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Il breve vialetto cosparso di ghiaia bianca che iniziava subito dopo la preziosa cancellata di ferro battuto, era affiancato da due file di eleganti cipressi.
Ogni giorno la custode, Mrs. Jackson, provvedeva a rastrellarlo con cura maniacale da qualsiasi impurità ne deturpasse il candore.
Ogni giorno Lavinia lo percorreva, quasi con deferenza, verso le cinque del pomeriggio, subito dopo il termine delle lezioni, per la sua passeggiata quotidiana lungo i sentieri che si perdevano tra le campagne circostanti.
Anche in quel luminoso pomeriggio di aprile Lavinia giunse al cancello della villa e lo varcò, salutando Mrs. Jackson intenta a raddrizzare una pianta di glicine vicino all’entrata della scuola.
Viveva al Collegio Privato di Magia e Stregoneria “Villa Belloncio” da qualche mese, ormai, ma non si era ancora abituata alla burbera scontrosità di Mrs. Jackson, che le veniva da considerare un po’ come la versione femminile di Gazza, appesantita da qualche chilo in più.
Sarebbe stata una magnifica vittima per Fred e George Weasley, se solo ne avessero avuta l’opportunità.
La custode rispose con il solito, scorbutico cenno di capo e Lavinia, che ormai non vi faceva più caso, si incamminò per il sentiero che si inoltrava verso i campi coltivati ad alberi da frutta e ulivi.
Davanti a lei, come ogni giorno, si apriva lo stupendo panorama delle colline maremmane dalle molteplici e smaglianti tonalità di verde, rese ancora più brillanti dalla luce del sole.
Quel paesaggio aveva il potere di allargarle il cuore. Colle Belloncio si ergeva dolcemente davanti alla scuola con i suoi prati rigogliosi, le rare cascine disseminate a regola d’arte e le macchie di cipressi alternate a quelle di pini marittimi.
La Toscana era meravigliosa e la sua bellezza spesso l’aveva aiutata a superare i momenti più difficili da che aveva lasciato Hogwarts… e Severus.
Ultimamente, poi, le giornate si erano allungate parecchio e la luce viva del sole era praticamente una garanzia in quel piccolo angolo di pace.
Tutto l’opposto rispetto alle Highlands, che però continuavano a mancarle tantissimo.
Si era abituata abbastanza bene ai ritmi lavorativi di Villa Belloncio, leggermente più impegnativi rispetto a quelli sostenuti a Hogwarts. Lì, infatti, le erano state assegnate alcune ore di insegnamento in più perché la preside, e direttrice della scuola, Delphine Valery Stevenson, adorava la materia di Levitazione con la Forza della Mente.
Il College era privato e ufficialmente riservato ai figli di cittadini inglesi residenti in Italia, per evitare che gli abitanti del luogo potessero nutrire sospetti sulla vera identità degli studenti che si iscrivevano e che erano, in realtà, giovani maghi.
A Lavinia quella sistemazione andava più che bene; aveva solo bisogno di piazzare un macigno grosso come un dolmen sul passato e, nel frattempo, di lavorare per mantenersi. Poi, avrebbe valutato il da farsi.
L’unico, enorme problema era che, a quattro mesi dalla maledetta sera in cui Severus l’aveva lasciata, si sentiva ancora paurosamente infelice, ora esattamente come allora.
Senza di lui nulla aveva più avuto significato. Non vederlo e non sentirlo più continuava a costituire un supplizio continuo a cui non era ancora riuscita a porre rimedio; l’allontanarsi dai luoghi che l’avevano vista felice non aveva ancora sortito alcun effetto positivo. Non ce l’aveva fatta nemmeno la bellezza riposante di Colle Belloncio, per i cui sentieri si costringeva a fare lunghe passeggiate, ogni pomeriggio, da sola, fino all’imbrunire.
La vita era ormai, a suo vedere, un susseguirsi di giornate senza senso, una sorta di
tirare a campare sperando che ogni sorgere del sole portasse un pizzico di pace e il lento trascorrere del tempo lenisse un po’ il dolore che la tormentava.
Anche quel giorno, così uguale a tutti quelli che l’avevano preceduto, Lavinia aveva camminato per quasi due ore, respirando l’aria satura della primavera alle porte, ammirando lo spettacolo che le offriva la natura.
