Il Calderone di Severus

Le donne di Roma

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 3/10/2012, 10:31
Avatar

Pozionista sofisticato

Group:
Administrator
Posts:
14,444

Status:


Premessa



trucchi02


" [...] Priva della pula l'orzo che i coloni africani hanno inviato per mare. Sia amalgamata con dieci uova una quantità uguale di lenticchie, ma l'orzo mondato raggiunga il peso di due libbre. Quando questa poltiglia sarà asciugata al soffio del vento, falla macinare con la ruvida mola di un'asina lenta. E tritura completamente, insieme a quella, le prime corna che cadranno ad un cervo longevo: mettine la sesta parte di una libbra. Quando poi tutte queste sostanze si saranno mescolate, subito vaglia tutto attraverso un setaccio molto fitto. Aggiungici dodici bulbi di narciso senza tunica... a questo si aggiunga nove volte tanto di miele. Ogni donna che tratterà il viso con tale cosmetico risplenderà più liscia del proprio specchio."
(Ovidio, De medicamine faciei.)


Alzino la mano tutte le signore che vorrebbero provare quest’antichissima crema di bellezza dagli effetti a dir poco miracolosi.
Ehi… non tutte assieme, mi raccomando!

Eppure, secondo il celebre poeta Ovidio, questo cosmetico era largamente utilizzato dalle donne della Roma d’età imperiale.

Prima di tale periodo però, nella cosiddetta età repubblicana, le donne svolgevano generalmente una vita ritirata all’interno delle mura domestiche. Le cose cambiarono radicalmente con il diffondersi dei costumi orientali. Infatti la famosa frase “Graecia capta ferum victorem cepit” che tradotta letteralmente, significa “la Grecia, conquistata [dai Romani], conquistò il feroce vincitore” (Orazio, Epist.. Il, 1, 156) significa una vera e propria rivoluzione nei costumi dell’antica Roma, nella quale si imparò a curare l’aspetto fisico solo dopo la conquista della Grecia (146 a.C.), assumendo dai Greci i canoni estetici e le relative usanze.
Questo vale sia per gli uomini, ma soprattutto per le donne, che cominciarono a partecipare attivamente alla vita sociale mostrandosi in pubblico riccamente vestite, pettinate, truccate e adorne di gioielli.
Profumi, cosmetici e belletti si diffusero così nel mondo romano, trovando nell'età imperiale la massima diffusione, nonostante l'opposizione dei moralisti legati a modelli comportamentali tradizionalisti e anti-ellenici.

Ma mentre il poeta Ovidio esortava le donne dell’età imperiale ad avere cura del proprio aspetto – sostenendo che non erano più i tempi della Roma primitiva, quando le matrone, con la pelle rovinata dal sole, si accontentavano di coltivare i campi e di filare la lana ed affermando anzi che non era più disdicevole, ma doveroso, valorizzare il proprio aspetto esteriore e conoscere i mezzi per salvaguardare la propria bellezza – non tutti la pensavano come lui.
"Riccioli, trucco, belletto, cerone e denti hai comprato. Con la stessa spesa compravi una faccia nuova", commenta Lucilio nel II secolo a.C., assai poco cavallerescamente nel XVI libro delle sue Satire.

La donna, dunque, in tutti i suoi mille e più mille aspetti. Amata, odiata, celebrata, vituperata, cantata, elevata ad esempio, ammirata.



In questa discussione verranno trattati i seguenti argomenti:

Donne leggendarie o quasi - 1
Donne leggendarie o quasi - 2
Donne leggendarie o quasi -3
Lo strano caso delle donne-avvocato
Operazioni primarie di bellezza
Cosmetici e trucchi
La cura dei capelli - prima parte
La cura dei capelli - seconda parte
Vestiti e gioielli. Parte prima
La donna nella società
Donne di potere e popolane
Le Lupae - 1
Le Lupae - 2
Le Lupae - 3 ed Epilogo
Le Vestali - 1
Le Vestali - 2
Le Vestali - 3
Le Vestali - 4
Locusta l'avvelenatrice
Claudia Livia Giulia 'Livilla'



Edited by chiara53 - 4/8/2016, 07:03
 
Top
view post Posted on 5/10/2012, 16:32
Avatar

Pozionista sofisticato

Group:
Administrator
Posts:
14,444

Status:


