Il Calderone di Severus

The Tempest (1978)

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view post Posted on 29/3/2011, 11:32
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I ♥ Severus


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Da un dolce sogno d'amore!

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Ecco una foto tratta dalla tragedia di Shakespeare.

Lascio alla nostra agente segretissima trovare succulente informazioni sullo spettacolo, io mi azzardo solo a dire che un giovane (32 anni) e magro Alan interpretava Ferdinando e inserisco la foro.





pfpsqdi

Edited by Arwen68 - 4/2/2018, 17:57
 
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halfbloodprincess78
view post Posted on 29/3/2011, 21:53




1978 The Tempest
Michael Hordern, David Suchet, Ruby Wax, Juliet Stevenson, Alan Rickman. Directed by Clifford William
Come al solito poche informazioni.
Cercherò di trovare foto e recensioni nei prossimi giorni.
Eccomi,
1978 The Tempest
Michael Hordern, David Suchet, Ruby Wax, Juliet Stevenson, Alan Rickman. Directed by Clifford William

Come al solito poche notizie, cercherò qualche recensione sempre che si trovi.
Una curiosità David Suchet è l'attore che interpreta Poirot nella serie televisiva! :woot:

WILLIAM SHAKESPEARE


LA TEMPESTA



Commedia in 5 atti



Traduzione e note di Goffredo Raponi




<b>Titolo originale: "THE TEMPEST"