Come ogni giorno si era seduta sul ceppo situato al centro della vallata, sotto un maestoso, vecchio ulivo. Da lì aveva osservato a lungo l’azzurro intenso del cielo contro cui si stagliavano i rilievi morbidi delle colline; ne aveva studiato i colori che si alternavano e sfumavano, la verde spianata sottostante verso cui digradava il colle, i campi zeppi di papaveri rossi e quelli intensamente gialli di girasoli, gli animali al pascolo, il piccolo paese lontano arrampicato sui declivi da cui proveniva sempre, ad una certa ora, il rintocco attutito delle campane.
E, anche quel giorno, assaporando il silenzio che la circondava rotto solo da qualche breve ronzio d’ape, aveva pensato a come avrebbe voluto che Severus fosse lì, accanto a lei, a gustarne lo stesso incanto.
Gli occhi le si erano riempiti di lacrime: chissà perchè si sentiva più malinconica del solito.
Le mancava, terribilmente, infinitamente più delle Highlands. Niente e nessuno avrebbe potuto riempire il vuoto che aveva lasciato.
Era come se nel cuore si fosse aperto un buco nero e questa buia voragine senza fine avesse inghiottito tutto.
“Sindrome premestruale” pensò tra sé, sospirando rassegnata, e si accinse a tornare verso la villa.
Il Collegio era protetto da numerosi incantesimi di disillusione e respingi-babbani, e nascosto dagli alberi agli occhi dei rari passanti che percorrevano la strada principale, a un paio di chilometri da lì.
Quando Lavinia vi arrivò, le prime ombre della sera stavano già allungandosi sulla vallata.
Raggiunse i propri alloggi e iniziò a prepararsi per la cena.
La camera non aveva nulla da invidiare a quella che aveva lasciato a Hogwarts. Era ampia, calda, confortevole e Lavinia le aveva naturalmente conferito il proprio, caratteristico tocco personale, riducendola al solito campo di battaglia.
Mancava uno Specchio delle Brame ma in compenso quello che aveva a disposizione era molto ricercato, contornato da una preziosa cornice dorata in stile liberty. Era grande e perfetto, rifletteva l’intera persona e, soprattutto, non parlava.
Sul cassettone antico, alla destra del letto, tra i numerosi oggetti che vi aveva ammassato sopra, disordinatamente, campeggiava una foto.
Lavinia non ce l’aveva proprio fatta a strapparla: era troppo bella.
Ritraeva Severus a mezzo busto nell’atto di voltarsi, colto di sorpresa, a guardare verso l’obbiettivo con la solita aria truce che si stemperava in un seducente sorriso, dolce e affascinante insieme, per poi tradursi in una meravigliosa espressione canzonatoria e insolente.
Sapeva benissimo come tenerla lì fosse deleterio, perché continuare ad averlo davanti agli occhi non l’avrebbe certo aiutata a rimarginare la ferita, ma non aveva potuto farne a meno.
Uno sbatacchiare insistente di ali contro i vetri della finestra le annunciò che Andrew era tornato con la risposta alla lettera che aveva spedito qualche giorno prima.
Fece entrare il gufo e staccò la missiva appesa alla zampina.
Remus le aveva risposto subito. Sorrise lievemente, leggendo le prime righe in cui l’amico la informava sulle ultime novità fra lui e Tonks.
Pareva che si fosse finalmente deciso a dare qualche chance alla ragazza e la stesse frequentando un po’ di più rispetto al passato.
“ E brava la mia Testa di Licantropo.” commentò tra sé, soddisfatta, continuando a ridacchiare.
Aveva mantenuto con lui un regolare scambio epistolare; si sentivano via gufo almeno una volta alla settimana, così come con zia Minerva che le recava notizie dal castello, comprensive dello stato di salute di zio Albus.
In entrambi i casi, all’arrivo di posta proveniente dall’Inghilterra, Lavinia avvertiva sistematicamente un tuffo al cuore.
Ogni volta temeva, o forse sperava, di leggere qualcosa che riguardasse Severus.
Ma sia l’amico che la vice preside, avevano sempre accuratamente evitato di menzionarlo anche solo per sbaglio.
