha sempre amato, dopo averla liquidata senza pensarci troppo, ha anche il coraggio di dire che gli dispiace, ed è stupito di come l’abbia presa, è un uomo senz’anima. Che cosa avrei dovuto fare, secondo te? Uscire di qui canticchiando un motivo delle sorelle Stravagarie? Tu mi hai distrutto, Severus. Come vedi non uso mezzi termini. Mi hai fatto a pezzi, mi hai portato via l’anima, l’hai fatta a brandelli e ci hai passeggiato sopra senza la minima considerazione, senza remore, senza rispetto. Anzi, hai anche avuto il coraggio di invitarmi, infastidito, ad avere un po’ di decenza nell'esternare il mio dolore. Hai ragione, ti accontento subito: con tutta la dignità che mi rimane ti annuncio che, da questo istante, per me non esisti e non esisterai più, Severus. Per me, da ora, è come se tu fossi morto! Addio, e scusa il disturbo.
Il mago sostenne imperturbabile lo sguardo carico di infelicità della giovane donna, ma fu solo per una frazione di secondo.
Era chiaro di come avesse parlato spinta dal dolore, ma non riuscì a mantenersi più così impassibile di fronte alla dichiarazione estremamente dura, e ai suoi occhi, divenuti freddi e trasparenti come il ghiaccio.
Mosse qualche passo verso il centro del locale per nascondersi nella penombra: doveva impedirle di veder passare nelle iridi nere in tempesta l’evidente turbamento che lo aveva assalito.
Lavinia, intanto, aveva raccolto il proprio mantello, e si stava avviando con passo incerto verso la porta.
Le si avvicinò, rigido e impettito.
- Che cosa farai, adesso? – la domanda gli era uscita suo malgrado, prima di riuscire a trattenerla.
- Non credo ti riguardi e, soprattutto, ti importi più, ormai. Da questo momento, ciò che farò sarà solo ed esclusivamente un problema mio. - rispose con voce atona, e gli voltò le spalle. Poi aprì decisa il battente e vi sparì oltre, senza girarsi.
Non appena la porta si fu richiusa con forza, Severus rimase ad osservare impietrito il punto in cui era scomparsa; portò la mano davanti agli occhi e crollò a sedere sulla stessa poltrona, di fronte alla scrivania, di cui aveva tormentato poco prima lo schienale.
Appoggiò il gomito allo scrittoio e stette così per un tempo infinito, con la mano premuta sugli occhi e l’altra abbandonata in grembo, tormentato dal ronzio assordante che il pesante silenzio, calato subito dopo che Lavinia aveva sbattuto la porta dietro di sé, aveva lasciato.
In testa il vuoto totale e nell’animo spezzato, ancora una volta, solo il desiderio di non esistere più.

§§§§§§§§§§§


Appena fuori dallo studio, Lavinia cercò di muovere qualche passo lungo il corridoio.
Non sapeva di preciso che direzione prendere, aveva la vista appannata e ad un tratto non percepì più nulla.
Intuiva vagamente che avrebbero dovuto esserci ancora bracieri e armature a ridosso delle pareti, e che ad un certo punto iniziava la serie di finestre a bifora che guardavano sul piccolo cortile ovest. Di fronte poi esisteva, forse, un angolo a gomito e una porta che immetteva sulle scale che portavano ai piani superiori, ma non vedeva nulla di tutto ciò.
La testa ottenebrata da una sorta di nebbia in cui si accendeva unicamente una scritta intermittente a caratteri cubitali: Non mi ama più, è finita… Non mi ama più… Non mi ama più…
Mosse qualche passo vacillante verso quella che le pareva la direzione giusta, con lo sguardo immobile, fisso davanti a sé.
Era bastata poco meno di mezz’ora perchè ogni traccia, anche minima, di felicità, fosse spazzata via dall’uragano che si era appena abbattuto sulla propria esistenza.
Meno di trenta minuti, per ritrovarsi improvvisamente all’inferno.
Tre anni trascorsi a costruire pazientemente un rapporto che aveva fermamente creduto indistruttibile, annientati in neanche milleottocento secondi.
Di una sola cosa ormai aveva certezza: in tutta la vita non le era mai capitato di soffrire così intensamente, e il problema era che non aveva mai nemmeno messo in conto potesse accadere una cosa del genere.
D’altronde non avrebbe potuto essere diversamente: lo aveva amato in modo totale, anima e corpo, era più che normale che adesso si sentisse completamente devastata, dentro e fuori.
Forse stava sognando.
Forse l’incubo ricorrente, che faceva da un paio di anni a quella parte, si era trasformato.
Per una frazione di secondo sperò in modo assurdo che fosse così e arrivò quasi a convincersi che si sarebbe svegliata all’istante in un letto confortevole, con lui accanto.
Ma si rese conto, lo stesso momento in cui il desiderio prendeva forma, di essere assolutamente sveglia e di stare vivendo in diretta una terribile realtà.
Fortunatamente non incontrò nessuno sul percorso.
Sarebbe stato oltremodo spiacevole dover giustificare a chicchessia lo stato pietoso in cui versava.
Ipotizzò per un attimo di andare subito a raccontare tutto a zio Albus – ah, se Remus fosse stato lì… – che forse l’avrebbe aiutata, convincendo Severus a ripensarci.
Poi si diede della mentecatta, anche solo per aver formulato un'ipotesi del genere: se anche lo zio fosse riuscito nell’intento, che cosa sarebbe stato vivere con un uomo che rimaneva accanto a lei solo perché costretto a farlo?
Le gambe cedettero all’idea di ciò che sarebbe stata la vita da quel giorno in poi.
Non ce l’avrebbe mai fatta ad affrontarla, senza di lui.
Severus, in fin dei conti, poteva aver ragione sul fatto che non fosse ancora così matura per riuscire ad affrontare rinunce importanti e dolorose, ma il discorso le pareva ben diverso in questo caso, dal momento che si trattava di dover rinunciare a tutto!
Arrivò quasi in trance davanti alla porta della propria camera.
Entrò e lasciò scivolare a terra il mantello, rivelando quel vestito tanto sexy che lasciava scoperte schiena e gambe, e che non era servito a nulla.
Lo Specchio delle Brame sembrava profondamente addormentato. Facendo molta attenzione a non fare rumore per non svegliarlo, si diresse verso il letto, al buio, e vi si buttò sopra rimanendovi come un mucchio di stracci logori, gettato lì da una mano noncurante.
Rimase così tutta la notte, alternando pause di sonno agitato e senza sogni a momenti in cui si svegliava piangendo; gli occhi erano gonfi e dolenti e la testa pulsava in modo insopportabile ma questo non le impedì di continuare a soffocare i singhiozzi nel cuscino, per non farsi udire dallo specchio.
Arrivò l’alba e la vide sorgere; incapace di riprendere sonno, si alzò e andò alle finestre a bifora rivolte sul cortile principale, piacevolmente immerso nella lieve bruma del primo mattino.
Rabbrividì per il freddo. Anche le fiamme nel caminetto si erano spente.
Si concentrò brevemente sui ciocchi silenziosi e nel buio guizzò una vampa vivace, seguita da altre allegre lingue di fuoco che ben presto riscaldarono di nuovo l’ambiente.
Sospirò e si guardò attorno, riflettendo su come in quegli anni fosse riuscita a domare l’istinto distruttivo che la prendeva quando era emotivamente sotto pressione.
Ormai non le capitava più di perdere il controllo della Forza Mentale che l’aveva sempre portata, in passato, a distruggere qualsiasi cosa capitasse a tiro, con il rischio di far del male seriamente a se stessa o agli altri.
Anche questo era un importante risultato conquistato grazie a Severus che, pazientemente, le aveva insegnato a gestire la mente.
Se così non fosse stato, la sua stanza dopo quella notte sarebbe stata ridotta a un cumulo di macerie.
Sorrise amaramente tra sé: Severus l’aveva fatta crescere e forgiata, rendendola una donna più matura e cosciente. Adesso, lui l’aveva distrutta.
Scorse il mattiniero professor Vitious attraversare il cortile a passettini veloci diretto verso il proprio ufficio sulla Torre Ovest, mentre Gazza iniziava le faccende giornaliere, tallonato da Mrs.Purr.
Allora decise di muoversi; andò in bagno, si guardò nello specchio sopra il lavandino e vide riflesso il proprio volto tumefatto e stravolto, quasi irriconoscibile, torturato da una notte allucinante trascorsa a consumare tutte le lacrime che aveva in corpo.
Si sciacquò il viso, lentamente, priva di forze e trovò sollievo momentaneo nella carezza fresca dell’acqua sulla pelle.
Ovviamente era impensabile scendere in Sala Grande per colazione e, successivamente, tenere le lezioni in quello stato.
Considerò che avrebbe dovuto subito avvertire zia Minerva, in modo di permetterle di trovare per tempo un supplente.
Legò alla zampetta del proprio gufo un breve messaggio indirizzato alla Vicepreside in cui si scusava per l’improvvisa assenza, ma stava davvero male e quindi sarebbe rimasta a letto tutto il giorno.
Poi, dopo aver liberato Andrew con la missiva, decise di prendere un filtro per il mal di testa, si tolse l’abito sgualcito e si cacciò sotto le coperte, risoluta a sparire almeno per quel giorno dalla faccia della terra.
 
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view post Posted on 28/1/2013, 08:50
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Mentre leggevo questo stupendo capitolo si è formulata nella mia mente una parola a caratteri cubitali e lampeggiante: straziante. Ogni gesto, parola, sguardo è straziante.
Lavinia scossa dalla tempesta che si è abbattuta su di lei è incredula: sta testando forse per la prima volta su di sè la capacità di Severus di indossare l'impenetrabile maschera che lo distrugge e nasconde con maestria ogni emozione, ogni dolore. Ma Severus è vivo dietro quella cortina, dietro quell'orribile muro ci sono i suoi sentimenti, e due lacrime che valgono per mille. Lavinia esterna tutto il dolore e la delusione si sfoga pregando, piangendo, implorando. Severus no, impersona l'uomo di ghiaccio, il mostro senz'anima: quanto gli costa? Quanto può costare uno sforzo emotivo del genere: Severus non poteva e basta , questa frase mi ha scavato dentro mi ha devastato. Volere, anzi, avere l'amore e allontanarlo volontariamente e con determinazione è disumano. Sì, perchè non è umanamente accettabile e comprensibile una tale forza d'animo.
Questo Severus il tuo Severus è qui un gigante, un eroe nel vero senso della parola e non mi stupisce, consapevole della tua abilità, che tu riesca a passare dai toni leggeri a questa introspezione drammatica e devastante che sai esporre chiaramente al lettore, commosso e deliziato dalla tua prosa.
Questa storia sei tu, ti rappresenta è il coronamento di tutti i raconti che hai scritto fino ad ora, è matura e introspettiva: è perfetta. Alla fine del capitolo resta un senso di tristezza infinita che hai creato in un crescendo continuo lungo tutto il racconto. Mi resta nel cuore anche quell'ultima immagine di Severus con la mano sugli occhi, distrutto ancora una volta da se stesso:In testa il vuoto totale e nell’animo spezzato, ancora una volta, solo il desiderio di non esistere più

Complimenti! Attendo l'aggiornamento.
Un abbraccio forte.

