Vestali - 3
Forse le vestali, sacerdotesse del fuoco, sono ancora più antiche della loro dea. Le fonti sono incerte, ma sembra che, come ho accennato nella seconda parte, una divinità del fuoco esistesse ancora prima di Vesta. Prendeva il nome di Caca ed un gruppo di donne era addetto alla cura del focolare pubblico, che si trovava sul Palatino. Probabilmente nemmeno Caca aveva un simulacro, un’immagine, ma
era il fuoco, come presumibilmente lo è stata Vesta sino all’età imperiale.
Di certo il fuoco ha avuto però sempre delle custodi: donne, naturalmente, perché era la
mater familias ad occuparsi di quello domestico. All’epoca dei re, la regina era custode del focolare privato delle loro maestà, che era anche il focolare dello Stato. Ma le vestali dovevano dedicarsi totalmente al culto della dea, libere da impegni sociali, quali il matrimonio e la nascita dei figli.
Come si diventa Vestale
Il Pontifex Maximus, capo della religione di Stato, estraeva a sorte, fra venti bambine di sua scelta, quella che sarebbe diventata sacerdotessa. I requisiti erano un’età fra i sei e i dieci anni, non avere difetti fisici ed avere entrambi i genitori viventi. Nei primi secoli della repubblica venivano ammesse solo bambine di nobile nascita, poi, forse dal IV secolo a.C.,vennero accettate anche quelle di condizione plebea. Il termine “plebea” non deve ingannare: non si trattava di bambine povere, ma semplicemente di “non nobili”, quindi figlie di commercianti o imprenditori.Il sorteggio avveniva probabilmente in Senato, così come in Senato si controllavano i requisiti delle bambine offerte spontaneamente dai genitori, cosa che sembra accadesse piuttosto frequentemente.
Perché le bambine venissero offerte alla dea spontaneamente, non è dato sapere ma, più che un atto di profonda religiosità dei genitori, sembra un buon modo di liberarsi di una femmina di troppo, che avrebbe impoverito il patrimonio di famiglia, con la dote da versare al marito al momento delle nozze.
La piccola vergine prescelta, veniva accolta dal Pontefice con una sorta di cerimonia detta captio, con la formula rituale:
“Sacerdotem Vestalem, quae sacra faciat, quae ius siet sacerdotem Vestalem facere pro populo Romano Quiritibus, uti quae optima lege fuit, ita te, amata, capio.”
("Così io ti prendo o amata, come sacerdotessa Vestale, per i riti che una sacerdotessa Vestale è giusto che celebri nell'interesse del popolo Romano e dei Quiriti, essendo compiutamente idonea secondo legge.")
A. Marchesini - Consacrazione di una nuova Vestale
Con questa formula, la novizia passava ufficialmente dalla potestà paterna a quella del Pontefice, esattamente come la sposa passava alla potestà del marito. Come a dire: le donne, libere di decidere della propria vita, mai.
Veniva poi la vestizione della nuova sacerdotessa, che si svolgeva nell’
Atrium Vestae (Casa delle Vestali), presso il tempio di Vesta nel Foro, dove riceveva anche le insegne della sua carica.
Possiamo ancora vedere l’abbigliamento della Vestale nelle statue-ritratto che ci sono pervenute: indossava una tunica, stretta dal cosiddetto "nodo d'Ercole", una cintura , come le novelle spose, ma la parte più interessante è l’acconciatura del capo.Nel corso della captio alla novizia venivano tagliati i capelli (appesi poi ai rami di un giuggiolo) e le veniva posto sulla testa una specie di diadema di lana, diviso in sei cordoni, chiamato
seni crines (proprio delle matrone e vietato alle ragazze ed alle prostitute), parzialmente coperto dal velo bianco o
suffibulum, che arrivava a coprire anche le spalle, simile a quello rosso (
flammeum), indossato dalle ragazze nel giorno del matrimonio.
Nei primi dieci anni di servizio la piccola vestale veniva istruita, da una consorella più anziana, sulle mansioni inerenti al sacerdozio, i riti quotidiani, i giorni di festa e le cerimonie pubbliche annuali. Per altri dieci anni effettuava il servizio propriamente detto e negli ultimi dieci istruiva a sua volta una novizia.