NOTA INTRODUTTIVA

Il 29 luglio dell'anno 1609 giunse a Londra la notizia che il vascello "Sea-Adventure", sorpreso da una violenta burrasca nel mare delle Bermude era andato a fracassarsi contro quelle coste ed equipaggio e passeggeri erano affondati. Il vascello faceva parte di un convoglio di altri nove, che trasportavano 500 coloni verso la Virginia, la terra del Nuovo continente (ancora denominato "Indie Occidentali") dove già nel 1585 sir Walter Raleigh aveva stabilito una colonia inglese, chiamando "Virginia" quella terra in onore della "vergine" regina Elisabetta. La spedizione era partita da Plymouth nel maggio di quell'anno 1609.
Un anno dopo, maggio 1610, giunse altra notizia che tutti quelli che erano a bordo del "Sea-Adventure" erano giunti sani e salvi in Virginia, dopo aver trovato rifugio in un'isola delle Bermude, dove avevano anche potuto costruirsi rudimentali mezzi natanti idonei a permettere loro di proseguire il viaggio fino a destinazione.
Sembra che Shakespeare, oltre che dalla voce popolare, abbia potuto leggere un più dettagliato resoconto della vicenda dalla lettera di uno dei passeggeri del "Sea-Adventure", William Strachey, lettera che fu pubblicata a stampa in seguito, nel 1625.
Nello stesso periodo circola in Inghilterra una "History of Italy", autore certo William Thomas, in cui si parla della spedizione in Italia (1494) di Carlo VIII, re di Francia, su invito del duca di Milano, Lodovico Sforza, detto "Il Moro", che siede abusivamente su quel trono ducale dopo averne spodestato il nipote Gian Galeazzo Sforza, figlio del fratello Galeazzo Maria. Gian Galeazzo ha per moglie Isabella d'Aragona, figlia del re di Napoli Alfonso II. Alfonso II ha anche un figlio maschio di nome Ferdinando, detto dai napoletani "Ferrandino".
L'usurpatore Lodovico è ossessionato dal timore che gli Aragonesi di Napoli rivendichino i diritti di Isabella, duchessa spodestata; sollecita perciò Carlo VIII, sovrano di una Francia divenuta salda e potente dopo la terribile bufera della guerra dei cento anni, a far valere a sua volta i suoi diritti dinastici sul regno di Napoli, come discendente degli Angioini, predecessori degli Aragonesi su quel trono.
Da queste due vicende, l'una a lui contemporanea, l'altra storica, Shakespeare prende lo spunto del suo dramma. Il tema del duca di Milano spodestato da un suo parente - nella specie il fratello Antonio in luogo dello zio spodestato -, che è il motivo centrale della commedia, e la presenza di personaggi con i nomi dei personaggi reali (Alonso, contrazione di Alfonso, e Ferdinando suo figlio) è talmente palese nella trama della "Tempesta", che stupisce come nessun curatore - per quanto mi sia riuscito di indagare - enumeri questo tra i materiali di cui si è servito Shakespeare nella tessitura di questo lavoro. Non solo i nomi, ma la situazione e i rapporti di ostilità tra l'usurpatore duca di Milano e il re di Napoli vi sono chiaramente accennati: "The King of Naples being an enemy to me inveterate...", dice Prospero alla figlia.
All'interno di questo impianto poi Shakespeare maneggia e mescola i materiali più vari ed originali: prende i nomi di Prospero e Stefano dalla commedia dell'amico Ben Jonson "Ciascuno a suo modo" ("Every man in His Humour"); inventa Trinculo, il marinaio beone, da "trincare" ("drink") e Sicorace, la strega madre di Calibano, dal greco "sus", "porco" e "korax"", "corvo"; trae il nome di Gonzalo forse da un'assonanza con "Gonzaga", un noto casato italiano; riallaccia personaggi e motivi della commedia con altri di sua precedente creazione: il duo Calibano/Ariel è quasi simmetrico al duo Puck/Ariel del "Sogno d'una notte di mezza estate"; di questo è anche l'atmosfera evanescente del mondo magico e soprannaturale evocato da Prospero; l'innamoramento a prima vista di Ferdinando e Miranda non è diverso da quello di Romeo e Giulietta, e la coppia somiglia in tutto alla coppia Florizel/Perdita del "Racconto d'inverno"; il motivo della usurpazione e della congiura Antonio/Sebastian riecheggia Macbeth; il motivo della rinuncia di Prospero ad esercitare le funzioni di sovrano riecheggia Re Lear; il tema del figlio perduto e ritrovato è presente nei suoi ultimi "romances", "Pericle, principe di Tiro" e "Cimbelino"); amalgama il tutto con ispirazioni da altre fonti letterarie ("Le Metamorfosi" di Ovidio, che ha letto nella traduzione inglese di Arthur Golding; il saggio "I Cannibali" di Montaigne che ha letto nella traduzione inglese di Giovanni Florio, l'"Eneide" di Virgilio, che ha letto da giovinetto nella Grammar School di Stratford), ne crea un intreccio nuovo ed originale che ben s'acconcia al gusto del pubblico per le storie di maghi, di isole incantate, di naufragi in mari lontani, di mostri, di avventure.
Questa volta, però, a differenza delle precedenti commedie romanzesche, Shakespeare non mette sulla scena gli avvenimenti come accadono nel tempo e nello spazio: nella "Tempesta" la storia/avventura è già finita; tutta l'azione è concentrata nello spazio di due ore - il "tempo reale" di durata di una rappresentazione scenica. Quello che è successo prima ce lo fanno sapere i personaggi: Prospero racconterà a Miranda la vicenda dell'usurpazione, della sua cacciata da Milano, del viaggio in mare e dell'approdo all'isola; Ariele rinfaccerà ad Alonso, Sebastian e Antonio i loro "peccati" contro Prospero; Calibano ricorderà quando sua madre e lui erano i soli padroni dell'isola; Gonzalo ci farà sapere del matrimonio della figlia del re di Napoli, Claribella, con il re di Tunisi.
La "Tempesta", insomma, è tutta una retrospettiva. E non è difficile vedere in essa - come lo fa ormai universalmente la critica - una retrospettiva allegorica che il poeta fa di se stesso e della sua arte.
Quando scrive "La Tempesta" Shakespeare ha 47 anni. Il ciclo delle grandi tragedie è concluso; la fama e l'agiatezza sono raggiunte. L'estro è quasi esaurito, l'animo stanco pensa al ritorno fra opere serene a Stratford, dove ha acquistato una cospicua proprietà immobiliare. Le ultime opere "Timone di Atene", "Pericle, principe di Tiro", "Enrico VIII", "I due nobili cugini" sono più d'officina che di poesia; vi si sente sempre più presente l'opera dei collaboratori; la voce del poeta è infiacchita, e il poeta prende congedo dal palcoscenico; prima di farlo, e di ritirarsi in eterno silenzio, si volge indietro e compendia se stesso e il proprio cammino artistico nell'immagine di Prospero, il mago "bianco" che ha tenuto sotto il potere magico del suo genio la materia tragica, e alla fine, gettando la bacchetta e mettendo così fine al mondo magico, la sua favola dice di una libertà riconquistata; e, come Ariele, dopo aver suscitato musiche e incanti, apparenze mostruose e terrori, guida gli uomini, prima resi folli poi fatti rinsavire, al compimento di un disegno benigno, così Prospero/Shakespeare, ricomponendo un ordine sconvolto, riconsacra la legittimità di un potere, restituisce al duca non più mago il suo ducato, e mette fine all'inimicizia tra Milano e Napoli con le nozze di Ferdinando e Miranda; così il selvaggio e mostruoso Calibano esce di scena con parole di saggia contrizione e di buoni proponimenti, sì che Prospero può dire di lui: "Riconosco come mia questa creatura".
In verità, Calibano non è il mostro favoleggiato dal mito o dalla favolistica di tutti i tempi, dal Minotauro a Frankenstein. Se nel gesto di Prospero che getta il manto e spezza la bacchetta si riconosce il drammaturgo che, dopo aver dato vita nel suo mondo immaginario e fatto muovere sulle scene centinaia di personaggi, si congeda dal teatro, in Calibano che, prima di uscir di scena, dice: "Com'è bello oggi il mio padrone!... D'ora innanzi sarò bravo, / voglio riguadagnare il tuo favore. / Che razza di somaro sono stato..." si riconosce il poeta che guarda in retrospettiva la sua formazione e ne denuncia, con un atto di autocritica, le manchevolezze.
Perché Calibano, nella sua bruttezza fisica e morale, è poeta.
Nei primi giorni che Prospero è nell'isola, solo con la sua Miranda ancora infante, Calibano è l'unico compagno della sua vita (Ariel è ancora imprigionato nel cavo di un tronco). Calibano ama la sua isola, ne conosce le bellezze e le mostra a Prospero; questi insegna a Calibano a parlare e a dare un nome al sole e alla luna. Quando descrive al marinaio Stefano le bellezze dell'isola, Calibano canta (II, 1): "... ti condurrò dove fioriscono i meli selvatici..., / dove fabbrica il nido la ghiandaia...; / t'insegnerò come si prende al laccio / l'astuta ed agilissima bertuccia; / ... dagli scogli / ti porterò i giovani gabbiani". E ancora (III, 2): "L'isola è piena di questi sussurri, / di dolci suoni, rumori, armonie.../ A volte son migliaia di strumenti / che vibrando mi ronzano agli orecchi; / altre volte son voci sì soavi, / che pur se udite dopo un lungo sonno, / mi conciliano ancora con Morfeo, / e allora, in sogno, sembra che le nuvole / si spalanchino e scoprano tesori / pronti a piovermi addosso; ed io mi sveglio / nel desiderio di dormire ancora". Se non è poesia questa...
E il mostro-poeta è lui stesso, Shakespeare. I poeti creatori hanno un senso acuto d'essere diversi dall'opera che intraprendono per cantare il mondo in cui operano; e, per converso, hanno un senso altrettanto acuto, e più tormentoso di quanto il primo era superbo, d'essere modificati da quel mondo. Lo Shakespeare della "Tempesta" si sente diverso dallo Shakespeare-Calibano, ma è cosciente di essere stato da quello modificato attraverso uno stadio necessario del suo processo di formazione. Calibano - scrive René Girard nel suo recentissimo saggio su Shakespeare ("Shakespeare - Il teatro dell'invidia", traduz. di G. Luciani, Adelphi, Milano, 1998, pagg. 547-548) - simboleggia il sentimento non ancora educato, la poesia prima del linguaggio... Prospero che inizia Calibano alla parola è lo stesso Shakespeare che trasforma in opera letteraria, ancor prima del linguaggio, l'ispirazione di questo mostro; costui rappresenta non soltanto ciò che precede la letteratura, ma una modalità di quest'ultima, che l'ultimo Shakespeare (quello della "Tempesta") disapprova, anche se riconosce la sua importanza cruciale nel proprio processo creativo. Calibano simboleggia cioè tutta quella parte dell'opera shakespeariana che, popolata da mostri com'è, può apparire essa stessa mostruosa. Shakespeare non ne contesta la qualità poetica, ma individua in essa un elemento di disordine, di acrimonia, di violenza e confusione morale, che retrospettivamente condanna come "mostruoso".
Da questa "mostruosità" l'ultima tappa di Shakespeare non è la drammaturgia di prima: essa procede più in là, non rappresenta più ma osserva il ristabilirsi della legge, il ricomporsi di un equilibrio della normalità, il riaffiorare di quelle necessità elementari di pace serena che l'ondata dello spirito sfrenato sembrava aver definitivamente sommerso; "gli incantesimi sono finiti"- annuncia al pubblico l'Epilogo, che propone così una fondamentale fiducia nell'uomo, nelle forze elementari e ragionevoli che governano la sapienza umana.
Prospero/ Shakespeare è l'uomo dell'Umanesimo e del Rinascimento.