Edited by chiara53 - 28/1/2013, 17:30
 
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view post Posted on 30/1/2013, 00:11
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Grazie infinite, Chiara, per il commento che ho apprezzato tantissimo, perchè giunge da parte di chi ama Severus tanto quanto lo amo io, e quindi è in grado di valutarne a pieno la statura. ;) E' vero, questo Severus è un gigante, un eroe, un Uomo autentico (lo dico sempre che è un gradino sopra tutto e tutti) ma non perchè io lo abbia reso così: Severus è realmente una figura immensa, lo sappiamo benissimo, ed è lui ad offrire sempre per primo lo spunto che permette invariabilmente (e non solo a me, ma a tutte noi) di riuscire a descriverlo come tale, proprio per come è fatto. :P
Le tue parole sono bellissime, e mi hanno fatto enorme piacere: grazie ancora per l'attenzione che hai riservato fino a questo momento alla storia che spero vivamente possa continuare a coinvolgerti anche più avanti. Ti abbraccio forte anch'io :wub:
 
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view post Posted on 24/2/2013, 22:36
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- Severus… Severus!
L’uomo alzò lo sguardo al richiamo insistente della professoressa McGranitt che stava scendendo velocemente le scale di fronte alla Sala Grande.
- Severus, devo chiederti una cortesia. – disse la Vicepreside, avvicinandosi trafelata.
La scrutò con aria interrogativa, attendendo che lo raggiungesse.
- Le tue prime due ore, stamattina, sono libere e… oh santo cielo, ma che aria sciupata hai, oggi: sembra proprio che tu non abbia dormito! – esclamò Minerva quando fu a tiro e l’ebbe guardato bene in faccia.
Lui scosse brevemente il capo, come a scacciare un pensiero fastidioso.
- Sì, forse stanotte ho dormito poco… capita… Dicevi, Minerva?– tagliò corto, fissandola con espressione impenetrabile.
- Oh... ehm… Si, dunque, ti volevo chiedere se potresti farmi il favore di sostituire Lavinia le prime due ore con il secondo anno di Serpeverde e Tassorosso, e il quarto di Grifondoro e Corvonero! Mi è appena arrivato un messaggio da parte sua… dice che non sta affatto bene, perciò non se la sente di tenere lezione, oggi. Ne sai qualcosa? – replicò la donna, osservandolo un po’ preoccupata.
Severus si irrigidì in modo impercettibile.
- No, non ne so niente, mi dispiace. Stanotte ognuno è rimasto nelle rispettive camere, se è questo che vuoi sapere. - l’angolo sinistro della sua bocca scattò verso l’alto, nel tentativo di abbozzare un sorrisetto di circostanza, mentre la professoressa McGranitt continuava a studiarlo, poco convinta.
- Comunque, a parte ciò… d’accordo, Minerva, farò io supplenza per le prime due ore. – aggiunse, evitando le sue occhiate insistenti.
- Grazie, Severus. Poi penserò io a coprire le due ore successive. Ti lascio subito libero, immagino vorrai andare da lei prima di iniziare le lezioni. Buona giornata. Ah, e… dille che probabilmente nel pomeriggio passerò anch’io, per vedere come sta. – concluse la professoressa, allontanandosi svelta per le scale che scendevano, portando all’ingresso.
Severus la seguì con sguardo pensieroso fino a che non la vide scomparire nell’androne.
La McGranitt aveva considerato giusto; quella notte non aveva chiuso occhio, e il suo aspetto doveva essere davvero orribile a giudicare da ciò che aveva visto riflesso nello specchio, prima di infilarsi sotto la doccia.
L’idea, poi, che Lavinia stesse così male da non aver nemmeno la forza di uscire dalla propria camera lo demolì definitivamente.
Il bisogno di vederla e di sapere come stava divenne impellente, ma sapeva che non avrebbe più potuto, per nessuna ragione, correre da lei.
Si stava delineando, con spaventosa precisione, il folle disegno a cui erano state poste le basi solo qualche settimana prima. Quello era solo l’inizio e lui, ora, non aveva più il potere di modificarne le linee.
Salì lentamente gli scalini che l’avrebbero portato al secondo piano.
Doveva passare in Sala Professori a prendere i registri di classe, quindi si trascinò fino all’entrata del locale come un automa privo di volontà, giungendovi per forza d’inerzia, senza nemmeno accorgersene.
Una volta entrato, scoprì purtroppo di non essere solo. Lumacorno e la Vector gli rivolsero un ampio sorriso a cui rispose con un breve cenno di capo e un’occhiata raggelante: non aveva alcuna voglia di aprire bocca, e questo era il tipo di messaggio non verbale che si era dimostrato, da sempre, estremamente eloquente. I due colleghi si guardarono bene dall’attaccare conversazione e, con un altro timido cenno di capo, si accinsero a lasciare la sala.
Severus scartabellò nervosamente nell’armadio alla ricerca del registro di classe di Lavinia, grato alla perspicacia di Lumacorno e Vector: ci mancava solo di dover subire anche i commenti di Horace riguardo lo spaventoso aspetto che aveva quella mattina!
Finalmente trovò quello che cercava; stava per andarsene, quando un foglietto scivolò fuori dal registro andando a posarsi dolcemente sulla consolle accanto all’armadio.
Lo raccolse, incuriosito, e vide che recava un disegno, accanto a cui era stata aggiunta una scritta in stampatello.
Lo schizzo ad inchiostro nero non era altro che un piccolo disegno che lo ritraeva, abbozzato velocemente ma assai somigliante, e le parole erano quelle di una canzone d’amore babbana che Lavinia amava in modo particolare e ascoltava frequentemente, tanto delicata e dolce quanto intensa e appassionata.

* “… Vorrei essere l’acqua della doccia che fai, le lenzuola del letto dove dormirai…

"… Debbo parlarti come non faccio mai, voglio sognarti come non ti sogno mai, essere l’anello che porterai, la spiaggia dove camminerai, lo specchio che ti guarda se lo guarderai…"

"… Vorrei essere la tomba quando morirai e dove abiterai, il cielo sotto il quale dormirai, così non ci lasceremo mai, neanche se muoio e lo sai…"

"...Tu, tu non mi basti mai… davvero non mi basti mai
Tu, tu dolce terra mia, dove non sono stata mai… “


Lesse a mezza voce il testo riportato sul biglietto.
Conosceva già quelle parole, perché Lavinia gliele aveva cantate spesso, asserendo ogni volta che sembrava scritta apposta perché lei potesse dedicargliela.
Severus, davanti alla sua aria seria e convinta, sorrideva divertito e intenerito al tempo stesso; era solita scrivergli lettere deliziose in cui gli rinnovava il proprio sentimento o, altrimenti, gli lasciava bigliettini nei posti più impensati, traboccanti di amore, gioia ed entusiasmo, tanto che lui ne aveva quasi fatto l’abitudine.
Quel piccolo pensiero sfuggito alle pagine del registro, però, ebbe il potere di impietrirlo.
Lo rimirò a lungo, con il cuore stretto in una morsa dolorosa. In quel disegno e nelle parole della canzone erano racchiusi l’amore infinito che Lavinia provava per lui: prima del benservito, ovviamente.
Cercando di liberarsi dal soffocante senso di oppressione al petto, infilò istintivamente il biglietto nella tasca interna del mantello.
Poi ci rifletté: se Lavinia non l’avesse più trovato nel registro, avrebbe potuto sospettare di lui e… un uomo che non è più innamorato di una donna, non ne conserva i messaggi amorosi!
Lo ripose di nuovo tra le pagine.
Infine cambiò idea di nuovo: che andassero tutti all’inferno! Quello era l’ultimo ricordo di una storia che gli aveva regalato i giorni più belli, luminosi e importanti di tutta una vita: era suo di diritto, nessuno avrebbe potuto chiedergli di rinunciare a quella esclusiva, piccola prova di come anche lui un tempo fosse stato incredibilmente felice.
Lo rimise con cura nel taschino e uscì dalla sala, avviandosi con il solito passo lungo e morbido verso l’aula di Levitazione e Spostamento degli Oggetti con la sola Forza della Mente.
Prese posto alla cattedra, in attesa che arrivassero gli studenti. Aprì il registro alla pagina corrispondente al secondo anno di Serpeverde e Tassorosso e fece scorrere lo sguardo sui nomi riportati, senza in realtà vederli.
Si sentiva terribilmente stanco; appoggiò la fronte alle mani intrecciate davanti al volto.
Non si accorse di come fosse entrata la prima studentessa, se non fino a quando la ragazzina non fece rumore spostando la sedia dal proprio banco.
Alzò la testa e le dedicò uno sguardo polare, notando come lo stesse osservando con occhi sgranati.
- Mi scusi, professore, ma… non avrebbe dovuto esserci lezione di Levitazione, stamattina? – chiese con un filo di voce.
- Certo, signorina Griffith. Avrebbe dovuto. Ma oggi la professoressa O’Connor non si sente bene e, quindi, sarò io a sostituirla. – le rispose, tagliente.
Attese che finissero di entrare in classe anche gli altri compagni di corso, poi proseguì.
- Ne approfitteremo per fare un bel compito in classe a sondaggio delle conoscenze che avete acquisito in generale, fino a questo momento, riguardo i poteri della mente.
Un sordo brontolio di disapprovazione accompagnò l’annuncio dell’insegnante, a cui però bastò una delle leggendarie occhiate per riportare l’assoluto silenzio in classe.
I ragazzi capirono al volo che quella non era proprio giornata, a giudicare dall’aria particolarmente torva che aveva il professor Piton, e si rassegnarono ad eseguire il compito che aveva appena assegnato, senza osare nemmeno più respirare.