Donne leggendarie o quasi - 1



Rea Silvia

La storia di Roma è popolata di fiere ed eroiche figure maschili, sia nella leggenda che nella realtà, a cominciare dai due mitici gemelli, Romolo e Remo, continuando con i sette re, con condottieri e soldati come Attilio Regolo, Muzio Scevola, Furio Camillo, Cincinnato, Giulio Cesare e via combattendo e morendo per la patria.
Sembra non ci sia posto, in questa stirpe guerriera e avida di conquista, insopportabilmente rumorosa per il cozzare continuo delle armi, per il fruscio discreto di un abito femminile, per il tintinnio di braccialetti e collane, per il profumo di un’essenza esotica. Eppure, anche se solo nella leggenda, Roma ha bisogno di una figura femminile per entrare in scena, con un prologo, come a teatro, la cui protagonista è Rea Silvia, figlia di Numitore, re di Alba Longa e discendente di Enea.
Forse non è un caso che la storia di Roma sia così violenta perché, anche nel mito inizia con una violenza: quella subita da Rea Silvia da parte dello zio Amulio che, spodestato il fratello Numitore e uccisi i suoi figli, costringe la nipote, per impedirle di generare eventuali eredi maschi a, diremmo oggi, chiudersi in convento, diventando vestale e quindi tenuta alla castità per trent’anni.
Ma ci penserà Marte, dio della guerra (tanto per cambiare), a scombinare i piani del perfido Amulio: invaghitosi della fanciulla (e speriamo anche lei di lui, sennò ci scappa anche uno stupro), la seduce, la mette incinta e si dilegua. Lo zio cattivo, venuto a conoscenza del parto, addirittura gemellare, si vendica immediatamente facendo arrestare la nipote e ordinando di uccidere i bambini.

300px-Rubens_-_Mars_et_Rhea_Silvia



La povera Rea Silvia finirà sepolta viva, la pena vigente per le vestali che non rispettavano il voto di castità: il suo divino amante non si sogna nemmeno di darle una mano, non si sente in colpa neanche un po’ per aver provocato quella tragedia.
I gemelli intanto, dentro una cesta, fornita dalla serva incaricata dell’infanticidio, colta forse da un sussulto di pietà per le creature, navigano sulle acque del Tevere incontro al loro turbolento destino: ci vorrà un po’, ma ci siamo quasi, Roma.
Il resto del mito consegna Romolo e Remo prima ad una lupa pietosa (sempre una femmina…), che invece di trasformarli in un lussuoso pasto li allatta, poi ad una contadina, Acca Larenzia, moglie del pastore Faustolo, quello che trova i bambini e se li porta a casa per allevarli.
I gemelli crescono, si vendicano del malvagio Amulio uccidendolo per rimettere sul trono il nonno Numitore poi, con un gruppo di compagni decidono di abbandonare Alba Longa per fondare una nuova città.
Risparmiamoci tutti gli eventi violenti e sanguinosi, che la fondazione leggendaria di Roma provoca.

Continua...

(a cura di Sewa)

Edited by chiara53 - 15/10/2012, 22:51
 
Top
view post Posted on 7/10/2012, 19:33

Pozionista provetto

Group:
Bannati
Posts:
11,226
Location:
Sapphire Planet

Status:


Donne leggendarie o quasi - 2



Le Sabine

La città è fondata, niente marmi e ori per il momento, solo un villaggio di capanne nei pressi di un guado del Tevere, dove si può vivere comodamente, ma fino a un certo punto. Se il divertimento era quasi certamente assicurato, perché un villaggio popolato di soli uomini doveva, all’epoca, aver attirato tutte le prostitute del circondario e anche più in là, avevano pur sempre bisogno di qualcuno che si occupasse di loro e desse, ad un branco di furfanti e tagliagole pur se di nobile lignaggio (perché questo erano in realtà), la dignità di padri di famiglia.
Mancavano disperatamente le mogli, così cominciano a guardarsi intorno ed a chiedere alle città confinanti ragazze di buona famiglia da sposare. Tutti rispondono picche, sia per la meritata cattiva fama dei pretendenti, sia perché una nuova città poteva diventare potente e pericolosa per i regni già esistenti.
Così Romolo, per aggirare l’umiliante rifiuto e fargliela pagare, s’inventa una grande festa, a cui invita gli abitanti delle città vicine, per poi far rapire dai suoi tutte le ragazze in età da marito. Il ratto delle Sabine è compiuto.