PERSONAGGI


ALONSO
re di Napoli
SEBASTIAN
suo fratello
PROSPERO
legittimo Duca di Milano
ANTONIO
suo fratello e usurpatore del Ducato di Milano
FERDINANDO
figlio del re di Napoli
GONZALO
vecchio e probo consigliere del re
ADRIANO
FRANCESCO

gentiluomini
CALIBANO
schiavo selvatico e deforme
TRINCULO
buffone
STEFANO
cantiniere, ubriacone
IL CAPITANO DELLA NAVE
IL CAPO NOCCHIERO (Nostromo)
MARINAI

MIRANDA
figlia di Prospero
ARIELE
spirito dell'aria
IRIDE
CERERE
GIUNONE
NINFE
MIETITORI

personaggi della "Masque" in forma di spiriti
Alcuni SPIRITI al servizio di Prospero

SCENA: a bordo di un vascello in mare; poi in un'isola deserta



NOTE PRELIMINARI



1) Il testo inglese adottato per la traduzione è quello dell'edizione curata dal prof. Peter Alexander (William Shakespeare, "The Complete Works", Collins, London / Glasgow, 1960, pagg. XXXII - 1376), con qualche variante suggerita da altri testi: in particolare quello delle edizioni separate dell'"Arden Shakespeare", a cura di H. F. Brooks e E. Jenkins (London, 1951) e della più recente edizione dell'"Oxford Shakespeare", curata per la Clarendon Press, Oxford, U.S.A. da G. Taylor e G. Wells, pagg. XXXIX - 1274. Quest'ultima contiene anche "I due nobili cugini" ("The Two Kinsmen") che manca nell'Alexander.

2) Alcune didascalie sono state aggiunte dal traduttore, di suo arbitrio, laddove gli sia sembrato richiederlo la migliore comprensione dell'azione scenica alla lettura, cui questa traduzione è essenzialmente ordinata e intesa (il traduttore è convinto della irrapresentabilità di Shakespeare sulla scena del teatro moderno e che l'unico modo di gustarne genuinamente la parola e il mondo poetico è leggerlo).

3) Il metro è l'endecasillabo sciolto, che più d'ogni altro s'avvicina al pentametro giambico del "black verse", intercalato da settenari. Ad altro metro s'è fatto ricorso quando, per citazioni, strofette, madrigali e altro, in accordo col testo, si è dovuto far sentire uno scarto stilistico.

4) I nomi dei personaggi sono stati, per quanto possibile, italianizzati.

5) Il traduttore riconosce di essersi avvalso di traduzioni precedenti, in particolare della prima versione poetica di Giulio Carcano, di quelle di Cesare Vico Lodovici, di Gabriele Baldini, di Giorgio Melchiori, dalle quali ha preso in prestito, oltre all'interpretazione di passi non ben chiari, intere frasi e costrutti: di tutto ha dato credito in nota.

6) Il traduttore ha creduto di integrare la sua opera aggiungendo, a mo' di appendice alla sua versione, il saggio "Prospero" di H. M. Mandefield: un dotto ed esauriente studio sul mondo fiabesco-sovrannaturale che è il più cospicuo dei materiali costituenti il tessuto del dramma. Il saggio, in inglese nell'originale, è una "Memoire" presentata dal Mandefield per la sua laurea in lingua e letteratura inglese all'Università di Bordeaux nel 1936.

ATTO PRIMO


SCENA I - A bordo di un vascello in mare. Tempesta, tuoni e fulmini


Entrano il CAPITANO e il CAPO NOCCHIERO


CAPITANO -
Capo nocchiero!

CAPO NOCCHIERO -
Son qui, capitano.
Che c'è?

CAPITANO -
Coraggio, dà voce alla ciurma:
che si diano daffare, forza, forza!
O qui coliamo a picco(1)... Avanti! Presto!


(Esce)


Entrano alcuni MARINAI

CAPO NOCCHIERO -
Forza, ragazzi! Forza, fate cuore!
Voi, qua, imbrigliate la vela maestra!
Attenti al fischio, là, del capitano!
Ventaccio cane, soffia s'hai polmoni!
Soffia, fino a scoppiare!


Entrano ALONSO, SEBASTIAN, ANTONIO,
FERDINANDO, GONZALO e altri

ALONSO -
Ehi, là, nostromo!
Mi raccomando, attenti alla manovra!
Il capitano, dov'è il capitano?
Mettete all'opera tutta la ciurma.

CAPO NOCCHIERO -
E voi tenetevi sotto coperta!

ANTONIO -
Il capitano! Dov'è il capitano?

CAPO NOCCHIERO -
(Porgendo orecchio al fischio del capitano)
Non lo sentite?... Ma via dalla tolda,
che ci state intralciando la manovra!
Il vostro posto è giù, sotto coperta;
se rimanete qui,
date solo una mano alla burrasca.

GONZALO -
Ehi, brav'uomo, sta' calmo, per favore!

CAPO NOCCHIERO -
Ditelo al mare di star calmo!... Fuori!
A quest'onda ruggente
importa poco il titolo di re
Tutti in cabina e zitti!
E non ci disturbate più.

GONZALO -
Va bene.
Ma ricòrdati di chi hai a bordo.

CAPO NOCCHIERO -
Nessuno che mi prema più di me.
Voi siete un membro del real consiglio:
se il poter vostro ha tal capacità
da ridurre al silenzio gli elementi,
e comandarli che si stiano in pace,
noi qui non toccheremo più una corda;
ma se non possedete un tal potere,
non vi resta che ringraziare Iddio
d'avervi fatto viver fino ad oggi,
e prepararvi al peggio, se verrà,
ma giù in cabina.
(Agli uomini)
Su, ragazzi, forza!
Forza e coraggio! Avanti! E fate cuore!
E voialtri toglietevi dai piedi!


(Esce)

GONZALO -
L'aspetto di costui mi riconforta:
sulla faccia non ha marcato il crisma
d'uno che deve morire affogato;
piuttosto d'uno nato pel capestro(2);
e tu, destino amico, per favore,
non desistere più da tal proposito,
e fa' che la sua corda d'impiccato
sia la gomena nostra di salvezza,
perché credo davvero che la nostra(3)
questa volta non ci sarà d'aiuto.
Se quello non è nato per la forca,
allora il nostro caso è disperato.