§§§§§§§§§§§



Un discreto tocco alla porta riscosse Lavinia dallo stato di torpore in cui era caduta di nuovo.
Aprì gli occhi e notò come la luce che entrava dalle finestre si fosse ormai affievolita.
Sembrava pomeriggio molto inoltrato. Ma quanto aveva dormito? E che ore erano?
Il lieve colpo all’uscio si ripeté.
Volse appena la testa verso l’entrata: non aveva assolutamente alcuna voglia di vedere nessuno. Decise di fingere di essere ancora addormentata, e quindi di non aver sentito.
Si rigirò fiaccamente, trovandosi a guardare la parete a cui era appeso lo Specchio; pensò a come fosse strano che non avesse ancora reagito al suo prolungato stato di incoscienza.
Lo osservò, attraverso le palpebre gonfie e gli parve inanimato, come spento anche lui. Meglio così: aveva ancora meno voglia di rendere conto a lui dell’accaduto.
La persona al di là del battente pareva non volersi arrendere e bussò di nuovo, stavolta più risolutamente.
- Lavinia! Lavinia sono io. Sono venuta a vedere come stai e se hai bisogno di qualcosa, apri per cortesia.
Riconobbe la voce di Minerva McGranitt, da cui traspariva una chiara nota apprensiva.
- Sì, ciao zia… Sto… sto meglio, non ti preoccupare. E’ che ho un gran mal di testa adesso. Ti dispiace se non ti faccio entrare? Ho preso qualcosa per farmelo passare e ho solo bisogno di dormire. Ci vediamo domani, magari, grazie per essere passata a trovarmi.
Tanto il giorno dopo era sabato, e non ci sarebbero state lezioni per tutto il week end, così avrebbe potuto permettersi di stare altri due giorni chiusa in camera con la scusa dell’indisposizione.
Un prolungato silenzio accolse la sua risposta.
Era sempre dietro alla porta o se n’era andata?
Lavinia si rizzò a sedere, faticosamente, e tese l’orecchio per cercare di capire se la professoressa McGranitt fosse ancora in attesa nel corridoio.
All’improvviso la porta si aprì, dolcemente, e la anziana strega entrò con passo leggero, senza esitazioni, con l’espressione di chi è determinato a non lasciarsi scoraggiare.
- Avanti cara, a me puoi raccontare che cosa è successo veramente! – esordì, decisa.
Lavinia tornò ad abbattersi sul cuscino, sospirando.
- Che cosa dovrebbe essere successo zia, al di fuori del fatto che sto male?
- Lavinia se c’è una cosa che non ti manca è la salute, e il tuo malessere ha tutta l’aria di avere qualche altra derivazione. Coraggio, sai che è difficile darmi a bere le bugie.
Zia Minerva era un osso duro quando ci si metteva.
Lavinia, rassegnata, chiuse gli occhi e sentì la presenza sollecita della donna che intanto si era posizionata accanto al letto.
- Oh cielo, bambina! Hai l’aria sfatta. Ma che cosa ti è accaduto? – gemette, posandole una mano sulla fronte per assicurarsi che non avesse la febbre alta.
Lavinia a quel punto capì di non avere altra scelta, se non che quella di metterla al corrente di ciò che era capitato il giorno prima. Sarebbe stato inutile e controproducente girare attorno all’argomento, tanto più che prima o poi avrebbe dovuto darne l’annuncio: non poteva mica rimanere barricata in camera per tutto il resto della vita!
- Nulla di grave, tranquilla zia, è solo successo che... Severus mi ha lasciata. – disse brevemente, in modo asciutto, quasi che la cosa non la riguardasse.
La McGranitt sussultò, come toccata da una scossa elettrica; passarono parecchi secondi prima che riuscisse a ritrovare la voce.
- Ma… ma no, non è possibile! Lui ti ama… indubbiamente… voi vi amate! Non posso credere a una cosa del genere! – balbettò, incredula.
- E invece è proprio il contrario, a quanto pare: mi ha detto che non mi ama più e che non intende continuare a trascinare una storia che gli sta stretta già da qualche tempo. – replicò la ragazza, in tono sfinito.
- Ma come è potuto accadere? – mormorò di nuovo Minerva, guardando afflitta la giovane donna accasciata nel letto.
- Non lo so, zia. Se solo lo avessi saputo, avrei naturalmente fatto di tutto per evitarlo. – rispose Lavinia, stanca di dire cose ovvie.
La professoressa rimase in silenzio assorto per alcuni secondi, persa in profonde riflessioni.
- Adesso mi spiego l’aria sciupata che aveva Severus questa mattina. Era come se avesse trascorso la notte in bianco. Anche per lui la decisione deve essere stata molto sofferta. – osservò lentamente, quasi tra sé, lasciando vagare lo sguardo lontano.
- Oh certo: soffertissima. Avresti dovuto essere lì anche tu, ieri sera, per vedere come fosse sofferente mentre mi scaricava. – replicò la giovane, con voce tremante, fissando gli occhi gonfi di lacrime versate in quelli colmi di comprensione della professoressa.
- Posso solo immaginare quale tormento tu stia passando, bambina cara: purtroppo non ci sono rimedi efficaci per lenire ferite come queste. Solo il tempo potrà guarirle; l’unica cosa che vorrei poterti assicurare è di dimenticare presto, per riuscire a rifarti una vita con chi ti merita davvero...
- Io non voglio un altro uomo accanto a me, zia! Io voglio lui! Lui e soltanto lui! - la interruppe l’altra rabbiosa, sull’orlo di un nuovo pianto disperato.
- Maledizione… – continuò, esasperata. - L’ho amato da morire, e lo amo ancora adesso. Non riesco… Non riesco a smettere di amarlo nonostante tutto, e al tempo stesso lo odio per ciò che mi ha fatto e che mi sta facendo passare. Sapessi quanto sto male. Sto tanto male, tanto da impazzire. – singhiozzò, nascondendo il viso tra le mani.
Minerva, turbata, le si avvicinò subito abbracciandola stretta e aspettò paziente che la crisi si esaurisse.
- Su, su cara, non fare così, calmati ora o ti ammalerai sul serio: non è meglio cominciare a pensare ad una soluzione concreta? – suggerì, dolcemente.
- Non vedo soluzioni a una situazione così compromessa. Avresti dovuto vedere il suo sguardo, zia: non c’era più traccia di qualsiasi ripensamento, sentimento o comprensione intanto che mi diceva di non volerne più sapere di me. Non era più lui, non era più il Severus di cui mi sono innamorata. E’ stato terribile! – replicò la giovane strega, sgomenta.
Minerva sospirò, incapace di trovare un argomento valido ad arginare tanta disperazione.
- Forse… forse se provi a riparlarne con lui, fra qualche giorno. Magari ieri sera ha preso una decisione troppo affrettata e ora la sta già riconsiderando o, chissà, oggi si è accorto che non è poi così definitiva e si è pentito di averti detto, troppo impulsivamente, cose che in fondo in fondo non pensa davvero. – azzardò la professoressa.
- Zia, per favore, non cercare scuse assurde per tentare di consolarmi. Lo conosci perfettamente anche tu: sai benissimo che Severus non agisce mai di impulso, quando si tratta di prendere decisioni importanti. Chissà da quanto tempo rifletteva su come liberarsi dell’impiccio.
- Eppure mi è sempre sembrato molto preso da te, coinvolto nella vostra storia. Io non riesco proprio a capire. – obiettò la professoressa.
- Avrà finto. Ora so che può esserne stato capace. Dopo ieri sera, credo possa essere capace di qualsiasi cosa. – mormorò Lavinia, pensando sbigottita a come, per tre anni, avesse amato e creduto ciecamente in un uomo che, adesso, non sapeva più davvero chi fosse.
- Ma per quale motivo fingere? No, questa teoria mi sembra insensata. Piuttosto dovrai informare al più presto anche tuo zio. Se ne dispiacerà senz’altro moltissimo. – constatò Minerva, preoccupata, riportandola bruscamente alla realtà.
- Già, povero zio Albus. Non ha fatto altro che ripetermi di come Severus fosse l’uomo giusto per me, la mia perfetta “altra metà”, e bla, bla, bla... Era straordinariamente felice per noi. Credo che questo sarà un bel colpo anche per lui. – commentò Lavinia, abbozzando un mezzo sorriso ancora più amaro.
- Ora però pensa a risollevarti, cara. Non puoi andare avanti così, e dovrai uscire da questa camera, prima o poi. O hai intenzione di rimanerci all’infinito a morire di dolore, di fame e di sete per un uomo che, se è vero ciò che mi hai detto, non merita che tu soffra in questo modo un minuto di più? – cercò di scuoterla Minerva, facendo apparire sulla scrivania un vassoio con un piatto carico di brioche calde al cioccolato e una tazza di thè fumante.
- Sì, va bene zia, ma non adesso. Non ho fame, porta via quel vassoio. – mugolò la giovane donna, ricacciandosi sotto le coperte.
- Su avanti, non fare storie, sforzati di bere un po’ di thè. Ti consiglio di assaggiare le brioche, sono squisite. Mandare giù qualcosa di dolce e appetitoso ti farà bene. – la redarguì Minerva, ravvivando le fiamme nel caminetto.
- Poi ti alzerai e farai una bella doccia. Capisco benissimo come tu non abbia voglia di scendere in Sala Grande per cena, ma non ti preoccupare, penserò io a giustificare la tua assenza e a farti portare un vassoio con del cibo; intanto, però, devi assolutamente reagire. Ostinandoti a rimanere in quello stato le cose non potranno mai cambiare e, magari, anche migliorare. – continuò in tono efficiente, sfaccendando per la stanza nel tentativo inutile di rimettere un po’ di ordine.
- Grazie, zia, ti prometto che lo farò; adesso però ti prego, lasciami dormire ancora un po’. La testa mi si sta spaccando in due. – rantolò la ragazza da sotto le coperte.
La professoressa sospirò di nuovo, scosse il capo e si accinse ad uscire.
– Stasera passerò ancora a vedere come stai e se hai consumato la cena…
- Mmmm…
- Riposa pure quanto vuoi, povero tesoro. Se hai bisogno, chiamami in qualsiasi momento. - sussurrò infine, intenerita, aprendo la porta e lasciandola di nuovo sola con i suoi pensieri neri.