david_donne_sabine

Naturalmente scoppia il finimondo, insorgono le città offese ed è guerra su tutti i fronti. Romolo e i suoi, abituati da sempre a menar le mani, non si lasciano intimorire ed il minuscolo esercito romano sbaraglia i nemici, fino a quando, grazie al tradimento di una donna (Oh, non sono mica tutte buone, care e sottomesse!), la vestale Tarpeia, i Sabini riescono ad espugnare Roma. I nostri se la vedono brutta ma, a salvare la situazione, arrivano proprio le donne rapite, con i loro figli o con il pancione, mettendosi fra gli ormai mariti e i padri e i fratelli oltraggiati, supplicandoli di piantarla, tanto la frittata è fatta, sono tutti parenti e non ha più senso sbudellarsi a vicenda.
Lo strattagemma ha successo, così i due regni si alleano e si ristabilisce la pace.
Le donne se ne tornano a casa, a filare la lana e ad allevare bambini, pie e sottomesse come al solito.
Tito Livio la racconta così:
« Da una parte supplicavano i mariti (i Romani) e dall'altra i padri (i Sabini). Li pregavano di non commettere un crimine orribile, macchiandosi del sangue di un suocero o di un genero e di evitare di macchiarsi di parricidio verso i figli che avrebbero partorito, figli per gli uni e nipoti per altri. [...] Se il rapporto di parentela che vi unisce e questi matrimoni non sono di vostro gradimento, rivolgete contro di noi l'ira; noi siamo la causa della guerra, noi siamo responsabili delle ferite e dei morti sia dei mariti sia dei genitori. Meglio morire piuttosto che vivere senza uno di voi due, o vedove o orfane. »
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I, 13.)

Plutarco racconta la stessa storia in modo leggermente più romanzato:
« Là mentre stavano per tornare a combattere nuovamente, furono fermati da uno spettacolo incredibile e difficile da raccontare a parole. Videro infatti le figlie dei Sabini, quelle rapite, gettarsi alcune da una parte, ed altre dall'altra, in mezzo alle armi ed ai morti, urlando e minacciando con richiami di guerra i mariti ed i padri, quasi fossero possedute da un Dio. Alcune avevano tra le braccia i loro piccoli... e si rivolgevano con dolci richiami sia ai Romani sia ai Sabini. I due schieramenti allora si scostarono, cedendo alla commozione, e lasciarono che le donne si ponessero nel mezzo. »
(Plutarco, Vita di Romolo, 19, 1-3.)
Probabilmente, magari rimestando la zuppa fumante per il pranzo, avranno sorriso fra sé dei loro bellicosi e valorosi mariti perché, alla fine, Roma l’avevano salvata le mogli.

Continua...

(a cura di Sewa)

Edited by chiara53 - 15/10/2012, 22:54
 
Web  Top
view post Posted on 15/10/2012, 19:55
Avatar

Pozionista sofisticato

Group:
Administrator
Posts:
14,444

Status:


Donne leggendarie o quasi - 3




Lucrezia

Pia, sottomessa, casta e magari ottima padrona di casa e amante: la storia e la leggenda ci rimandano questa immagine della moglie perfetta. Perfetta per il marito che può star fuori di casa tranquillo, a combattere, a discutere in Senato o anche a divertirsi con gli amici, tanto ci pensa lei a provvedere per tutto quanto gli renderà piacevole il ritorno e il riposo fra le mura domestiche.
Se ne vantano, gli uomini, di avere mogli così virtuose, danno lustro al loro onore, anche se, come nel caso di Lucrezia, attirare l’attenzione di altri uomini può scatenare, manco a dirlo, una tragedia.
Lucrezia è la moglie di Lucio Tarquinio Collatino, patrizio romano al tempo di Tarquinio detto il Superbo, ultimo re di Roma.
Durante l’assedio di Ardea, i figli del re e i nobili ammazzano la noia andando di nascosto a vedere cosa combinano le loro mogli da sole. Collatino, ciecamente sicuro della fedeltà di sua moglie, conduce nottetempo e di nascosto degli amici a casa sua, dove Lucrezia sta innocentemente tessendo la lana con le sue schiave.
Tra quelli che hanno potuto costatare la virtù di Lucrezia c’è pure Sesto Tarquinio, figlio del re, che viene persino invitato a cena dallo sventato Collatino. Il principe rimane folgorato dalla bellezza e dalla modestia della padrona di casa e decide là per là che quella donna dovrà essere sua.
Con una scusa, all’insaputa di Collatino, si presenta a casa sua e Lucrezia lo accoglie come si conviene ad un ospite di riguardo. Durante la notte il mascalzone irrompe, armato di spada, nella camera da letto della signora, minacciano di ucciderla se non cederà alle sue voglie amorose. Lucrezia, virtuosamente, si rifiuta pur sapendo di rischiare la vita.