(Escono)


Rientra il CAPO NOCCHIERO

CAPO NOCCHIERO -
Tirate giù il velaccio di maestra!
Forza, ancora più giù! Più giù! Più giù!
Portatelo all'altezza della gabbia!
(Un grido sottocoperta)
E peste a queste maledette grida!
Fanno più strepito dell'uragano
e coprono i comandi!

Rientrano SEBASTIAN, ANTONIO e GONZALO

Di nuovo qui! Ma che ci avete a fare?
Volete proprio che molliamo tutto,
e che coliamo a picco tutti quanti?
Vi siete messi in testa di affogare?

SEBASTIAN -
Un accidente a quella tua golaccia,
cane ringhioso, blasfemo, spietato!

CAPO NOCCHIERO -
Fatela voi, allora, la manovra!

ANTONIO -
Vatti a impiccare, rognoso cagnaccio!
Alla forca, figliaccio di puttana,
con questo tuo sbraitare da villano!
Scommetto che paura d'affogare
ce n'hai assai più tu, che tutti noi.

GONZALO -
Ma quello non s'affoga, garantito,
fosse pur questo scafo men robusto
e resistente d'un guscio di noce,
e facesse acqua come una baldracca
che non può contenersi dal pisciare!

CAPO NOCCHIERO -
Su, sottovento! Su, coi due velacci!
Al largo ancora, via! Tenersi al largo!


Entrano dei MARINAI, inzuppati

MARINAI -
Tutto è perduto! Tutto! Alle preghiere!
Ormai non ci rimane che pregare!
Perduto, tutto! Preghiamo! Preghiamo!

CAPO NOCCHIERO -
E che! S'ha da finire a bocca asciutta?(4)

GONZALO -
Il re e il principe sono in preghiera.
Andiamo sotto ed uniamoci a loro,
ché una è ormai la sorte di noi tutti.

SEBASTIAN -
Io non ne posso più con questa gente!

ANTONIO -
Ci stiam facendo portar via la vita
da degli ubriaconi...
(Indicando il capo nocchiero)
E questo maledetto boccalone!...
Potessi agonizzare in faccia al mare
per il passaggio di dieci maree!(5)



GONZALO -
No, no, impiccato quello ha da finire,
anche se sembra che ogni goccia d'acqua
intorno a noi voglia dire il contrario,
e il mare spalancarsi ad inghiottirlo.




(Grida confuse all'interno)

VOCI DA SOTTOCOPERTA -
Pietà di noi! Andiamo in pezzi!
In pezzi!...
Addio, moglie!
Addio, figli!
Addio, fratello!
Si schianta tutto!
Andiamo in pezzi!
In pezzi!

ANTONIO -
Andiamo ad affogare accanto al re.


(Esce)

SEBASTIAN -
Andiamo a dargli l'ultimo saluto.


(Esce)

GONZALO -
Ah, darei mille jugeri di mare
per un acro di terraferma asciutta,
coperta solo d'eriche e ginestre!...
Sia fatto sempre il volere di Dio,
ma avrei voluto morire all'asciutto.




(Esce)





SCENA II - L'isola. Davanti alla grotta di Prospero


Entrano PROSPERO e MIRANDA

MIRANDA -
Se con le vostre arti,(6) padre mio,
avete scatenato in tal fragore
l'acque selvagge, con le stesse arti
fatele ritornare ora alla calma.
Pare come se il cielo voglia piovere
sol pece infetta, non fosse che il mare
sollevando i suoi flutti tanto in alto
da arrivar fino a lambirgli la guancia,
sembri volerne incenerir l'ardore.
Ah, la pietosa vista
di tutta quella gente che soffriva!
Ho sofferto pur io insieme a loro!
Un così bel naviglio,
che senza dubbio aveva nel suo fianco
chi sa qual nobile creatura umana,
tutto ridotto in pezzi!
Oh, quel grido che m'ha colpito il cuore!
Tutte perite, povere creature!
Avessi avuto il potere d'un dio,
avrei piuttosto fatto sprofondare
il mare nei precordi della terra,
prima ch'esso inghiottisse, come ha fatto,
una sì bella nave,
col suo carico umano.

PROSPERO -
Rasserénati,
caccia via dal tuo animo l'angoscia,
e di' al tuo cuore tanto impietosito,
che non è stato fatto nessun male.



MIRANDA -
Oh, giorno di sventura!

PROSPERO -
Nessun male, ti dico. Quel che ho fatto,
l'ho fatto, figlia, sol per amor tuo,
per te, mio solo bene,
per te, mia figlia, che non sai chi sei,
né di dove io provenga,
né ch'io sono assai più di questo Prospero
padrone di una misera spelonca,
e tuo padre, non più grande com'era.

MIRANDA -
Saper di più di me
non s'è mai mescolato ai miei pensieri.

PROSPERO -
È tempo dunque ch'io ti faccia edotta.
Dammi la mano, e toglimi di dosso
questo magico manto... Così, bene.

(Si toglie il mantello e lo depone a terra)

(Al mantello)
Rimani là, mia arte.

(A Miranda)
E tu asciugati gli occhi, e datti cuore.
Quel naufragio, la cui orrida vista
t'ha toccato così profondamente
tutte le fibre della compassione,
l'ho predisposto io, con la mia arte,
e col preordinato accorgimento
da far che di quelle anime non una,
anzi, che dico, non un sol capello
di quante creature in quel vascello
tu hai sentito urlare
e visto sprofondare, andasse perso.
Ma siedi: devi saperne di più.

MIRANDA -
Più d'una volta avete cominciato
a dirmi chi son io,
ogni volta fermandovi a metà;
e lasciandomi a vane congetture,
concludevate: "Aspetta, non ancora".

PROSPERO -
Adesso è l'ora. Ed è lo stesso tempo.
che ti sollecita ad aprir gli orecchi.
Sta' dunque ben attenta.
Hai tu memoria alcuna di tua vita
avanti di venire in questa grotta?
Non credo: non avevi ancor tre anni.

MIRANDA -
Eppure sì, qualcosa mi ricordo.

PROSPERO -
Che cosa, un'altra casa, altre persone?
Qualunque immagine ti sia rimasta,
sforzati di descriverla.

MIRANDA -
È lontano... Più simile ad un sogno
che a qualcosa di vero, di reale
che la memoria possa garantire...
Non c'eran delle donne intorno a me,
per accudirmi, forse quattro o cinque?