Stava proseguendo nella lettura, quando un breve tocco alla porta distolse la sua attenzione dal foglio.
- Avanti! – guardò verso il battente in legno che si apriva e vide spuntare la testa di un giovane, bruno e di corporatura media, munito di un eccezionale paio di occhi azzurri, trasparenti e brillanti.
Lavinia gli sorrise, invitandolo ad entrare con un cenno della mano.
- Ciao John, scusa se ti faccio aspettare. Stavo finendo di leggere la lettera del mio amico Remus Lupin.
- Non ti preoccupare, fai pure con comodo, sono in anticipo. – rispose il giovanotto, andando ad accomodarsi sull’unica sedia libera.
John Collins, uno dei due docenti di sesso maschile in forza a Villa Belloncio, era titolare della cattedra di Aritmanzia ed era pure, avendo l’altro insegnante, il professor Ebenezer Fitzpatrick, raggiunta la veneranda età di novantacinque anni, l’unico soggetto a beneficiare di attenzioni da parte del corpo studentesco di sesso femminile del college.
Lavinia ripose la missiva di Remus, decidendo di leggerla con calma dopo cena.
- Guarda che cosa ho rubato per te. - esordì il professor Collins, tendendole una magnifica rosa dai colori iridescenti.
- Oh John, ma è splendida, non dovevi! Spero che tu l’abbia fatto di nascosto dalla vecchia Flora. – esclamò Lavinia, afferrando delicatamente il fiore con aria rapita.
- Ma certo, che scoperta. Sai benissimo quanto sia morbosa quando si tratta delle sue creature. Se mi avesse scoperto a recidere una delle preziosissime Rose Meijerem custodite gelosamente in serra, mi avrebbe tagliato le mani!
Lavinia scoppiò a ridere, inspirando il profumo delicato del fiore.
Flora Birch era l’insegnante di Erbologia, la cui unica passione per tutta un’esistenza dovevano essere state le piante.
- Sono felice che questa rosa sia servita a farti tornare il buon umore… – azzardò il professor Collins, in tono serio.
- Oh, ma io ero già di buon umore… - ribattè la giovane donna cercando di assumere un’aria sorpresa. – Inoltre, ricevere la lettera di Remus mi ha fatto ancora più piacere.
- E’ inutile, con me non attacca. I tuoi occhi parlano chiaro: oggi sono particolarmente tristi.
Lavinia lo guardò imbarazzata senza sapere cosa ribattere. Il fatto che il suo malessere fosse così evidente la buttò ulteriormente a terra.
Con John Collins, che era più giovane rispetto a lei solo di qualche anno, aveva stabilito da subito un buon rapporto, anche se le dimostrava chiaramente un interesse che andava oltre la semplice amicizia.
Senza mai incoraggiarlo, aveva comunque trovato in lui una persona sensibile e comprensiva a cui non era stato possibile nascondere il motivo dei suoi frequenti momenti di depressione.
- Quando ti deciderai a far sparire quella foto? – la provocò in modo discreto, indicando con un cenno del capo il portaritratti da cui li occhieggiava Severus.
Lavinia abbassò gli occhi, senza parlare, e l’altro ne approfittò per continuare.
- Non è un buon metodo per curare le piaghe del proprio cuoricino sofferente, lo sai vero?
- Lo so John… Ma non posso…- rialzò lo sguardo velato di malinconia e lo diresse in quello intelligente e acuto dell’amico, scuotendo tristemente la testa. - Lui è in me, sempre. E’ nel mio cuore, nel mio cervello, nei miei occhi, nella mia pelle. E ci rimarrebbe, comunque… anche se rimuovessi quella foto.
John sospirò, si alzò e andò alla finestra, guardando pensierosamente il giardino sottostante per qualche secondo.
- Non siamo messi bene, a quanto sento, mia cara. – riconobbe, in un tono che sforzò di mantenere neutro. - Io non riesco a capire, scusa sai, ma non ce la faccio proprio. Quell’individuo ti ha lasciato in modo ignobile dopo averti illuso per tre anni, ti ha fatto soffrire oltre misura, ti ha distrutto l’esistenza e tu… Tu non riesci a dimenticarlo!? Ma è inconcepibile! Riesci a spiegarmi il motivo di tanta ostinazione nel volerti far del male? – mormorò, quasi più rassegnato che irritato.
