Solitamente lo scenario è questo: il cattivo di turno si trova ad avere una situazione favorevole per vincere (e di conseguenza i buoni si trovano un tantino nello sterco) ma finisce per commettere un passo falso, passando il testimone della vittoria ai buoni che, di fatto, lo sconfiggono.
Secondo voi perchè? Perchè i cattivi, nel romanzo,
DEVONO perdere?
Domanda apparentemente semplice, ma è Ale85LeoSign a porla, quindi aspettate che abbia finito di articolarla...
Siamo noi lettori che vogliamo il lieto fine e quindi una prevalenza di romanzi con un finale dove i cattivi "conquistano il mondo" non verrebbe più di tanto apprezzato, oppure ci sono altri messaggi?
La domanda si può dividere in due parti: una semplice (gusti personali) e una complessa (significato della sconfitta dei cattivi nella letteratura).
Alcune deduzioni semplici sul perchè i cattivi tendono a perdere:1) Hanno (appunto) la cattiva abitudine di confidare i loro piani segreti a chiunque li ascolti (persino all'eroe di turno! Che poi fugge, si fa 4 conti, e poi torna a sconfiggerli!), vanificando così l'effetto sorpresa (ormai dovrebbero averlo capito che l'eroe, in qualche modo, viene sempre a conoscere i loro piani diabolici!)
2) in genere si circondano di scagnozzi che rasentano l'imbecillità (o ne sono addirittura l'emblema)
3) sono pure distratti: pianificano tutto con cura, ma tralasciano sempre di eliminare l'unico insignificante dettaglio che determinerà la loro rovina.
4) L'eroe di turno, se pizzicato dai cattivi, non viene ucciso, ma regolarmente imprigionato e/o gravemente ferito.(Nesso logico del punto 3)
Qualche esempio un po' più argomentato di cattivo perdente:
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Voldemort :
"I suoi poteri [...] erano sorprendentemente sviluppati per un mago così giovane e - ciò che è più interessante e sinistro - aveva già scoperto di poterli in qualche modo controllare e cominciato a usarli con consapevolezza. [...] Usava la magia contro altre persone, per spaventare, per punire, per manipolare."(Silente, 6° libro, pag 255) La nemesi di Harry Potter dimostra una totale ignoranza della sfera emotiva, dell'amore e di una larga parte della magia che ad esso si ancora e perirà proprio per questo motivo; Voldemort è una figura totalmente negativa, non ha nel suo cuore (ammesso che ne abbia uno) un minimo di rimorso, uccide più che altro per il piacere di farlo, si attacca disperatamente alla vita in ogni modo pur di rimanere il più possibile in questo mondo per danneggiarlo.
Nella saga di HP, ha questa funzione: rappresentare tutta la negatività contro cui il Bene deve combattere.
Viene presentato come "cattivo" nella maniera più assoluta, senza speranza fin da quando è un bambino e, in seguito, perde addirittura i suoi tratti umani per rappresentare ancora di più il suo ruolo di cattivo alla stato puro.
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Sauron : dal Signore degli Anelli con furore, ecco un cattivo per eccellenza, legato al significato della saga, espresso dallo stesso Tolkien:
Morte e immortalità; il mistero dell’amore per il mondo nei cuori di una razza condannata a scomparire da esso e apparentemente a perderlo.Con il concetto di "immortalità" inteso come perpetrazione della specie e nella naturale continuazione biologica della stessa. Sauron rappresenta il Male in una storia apparentemente semplice, di lotta tra Bene e Male, ma, ovviamente, si va oltre ciò. Sauron rappresenta il totalitarismo mentre Saruman (il capo dell'ordine degli stregoni, alleato di Sauron) incarna la minaccia più concreta della globalizzazione economica. Al di là dell’antagonismo fra Bene e Male, tra totalità e individualismo, al di là della minaccia di Sauron, giace la minaccia più profonda contro la Natura, la Comunità e lo Spirito. La Vita e la Natura diventano comodità come gli agenti della globalizzazione economica. I beni terreni si sostituiscono alla salute dello Spirito.
E questa globalizzazione economica come opposta a quei valori che si trovano nel cuore della Contea, vale a dire la Natura, la Comunità e lo Spirito.
Sauron e Saruman agiscono in maniera distruttiva, una visione del mondo che teorizza una produttività che si sviluppa all’infinito come l’inevitabile risultato della macchina sociale. In realtà la conseguenza di questo approccio meccanico non è altro che caos.
Tolkien illustra perfettamente questa realtà attraverso lo sfruttamento della “contea” da parte di Saruman; la Natura è sfruttata fino al punto di divenire incapace di rigenerarsi. La Comunità è frantumata e gli amici e la famiglia si mettono l’uno contro l’altro, gli interessi prendono il posto della spiritualità.
Per gli Hobbit, con il loro stupore infantile per il mondo che li circonda, con la loro gioia di vivere insieme ad altre razze, il loro amore per la Comunità e il senso della famiglia e della spiritualità, questo sfruttamento è la morte.
Solo il ritorno ai loro valori fondamentali dell’amore per la Natura, del rispetto per la comunità e la coscienza di una dimensione spirituale, sono capaci di ristabilire quel senso d’immortalità che Tolkien ha visto come centrale.
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Dracula: labbra bagnate di rosso che espongono lunghi canini che si posano su un collo candido: è un mostro, uno dei più conosciuti della letteratura. Il vampiro, l'emblema del male dal fascino misterioso.