§§§§§§§§§§§



Severus non aveva mangiato quasi nulla.
Aveva, più che altro, giocherellato con il proprio cibo nel piatto per quasi tutta la durata della cena: niente fame e nessuna voglia di rimanere in Sala Grande a fingere che tutto andasse bene.
Inoltre, evidentemente, Lavinia doveva aver già parlato con la professoressa McGranitt riguardo a quanto era successo, a giudicare dal modo in cui l’anziana strega lo aveva squadrato da che si era seduto al tavolo professori.
Lo aveva guardato come si scruterebbe una enorme chiazza di sugo rancido su un tappeto prezioso, e ciò non era stato certo di contribuito a farlo sentire meglio.
Silente invece lo stava tenendo d’occhio con discrezione da che aveva lasciato quasi intatta la prima portata e, ad un certo punto, la Vicepreside si era chinata verso di lui, confabulando per una bella manciata di minuti.
Era sicuro di come lo avesse appena messo al corrente della nefandezza di cui si era macchiato perché, da quel momento, gli occhi del preside lo avevano cercato costantemente.
Cosa per cui stava provando notevole fastidio: in fin dei conti, se si trovava in quella condizione, era anche per colpa del vecchio.
Fu tentato di alzarsi in fretta e lasciare il proprio posto.
Quello accanto al suo, occupato solitamente da Lavinia, era rimasto desolatamente vuoto anche quella sera e si domandò che cosa ci stesse ancora a fare lì, seduto a tavola, sotto il tiro degli occhi indagatori di Silente e di quelli accusatori della McGranitt.
Pensò con raccapriccio che, tempo qualche giorno, la notizia si sarebbe sparsa in tutta la scuola, e allora non avrebbe avuto su di sé soltanto i loro sguardi ma anche quelli di muta disapprovazione di tutto il resto del collegio docente.
Lavinia sarebbe stata per tutti la povera vittima e lui, ancora una volta, il solito mostro disumano e privo di sentimenti.
Nulla di nuovo, in definitiva, era il ripetersi della solita storia.
Quando, al termine della cena, finalmente riuscì ad abbandonare il proprio posto a tavola, fu raggiunto subito dalla professoressa McGranitt.
- Severus… - il tono della vecchia insegnante era piuttosto battagliero. - Naturalmente non posso ordinarti o pretendere che tu torni sulla decisione che hai preso; non voglio nemmeno sapere le ragioni della tua opinabile scelta, ma vorrei chiederti di rifletterci sopra ulteriormente. Lavinia è a pezzi e, dopo quello che c’è stato tra voi, mi sembra il minimo che tu possa fare per lei. Me lo prometti? – lo apostrofò, gravemente, senza mezzi termini.
L’uomo raddrizzò le spalle e le dedicò uno sguardo indecifrabile. Non avrebbe scommesso uno zellino sul fatto che la Vicepreside sarebbe stata capace di affrontarlo su quella spinosissima questione, e invece…
- Mi dispiace Minerva ma, come uso di solito fare, ho già abbondantemente riflettuto su questa decisione. Alla fine, questa era l’unica soluzione possibile. - le rispose, asciutto, dopo un breve silenzio.
La McGranitt lo guardò stupefatta.
- Ma che significa, Severus? Come puoi considerare unica soluzione la decisione assurda di spazzare via in un istante ciò che è sempre stata un'unione perfetta? Perché questo è stato il vostro legame: un amore raro e speciale, fin dal principio, e non puoi negarlo. Ora però mi domando se tu sia mai stato davvero sincero nei confronti di quella povera ragazza. – mormorò, sbigottita.
Piton avrebbe potuto sembrare una sfinge scolpita nel marmo, se non fosse stato per la leggera contrazione della mandibola.
- Minerva, posso chiederti la cortesia di non intrometterti più in affari che non ti riguardano? – rispose infine l’uomo, scandendo lentamente le parole.
Lei spalancò gli occhi, e rimase a fissarlo sempre più allibita.
Si fronteggiarono ancora per qualche secondo, senza che nessuno decidesse di abbassare lo sguardo per primo; poi il mago le voltò bruscamente le spalle, incamminandosi di nuovo verso i propri alloggi, e alla professoressa non restò altro da fare che fissare tristemente l’elegante sventolio del mantello nero che si stava allontanando.


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* Parole tratte dalla canzone di Lucio Dalla, “Tu non mi basti mai”
 
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view post Posted on 26/2/2013, 18:30
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Severus scende un’altra infinita scala di dolore e rimpianto.
Ele sei veramente formidabile quando ne descrivi gesti sguardi e pose.
Infinitamente triste questo capitolo. Me lo aspettavo, e non mi ha deluso: dolce, dolcissimo Severus, distaccato e chiuso in una gelida armatura che non si spezza mai o quasi. Che tenerezza quel foglio e le parole … che conosco e amo di un autore che mi manca tanto.
Unico gesto di ribellione unico atto di forza contro gli eventi: cosa chiede in fondo? Un ricordo, soltanto un ricordo: non negartelo Severus, ti prego! Ele mi accontenta per fortuna, ed eccolo il tenero uomo, pieno di amore e rinunce irrevocabili e devastanti.
che andassero tutti all’inferno! Quello era l’ultimo ricordo di una storia che gli aveva regalato i giorni più belli, luminosi e importanti di tutta una vita: era suo di diritto, nessuno avrebbe potuto chiedergli di rinunciare a quella esclusiva, piccola prova di come anche lui un tempo fosse stato incredibilmente felice.

Mi colpisce come non pensi al suo dolore, ma al dolore che ha dovuto infliggere all’altra, generoso e triste: maledetto senso del dovere!
Stupenda la tua inflessibile, ma sensibile Minerva che conosce entrambi, sa e, forse, dubita, ma non abbastanza.
Brava Ele nel lasciare che anche l’ultimo e unico sollievo sfugga a Severus
Lavinia sarebbe stata per tutti la povera vittima e lui, ancora una volta, il solito mostro disumano e privo di sentimenti.

Doloroso e vero, ma perché leggerlo fa così male? Perché chi scrive ama tanto il personaggio; viene voglia di confortare ed abbracciare Severus e asciugargli le lacrime che non piange: perché lui sa piangere solo dentro e questo è più che abbastanza.
 
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halfbloodprincess78
view post Posted on 26/2/2013, 19:35




Eccomi, io leggo sempre tutto e non commento mai perchè non sono capace di farlo ed escono sempre dei commenti brevi e sconclusionati che non rendono merito a quello che provo leggendo.
E' straziante leggere della fine di un amore soprattutto perchè è una fine obbligata, decisa a tavolino da Severus, pianificata ed estremamente dolorosa perchè non realmente voluta.
Perfetta nelle descrizioni, nei piccoli gesti che rendono ogni emozione reale, tangibile e provata da ognuno di noi nella vita.
La prima parola che mi viene in mente è ''ingiustizia'' l'ingiustizia della scelta, del dolore di Lavinia e ancora di più del dolore che Severus prova ma che non può permettersi di esprimere perchè ''lui non può e basta''.
Nell'assenza di speranza di questi primi tre capitoli sei riuscita ad inserire dei dettagli molto teneri come i ricordi, il foglio strappato ecc.tutte quelle piccole cose che delineano una storia d'amore e che rendono ancora più struggente e vivido il quadro che ti stai accigendo a dipingere.
Complimentoni Ele, la tua opera omnia mi sembra ottima e non vedo l'ora di leggere il resto.
P.S. Mi ha fatto sorridere l'idea dello specchio con la voce di Alan Rickman, è geniale, lo voglio anch'io!!!
 
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view post Posted on 1/3/2013, 23:34
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CITAZIONE (halfbloodprincess78 @ 26/2/2013, 19:35) 
...P.S. Mi ha fatto sorridere l'idea dello specchio con la voce di Alan Rickman, è geniale, lo voglio anch'io!!!

Grazie per il bel commento Cla, spero di non deludere le aspettative nel proseguo! Se riesco ad uscire viva da queste due settimane di delirio la prima cosa che faccio è leggere con calma l'aggiornamento anche della tua opera omnia... e darmi da fare per procurarti lo specchio con la voce del Rickman! ;) :lol:
 
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view post Posted on 3/3/2013, 23:57
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Sarà ormai l'età, ma continuo a perdere colpi: quando ho letto la recensione di Cla non ho mica letto la tua, Chiara, che stordita che sono! :blink: Scusami tanto, avrai pensato a come sono maleducata: ma guarda questa che a me non ringrazia per aver perso del tempo a stare dietro ai suoi deliri letterari :lol: :lol:
Scherzo ovviamente: mi fa un sacco di piacere che la storia ti stia prendendo e leggere i tuoi commenti sempre così partecipi, belli e puntuali è una delizia! Così mi sento ancora più spronata a pubblicare i capitoli che seguono e a scrivere i mancanti! Grazie mia cara, per come mi fai sempre tanto contenta ;) :P
 
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view post Posted on 4/3/2013, 15:26
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Non ho pensato un bel niente Ele! Sono contenta che tu sia contenta. :D
Aggiorna presto, piuttosto. :soppracciglio:
 