PROSPERO -
C'erano, sì, Miranda, ed anche più.
Ma com'è ch'hai sì vivo quel ricordo?
Che altro vedi nel buio passato
e nell'abisso del tempo trascorso?
Se hai questo barlume di memoria
del tempo prima di venire qui,
potresti forse pure ricordare
come ci sei venuta.

MIRANDA -
No, signore,
di questo proprio non ricordo nulla.

PROSPERO -
Miranda, ancora dodici anni fa,
sì, dico bene, dodici anni fa,
tuo padre era il signore di Milano,
il Duca, un principe tra i più potenti...

MIRANDA -
Che dite! Non sareste voi mio padre?

PROSPERO -
Tua madre, quello specchio di virtù,
mi diceva che tu eri mia figlia;
e tuo padre era Duca di Milano,
e di questi eri tu l'unica erede,
una non meno illustre principessa.

MIRANDA -
Oh, cielo! Allora quale turpe intrigo
ci costrinse ad andare via di là?
O fu la nostra buona sorte a farlo?

PROSPERO -
L'uno e l'altra, figliola, l'uno e l'altra.
Furono certamente turpi intrighi,
come tu dici, a strapparci di là;
ma fu altresì la nostra buona sorte
a farci poi toccare queste prode.

MIRANDA -
Ohimè; mi sento sanguinare il cuore
al pensiero delle tribolazioni
alle quali vi devo aver esposto,
e di cui ho perduto ogni ricordo.
Ma seguitate a narrarmi, vi prego.

PROSPERO -
Mio fratello, tuo zio, Antonio è il nome...
Ti prego, ascolta a quale mai perfidia
può giungere un fratello...
lui, la persona ch'io, dopo di te,
tenevo cara più di tutto il mondo!
Alle sue mani avevo confidato
la cura degli affari del mio Stato,
ch'era, fra tutte l'altre signorie,
la prima, come primo fra quei duchi
era tenuto Prospero,
per dignità di rango impareggiato
ed amore dell'arti liberali;
a queste avendo posto ogni mio studio,
decisi di affidare a mio fratello
la cura degli affari di governo,
estraniando me stesso dallo Stato,
tutto preso e rapito a penetrare
gli insondati misteri della vita.
E quel tuo zio sleale... Ma mi segui?...

MIRANDA -
Attentissimamente, padre mio.

PROSPERO -
... perfezionata ch'ebbe l'esperienza
d'accogliere o respingere le suppliche,
d'avanzar questo e rimuover quest'altro
per non farlo salire troppo in alto,
si dette a rinnovar tutte le nomine
della gente che già era stata mia,
o a rimpiazzarla e plasmarla a suo modo;
sicché tenendo in mano le due chiavi,
della funzione e del suo titolare,
accordò, nel concerto dello Stato,
tutti i cuori a quel tono e a quella chiave
ch'erano più graditi alle sue orecchie;
si sviluppò, in sostanza, come un'edera
che ricoprì il mio principesco tronco
succhiandone la linfa ed il vigore...
Ma mi ascolti?

MIRANDA -
Sì, certo, mio signore.

PROSPERO -
Stammi bene a sentire, te ne prego!
Io, negligendo ogni mondana cura,
tutto dedito a coltivar la mente,
in solitudine, con quegli studi
che, se non fossero così segreti,
sovrasterebbero sicuramente
nel general concetto della gente
ogni diversa attività dell'uomo,(7)
fui causa inconsapevole
che in quel mio falso e sleale fratello
si risvegliassero maligni istinti,
sicché la mia fiducia in lui riposta,
come il buon genitore del proverbio(8),
ingenerò in lui tale doppiezza
senza limiti, come illimitata
era stata la mia fiducia in lui.
Investito così di tal potere
qual poteva non solo derivargli
dall'introito di tutte le mie rendite,
ma da tutto che si potesse trarre
dall'esercizio delle mie funzioni,
egli, come uno che della sua mente
abbia fatto una tale peccatrice
da credere alle stesse sue bugie
a forza di ripeterle a se stesso,
si persuase d'esser lui il duca,
essendo solamente il mio vicario,
e se ne assunse pure esteriormente
l'aspetto e le reali attribuzioni.
Gonfiandosi così la sua ambizione...
Ma mi ascolti?...

MIRANDA -
La vostra storia, padre,
aprirebbe le orecchie pure a un sordo.(9)

PROSPERO -
... e perché non vi fosse alcuno schermo
tra questa parte da lui recitata
e quello ch'egli vi rappresentava,
decise d'esser lui, e lui soltanto,
il signore assoluto di Milano.
Per me, i miei libri, la mia biblioteca
erano già un ducato sufficiente.
E come egli pensò ch'io fossi inetto
a reggere le briglie del governo,
tanta fu la sua sete di potenza,
che strinse un patto con il re di Napoli,
impegnandosi a farsi suo vassallo,
a corrispondergli un annuo tributo,
a riconoscer la propria corona
suddita della più grande di quello,
ed a piegare - ah, povera Milano! -
il mio ducato che mai fino allora
aveva conosciuto sudditanza,
alla più vergognosa soggezione.

MIRANDA -
Oh, cieli!...

PROSPERO -
E senti a quali condizioni,
e a quali eventuali conseguenze;
e dimmi s'ei può dirsi mio fratello.

MIRANDA -
Mi sentirei in peccato, padre mio,
se giudicassi men che nobilmente
la mia nonna, che fu d'entrambi madre;
altre volte, però, virtuoso grembo
dette alla luce disonesti figli.

PROSPERO -
Ecco dunque l'accordo: il re di Napoli,
da quell'inveterato mio nemico
ch'è sempre stato, porse buon orecchio
alla richiesta; ch'era che quel re,
in cambio dell'omaggio di vassallo
e di non so qual gravoso tributo,
s'impegnava a cacciare me ed i miei
dal mio ducato e consegnare a lui,
in pienezza d'onori e di poteri
la mia bella Milano.
Così, assoldato ch'ebbe alla bisogna
un'accozzaglia d'uomini felloni,
la notte stabilita, a mezzanotte,
Antonio aprì le porte di Milano,
da dove, nell'oscurità più fitta,
quelli ch'erano stati a ciò preposti
mi trascinaron via, e te con me,
che piangevi.

MIRANDA -
Oh, che pietosa storia!
Quel mio pianto, di cui non ho memoria,
sento che torna a stringermi la gola,
e quel che dite mi strappa le lacrime.