Sembra che, passati i trent’anni canonici, ben poche lasciassero la Casa delle Vestali per rientrare nel mondo, e si può anche capire perché. Entrate bambine in un ambiente molto diverso da quello delle donne comuni, sarebbe stato arduo, a quasi quarant’anni, inventarsi una nuova vita.
Difficilmente un uomo le avrebbe chieste in moglie, quando c’erano tante ragazzine disponibili. Nella casa paterna, morti verosimilmente i genitori, avrebbero trovato il fratello maggiore con la sua famiglia. Sarebbero diventate figure di scarsissimo rilievo , sempre soggiogate, in questo caso, alla potestà fraterna, mentre restando vestali, avrebbero conservato per sempre onori e privilegi propri delle sacerdotesse anziane: tutto un altro vivere!
Le vestali e il Pontifex Maximus
Nella religione romana, le donne rappresentavano un’anomalia.
I riti religiosi erano cose da uomini a Roma, come del resto lo sono ancora ai nostri giorni, nella religione cristiana e non solo, ma le vestali avevano un loro posto ben preciso e non è da escludere che fossero un relitto, mascherato e svilito, dell’antichissima cultura matriarcale. Avevano uno stretto legame con le matrone, custodi del focolare domestico, e le matrone rappresentano l’antica regina ed il suo fuoco privato, di cui il re non poteva fare a meno.
Un’altra figura femminile della religione romana era la
Flaminica,moglie del
Flàmine, sacerdote addetto al culto di un solo dio. Una persona importante il Flamine, soprattutto quello preposto al culto di Giove. Eppure, se sua moglie moriva, era costretto a lasciare il sacerdozio.
Evidentemente c’era bisogno di una coppia, perché i riti andassero a buon fine, l’uomo da solo non bastava, perciò anche il Pontifex Maximus, capo di tutti i sacerdoti, aveva bisogno di una figura femminile al suo fianco, rappresentata in questo caso dalla Virgo Vestalis Maxima che, pur essendo sottoposta al Pontefice come una moglie al marito, era in realtà piuttosto autonoma, tanto è vero che agli uomini era proibito l’accesso al tempio di Vesta, ed anche il Pontefice vi entrava soltanto in occasioni particolari.
Le sacerdotesse sembrano essere escluse dai sacrifici cruenti, ma era un loro diritto il coltello sacrificale (
secespita), ed erano sempre loro a cospargere di
mola salsa (di loro esclusiva preparazione) le teste degli animali ed ogni offerta per gli dei.
C’è qualcosa di molto, molto più antico di Roma, in questa presenza “necessaria” delle donne nella religione, relegate in secondo piano ma indispensabili.
Se le donne in generale sono la Terra, dispensatrice di vita, le Vestali sono il Fuoco, luce, calore, benessere e quindi dispensatore di vita anch’esso. Concetti molto antichi, molto più degli dei “maschi”, creati dagli uomini per rispecchiarsi nella loro forza e nel loro potere. Per quanto la cultura matriarcale sia stata cancellata, la Terra e il Fuoco sono indispensabili alla sopravvivenza. Così, in una religione tutta mascolina,
obtorto collo bisognava ammettere anche le donne, perché non era possibile cancellare la Grande Madre da cui tutto ha inizio, né la dea del Fuoco.Venivano ammesse come “mogli”, vere o virtuali, sottoposte ad una potestà maschile, ma la verità sembra essere che la presenza femminile nei riti religiosi, fosse irrinunciabile e vincolante, affinché gli dei accettassero le offerte e le preghiere degli officianti.
(Continua)Bibliografia:
Enciclopedia Treccani, Giulio Giannelli, voce "Vestale", 1937
John Scheid, Indispensabili "straniere". I ruoli religiosi delle donne a Roma. in "Storia delle donne", a cura di Georges Duby e Michelle Perrot, volume I, L'Antichità, a cura di Pauline Schmitt Pantel
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