Lavinia ancora una volta non rispose. Perfino lei non riusciva a comprenderne il perché: come avrebbe quindi potuto fornirgli una motivazione plausibile? Le capitava così, e basta. Magari avesse potuto schiacciare un pulsante in grado di azzerare all’istante ogni sentimento, ricordo o emozione.
Il giovane si voltò di nuovo a guardarla, e notò l’aria mortificata stampata sul suo volto.
Si affrettò quindi a cambiare tono e discorso.
- E allora sai dirmi, almeno, quando ti deciderai ad accettare il mio invito a cena? – buttò lì, allegramente.
- Beh, tra dieci minuti, mio cavaliere ardente. Il tempo di sistemarmi e di scendere in Sala Pranzo, dove potremo cenare insieme, come ogni sera d’altronde, di che ti lamenti? – rispose prontamente la ragazza, rianimandosi.
- Ok, ho capito. Mi toccherà aspettare ancora. Allora ti precedo, mia dolce pulzella, vado a conquistare i posti a tavola. A dopo. – ribattè il professore dedicandole un ultimo, lungo sguardo rassegnato e uscì dalla stanza con un sorriso.
“Forse dovrei provare veramente ad uscire con lui.” pensò Lavinia.
Aveva riflettuto spesso su questa opportunità, dicendosi che forse era venuto il momento di verificare l’attendibilità del famoso detto
chiodo scaccia chiodo.
Sapeva anche, però, che non avrebbe mai più sopportato nessun’altra mano sul proprio corpo o nessun’altra bocca sulle labbra che non fossero quelle di Severus.
John aveva ragione. Era messa davvero malissimo.
Pensare al momento di ricostruirsi una vita sentimentale felice pareva un’utopia ma, altrettanto incredibile e inaccettabile, sarebbe stato continuare ad agonizzare sul ricordo di un uomo che l’aveva buttata via come un calzino usato.
La giovane donna si alzò stancamente dal letto. Era quasi ora di cena e doveva farsi ancora la doccia; avrebbe dovuto sbrigarsi anche se non aveva fame e di conseguenza nessuna voglia di raggiungere il refettorio.
Si fermò di fronte all’immagine nel portaritratti, proprio nel momento in cui lui si voltava a fissarla con quegli occhi neri e profondi come la notte, capaci ancora di farle provare forti brividi sulla pelle.
- Che dici… Forse è meglio accettare il consiglio del professorino e chiuderti nel cassetto? – sussurrò, allungando la mano a sfiorare il volto animato sulla foto. Dio, quant’era bello!
- Lo farò; non adesso, però, più avanti… Forse…
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Inqualificabile!
Stavolta aveva passato il limite e non trovava nemmeno le parole per definire un tale, riprovevole comportamento.
Una rabbia incontenibile si agitava tumultuosamente nella sua testa mentre, a passo di carica, ripercorreva i corridoi affollati diretto verso l’ufficio di Silente, lasciando impronte bagnate sul pavimento.
Anche in quel frangente Potter si era rivelato ciò che aveva sempre pensato fosse: un ragazzino decerebrato, incosciente, bugiardo e impunito, tale e quale a quello sbruffone del padre.
C’era mancato poco che mandasse il giovane Malfoy all’altro mondo e, se lui non si fosse trovato per caso a passare nel corridoio accanto ai bagni fuori uso delle ragazze e non avesse sentito strillare Mirtilla, ora la scuola avrebbe dovuto rispondere della morte di uno studente per mano di uno scriteriato compagnuccio di scuola, privo del benché minimo senso di responsabilità.
Senza contare come, di conseguenza, se Draco fosse morto, egli stesso ne avrebbe fatto le spese, sempre a causa di quel maledetto Voto Infrangibile!
Aveva pure avuto il coraggio di prenderlo per i fondelli. Aveva osato mentire spudoratamente a lui in persona, riguardo il testo da cui aveva senz’altro attinto l’informazione che gli era servita per usare il
Sectumsempra!