PROSPERO -
Stammi ancora a sentire, per un po',
che ti devo condurre, col racconto,
fino agli avvenimenti più vicini;
se no, sarebbe vano il mio parlare.

MIRANDA -
Come mai non ci tolsero la vita?

PROSPERO -
Giusta domanda, figlia, e conseguente.
Ebbene: nella lor grande ambizione
di rivestire dei più bei colori
i lor torbidi intenti, ben sapendo
quanto il popolo mi volesse bene,
mancò loro il coraggio
di marcare d'un tal cruento segno
la loro turpe impresa. A farla breve:
ci caricarono in fretta su un barco,
e ci spinsero qualche lega in mare(10),
dove avevano pronta una carcassa,
una goletta tutta sconquassata,
senz'alberi, né vele, né cordame,
abbandonata perfino dai topi.
In quel misero legno
ci lasciarono a sciogliere da soli
i nostri pianti in seno al grande mare
che rispondeva strepitando intorno,
e a sospirare ai venti, che, pietosi,
ci rinviavano i loro sospiri,
quasi in un gesto d'affettuoso torto.

MIRANDA -
Ahimè, chi sa che peso sarò stata
per voi, in quei terribili momenti!

PROSPERO -
Un angelo, sei stata, un cherubino,
ch'è riuscito a sostenermi in vita:
sorridevi serena innanzi a me,
come pervasa da una forza d'animo
che sembrava ispirata in te dal cielo;
e mentre, affranto dal mio grave peso,
io spargevo nel mare amare lacrime;
quel tuo sorriso ridestava in me
un arcano coraggio per resistere
contro qualunque avversità futura.

MIRANDA -
E poi, come giungemmo a questa riva?

PROSPERO -
Fu grazie alla Divina Provvidenza.
Avevamo con noi un po' di cibo
e un po' d'acqua da bere,
che un nobile di Napoli, Gonzalo,
incaricato dell'esecuzione
di quel tristo disegno, impietosito,
ci aveva dato, insieme a ricche vesti,
biancheria, stoffe ed altre utili cose
che poi ci furono di grande aiuto;
non solo, ma sapendo, quel Gonzalo,
quanto cari mi fossero i miei libri,
mi riportò dalla mia biblioteca
un certo numero di quei volumi
che per me valgono più del ducato.

MIRANDA -
Come vorrei conoscerlo, quell'uomo!
Se solo un giorno potessi incontrarlo!

PROSPERO -
Ora mi alzo. Tu resta seduta,
(Si alza e riprende da terra il manto magico)
ch'io ti racconto quale fu la fine
di quella dolorosa traversia.
Come Dio volle(11), approdammo a quest'isola
e qui, con me come tuo pedagogo,
tu hai appreso con maggior profitto
di quanto sappian altre principesse
ch'hanno più tempo e più agio di te
da dedicare a inutili diporti,
e meno premurosi precettori.

MIRANDA -
Il ciel ve ne rimeriti, signore!
Ma spiegatemi - ché questo pensiero
ancora mi martella nella mente -
per qual ragione avete suscitato
questa burrasca.

PROSPERO -
Ti dirò anche questo.
Per non so quale strano suo capriccio,
la provvida Fortuna, a me benigna,
ha tratto a queste rive i miei nemici;
e la mia preveggenza mi rivela
che il mio zenith(12) è sotto il buon influsso
d'una benigna stella, il cui favore
s'io non curassi o tenessi in mal conto,
farebbe sì che le mie buone sorti
declinerebbero sempre di più.
Ora basta. Non chiedermi più niente.
Vedo che inclini al sonno:
salutare è per te questo sopore;
non devi fare nulla per resistergli.
Eppoi, si sa, non ci riusciresti...

(Miranda s'è addormentata)

(Chiamando)
Presto, mio spiritello! Presto! Qua!
Avvicinati, Ariele, ora son pronto!

Entra ARIELE

ARIELE -
Evviva, mio magnifico padrone!
Salute, venerabile signore!
Eccomi pronto ad ogni tuo volere:
si tratti di volare, di nuotare,
di buttarmi nel fuoco, o cavalcare
sulla cresta delle ricciute nuvole,
Ariele è sempre ai tuoi alti comandi,
con ogni magica sua facoltà.

PROSPERO -
Dimmi un po', spiritello, hai suscitato
punto per punto la tempesta in mare
che t'avevo ordinato?

ARIELE -
Punto per punto, come tu volevi.
Piombato sopra il vascello del re,
ora a prua, ora al centro, ora sul cassero,
or di qua or di là per le cabine,
ho fiammeggiato dovunque terrore.
A volte mi scindevo in varie fiamme,
andando a divampare in vari posti:
sul pennone maggiore, sul bompresso,
ardevo tutto in separate fiamme,
per poi riunirmi in un unico incendio.
I fulmini di Giove, precursori
del fragore terribile del tuono,
e il lacerarsi di solfuree nubi
sembrava che cingessero d'assedio
il possente Nettuno,
tanto da riempire di tremore
i suoi superbi flutti, e da scrollare
perfino il suo terribile tridente.

PROSPERO -
Bravo, il mio coraggioso spiritello!
E ci fu alcuno tanto saldo e intrepido
al quale tutto questo finimondo
non sia valso a sconvolger la ragione?

ARIELE -
Nessuno. Non c'è stata una creatura
che non sia impazzita di paura,
fino a compiere gesti disperati.
E tutti a bordo - meno i marinai -
si son gettati nell'acqua schiumosa,
lasciando il barco da me messo in fiamme.
Ho visto il figlio del re, Ferdinando,
con i capelli ritti da sembrare
che avesse in testa un intero canneto,
gettarsi in mare il primo, avanti a tutti,
gridando: "S'è spopolato l'inferno!
Perché i diavoli stanno tutti qui!"

PROSPERO -
Così! Così! Ben fatto, spiritello!
Ma non è stato vicino alla riva?

ARIELE -
Vicino, sì, padrone.

PROSPERO -
E tutti salvi?

ARIELE -
Tutti, sì. Non s'è perso un sol capello.
Sugli abiti che li han tenuti a galla,
non una macchia, più nuovi di prima.
Poi, secondo che tu m'avevi detto,
li ho dispersi per gruppi in tutta l'isola,
mentre il figlio del re l'ho spinto a riva
solo, lontan dagli altri,
e l'ho lasciato in un remoto anfratto,
a rinfrescar, seduto e sconsolato,
l'aria coi suoi sospiri,
con le braccia incrociate, ecco, così...

PROSPERO -
E della nave del re, della ciurma,
che n'hai fatto? E del resto della flotta?