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view post Posted on 26/3/2013, 18:50
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I giorni che seguirono furono i peggiori.
Lavinia passò l’intero sabato e tutta la domenica chiusa in camera, sbocconcellando svogliatamente quello che zia Minerva le faceva arrivare dalle cucine nel tentativo di disfarsi di qualsiasi cosa rappresentasse un ricordo di Severus. Senza riuscirvi, ovviamente.
Ogni volta che le capitava tra le mani qualcosa che la riportasse a un momento particolarmente felice trascorso con lui, o un regalo che le aveva fatto, gli occhi si riempivano di lacrime e l’oggetto finiva di nuovo, invariabilmente, al proprio posto.
Non ce la faceva proprio a liberarsi di ciò che ormai erano diventati preziosi cimeli legati alla felicità perduta e si domandò se mai ce l’avrebbe fatta.
In quel contesto un po’ irreale le sembrò, a tratti, che l’orribile situazione che stava vivendo fosse solo temporanea.
Ci fu un momento in cui riuscì perfino ad auto-convincersi che, prima o poi, lui sarebbe riapparso, supplicandola di dimenticare ogni singola parola le avesse rivolto.
Poi però venne lunedì che portò con sé, assieme a una pioggia cupa e opprimente, la dolorosa consapevolezza della dura realtà.
Lavinia fu obbligata a uscire dal piccolo rifugio che era divenuta ormai la propria stanza per riprendere le lezioni, e quindi i contatti umani.
Fu costretta a rivedere Severus e anche più di una volta, nonostante i vani tentativi di evitarlo in qualsiasi modo; scoprì, così, come la semplice vista dell’uomo riuscisse regolarmente ad annientarla.
Trascorse la prima giornata di ritorno alla vita normale in uno stato catatonico di cui, naturalmente, i ragazzi si accorsero subito; nessuno per fortuna osò fare domande o approfittarne per tenere un comportamento scorretto durante la lezione.
Dopo cena il preside la convocò nel proprio ufficio e qui dovette, suo malgrado, rivivere ancora i fatti accaduti qualche giorno prima, per informare lo zio di ciò che era successo.
Era riuscita a non piangere, anche se con enorme fatica; era stato come rigirare il coltello nella piaga. Al termine del resoconto, Silente aveva accennato a qualche passo per lo studio immerso in profonde riflessioni, poi si era avvicinato e le aveva posato la propria mano sana sulla testa.
- Severus avrà avuto le sue buone ragioni, bambina mia. – si era limitato a commentare, con un lungo sospiro.
- E’ tutto quello che hai da dirmi? – aveva reagito lei con amarezza e senza guardarlo in faccia.
- Vorrei essere in grado di dirti tante altre cose, Lavinia cara, tali da poterti consolare e rimarginare ogni ferita ma, purtroppo, non esistono parole né filtri così potenti da riuscire a rimettere insieme i frammenti di un cuore spezzato. Dimmi tu stessa: cosa vorresti che fossi capace di fare, per alleviare la tua sofferenza?
- Non puoi fare nulla, zio; vorrei… vorrei solo che tutto potesse tornare a come era tre anni fa. Forse, in questo momento, quello che più vorrei è avere una Giratempo, per tornare indietro a cambiare le cose.
- Nemmeno una Giratempo può nulla contro il Destino. Grazie a lui vi siete incontrati, innamorati e avete vissuto insieme un certo periodo, donandovi reciproca felicità; avete seguito un determinato cammino, ma se nel Destino era scritto anche che le vostre strade, ad un certo punto, si sarebbero separate, ciò doveva avvenire per forza. Sarebbe sicuramente successo senza tenere conto di alcuna precedente variazione, e sarebbe accaduto comunque attraverso modalità diverse. Nulla ha il potere di mutare il risultato finale, neanche modificandone il percorso.
Lavinia aveva reagito con rabbia e gli occhi assunto il colore del cielo in attesa della tempesta.
- Vuoi dire che dovrei rassegnarmi ad un simile destino? Oh no, scordatelo pure, zio. No, no, e ancora no. Non accetterò mai e poi mai di aver perso Severus!
- Voglio dire che questa è la realtà attuale e immutabile, che non cambierebbe nemmeno se tu potessi tornare indietro per fare altre scelte. Ma non sai quale realtà futura si prepara, su cui già da ora potresti iniziare a lavorare con la speranza che si adegui ai tuoi desideri… – aveva specificato il vecchio preside, il cui intento era quello di instillare di nuovo un barlume di fiducia nell’animo della nipote.
Lavinia, al termine del colloquio, era in effetti uscita dall’ufficio dello zio un po’ meno disperata.
Ma poi erano arrivati il martedì e il mercoledì, ugualmente piovosi e cupi, e il morale era precipitato di nuovo.
Giovedì, Lumacorno pensò bene di invitarla al suo Party prenatalizio, giusto per cercare di distrarla un po’ dalla malinconia.
Aveva accettato, dopo essersi assicurata che anche Severus avesse ricevuto l’invito, probabilmente per una forma inconscia di autolesionismo che la spingeva a volersi trovare ovunque ci fosse anche lui.
La decisione, purtroppo, si rivelò assolutamente sbagliata.
Lavinia trascorse la prima parte della serata seduta in un angolo, triste e abulica, scoraggiando così l’avvicinarsi di chiunque avesse voluto scambiare qualche parola con lei.
In compenso dedicò completamente la propria attenzione ad ogni singola mossa del professor Piton, impegnato dapprima a discutere con alcune studentesse dell’ultimo anno di Serpeverde, e poi in una blanda conversazione con un paio di maghi che le erano sconosciuti.
Alternò l’attività di controllo a bicchierini di Whisky Incendiario, prelevati dai vassoi carichi di ogni ben di dio che transitavano dalle sue parti.
Verso metà serata le si sedette accanto, coraggiosamente, Hermione che, con sguardo partecipe, le espresse la propria solidarietà.
Chiacchierarono a lungo, giungendo infine alla conclusione di come tutti gli uomini fossero dei bastardi irrecuperabili; a quel punto Lavinia era arrivata al quarto whisky, e sentì che la testa iniziava decisamente a girare leggera, libera da costrizioni e da pensieri negativi.
Dopo un po’ Hermione si alzò per raggiungere Harry, e lei tornò a concentrarsi sugli spostamenti di Severus, ingollando un altro paio di bicchierini.
Ora avvertiva una gradevole sensazione di euforia, la testa sempre più inconsistente e uno strano formicolio alle gambe.
Afferrò al volo l’ennesimo whisky che, proprio in quell’istante, le stava passando sotto il naso su un vassoio sorretto da Paciock; si sentiva bene per la prima volta dopo una settimana trascorsa nella depressione più totale. Strizzò l’occhio a Neville, alzando il bicchierino per rivolgere un piccolo brindisi al suo indirizzo.
Ebbe la certezza che finalmente avrebbe potuto dire a Severus tutto quello che pensava di lui, senza la minima soggezione o reticenza, e decise di farlo in quel momento.
Si fece largo tra gli invitati, barcollando leggermente; Lumacorno si era avvicinato per chiederle se si stesse divertendo e lei aveva annuito vigorosamente, scoppiando in una risata che aveva attirato l’attenzione di coloro che la circondavano, compresa quella del professor Piton che, in due balzi, la raggiunse.
- Dammi quel bicchiere Lavinia, lo sai che non reggi l’alcool. – le sibilò all’orecchio, cercando di portarglielo via di mano.
- Lasciami stare: io lo reggo benissimo… l’alcool… reggo benissimo qualsiasi cosa, io… Ho retto sempre tutto benissimo, perfino te! – biascicò in tono sostenuto, sottraendo il whisky alla presa dell’uomo.
A quel punto erano sotto lo sguardo incuriosito di una piccola folla che li osservava divertita.
- E’ il settimo che butti giù. Avanti, vieni, ti accompagno in camera: è meglio che la tua serata termini qui. – sbottò secco Severus, a mezza voce, afferrandola saldamente per un braccio nel tentativo di trascinarla via da quel piccolo palcoscenico.
- Ah-ah… Hai contato i bicchierini che mi sono fatta, eeeh, professore? Allora mi stavi tenendo d’occhio? – farfugliò la donna con voce strascicata, esplodendo in un’altra risata, e puntò l’indice al petto di uno dei due Severus che aveva di fronte, senza sapere bene quale fosse quello giusto: qualunque fosse stato quello vero, pensò con una fitta al cuore a come in quel momento entrambi le apparissero belli e desiderabili.
Il mago la strattonò di nuovo, risoluto, per obbligarla a seguirlo fuori dal locale.
- Lasciami! Lasciami stare ti ho detto, non ho bisogno che mi accompagni da nessuna parte, sto benissimo e voglio rimanere a questa festa meravigliosa. – si ribellò Lavinia, malferma sulle gambe, cercando di liberarsi dalla morsa sempre più decisa dell’uomo.
- Horace… Hooooraaaace… Severus è cattivo, vuole che lasci il tuo party, digli qualcosa! – strillò puntando i piedi.
Sopraggiunse Lumacorno attirato dal richiamo a voce spiegata di Lavinia e, nello stesso istante, fece il suo ingresso nel locale anche Gazza, reggendo Draco Malfoy per il bavero della giacca.
Si generò un piccolo momento di confusione in cui Lavinia riuscì a liberarsi dalla presa di Severus, mentre questi era obbligato a prestare attenzione a Gazza e a ciò che aveva da riferirgli riguardo il ragazzo che aveva pescato a vagare in modo sospetto appena fuori di lì.
Severus freddò Draco con un’occhiata pungente, poi guardò Lavinia.
- Horace per cortesia, fai in modo che la signorina O’Connor raggiunga subito i suoi alloggi accompagnata da qualcuno: non è il caso che rimanga ancora qui. Io adesso devo occuparmi di lui. – disse, rivolto a Lumacorno, il quale annuì con sollecitudine.
Poi si rivolse a Draco e lo prese per un braccio invitandolo a seguirlo con sguardo eloquente.
Lavinia stette ad osservare, con sguardo per metà ottuso e per metà vagamente incuriosito, la rapida uscita dal locale del professore e dello studente, mentre Lumacorno le cingeva delicatamente le spalle conducendola verso una delle poltroncine in raso ai bordi della sala.
- Bene, mia cara: adesso siediti qui un momento mentre vado a cercare qualcuno che possa riaccompagnarti in camera.
- No, no, Horace. Io non intendo affatto tornare in camera. Io voglio rimanere al party. – cinguettò la ragazza ad alta voce, tentando di afferrare un boccale di Burrobirra da un altro vassoio.
- Su, da brava…- la blandì il professore, obbligandola a posare il boccale. - Severus mi ha raccomandato di farti accompagnare in camera. Paciock, per cortesia vieni qui! Ecco guarda, ti faccio scortare da questo bravo giovanotto.
- Scordatelo, Horace! Io non devo mica fare tutto quello che dice Severus, non più ormai…– reagì Lavinia stizzita, mentre la lingua le si arrotolava sul palato. - E poi non ho bisogno di essere scortata da nessuno! In camera posso benissimo tornarci da sola se è per questo; anzi, sono io che adesso non ho più voglia di rimanere a questo stupidissimo party. Mi spiace… mi spiace tanto per te caro Horace, ma me ne vado… oooh certo, che me ne vado…- continuò con voce impastata mentre, allontanandosi velocemente, incespicava in un paio di divanetti.
Lumacorno tentò di richiamarla, ma invano.
Lavinia aveva già infilato l’uscita, non senza essere riuscita prima ad agguantare una bottiglia di whisky vuota per metà che era appoggiata su un tavolino accanto alla porta.
Il professore spedì Paciock all’inseguimento della giovane insegnante ma, quando il ragazzo uscì sul corridoio, di lei non c’era già più traccia.