220px_Tizian_094



Lui allora minaccia non solo di ucciderla, ma di lasciare nel letto coniugale, accanto al suo cadavere, anche quello di uno schiavo ucciso. Sarebbe un’intollerabile vergogna, sarebbe infangare per sempre il nome del marito (che se lo meriterebbe pure, tutto sommato): Lucrezia alla fine cede e, quando lo stupratore si dilegua, manda messaggeri al padre a Roma e a Collatino, sempre a intento a trastullarsi sotto le mura di Ardea, chiedendo loro di correre da lei immediatamente perché è accaduta una disgrazia.
Arrivano gli uomini trafelati e la donna racconta in lacrime il fattaccio, facendo anche il nome del regale aggressore poi, pur ammettendo che solo il suo corpo è stato violato, incapace di sopravvivere a tanta vergogna, anche se parenti e amici le dicono che lei non ha nessuna colpa, estrae un pugnale dalle vesti e si uccide.
Un così efferato oltraggio grida vendetta agli dei ed agli uomini, così Collatino, insieme al suo migliore amico, Lucio Giunio Bruto ed al suocero, sobilla il popolo romano contro il re e guida una sommossa che porterà alla fuga dei Tarquini da Roma. La monarchia, già piuttosto malvista, cade definitivamente e viene fondata la res publica romana. I primi due consoli della neonata Repubblica saranno, guarda caso, il vedovo Collatino e il suo amico Bruto.
Non se la meritava una moglie così il nostro vedovo inconsolabile: prima, per vanteria strombazza in giro i meriti della sua amata Lucrezia, suscitando la cupidigia del primo donnaiolo di passaggio, poi quando il danno è fatto e lei gli salva l’onore a prezzo della vita, con la scusa della vendetta tanto fa che si ritrova a capo della nuova nazione romana: un bel tipo Lucio Tarquinio Collatino.
Lucrezia diventa invece lo stereotipo della fedele e buona moglie, quella che tutti gli uomini sognano di avere in casa, quella che risponde serenamente al marito “Domi mansi, lanam feci” (ossia “Ho badato alla casa e ho filato la lana”), quando lui le chiede conto di ciò che ha fatto durante la giornata. Uno stereotipo che attraverserà indenne i millenni e le culture fiorite quando Roma già da molto non era più caput mundi: è stato il fondamento della famiglia nella nostra cultura almeno fino agli anni ’60 del novecento.

(a cura di Sewa)

Edited by chiara53 - 15/10/2012, 22:54
 
Top
view post Posted on 16/10/2012, 20:05
Avatar

I ♥ Severus


Potion Master

Group:
Administrator
Posts:
55,407
Location:
Da un dolce sogno d'amore!

Status:


CITAZIONE (chiara53 @ 5/10/2012, 17:32) 
I nostri se la vedono brutta ma, a salvare la situazione, arrivano proprio le donne rapite, con i loro figli o con il pancione, mettendosi fra gli ormai mariti e i padri e i fratelli oltraggiati, supplicandoli di piantarla, tanto la frittata è fatta, sono tutti parenti e non ha più senso sbudellarsi a vicenda.

Bello tutto, ma questo è veramente sublime: Complimenti!

CITAZIONE (chiara53 @ 5/10/2012, 17:32) 
« Da una parte supplicavano i mariti (i Romani) e dall'altra i padri (i Sabini). Li pregavano di non commettere un crimine orribile, macchiandosi del sangue di un suocero o di un genero e di evitare di macchiarsi di parricidio verso i figli che avrebbero partorito, figli per gli uni e nipoti per altri. [...] Se il rapporto di parentela che vi unisce e questi matrimoni non sono di vostro gradimento, rivolgete contro di noi l'ira; noi siamo la causa della guerra, noi siamo responsabili delle ferite e dei morti sia dei mariti sia dei genitori. Meglio morire piuttosto che vivere senza uno di voi due, o vedove o orfane. »
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I, 13.)