Oggi, a differenza del passato, ci avviciniamo a questo mito con un'ottica diversa.
Per Stoker, cristiano per ideali e religione, Dracula era una lotta fra il Bene e il Male, senza dubbio il vampiro era il Male, ladro di anime e di essenze vitali, e non poteva avere nulla di positivo che potesse risparmiargli la morte.
Segno di contraddizioni inconciliabili, questo prigioniero della notte incarna la condizione di un soggetto ormai pienamente esposto allo sradicamento sociale e alla precarietà. Egli vorrebbe tornare tra i vivi, ma non può: l'unica cosa che puà fare è rubare ciò che desidera di più, la vita, arrivando sempre alla stessa tragica conclusione: distruzione e morte di ogni oggetto del suo desiderio.
Il vampiro è quindi una tragica parodia dell’eterno ritorno in un mondo governato da un tempo a scadenza, assumendo, nell’immaginario popolare, i tratti dell’afflizione e del sentimento malinconico che hanno segnato la tradizione dell’Occidente dall’antichità ai nostri giorni.
La malignità del vampiro, (esattamente come nelle favole, dove il male, quando viene allo scoperto, fa una brutta fine) posta "sotto al sole" si purifica e annienta il demone, come osserva il mito classico, carbonizzandolo.
Consideriamo poi, che alla base del "patto" che il vampiro si trova a stringere col "diavolo" c'è un prezzo altissimo da pagare: una vita dannata alla ricerca di un eterno riposo che non arriva mai.
Un messaggio però arriva chiaro:
scegliere il male significa scegliere l'eterna dannazione, da cui si può tornare indietro solo morendo, cioè accettando ciò che si è, alla fine, solo rimandato.
Oggigiorno, però lo status di vampiro non è mai ben accetto. Almeno, all'interno di un contesto narrativo c'è sempre la persona che rifiuta ciò che è diventata e passa il resto della sua vita a pentirsene.
I vampiri si scoprono esseri fragili e frammentati psicologicamente che si ritrovano nella condizione di vampiri senza aver avuto alcuna possibilità di scelta, così come noi ci ritroviamo in quella di uomini.
Quindi, al giorno d'oggi, non appaiono più unicamente malvagi, ma anche neutrali o addirittura capaci di pietà e azioni buone perché il semplice narrare dal punto di vista del vampiro, cioè dare alla narrazione una "focalizzazione" interna a questo, facilita l'identificazione nel lettore con il vampiro stesso.
L'identificazione a sua volta spinge a limitare il giudizio negativo, permettendo lo sviluppo di accettazione e simpatia verso il personaggio in questione e limitando i giudizi negativi, accettando quindi più facilmente le sue azioni più discutibili: quando infatti ci si identifica con una figura si sminuiscono i suoi aspetti negativi e si enfatizzano quelli positivi.
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l'ispettore Javer de "I Miserabili" di Victor Hugo. E' un ispettore di polizia che consacra tutta la sua vita al lavoro, passandola ad inseguire l'ex forzato Jean Valjean, con la convinzione che un uomo che ha fatto del male nella sua vita non possa redimersi.
È un uomo rigoroso e imperturbabile, figlio di miserabili, che è riuscito a elevarsi dallo squallore della povertà, trovando nella legge, nell’ordine, la chiave di volta della sua vita; è dotato di un’auto-critica serrata, che lo tiene lontano da ogni errore di giudizio. Anche i pochi tratti fisici che lo denotano, il colore scuro dei suoi abiti, lo rendono palpabile al lettore che ne percepisce la costanza, la volontà, l’incorruttibilità.
Javert è un segugio e non perdona alcuna violazione. Il suo compito è che la legge sia compiuta. Nel momento in cui reincontra Jean Valjean, ora travestito da l’identità rispettabile di sindaco di Montreuil sur Mer, Javert non si lascia ingannare. E inzia così la fuga e la ricerca, che porteranno i due a reincontrarsi a Parigi.
Javert diventa metafora di una forma radicale di imperativo categorico applicato. La sua deontologia è intransigente. Il dovere rispetto al passato è in grado di inibire le percezioni e i giudizi sul presente e sul futuro e una pena non scontata deve continuamente essere imposta, affinché l’ordine sia ristabilito.Ma Javert è anche un uomo, fatto di pulsioni e di passioni oltre che di ragione. Sensibilità sempre castrata, la sua, alla ricerca della logica perfetta da imporre sul caos. Fino all’ultimo, quando dopo essere stato salvato da Valjean, non saprà arrestarlo, e si auto-punirà per questa mancanza, suicidandosi.
Il fascino dell’imperturbabilità di Javert è quello di essere permeabile, solo alla fine del romanzo, e di farsi toccare da quella misericordia che ucciderà il dovere ma salverà dalla ricaduta il nemico di sempre, Jean Valjean.
Quindi, verso la fine del romanzo, per la prima volta nella sua vita, Javert si trova in una situazione in cui non può agire legalmente senza agire immoralmente, come aveva sempre fatto. Inorridito nel realizzare che Valjean è sia un criminale che una brava persona, Javert capisce che l’unica soluzione al problema è proprio quello di eliminarsi da sé, uscendo da questo gioco che non riusciva più a capire. Così, giunto ad un punto, Javert si getta nella Senna e si lascia annegare.
A voi il microfono!
Se volete citare altri esempi di cattivi letterari, fate pure!