§§§§§§§§§§§



Vagò per i corridoi senza una meta precisa, attaccandosi ogni tanto alla bottiglia.
La sbronza era arrivata a livelli decisamente ottimali per una che non era abituata a bere.
Si muoveva in un mondo ovattato, finalmente privo di sensazioni negative o dolorose, in cui tutto si stava sdoppiando, compreso il pavimento sotto le sue scarpe; perciò non riusciva a camminare diritta e faceva una fatica dannata a mettere i piedi uno davanti all’altro.
Ma la faccenda la divertiva moltissimo, tanto che, barcollando, proseguì verso un’armatura - che poi erano due - appoggiata accanto alla porta dell’aula di Incantesimi, con la quale iniziò ad attaccare bottone.
– Per la Sottana di Merlino, credo di essere un pochino u… ubriaca…- biascicò, ridendo subito dopo, stolidamente.
- Ma per fortuna ho la ciu… ciucca allegra e non me ne importa… Non me ne importa più niente di niente. - fissò per un attimo l’armatura con espressione vacua, ondeggiando pericolosamente.
- Eeeh amico, beato te che non hai problemi, tutto il giorno incollato al muro. Io li ho avuti sai, i pro-problemi intendo, ma adesso sto bene. Si-ssi-ssi-ssì, posso dire che adesso sto davvero bene… Ora però devo andare, amico, mi dispiace tanto lasciarti da solo, ma devo proprio andare. - salutò l’armatura con una strizzatina d’occhio e, ridacchiando tra sé, riprese a errare per il corridoio deserto, traballando sulle gambe malferme.
Si attaccò ancora al collo della bottiglia e si accorse che il whisky era finito.
Dopo averla scrutata per alcuni secondi, con aria accigliata, alzò il braccio e la scagliò contro il muro, dove andò ad infrangersi tra un acuto fragore di cocci rotti.
- Non mi servi più, stupida bottiglia… - mugugnò stropicciandosi il naso con la manica.
- Non mi serve più niente, non mi serve. A-me-non-serve-niente! Capito? Hai capito, Severus? IO NON HO BISOGNO DI NIENTE! NEMMENO DI TE!
Gridò a pieni polmoni verso le volte del soffitto immerse nella penombra, e intanto avvertì uno sgradevole principio di nausea prenderle lo stomaco.
- Finita la benzina, accidenti. Dove… dove posso trovare altro rifornimento? – congetturò ad alta voce, come rivolgendosi a una presenza concreta accanto a lei.
Infilò la porta di un’altra aula, più avanti, che era quella di Difesa Contro le Arti Oscure.
Restò interdetta a guardarsi attorno, la testa che girava peggio che avere il mal di mare.
Si rese quindi conto, dopo un po’ di minuti in cui rimase ad osservare stolidamente ciò che la circondava, di essere capitata nella classe di Severus.
In fondo al locale troneggiava la cattedra, sopra cui erano ordinatamente impilate alcune pergamene corrette che attendevano di essere distribuite il giorno dopo.
Pensò, in un fugace attimo di lucidità, a come i compiti fossero accatastati con estrema attenzione e la cattedra sistemata con cura, esattamente come solo lui sapeva e poteva fare.
Iniziò a ridere di nuovo, dapprima piano, poi sempre più forte, ancora più forte, tanto che fu costretta a sedersi in un banco per non cadere a terra.
Continuò a ridere, tanto, fino alle lacrime, fino a che il riso non si tramutò in un pianto silenzioso e straziato.
Si abbandonò sul piano lucido di fronte a lei, gemendo piano e, improvvisamente, uno dopo l’altro, i banchi iniziarono a levitare, mulinando impazziti su loro stessi per poi andare a schiantarsi sulle pareti e sulle altre suppellettili presenti in aula.
Volarono panche, tavoli, libri, penne, calamai e i compiti che, fino a un minuto prima, riposavano in perfetto assetto sulla scrivania del professore; anche la cattedra prese a volteggiare per il locale, esplosero i vetri delle finestre, mensole e pannelli si staccarono dai muri, vasi pregiati in alabastro e l’intera collana di libri sulle origini delle Arti Oscure, gelosamente custodita nella piccola biblioteca di classe, danzarono sospesi a mezz’aria prima di infilare la porta e andare a finire i loro giorni sui bracieri accesi in corridoio.
Lavinia alzò la testa, conscia di aver perso il controllo della mente, ma non fece nulla per fermare la devastazione in corso.
Lasciò che tutto il dolore traboccasse, inarrestabile, sotto forma di energia distruttiva, come succedeva esattamente una volta.
Guardò abulica e priva di interesse ciò che stava avvenendo attorno a lei: l’aula di Difesa Contro le Arti Oscure stava andando in pezzi, velocemente, ma a lei non importava più di sforzarsi per disciplinare la propria forza mentale. Non le importava più di nulla.
Sentì solo le viscere attorcigliarsi, la testa scoppiare e, improvvisamente, il bisogno di vomitare.
Si precipitò fuori dall’aula, lasciando sospesi gli oggetti che, subito dopo, crollarono a terra con fragore assordante, ponendo fine al disastro.
Si scaraventò nel bagno dei maschi di fronte all’aula, e fece appena in tempo a rigettare tutto il contenuto del proprio stomaco in una tazza scheggiata del secondo gabinetto.
Rimase per qualche minuto inginocchiata davanti al WC, con gli occhi chiusi, tremante per lo sforzo.
Maledizione… Ma come si era ridotta?
Rivide il volto dall’espressione infastidita di Severus, mentre le chiedeva di mostrargli un po’ di dignità, e immaginò in che misura elevata all’ennesima potenza gli avrebbe fatto schifo vederla ora in quello stato, a terra, ubriaca e abbracciata alla tazza di un cesso.
Si rialzò faticosamente, tirò la catena con lentezza esasperante e fissò il piccolo gorgo d’acqua che portava via ogni residuo della sua cena.
Ciondolò per qualche istante sul posto, poi riuscì a immettersi di nuovo nel corridoio freddo e silenzioso.
Fece qualche passo incerto verso la scalinata che saliva al piano superiore, dove impazzava ancora la festa. Si sentiva sfinita, la testa intrappolata in una morsa di dolore lancinante; le piombò addosso uno strano torpore.
Decise che non si sarebbe più mossa di un millimetro e quindi crollò sugli ultimi gradini, appallottolandosi nel proprio mantello in cerca di un po’ di tepore.
Ora che aveva espulso la parte di alcool non ancora entrata in circolo, sentì il freddo penetrarle maligno nelle ossa.
Si addormentò quasi subito. Precipitò in un sonno pesante, nero, senza sogni e rimase lì fino a quando, tre ore più tardi, non la trovò la professoressa McGranitt che, pattugliando i corridoi per assicurarsi che tutti gli studenti si fossero ritirati nelle proprie Case per la notte, andò a controllare cosa ci facesse quel misero fagotto di stracci, abbandonato lì in un angolo ai piedi delle scale.

§§§§§§§§§§§




Minerva, dopo averla raccolta e portata quasi di peso in camera, l’aveva obbligata a farsi una doccia fredda e a inghiottire una notevole quantità di caffè.
Le aveva borbottato qualcosa come “Con tutti i problemi che ha già tuo zio, dovevi mettertici pure tu…” mentre, sospirando rassegnata, l’aiutava a cacciarsi sotto le coperte, lasciandola in compagnia di una bella borsa ghiacciata da tenere in testa.
Prima di uscire dalla stanza aveva perfino trovato il tempo di rispondere in modo arcigno allo Specchio, poi aveva chiuso la porta, lasciandola sola, al buio, in preda ai postumi della sbronza.
Lavinia era ripiombata di nuovo in un sonno privo di riposo che era durato fino al mattino quando, aprendo faticosamente gli occhi, aveva scoperto come testa e stomaco non fossero ancora completamente al loro posto, e aveva giurato a se stessa che non avrebbe mai più toccato un goccio di alcool per il resto della vita.
Naturalmente la McGranitt si era organizzata di nuovo con turni di supplenza per evitarle di dover tenere lezione, e le aveva fatto arrivare in camera il solito vassoio con il pranzo.
Aveva guardato appena il pasticcio di rognone con contorno di patate stufate, funghi e torta di meringa che, di norma, erano i suoi piatti preferiti, trascorrendo il resto della giornata a letto a fissare il soffitto.
Così, fino a sera, quando cioè finalmente giunse a prendere una decisione risolutiva.
Si alzò dal letto, si infilò sotto la doccia, si vestì e scese al piano di sotto, dirigendosi in fretta verso lo studio di zio Albus.
Quando entrò, il vecchio preside stava leggendo attentamente alcuni documenti che recavano il timbro del Ministero della Magia e sollevò il naso, su cui stavano in bilico gli occhialini rettangolari, solo quando la ragazza gli fu davanti.
- Finalmente ti sei decisa a tornare tra i vivi, bambina mia.- disse, in un tono molto diverso da quello disteso che usava abitualmente.
- Mi… mi dispiace per l’aula di Difesa. – esordì lei, imbarazzata, lasciando vagare lo sguardo sugli strani fronzoli d’argento che riposavano sulla scrivania.
- Oh, sì… Un danno piuttosto notevole, se si considera che il professor Piton ha impiegato più di un’ora a rimetterla in sesto e parecchio materiale didattico è andato perso. – sospirò pacato, alzandosi e misurando a passi lenti l’ufficio.
Lavinia arrossì violentemente all’idea di ciò che doveva aver pensato Severus di lei, dopo l’ennesima prova di immaturità che gli aveva servito su un piatto d’argento.
– Ecco. Appunto. Venivo giusto a dirti che domani me ne vado. Lascio Hogwarts, zio, definitivamente. Ho capito che non posso più vivere qui, costretta ogni giorno a subire lui e la sua indifferenza. Sarebbe solo una tortura senza fine. Ho cercato di farmene una ragione ma è stato inutile. Severus, per me era tutto, e credo non ci sia bisogno di spiegarti ancora quanto mi stia sentendo infelice… - proseguì, con voce piatta.
Silente si fermò, le mani dietro la schiena e il capo leggermente abbassato, perso nella metabolizzazione di ciò che gli aveva appena comunicato la nipote.
Passarono alcuni lunghi attimi in cui tutto sembrò rimanere sospeso.
- Sì, forse è la soluzione giusta. L’unica. – ammise infine il vecchio mago, voltandosi a guardarla con dolcezza.
Lavinia aveva il volto scavato, pallido e l’espressione spenta. Era irriconoscibile e se avesse continuato così si sarebbe consumata rapidamente nel giro di poco tempo; urgeva senz’altro allontanarla da lì.
- E’ meglio, prima di tutto, che tu torni a casa, e ci stia per un po’. Scriverò a tua madre spiegandole l’accaduto. La sua presenza sarà sicuramente più utile di qualsiasi medicina e l’aria familiare ti aiuterà a ritrovare un po’ di serenità.
La giovane donna tentò di abbozzare un pallido sorriso.
- Oh non c’è bisogno che scrivi a mamma. Sarò io a raccontarle ogni dettaglio di questa tristissima storia, se mai ne avrò voglia. Gradirei non trovarla, al mio rientro, già sulla porta di casa con lacrime di partecipazione agli occhi… - mugugnò Lavinia. Poi continuò, rabbuiandosi. - Mi dispiace tanto anche per il corso di Levitazione che dovrà essere sospeso.
Albus le si avvicinò senza parlare e, con aria estremamente grave, prese delicatamente tra le mani il suo visetto segnato.
- Non ti preoccupare per questo, bambina mia: troveremo una soluzione. La cosa più importante, ora, è che tu possa tornare presto ad essere felice.
La avvolse in un abbraccio paterno e lasciò che il tempo scorresse all’infinito, accompagnato dal dolce ronzio dei magici oggetti d’argento.