Bravo Tito Livo e assolutamente stupende le donne (come sempre nella storia del mondo!). Già, il femminismo è sempre esistito: la seconda metà del XX secolo l'ha solo riscoperto, ed io sono fiera d'esserci stata!

Certo che se la storia del ratto delle Sabine la raccontassero così anche a scuola sarebbe mooooolto meglio!

Tra Tito Livio e Plutarco, però, preferisco il primo.


E, alla fine, dopo Lucrezia e i fondamenti della famiglia fino agli anni 60 del secolo scorso (solo quelli? Mi sa che sono sempre le donne a reggerla in quel modo, ancora oggi, quando ancora sta in piedi, la famiglia...), i miei più vivi complimenti alla Dott.ssa AnnaMaria Barbanera (e a Chiara) di cui condivido appieno l'ideologia femminista (mi sa che come età siamo vicine: è un marchio inconfondibile, quello del femminismo della seconda metà del XX secolo).

Edited by chiara53 - 22/6/2015, 16:16
 
Web  Top
view post Posted on 16/10/2012, 21:11
Avatar

Pozionista sofisticato

Group:
Administrator
Posts:
14,444

Status:


Lascia perdere la Dottoressa, Anna Maria(Sewa) è del 1953 come me....
Grazie, sì, siamo una generazione con un marchio inconfondibile, questo splendido commento ce lo gustiamo insieme.
Mi sa che sono sempre le donne a reggerla in quel modo, ancora oggi, quando ancora sta in piedi, la famiglia...
Io toglierei il "MI SA"; è di sicuro così!
L'orgoglio di quello che le donne hanno sempre saputo e sanno fare viene da lontano, questo brano lo dimostra:
Probabilmente, magari rimestando la zuppa fumante per il pranzo, avranno sorriso fra sé dei loro bellicosi e "valorosi" mariti perché, alla fine, Roma l’avevano salvata le mogli.
La storia dell'umanità si è retta quasi sempre sulle spalle delle donne e molti cosiddetti grandi uomini avevano accanto una donna quasi sempre più grande di loro: di sicuro con più forza morale, più cuore e, arrivo a dire, più intelligenza!

 
Top
TrePi
view post Posted on 17/10/2012, 11:19




Non per nulla le donne danno il peggio di se quando cercano di imitare gli uomini o quando fanno di tutto per sembrare come gli uomini vorrebbero che fossero... :P
 
Top
view post Posted on 17/10/2012, 19:03

Pozionista provetto

Group:
Bannati
Posts:
11,226
Location:
Sapphire Planet

Status:


E comunque: alla faccia del sesso debole!
Deboli chi? <_<
 
Web  Top
view post Posted on 18/10/2012, 19:36

Pozionista provetto

Group:
Bannati
Posts:
11,226
Location:
Sapphire Planet

Status:


Lo strano caso delle donne-avvocato




sabina_matilde


Poiché nessuna legge romana aveva mai vietato l’esercizio dell’avvocatura alle donne, nessuno riuscì a trovare, in un primo tempo, il cavillo necessario ad impedire che due intrepide rappresentanti del gentil sesso entrassero nella sfera pubblica.
Il fatto che non ci fosse alcuna legge in materia prima di allora non aveva mai destato problemi: nessun Romano avrebbe mai lontanamente immaginato che una donna si stancasse di rimanere racchiusa tra le mura domestiche o che desiderasse condurre una vita al pari degli uomini.

E così, nel I secolo a.C., sfatando tutte le tradizioni, gli usi ed i costumi, ma soprattutto andando contro ad ogni regola maschilista, alcune donne si presentarono in tribunale per esercitare la professione di avvocato.

Si pensi allo scandalo, al putiferio che ne deve essere venuto quel giorno lontano di duemila anni fa, quando i maschietti, tra spettatori, querelanti e querelati, si saranno certamente sentiti colpiti nell’onore nel vedere una donna loro pari (e magari più brava? Perché no?) che sfidava regole e convenzioni.



Una di queste donne fu Afrania, figlia di un senatore, che sostenne varie cause pubbliche e visse negli anni di Giulio Cesare. L’avvenimento creò tanto scandalo, che gli scrittori successivi non si risparmiarono in battute astiose; l’esempio più eclatante fu Valerio Massimo, che di lei scrisse : “un tale mostro dev’essere tramandato alla memoria più per l’istante in cui morì che per quello in cui nacque”.