ARIELE -
La nave regia è sana e salva all'àncora,
in quella stessa fonda insenatura
donde tu mi chiamasti quella volta,
per mandarmi, nel cuore della notte,
a cercarti rugiada alle Bermude,
sempre battute da un mare in tempesta;
e là sta ben nascosta; e i marinai,
stipati tutti sotto nelle stive,
vuoi per effetto d'un mio sortilegio,
vuoi per le grosse fatiche del viaggio,
li ho lasciati a dormire come ciocchi.
Quanto agli altri navigli della flotta,
da me dispersi, si son poi riuniti,
e veleggiano nel Mediterraneo,
in rotta verso Napoli, avviliti,
perché credono tutti d'aver visto
colare a picco la nave del re
e perire l'illustre personaggio.

PROSPERO -
Ariele, hai ben compiuto questo incarico.
Ma c'è altro lavoro che t'aspetta.
Che ora volge il giorno?

ARIELE -
Dev'essere al di là della metà.

PROSPERO -
Di due clessidre almeno(13). Ebbene, Ariele,
qui si tratta noi due
di mettere a profitto il nostro tempo
da qui alle sei.

ARIELE -
Altro lavoro ancora?
Ebbene, mio padrone,
visto che tu m'affibbi nuovi compiti,
lascia ch'io ti ricordi la promessa
che m'hai fatta e non hai più mantenuta.

PROSPERO -
Ehi, là! Saresti in collera con me?
Che mi vuoi chiedere?

ARIELE -
Di liberarmi.

PROSPERO -
Prima che sia spirato tutto il tempo?...
No! Nemmeno a parlarne!

ARIELE -
Te ne prego, non ti dimenticare,
padrone mio, dell'ottimo servizio
che t'ho reso per tutto questo tempo:
mai detta una bugia,
mai uno sgarro, mai il muso lungo,
mai mugugno o proteste...
e tu m'avevi fatto la promessa
dell'abbuono d'un anno.

PROSPERO -
E tu, ti sei scordato, spiritello,
i tormenti da cui t'ho liberato?

ARIELE -
Certo che no.

PROSPERO -
E invece sì, mi pare.
Che fatica ti potrà mai costare
se ti mando a pestare un po' di limo
sul fondo dei salsedinosi abissi,
o a volare sulle pungenti raffiche
di tramontana, o a calarti per me
nelle indurite vene della terra
quando le brucia il gelo?
È gran fatica far questo per me?

ARIELE -
No, no, signore.

PROSPERO -
Allora sei bugiardo
e anche malizioso, spiritello.
E te la sei scordata quella strega,
quella perfida strega Sicorace,
che, incurvata dagli anni e dal livore,
somigliava a un uncino?

ARIELE -
No, signore.

PROSPERO -
Sì, invece. Avanti, di', dov'era nata?
Te lo ricordi? Avanti, parla, dimmelo!

ARIELE -
Ad Algeri, signore.

PROSPERO -
Ah, sì? Davvero?
Ecco, lo vedi? Io, di tanto in tanto(14)
ti debbo rinfrescare la memoria
e ripeterti quello che sei stato,
perché tu te lo scordi... Quella strega,
quella dannata strega Sicorace,
per via dei suoi malefici incantesimi,
che sono orribili solo a parlarne(15),
fu, come sai, cacciata via da Algeri;
e sol le fu risparmiata la vita
per una certa cosa che avea fatto.
È vero o no?

ARIELE -
Verissimo, padrone.

PROSPERO -
Quella megera dalle occhiaie livide(16)
era incinta allorché fu trasportata
da alcuni marinai su quest'isola,
e qui abbandonata;
e tu, che dici d'essere mio schiavo,
eri allora suo servo, spiritello;
ma troppo delicato di natura
per adempiere a tutte le bisogne
terrigne e odiose ch'ella t'imponeva,
rifiutasti di dare esecuzione
a certe sue terribili ingiunzioni,
e lei, nell'implacabile sua rabbia,
coadiuvata dalle sue ministre,
le più potenti entità dell'inferno,
t'imprigionò nello spacco d'un pino,
e là tu sei rimasto, dolorante,
perch'ella nel frattempo venne a morte,
lasciandoti là dentro,
a emettere lamenti interminabili,
come i giri di mola d'un mulino.
L'isola allora non era onorata
da alcuna forma umana, salvo il figlio
che la strega vi aveva partorito,
un autentico cucciolo di strega,
lentigginoso, un vero mostriciattolo(17).

ARIELE -
Calibano, suo figlio?

PROSPERO -
E chi, se no?
Sciocco! È di lui che parlo. Calibano,
lo stesso che tengo ora al mio servizio.
Dunque, dico, tu sai perfettamente
in che tormenti t'avevo trovato;
eran così strazianti i tuoi lamenti
da ridestare l'ululato ai lupi
e intenerire il cuor perfino agli orsi,
le bestie più spietate per natura:
un supplizio d'inferno,
che quella strega Sicorace, morta,
non ti poteva ormai far più cessare.
Fu solo la virtù della mia arte,
quando qui giunsi ed udii le tue grida,
ad aprir la mascella di quel pino
e trarti fuori.

ARIELE -
Grazie a te, padrone!

PROSPERO -
Ora, però, se seguiti il mugugno,
spacco una quercia, e ti c'inzeppo dentro,
e ti lascio nel suo nocchiuto ventre
a urlare e sbraitar dodici inverni.

ARIELE -
No, perdono, padrone: d'ora in poi
saprò ben obbedir ai tuoi comandi,
e far di buona voglia il mio servizio
di bravo spiritello. Sta' sicuro.

PROSPERO -
Bravo, così va bene. E fra due giorni,
io ti prometto di renderti libero.

ARIELE -
Eccolo qua, il mio nobile padrone!
Che c'è da fare? Di', che c'è da fare?

PROSPERO -
Prendere le sembianze d'una ninfa,
una ninfa del mare,
invisibile a tutti fuor che a me(18).
Va', prendi quella forma, e torna subito.
Su, alla svelta, e con molta diligenza!

(Esce Ariele)

Prospero s'avvicina a Miranda che dorme

Su, svegliati, cuor mio!
Hai ben dormito, svegliati, mia cara!

MIRANDA -
(Risvegliandosi)
La stranezza di quel vostro racconto
m'ha messo addosso uno strano torpore.

PROSPERO -
Scuotilo, adesso, e vieni via con me:
andiamo dal mio schiavo Calibano,
uno che non ci fa mai concessione
di garbatezza nelle sue risposte.