L’aveva sfidato ancora una volta, presentandogli con incredibile sfacciataggine il volume di Pozioni Avanzate appartenente a quell’altro cerebroleso del suo migliore amico Weasley, alias Roonil Wazlib, al posto del proprio, cioè di quello incriminato.
Severus si bloccò in mezzo al corridoio, folgorato da un pensiero improvviso, sotto gli occhi stupiti di un paio di studenti che lo avevano appena salutato rispettosamente.
Indirizzò lo sguardo, perso in ricordi lontani, verso l’apertura tra due colonne da cui si poteva osservare la fitta pioggerellina primaverile che scendeva imperterrita a bagnare il cortile di Trasfigurazione: come diavolo aveva fatto, Potter, ad entrare in possesso di quello che era stato il suo prezioso libro di Pozioni Avanzate? Il raro compendio di nozioni segrete su cui aveva vergato con minuzia miriadi di precise annotazioni e formule complicate, frutto di studio e di ricerca che avevano migliorato la qualità del proprio lavoro a tal punto, da permettergli di diventare lo studente migliore del corso di Lumacorno e, di conseguenza, di Hogwarts?
Di una cosa era certo: ora, finalmente, si era svelato l’arcano riguardo agli improvvisi, inspiegabili progressi di Potter in Pozioni, tanto sbandierati da Horace!
Il sangue gli ribollì, ripensando alle frecciatine che aveva dovuto subire durante l’ultimo Consiglio Insegnanti da parte di Minerva McGranitt:
“Vedi, Severus, che non era il ragazzo ad essere poi così incapace, ma tu a pretendere troppo?”Ragazzino sciocco e presuntuoso! Come aveva osato mettere le mani indegne su quel tesoro prezioso, appartenuto a lui e solo a lui, il
Principe Mezzosangue?
E, soprattutto, dove diavolo poteva averlo nascosto, pur avendo a disposizione pochissimo tempo, così da riuscire a non consegnarglielo?
Doveva rientrare assolutamente in possesso dell’antico testo scolastico. Conteneva troppi segreti importanti che lo riguardavano e avrebbero potuto diventare un’arma pericolosissima nelle mani sbagliate, esattamente come era già accaduto pochi istanti prima.
Si rimise in marcia, ripercorrendo con la mente quello che era appena successo.
Pensò a come, di primo acchito, l’immagine di Draco riverso nell’acqua arrossata che allagava il pavimento del bagno gli avesse ghiacciato il sangue nelle vene.
La vista di Potter, lì accanto, paralizzato dall’orrore e tremante, con la bacchetta ancora alzata tra le mani gli aveva immediatamente chiarito l’accaduto, nonostante avesse stentato a crederlo.
Aveva reagito in una frazione di secondo. In casi del genere era indispensabile attivarsi immediatamente: il
Sectumsempra era un sortilegio oscuro che non lasciava scampo, se non si interveniva con rapidità.
Sì passò una mano sul volto. Era stanco, da morire.
Gli ultimi mesi erano stati pesantissimi, vissuti sempre sotto una tensione costante e snervante. Voldemort stava giungendo ormai all’ultimazione del piano di conquista di Hogwarts: pretendeva da lui continue informazioni e che fosse presente sempre più spesso alle frequenti riunioni fra Mangiamorte che degeneravano, quasi regolarmente, in banchetti orgiastici o riti sacrificali.
Era a conoscenza di come Draco avesse ricevuto l’ordine di uccidere Silente, ma non era ancora riuscito a sapere in che termini e modalità pensasse di farlo.
Il ragazzo ormai non si fidava più di lui perché, molto probabilmente, lo riteneva responsabile di aver scalzato il padre dal posto privilegiato che aveva sempre occupato presso l’Oscuro Signore e, quindi, non gli aveva confidato mai nulla riguardo l’incarico affidatogli.
La sola certezza era costituita dal fatto che il giovane Malfoy ci stesse già provando, eccome, anche se con sistemi goffi, improvvisati e poco convinti.
L’ultimo tentativo era stato quello che aveva quasi ammazzato Ron Weasley, dopo che anche Katie Bell era rimasta vittima di un incantesimo oscuro.
Tutte dimostrazioni di come Draco non avesse ancora trovato un sistema veramente efficace per centrare l’obiettivo, e ciò preoccupava oltremodo Severus.