Ogni commento a questa frase direi che mi sembra superfluo.

Non meno scandalo suscitò quella che noi oggi chiameremmo “figlia d’arte”: Ortensia, figlia del celebre oratore Ortensio. Di lei si tramanda però anche un evento positivo: nel 42 a.C., quando i triumviri imposero alle matrone romane più ricche una tassa sostanziosa per finanziare le spese militari, le matrone dell’Urbe la incaricarono di perorare la loro causa ed essa lo fece così bene che la tassa venne cancellata.

Un tentativo arcaico di mettere in atto il celebre detto “fate l’amore, non fate la guerra?”

Con il passare del tempo, comunque, tutta la popolazione maschile si allarmò e fu promulgato un editto che proibiva alle donne di “postulare pro aliis” (rappresentare altri in giudizio): lo scopo dichiarato era quello di evitare che, in questi affari pubblici, essi venissero meno alla pudicizia propria del loro sesso.
Molto probabilmente, invece, lo scopo sottinteso era evitare che le donne raggiungessero quella parità con gli uomini che da sempre spettava loro di diritto.
 
Web  Top
cccpkobe78
view post Posted on 18/10/2012, 19:46




Provo pena per gli uomini, ci temono da millenni.
Invece di competere con noi ad armi pari, cercano in tutti i modi di limitarci.
Questo è indice di grande debolezza da parte loro. -_-
 
Top
view post Posted on 21/10/2012, 11:41

Fondi-calderoni

Group:
Member
Posts:
266
Location:
dal pianeta Synnian e da altri luoghi dove ho lasciato un po' del mio cuore

Status:


Ma va'! Certo che sono fragili, ma quando da millenni uno si sente ripetere che appartiene ad una razza superiore, magari schiatta ma non chiede aiuto se sente che non ce la fa. Noi donne saremo isteriche, ma di uomini nevrotici e depressi è pieno il mondo, e avendo in mano le leve del potere, fanno danni terrificanti, perché "un vero uomo non piange mai"!

Edited by Sewa - 22/6/2018, 08:00
 
Top
view post Posted on 7/11/2012, 18:56

Fondi-calderoni

Group:
Member
Posts:
266
Location:
dal pianeta Synnian e da altri luoghi dove ho lasciato un po' del mio cuore

Status:


Lupae





lupa


Lupa Capitolina


Lupa: origine di un nome
Quando l’improvvisata navicella di salvataggio di Romolo e Remo si arena dolcemente sulla riva del Tevere, i bambini vengono soccorsi da una lupa. Pare che la povera bestia avesse perso da poco i propri cuccioli, vittime di un predatore, e si sia quindi consolata adottando i due trovatelli.

cortona_faustolo_trova_romolo_e_remo
(Pietro da Cortona - Romolo e Remo trovati da Faustolo )









In seguito il pastore Faustolo li trova e se li porta a casa, affidandoli alla moglie Acca Larenzia.
Fin qui il mito, la favola edificante. Sembra però che in realtà la nutrice dei pargoletti sia stata una sola: Acca Larenzia, donna sì, ma anche “lupa”, ossia prostituta.
Dicono i pettegoli (e anche gli storici, che non sono da meno), che la moglie di Faustolo esercitasse il mestiere, non si sa se all’insaputa o meno del marito. Trattandosi di due poveracci, è probabile che lui chiudesse un occhio sui traffici di Acca Larenzia, se essi erano in grado di arrotondare il misero bilancio familiare.
Quindi la leggenda conterrebbe un “piccolo” equivoco, sul quale si preferisce glissare elegantemente. L’abnorme complesso d’inferiorità (come diremmo oggi) dei Romani per le proprie origini non esattamente cristalline li porterà ad inventarsi la discendenza da Enea, l’eroe troiano sfuggito alla distruzione della città con figlio e vecchio padre al seguito e sbarcato, dopo varie avventure, sulle coste del Lazio. Figurarsi se avrebbero accettato come nutrice del mitico Romolo una prostituta: meglio una lupa vera, e Lupa Capitolina sia, lasciando nel vago il ruolo di Acca Larenzia.
Il nome “lupa”, appioppato alle prostitute romane, deriverebbe dal fatto che le lupe a quattro zampe avrebbero appetiti sessuali piuttosto consistenti, anche se, in genere, la prostituta gli appetiti dei clienti li subisce, ma tant’è, ed in fondo non si tratta dell’appellativo peggiore: se quello ufficiale era “meretrix”(colei che guadagna) ce n’erano di ben più volgari, come “scortum” (la “pelle”) o peggio ancora “spurca” (la “sozza”).