Edited by Ele Snapey - 6/10/2013, 00:11
 
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view post Posted on 30/4/2013, 00:08
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Lavinia non se ne andò il giorno dopo, ma partì domenica mattina.
Aveva trascorso l’intero sabato a preparare i bagagli e a salutare gli studenti, ancora increduli, venuti a conoscenza della sua imminente, quanto repentina partenza.
Per tutta la giornata fu un via vai quasi ininterrotto di gente che voleva testimoniarle il proprio affetto.
Avrebbe preferito lasciare Hogwarts in sordina, ma le fece comunque enormemente piacere scoprire quanto i ragazzi, a cui aveva dedicato tre anni della propria vita, fossero dispiaciuti di doversi staccare da lei.
Alla fine venne il turno di abbracciare anche Harry, Hermione, Ron, Ginny, Neville e Luna, coloro con i quali aveva senza dubbio stabilito un rapporto più stretto, e sentì affiorare una profonda malinconia quando li vide sparire oltre la porta della stanza.
Luna le aveva perfino regalato un girocollo molto particolare, fatto di frammenti di rocce laviche del vulcano Nyiragongo, invitandola ad indossarlo sempre perché, a suo dire, l’avrebbe protetta da qualsiasi negatività in genere, Gorgosprizzi compresi.
Prima di lasciare la camera che l’aveva ospitata in quegli anni, indossò la collana di Luna e si guardò allo specchio per l’ultima volta.
Vide riflessa l’immagine del proprio volto triste, stanco e tirato.
- E così… Ci salutiamo qui? – mormorò, mestamente, la voce setosa e baritonale dello Specchio.
- Sì, mio caro. Ti confesso che, in fin dei conti, un po’ mi dispiace di non poterti portare con me. Ormai mi ci ero anche abituata ad averti sempre tra i piedi, a impicciarti delle mie faccende! – sospirò la ragazza, sforzandosi di assumere un tono leggero.
- Non posso proprio venire? Chi ti consiglierà su quello che dovrai indossare? – continuò lui, lamentoso. Era evidentemente abbattuto quanto lei, anche per il fatto che Lavinia aveva deciso di lasciarlo appeso lì ad abbellire l’ambiente, e glielo aveva dimostrato negli ultimi giorni, chiudendosi in un mutismo che non gli era affatto consono.
- Oh, non ti preoccupare per questo: mi darò consigli da sola! Non so che cosa farò, dove andrò e se avrò un’altra camera come questa dove poter collocare uno specchio brontolone e ficcanaso. Non ho intenzione di restare a lungo a casa mia e in più, scusami, ma tu mi rammenteresti in ogni istante Hogwarts… e di conseguenza Severus. Perciò ti lascio qui. Non posso permettermi di continuare in questo modo: devo assolutamente tagliare con il passato, se voglio sopravvivere! - decretò Lavinia, più a se stessa che all’interlocutore appeso alla parete. - Ma ti assicuro che un giorno ci rivedremo. Non so fra quanto ma so che, prima o poi, tornerò a Hogwarts, a riprendermi il cuore che ho lasciato. Aspettami e fai giudizio, mi raccomando! – aggiunse, troncando velocemente ogni indugio.
Si avvolse nel mantello, raccolse il piccolo bagaglio a mano, la gabbia con il gufo, gettò ancora una lunga, mesta occhiata alla camera che l’aveva vista felice per tre intensi anni e chiuse la porta alle proprie spalle.
Scese nel cortile dove la stavano già aspettando il baule con il resto delle sue cose e la carrozza trainata dai Thestral che l’avrebbe condotta alla piccola stazione di Hogsmeade.
Quando partì c’erano zio Albus, zia Minerva, la professoressa Sprite e il professor Vitious a salutare l’uscita della vettura dal parco della scuola.
La accompagnava un Hagrid costernato e silenzioso.
La giornata era freddissima ma insolitamente tersa e luminosa, tenuto conto del fatto che mancavano solo un paio di giorni a Natale.
Il cielo invernale era talmente limpido da apparire quasi blu e la luce del sole rendeva brillanti le mura del castello, gli alberi e i prati attorno, ammantandoli di incredibile splendore.
Lavinia non poté fare a meno di pensare a come le sembrasse quasi un crimine lasciare Hogwarts in una giornata come quella.
Mentre i cancelli si richiudevano dietro la carrozza, e le torri di Hogwarts scomparivano gradualmente alla vista, Lavinia avvertì un grosso peso premere sullo sterno; serrò gli occhi, sentendosi ancora prossima alle lacrime.
Non voleva piangere davanti al povero Rubeus, già tanto avvilito e incapace di trovare una parola di conforto, perciò strinse i denti e cercò di ricacciarle indietro.
Ma fu molto dura: stava lasciando l’unico posto al mondo dove avrebbe voluto vivere per sempre, felice, con l’uomo che aveva desiderato accanto a sé per l’eternità.
Si rese conto che, in quel preciso momento, stava perdendo tutto ciò che contava veramente nella propria vita.
Si abbandonò contro lo schienale di velluto e si arrese alle lacrime, che iniziarono a scendere, lentamente, rigandole il viso.
- Quanto mi dispiace, Lavinia… Mi dispiace tanto… Dimmi che cosa ci posso fare per te, e io la faccio! - il vocione incrinato e impacciato di Hagrid le giunse come se stesse parlando da una grande distanza.
- Nulla Rubeus, non puoi fare nulla. Hai già fatto tanto, adesso, offrendoti di accompagnarmi al treno. - lo rassicurò Lavinia, cercando freneticamente un fazzoletto nella tasca del borsone da viaggio.
Le seccava di doverlo mettere ancora di più in imbarazzo, perciò lo guardò riconoscente, pensando a che cosa sarebbe stato disposto a fare, per consolarla. Probabilmente anche a portarle la testa del professor Piton servita su un piatto, se solo glielo avesse chiesto!
Il mezzo gigante tornò a scrutare pensieroso i dintorni al di là del finestrino e il resto del breve viaggio proseguì nel silenzio più totale.
Lavinia si riscosse solo quando furono giunti a destinazione e Hagrid la aiutò a scendere dal calesse, portando poi i bagagli fin davanti al binario dove l’Espresso riposava sbuffante in attesa di muoversi per Londra.
La banchina brulicava di studenti che rientravano in famiglia per trascorrervi il Natale e l’allegro vociare dei ragazzi, che prendevano posto negli scompartimenti eccitati dalla prospettiva di due settimane di vacanza, ottenne solo di infastidirla ulteriormente.
Fece di tutto per passare inosservata, decidendo di raggiungere l’ultima carrozza in coda al treno che era praticamente quasi vuota.
Salì in vettura due minuti prima del fischio che annunciava la partenza e si accomodò in uno scompartimento dove era appisolata una vecchia, eccentrica strega con il vestito appesantito da pizzi e pailettes.
Poi il treno si mosse, ansimante. Guardò fuori dal finestrino e vide Hagrid che sventolava il fazzolettone fino a che il fumo della locomotiva non lo inghiottì, assieme alla banchina, e poi curvò lasciandosi definitivamente Hogsmeade alle spalle.
Chiuse di nuovo gli occhi, desiderando solo di dormire come stava facendo l’anziana donna seduta di fronte a lei.
Nella testa il vuoto, nel cuore più nulla.

§§§§§§§§§§§




La guardò ancora una volta. Ne osservò minuziosamente ogni singola mossa mentre salutava i presenti e saliva sulla carrozza, dopo aver preso commiato anche dalla Sprite, e analizzò ogni minimo particolare della partenza.
Attese fino a che la vettura non si mosse, sparendo oltre l’uscita nascosta dagli alberi, poi si allontanò lentamente dalla finestra dell’aula di Antiche Rune che guardava sui cancelli.
Era entrato apposta in quella classe vuota, proprio perché da lì avrebbe potuto vederla almeno per l’ultima volta, da lontano, prima che se ne andasse per sempre.
Silente gli aveva comunicato appena il giorno prima che Lavinia avrebbe lasciato Hogwarts.
Naturalmente non si era certo aspettato che gli dedicasse un piccolo addio ma forse, in fondo in fondo, ci aveva sperato fino all’ultimo.
Invece era partita senza cercarlo, senza rivolgergli più parola, lasciandosi alle spalle un’aula - in cui ora egli insegnava la materia che aveva inseguito per tutta la vita - e il suo cuore, entrambi distrutti.
Era riuscito a raggiungere l’obiettivo tanto agognato, la cattedra di Difesa Contro le Arti Oscure, ma aveva perso l’unica cosa davvero importante.
Passò la mano sul viso esangue, affaticato. Il mal di testa non lo mollava da qualche giorno e, in quel preciso istante, sembrava volesse dividergli il cervello in due.
Sedette ad un banco, spossato, con il capo fra le mani.
Lavinia se ne era andata, odiandolo per il male che le aveva inferto. Che cosa poteva volere di più? Non era quello che si era prefisso? Non aveva fatto tutto ciò, proprio per allontanarla definitivamente da sé?
L’unica donna che avesse mai amato davvero e che lo aveva reso profondamente felice, l’unica che fosse riuscita a renderlo un uomo migliore.
L’aveva persa, per sempre, perché in più, molto probabilmente, sarebbe stato addirittura costretto a uccidere colui che era stato quasi come un padre per lei. E non solo per lei!
La realtà gli apparve ancora una volta folle, assurda e inconcepibile; inaccettabile come la vita che gli si prospettava, come la disperazione a cui si era votato per cieca obbedienza a un uomo e a una causa verso i quali, in quell’istante, sentiva di nutrire un’infinità di dubbi.
Già, perché ora iniziava a domandarsi se mai sarebbero serviti davvero a qualcosa quegli enormi sacrifici.
Fino a poche ore prima il fatto che Lavinia fosse ancora al castello aveva contribuito ad alimentare la consapevolezza di poterla almeno vedere, e lo aveva quasi aiutato a sopportare quella terribile condizione, ma adesso…
Adesso che lei non era più lì, fisicamente, lo fece sentire come se stesse precipitando in un pozzo profondo e nero da cui sarebbe stato impossibile uscire; in più il mal di testa peggiorava, e avvertì un brutto senso di vertigine che lo costrinse ad appoggiare la fronte sul banco davanti a lui.
Decise che la cosa più urgente da sistemare era il proprio malessere, per poter tornare a ragionare con un filo di lucidità. Quindi si alzò con molta fatica, come se avesse appena subito una Cruciatus.
Uscì dall’aula e si incamminò verso lo studio in cui conservava le erbe che gli avrebbero consentito di preparare un veloce antinevralgico.
Si mosse rapidamente, privilegiando percorsi alternativi per evitare di incontrare qualcuno, anche se avrebbe potuto tranquillamente farne a meno: già di norma la domenica mattina il castello si presentava quasi sempre deserto, perché gli studenti approfittavano di come non ci fossero lezioni per dormire un po’ di più, o per rilassarsi nelle sale comuni. Figuriamoci ora che mancavano solo due giorni a Natale.
Ma, in quel momento, l’ultima cosa che voleva era quella di imbattersi in qualsiasi essere vivente.
La sorte lo accontentò. Gli capitò di incrociare solo un paio di fantasmi e giunse incolume nel proprio ufficio.
Si chiuse dentro, scelse dall’armadio degli ingredienti quelli necessari alla preparazione di un filtro contro il mal di testa e lavorò lesto, riflettendo allo stesso tempo su come avrebbe dovuto impostare la propria vita da quel momento in avanti.
Il senso del dovere e la logica ferrea, di cui era sempre stato abbondantemente provvisto, gli imponevano di seguire l’unica strada possibile.
Sapeva che sarebbe andato fino in fondo; aveva già scelto, in definitiva, di sacrificare se stesso e i propri obiettivi per il bene comune di tutti. Sapeva soprattutto di essere l’elemento indispensabile affinché questo bene comune potesse realizzarsi.
Fissò per qualche secondo il preparato che sobbolliva allegramente nel minuscolo paiolo e un sorriso amaro gli increspò le labbra: lui, Severus Piton, era l’ingrediente fondamentale per la completa riuscita della pozione che avrebbe “salvato il mondo”. Non c’era altra alternativa.
Questo perchè il Ragazzo Sopravvissuto, senza il suo aiuto, non avrebbe potuto arrivare ad affrontare l’Oscuro Signore ad armi pari, e non avrebbe potuto contare su nessun altro all’infuori di lui.
Ciò lo metteva in condizioni di non potersi più tirare indietro, anche se, in quegli ultimi giorni, la tentazione di mollare tutto si era fatta più forte.
Bevve la pozione e l’effetto fu quasi istantaneo. Sparito il mal di testa decise che si sarebbe concesso una lunga dormita.
Scese nei sotterranei, raggiunse i propri alloggi, varcò la soglia della camera e incantò la porta.
Mettere una barriera insormontabile tra sé e il mondo, era tutto ciò che desiderava in quell’istante.
Levò il mantello lanciandolo lontano, si liberò della sciarpa, slacciò i bottoni della giacca e della camicia.
Gli sembrò di respirare meglio e provò a stendersi sul letto.
Chiuse gli occhi; il petto libero da costrizioni si sollevò rapido, avido d’aria, mentre la mano si allungava a tastare la parte del giaciglio accanto a lui che sarebbe rimasta vuota per sempre.
L’immagine di Lavinia, il suo volto, il suo sorriso e i suoi occhi presero subito forma nella mente, e fu come avere sopra di sé il peso leggero di quel corpo minuto, sentirne il profumo e avvertire il calore della sua testolina appoggiata sul torace.
Riaprì gli occhi e non si stupì più di tanto di sentirli bagnati di lacrime; capì che non sarebbe più riuscito a dormire, come invece avrebbe voluto fare. Dormire, e non svegliarsi mai più.
Decise che non sarebbe rimasto a Hogwarts per Natale, in mezzo ai ricordi di quelli precedenti trascorsi con lei, ma si sarebbe rintanato a Spinner’s End per un lungo periodo, da subito.
Si alzò, si riabbottonò camicia e redingote, andò a raccogliere il mantello dall’angolo in cui l’aveva gettato e lo posò di nuovo elegantemente sulle spalle; era pronto per andare da Silente a comunicargli la propria scelta che, almeno per questa volta, sarebbe stata irremovibile.