Non aveva idea di che cosa aspettarsi ma sentiva dentro di sé, con profondo sgomento, crescere la convinzione che alla fine sarebbe stato costretto a soddisfare la folle richiesta del preside, quella cioè di ucciderlo!
Un incubo che mai e poi mai avrebbe voluto affrontare.
Un’azione terribile che lo avrebbe consegnato definitivamente all’inferno, in barba ai vaneggiamenti di Silente, riguardo a come sarebbe stato in realtà da riconsiderare il suo risolutivo intervento omicida.
“Tu solo sai se evitare a un vecchio sofferenza e umiliazione sarà un danno per la tua anima…” *
Erano state le parole che gli aveva rivolto Silente, subito dopo avergli chiesto di sollevare il giovane Malfoy dalla terribile responsabilità di assassinarlo, per evitare che la sua anima ancora integra si “guastasse”.
Si sentiva sfinito.
La vista si appannò e fu costretto a sostenersi alla parete, assalito da un lieve capogiro.
- Si sente poco bene, professore?
Spalancò gli occhi in faccia ad una studentessa del quinto anno di Serpeverde, sbucata da chissà dove, che lo stava osservando un po’ preoccupata.
Per tutti i Gargoyle! Avrebbe giurato di essere solo in quel tratto di corridoio, perciò si era concesso quel fugace momento di debolezza.
Si raddrizzò prontamente, sovrastandola di un bel pezzo con la propria altezza.
- Affatto, signorina Greenwood, mi sento in perfetta forma… – rispose, ricorrendo all’inquietante tono di voce basso e modulato che utilizzava quando voleva mettere a disagio le persone. - E lei, a quest’ora, non dovrebbe trovarsi nell’aula di Rune Antiche per la lezione? – proseguì, freddandola con un’occhiata polare.
Abigail Greenwood incassò la testa nelle spalle e si affrettò a imboccare la direzione consigliata, senza azzardarsi ad aggiungere alcuna giustificazione al proprio Capocasa.
Severus riprese il cammino verso lo studio del preside, recuperando il filo delle riflessioni perso poco prima.
L’assenza di Lavinia era un’altra, pesante aggravante che si aggiungeva a quel periodo nefasto.
Non era trascorso giorno senza che l’avesse pensata un’infinità di volte, nonostante tutto quello che aveva per la testa.
Se solo fosse stata lì, accanto a lui, il carico di responsabilità che lo stava sfiancando sarebbe stato più sopportabile.
Si domandava spesso che cosa stesse facendo e quali persone fossero accanto a lei, da che se ne era andata.
Il castello poi, era un unico, grande altare alla memoria di ciò che era stato il loro amore e ogni angolo glielo ricordava impietosamente.
Si aspettava di vedersela sbucare all’improvviso da qualche aula, o in Sala Grande per cena e, passando davanti a quella che era stata la sua stanza, gli pareva addirittura di sentire aleggiare ancora la scia di profumo appena lasciata dal suo passaggio.
Una vera tortura che contribuiva a rendere tutto ancora più difficile.
Si accorse di essere giunto, nel frattempo, davanti al gargoyle che presidiava l’entrata dell’ufficio di Silente.
Era suo dovere riferire al preside riguardo al grave accaduto e informarlo del fatto che avrebbe preso volentieri a calci nel sedere il Prescelto ma, non potendolo fare, si sarebbe limitato a garantirgli una severa punizione in sostituzione di tutti gli allenamenti di Quidditch, a cui il ragazzo doveva presenziare in qualità di capitano della squadra di Grifondoro.
A quell’idea non poté fare a meno di sorridere malignamente poi, prima di entrare, cercò di recuperare la consueta maschera di impassibilità.
Nemmeno più ad Albus avrebbe concesso il privilegio di indovinare il suo reale stato d’animo.
Resistere. Ecco ciò che doveva fare ormai, resistere fino in fondo, nonostante si sentisse spossato.
Pronunciò la parola d’ordine necessaria a far spostare il gargoyle e imboccò le scale in movimento dietro al mostro di pietra, sparendo alla vista dell’ignaro Gazza che stava sopraggiungendo dalla parte opposta del corridoio, brandendo la consueta ramazza.
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* HP e i doni della Morte