Come si diventa Meretrix

Diventare una donna di strada non era difficile, perché molte donne, in mezzo alla strada (e non in senso figurato), c’erano già.
Si calcola che, alla fine della Repubblica, Roma fosse una delle megalopoli dell’antichità, con qualcosa come un milione di abitanti.

I nobili, l’alta borghesia di commercianti, imprenditori ed il ceto medio erano un numero piuttosto esiguo, tra i benestanti non tutti erano romani, ma anche greci e stranieri che vivevano in zone loro destinate: il resto della popolazione era composto, oltre che dagli schiavi, da piccoli artigiani, contadini venuti a cercar fortuna, lavoratori a giornata e, scendendo ancora, lestofanti di vario genere, sempre in cerca dell’occasione per spennare qualche ingenuo pollo ben fornito di denaro e, ovviamente, prostitute di basso e infimo rango. Gli ultimi erano gli immigrati, profughi di qualche disastrato paese, schiavi fuggiti da un padrone brutale o gente convinta che Roma, così grande e ricca, fosse piena di possibilità per chi ci sapeva fare. Questa accozzaglia di gente con culture, lingue e dialetti diversi aveva in comune una gran fame e la ricerca continua di un modo per tacitarla, almeno temporaneamente.

Le condizioni di vita, non appena si lasciavano i “quartieri alti”, precipitavano a livelli che, ancora ahimé ai nostri giorni, si possono riscontrare nelle favelas brasiliane, tanto per fare un esempio.
La Suburra e il Velabro, i quartieri malfamati, rigurgitavano di questa umanità al limite della sopravvivenza, che si districava tra le conseguenze della miseria più nera: fame, sporcizia, abbrutimento, malattie e morte precoce.
Monti_-_tempio_di_marte_ultore_e_muro_della_suburra_0308-02
Tempio di Marte Ultore( Vendicatore) e muro della Suburra ( foto wikimedia.org/wikipedia/)




In questo invivibile ambiente le donne erano sicuramente la categoria più svantaggiata, sin dalla nascita. Una famiglia povera si sbarazzava più facilmente di una neonata femmina che di un maschio, perché se quest’ultimo poteva diventare un paio di braccia in più per procacciarsi da mangiare, la femmina era, nel sentire comune, solo un peso anche se poi lavorava quanto un uomo. Così si ricorreva all’infanticidio oppure, se uno non se la sentiva, si “esponeva” la neonata su un mucchio di spazzatura e non ci si pensava più.
Se la sorte era benigna (per modo di dire), la bambina poteva essere raccolta da chi ne avrebbe fatto una schiava o una lupa (dipendeva dall’avvenenza della creatura), se invece gli dei guardavano altrove, non le restava altro che morire di stenti o sbranata da uno dei numerosi e famelici branchi di cani randagi che circolavano per le strade.
Fine orrenda, sia che vivesse o morisse, ma uccidere o abbandonare neonati non era una prerogativa della plebe abbrutita dalla miseria. Anche nelle famiglie bene era in uso questa esecrabile pratica, pure se per motivi diversi.
Il “pater familias”, il marito, signore e padrone della famiglia, aveva diritto di vita o di morte non solo sugli schiavi ma anche sulla moglie e i figli. Quando nasceva un figlio, esso veniva deposto dalla levatrice ai piedi del padre, che sollevandolo da terra e tenendolo alto sopra il capo, dichiarava senza troppe chiacchiere di riconoscere il nuovo nato come figlio o figlia e quindi come membro della famiglia, anche in termini di spartizione dell’eredità paterna.

Ma le cose non andavano sempre così lisce. Se il marito aveva qualche dubbio, fondato o meno, sulla reale paternità del bambino, specialmente se maschio, perché avrebbe dovuto tramandare un nome onorato, la creatura restava a terra e veniva immediatamente uccisa o esposta da uno schiavo incaricato della bisogna. Altri motivi potevano essere troppi figli, che avrebbero irrimediabilmente spezzettato il patrimonio di famiglia, o troppe femmine che avrebbero dovuto essere fornite tutte di una dote per sposarsi onorevolmente. Questa tremenda usanza è così radicata nella società romana che verrà abolita per legge solo nel IV secolo dopo Cristo.