§§§§§§§§§§§




Il St. George’s Tavern dietro a Victoria Station era un pub caldo, accogliente e in quel momento discretamente affollato.
Lavinia lo aveva scelto proprio perché si trovava in una zona tranquilla di Londra e, allo stesso tempo, comoda da raggiungere.
Seduta da qualche minuto ad un tavolo vuoto, stava fissando affascinata la neve che aveva preso a scendere, lenta e silenziosa, al di là della vetrata.
Era la vigilia di Natale e l’atmosfera in città era frenetica e luminosa come solo a Londra può esserlo in quei giorni, quando la gente si riversa per le strade a concludere gli ultimi acquisti, in vista della festività imminente.
Tutto ciò non la toccava affatto: per lei, quel Natale, non sarebbe significato nulla, ed era lì ad aspettare la persona, alla quale aveva dato appuntamento il giorno prima, assolutamente indifferente al ciarlare spensierato degli avventori contagiati dal clima festoso.
Lanciò ancora un’occhiata distratta all’entrata del pub: il proprietario era già venuto a chiederle che cosa desiderasse. Gli aveva risposto che era in attesa dell’arrivo di un amico.
La porta, scampanellando, si aprì proprio nell’istante in cui la stava guardando per l’ennesima volta.
Entrò un uomo alto, intabarrato in un cappotto vecchio e dimesso da cui scosse i fiocchi candidi che si erano depositati.
Lavinia fece un cenno al giovane che, con un sorriso, si accinse a raggiungerla al tavolo facendosi largo tra i clienti.
– Scusa il ritardo! Il traffico in città è paralizzato e la gente sembra impazzire sotto le feste.
- Non ti preoccupare, sono arrivata anch’io da poco. E’ sempre un piacere vederti, Remus caro!
I due si scambiarono una breve abbraccio e poi, tornando a sedersi, una lunga occhiata.
- Allora? Ma che cosa mi combini, sorellina? – esordì il mago in tono affettuoso e partecipe, stringendole dolcemente la mano.
- Che ti combino? Io? – Lavinia ridacchiò tristemente, osservandolo malinconica. - Che ti ha combinato il nostro caro professore di Difesa Contro le Arti Oscure, vorrai dire, dal momento che ha fatto tutto lui. E’ probabile che il conseguimento dell’obiettivo tanto agognato gli abbia dato alla testa!
- O forse i problemi che si sono moltiplicati, ultimamente. - la contraddisse Lupin, pacato.
- Lo so che non è un periodo facile per lui, anche se purtroppo non mi ha mai messo totalmente al corrente di ciò a cui gli tocca far fronte come membro dell’Ordine.
- Esattamente. Ti assicuro che Severus non ha un compito semplice da sostenere, soprattutto adesso.
- Se solo me ne avesse parlato fino in fondo, se solo si fosse confidato con me… Gli sarei stata accanto in modo diverso e adesso, forse, saremmo ancora insieme…- proseguì lei, scuotendo il capo. – O forse no. Severus comunque ha ammesso di non amarmi più. No, no è inutile che io continui a spaccarmi la testa su quello che è successo per cercare di capire. Potrei solo diventare pazza di questo passo; è andata così, perché lui aveva già deciso che doveva finire! – concluse in tono amaro, alzando lo sguardo sull’amico.
L’uomo fissò sconcertato gli occhi azzurri della ragazza, una volta luminosi, pieni di vita e ora privi di luce e appesantiti da profonde occhiaie scure che non aveva ancora notato.
Si agitò un poco sulla sedia e interruppe subito il contatto visivo, provando a ribattere.
- Non poteva certo rivelarti tutto. Credimi, l’avrà fatto sicuramente per proteggerti e per non farti preoccupare.
Lavinia corrugò la fronte e sospirò con aria dubbiosa. Trovava paradossale e irritante al tempo stesso che Remus, di punto in bianco, fosse diventato così comprensivo nei confronti di Severus e cercasse in qualche modo di giustificarlo.
- Adesso come stai? E che cosa hai deciso di fare? – chiese improvvisamente Lupin per sviare il discorso, come indovinando i pensieri che passavano per la testa dell’amica.
- Lui era la mia vita, il mio futuro, tutto ciò che volevo. Adesso non c’è più nulla che conti, non ho più nemmeno voglia di pensare. La mattina, quando mi alzo, è come se ogni giorno che sto per affrontare fosse vuoto, senza il sole e senza un senso. E’un po’ come se mi fosse passato sopra uno schiacciasassi; so che non sono cose da dire ma per ora è così. Chissà, con il tempo, mi rimetterò in pista… forse… Eppure, con tutto ciò non riesco ad odiarlo. Mi manca. Mi manca immensamente. Mi mancano i suoi occhi e il suo sguardo, la sua bocca, il suo profumo, le sue mani e i suoi gesti; mi manca il modo in cui cammina, la sua voce quando mi parla. Mi manca di vederlo, di toccarlo, di respirarlo. Mi manca tutto, Remus, tutto ciò che nessuno mi potrà più ridare. - mormorò, fissandosi le mani quietamente intrecciate sul tavolo.
Il lungo attimo di soffocante silenzio che era calato tra loro fu interrotto dal cameriere che portava le ordinazioni.
- Ecco qua: una birra media per il signore e un Christmas Pudding per lei.
Il ragazzo si allontanò con il vassoio vuoto e Lavinia indicò il boccale da cui traboccava leggermente un po’ di schiuma, sul tavolo, di fronte all’amico.
- Non tocco più un goccio di alcol da che ho combinato quel disastro. – disse, quasi allegramente, alludendo alla sbronza presa durante il party di Lumacorno.
- Oh sì, me lo hai scritto. A Severus deve essere venuto un colpo quando ha scoperto l’aula distrutta! – provò a scherzarci sopra Remus.
- Il capolavoro non l’ha scoperto lui, ma zia Minerva. Avessi visto la sua faccia, povera donna. – ribattè lei in tono forzatamente leggero, e attaccò a gustare il proprio dolce.
- Non bevo, ma in compenso mi sono messa a mangiare. Che cosa c’è di più consolante e delizioso del cibo, dimmi, eh, Remus? Alla nostra! – e alzò la ciotola del pudding, invitando l’amico ad un brindisi.
- Alla nostra, Lavinia! – replicò il mago, toccando la tazza con il proprio boccale.
La giovane ritornò improvvisamente seria e malinconica.
- Dopo le feste partirò per l’Italia. – dichiarò in fretta, quasi più a se stessa.
Lupin depositò di botto il boccale sul tavolo e la guardò con espressione attonita, incapace di ribattere.
– Papà ha provveduto a trovarmi una sistemazione come insegnante presso un collegio privato in Toscana. Lo sai, lui collabora anche con il Ministero della Magia e ha tanti contatti all’interno della Sezione per l’Istruzione Magica. Ora che ho un po’ di esperienza, andrò là ad insegnare Levitazione con la Forza della Mente.
- Perciò, lasci ancora l’Inghilterra? – esclamò Remus, sorpreso e rattristato allo stesso tempo.
- Sì, credo che, come già in passato, sia il primo passo da fare se voglio ricostruirmi una nuova vita. E’ per questo che ci tenevo tanto a parlarti subito. A proposito, dove trascorrerai il Natale? Vuoi venire da noi? – lo invitò Lavinia, con un barlume della dimenticata vivacità.
- No, io… sono già in parola con i Tonks, mi dispiace, l’avrei passato davvero volentieri con voi ma Dora… ehm… ha tanto insistito… – un rossore diffuso sostituì per un attimo il pallore abituale sul volto stanco del giovane mago.
La ragazza lo guardò, sorridendo maliziosamente.
- Aaah… capito. - fece una breve pausa poi riprese, scrutando attentamente l’uomo. - Ma parliamo un po’ di te, adesso. Come va con Ninfadora, mio caro?
- Va come sempre, e non iniziare con il solito discorso su come “dovrei mettermi con lei perché sai benissimo che insieme saremmo felici, e che le mie sono solo paranoie mentali senza costrutto, e bla, bla, bla…” – la interruppe, sbuffando.
- E tu sai perfettamente che ho ragione! E' per questo che ti da fastidio parlarne, ed è la stessa ragione per cui io tengo duro. – continuò Lavinia con un sorrisetto sornione sulle labbra.
- E’ inutile, non posso legare a me una persona importante come lei, sapendo quali e quanti problemi la costringerei ad affrontare. – obiettò, ostinatamente, Remus.
- Ma possibile, dannata “testa di licantropo”, che non riesca ad entrarti in quella zuccaccia vuota e pelosa che lei ti ama sinceramente e affronterebbe anche l’inferno pur di starti accanto? – sbottò la ragazza con espressione seria.
Remus la guardò pensieroso per alcuni secondi, poi scrollò la testa.
- Lavinia, il nostro rapporto non avrebbe più probabilità di funzionare di quante ne abbia avute il tuo con Severus. – commentò amaramente.
Lavinia trattenne il fiato per un attimo poi, fissando un punto indefinito dietro le spalle dell’uomo, proseguì in tono quasi distaccato.
- Amico mio, non fare l’errore di rinunciare alla felicità per paura di soffrire. E’ vero, adesso sto molto male, probabilmente se avessi saputo in anticipo come sarebbe andata a finire la nostra storia ci avrei pensato mille volte prima di farmi coinvolgere ma, così facendo, mi sarei negata il periodo più bello, felice e importante della mia vita. Se avessi deciso di non viverlo, per paura del dolore, non avrei mai saputo a che cosa stavo rinunciando. Non renderti infelice con le tue stesse mani, Remus, e non rendere infelice un’altra persona.
Lavinia alzò ancora la ciotola del pudding ormai vuota e toccò il boccale di Lupin, proponendo un altro brindisi.
- Buon Natale, Remus, e sii felice, se puoi, almeno tu!
- Buon Natale, Lavinia e… che tu possa tornare ad esserlo al più presto!
Fuori continuava a nevicare, mentre nel pub risuonavano le note allegre della solita All I want for Christmas is you, provenienti da un televisore appeso sopra al bancone.

Edited by Ele Snapey - 28/5/2013, 15:23
 
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