Nate, cresciute o precipitate in questo ambiente, le donne sopravvissute si arrangiavano, spesso in condizioni tragiche: le vedove con o senza prole e le orfane, erano destinate a morire di fame se non riuscivano a trovarsi un lavoro qualsiasi.
Qualcuna ci provava, ma la fatica era massacrante e il guadagno molto misero. Ad un certo punto la virtù e l’onestà diventano un peso non da poco, il guadagno “facile” era sempre in agguato, bastava truccarsi ed aspettare davanti alla porta di casa o all’angolo della strada: la necessità e l’abiezione facevano il resto, come accade alla donna citata da Terenzio in Andria (vv. 69 – 79):
“Tre anni fa, una donna venuta da Andro si stabilì nelle vicinanze di casa nostra. Nell’indigenza e abbandonata dalla famiglia, essa era di una bellezza notevole, e nel fiore degli anni. Da principio, condusse un’esistenza virtuosa, frugale e difficile, guadagnandosi a fatica la vita con la tessitura di lana e tela. Ma quando un innamorato si presentò da lei offrendole una somma di denaro, dato che gli esseri umani sono più tentati dal piacere che dal lavoro, essa accettò un primo impegno, poi un secondo, e finì per prostituirsi.”
C’è da chiedersi se Terenzio avrebbe commentato allo stesso modo se fosse stato un uomo, che invece di spaccarsi la schiena con un lavoro faticoso avesse preferito dispensare le proprie grazie a signore o signori danarosi!
(continua)
Bibliografia e link

"I bassifondi dell’antichità" di Catherine Salles
www.signainferre.it/
www.homolaicus.com/storia/antica/roma/donne_adulterio.htm
www.romarcheomagazine.com/it/usi-e-costumi/


Edited by chiara53 - 20/1/2023, 18:58
 
Top
view post Posted on 7/11/2012, 21:38

Pozionista provetto

Group:
Bannati
Posts:
11,226
Location:
Sapphire Planet

Status:


Per chi volesse sapere dove si trova ad oggi l'antico quartiere della Suburra: è nel centralissimo Rione Monti.

suburra

Piazza della Suburra è segnalata dalla lettera A, mentre le frecce indicano, a sinistra Piazza Venezia e il Vittoriano, in alto il Viminale. In basso direi che il Colosseo ed i Fori Imperiali sono riconoscibilissimi.

Ecco invece il quartiere del Velabro, sempre segnalato dalla A:

velabro

A sinistra il Tevere e secondo la leggenda è proprio in quella zona attigua al quartiere che approdò la cesta con i neonati Romolo e Remo. Zona spesso paludosa, perchè più bassa rispetto al fiume, deve il suo nome proprio alla sabbia paludosa.
Riconoscerete certo il Colosseo e Circo Massimo e, a sinistra, la famosa Isola Tiberina a forma di barca.
 
Web  Top
view post Posted on 8/11/2012, 13:54
Avatar

I ♥ Severus


Potion Master

Group:
Administrator
Posts:
55,407
Location:
Da un dolce sogno d'amore!

Status:


Un pezzo da brividi... soprattutto perchè quella realtà di disperazione non è confinata solo nel passato di Roma, ma sopravvive anche ai giorni nostri...

Edited by chiara53 - 22/6/2015, 16:17
 
Web  Top
view post Posted on 8/11/2012, 21:26

Fondi-calderoni

Group:
Member
Posts:
266
Location:
dal pianeta Synnian e da altri luoghi dove ho lasciato un po' del mio cuore

Status:


Sopravvive sì! Cambiano i nomi, le facce, le nazionalità ma la ferocia è sempre quella. Vogliamo parlare dei neonati buttati nei cassonetti dell'immondizia? Forse erano più civili nel Medioevo, quando i neonati si abbandonavano nella ruota dei conventi o nelle chiese: adesso gli ospedali hanno cercato di ripristinare questa usanza con stanze isolate dotate di termo culle in cui si possono abbandonare anonimamente i bambini senza lasciarli morire. Però, diciamocelo: la nostra avanzatissima civiltà è abominevole, nonostante tutte le belle leggi sui diritti umani in generale e su quelli dei bambini in particolare!
 
Top
100 replies since 3/10/2012, 10:31   6636 views
  Share