MIRANDA -
È un essere malvagio, quello, padre,
e non mi piace manco di guardarlo.

PROSPERO -
Non possiamo purtroppo farne a meno
nelle presenti nostre condizioni:
ci accende il fuoco, raccoglie la legna,
e ci sbriga tante utili faccende.
(Chiamando)
Ehi, Calibano!... Schiavo, dove sei?
Zolla di terra, dico a te, rispondi!

CALIBANO -
(Da dentro)
Di legna in casa ce n'è già abbastanza!

PROSPERO -
Vieni fuori, ti dico! Vieni fuori!
C'è dell'altro da fare qui per te.
Avanti, tartaruga! Ti decidi?

Rientra ARIELE nelle sembianze d'una ninfa marina

Oh, dolce apparizione!
Mio delizioso Ariele, una parola...
All'orecchio...

(Gli sussurra qualcosa all'orecchio)

ARIELE -
Va bene. Sarà fatto.

PROSPERO -
(Chiamando)
Ehi, tu, schiavo bilioso,
concepito dalla tua trista madre
col diavolo in persona, vieni fuori!

Entra CALIBANO

CALIBANO -
Vi piova addosso una guazza maligna,
a tutti e due, la stessa che mia madre
schiumava con la penna d'un corbaccio
dal pelo di paludi putrescenti!
E il pestifero vento di libeccio
vi soffi addosso a coprirvi di pustole!

PROSPERO -
E tu, per queste belle tue parole,
statti pur certo che stanotte stessa
sarai talmente assalito dai crampi
e da feroci trafitture ai fianchi,
da toglierti il respiro per lo spasimo
e tanti spiritelli in forma d'istrici
- ché quello della morta ora notturna
è proprio il tempo del lor maleficio -
ti faranno punture così fitte,
da ridurti la pelle un alveare,
e con aculei ancora più aguzzi
dei pungiglioni dell'api operaie.

CALIBANO -
E inghiottiamoci anche questo rospo!(19)
Ma quest'isola è mia,
da parte di mia madre, Sicorace,
e tu me la sottrai, da usurpatore.
I primi tempi della tua venuta
in questi luoghi mi volevi bene(20),
e mi tenevi grandemente in conto;
m'offrivi a bere spremute di more
e m'insegnavi quali nomi dare
alla luce più grande e alla più piccola
ch'ardono in cielo di giorno e di notte.
Ed io, che pure ti volevo bene,
ti mostrai le bellezze di quest'isola:
le fresche polle, le pozze salmastre,
le plaghe sterili e quelle feconde...
Maledizione a me, perché l'ho fatto!...
Ora vorrei che ti piovano addosso
i malefici tutti di mia madre,
e rospi, e scarafaggi, e pipistrelli!
Perch'io solo son qui tutti i tuoi sudditi,
io, che pur ero qui re di me stesso,
e mi vedo ora da te relegato
in questa ruvida balza rocciosa,
tutta l'isola essendomi interdetta!

PROSPERO -
Bugiardissimo schiavo,
sensibile soltanto alle sferzate,
mai alla gentilezza!
Malgrado fossi un mucchio d'immondizia,
io ti trattai con ogni umana cura,
e t'alloggiai nella mia stessa grotta,
finché tu non osasti di attentare
all'onore di questa mia bambina.

CALIBANO -
Ohò, così vi fossi riuscito
(ma tu giungesti in tempo ad impedirlo),
perché a quest'ora t'avrei popolato
quest'isola di tanti Calibani!

PROSPERO -
Aborrito furfante, sul cui viso
giammai s'imprimerà marchio di bene,
giacché solo di male sei capace!
Io, per pietà, m'ero presa la cura
d'insegnarti a parlare, ad ora ad ora,
ed altre cose, quando tu, selvaggio,
non sapevi nemmeno articolare
quello che avevi in animo di dire,
e ciangottavi suoni incomprensibili,
come un impasto di materia bruta;
e dotai di parole i tuoi pensieri.
Ma la tua vile e perversa natura,
se pure tardo non eri ad imparare,
aveva in sé quello che fa impossibile
ad ogni essere buono starti accanto.
Giusto, pertanto è stato, più che giusto
averti confinato in questa roccia,
che è men di quel che avresti meritato(21).

CALIBANO -
È vero, tu m'insegnasti a parlare;
e l'unico vantaggio ch'io ne traggo
è questo: che ora posso maledire.
Perciò ti colga la peste bubbonica
per avermi insegnato il tuo linguaggio!

PROSPERO -
Va' via, seme di strega!
Va' a raccogliere legna! Ed alla svelta,
perché debbo affidarti altri servizi.
E che! Tu fai spallucce, malabestia?
Bada che se trascuri i miei comandi
o li eseguisci di cattiva voglia,
io ti riduco tutto un torciglione,
a spasimare coi crampi dei vecchi,
ti riempio le ossa di dolori
così atroci da farti urlare tanto
da far tremar le belve nelle tane.

CALIBANO -
No, no, ti prego!

(Tra sé)
M'è forza obbedirgli:
la sua arte di mago ha tal potere,
da soggiogare anche il dio di mia madre,
Sètebo, e far di lui un suo vassallo.

(Esce Calibano)


Rientra ARIELE, invisibile, suonando e cantando;
dietro di lui, attratto da quella musica, FERDINANDO

ARIELE -
(Canta)
"Alle spiagge dorate,
"la mano nella mano,
"a baciarvi venite,
"e il selvaggio baccano
"dei marosi zittite.
"Leggeri saltellate
"qua e là per queste prode,
"ed ogni spiritello
"intoni il ritornello". Udite, udite!

VOCI DI SPIRITI -
(All'interno)
Bau-bau. I cani latrano...
Bau-bau...

ARIELE -
Udite! Udite!
Sento il verso del tronfio(22) Cantachiaro
gridar gioioso il suo chicchirichì.

FERDINANDO -
Da dove può venire questa musica,
dall'aria o dalla terra?... Ora è cessata.
Accompagna di certo un dio dell'isola.
Me ne stavo seduto su una riva,
piangendo ancor la perdita
del padre mio, quando udii questi suoni,
scivolar fino a me sopra quell'acque,
e placar, con la lor dolce armonia
la furia dei marosi e il mio dolore.
E poi di là mi son messo a seguirla,
o forse è stata lei a trascinarmi...
È svanita... Ah, no, ecco, riprende.

ARIELE -
(Canta)
"A cinque tese sotto
"dell'acque sta sepolto
"tuo padre, e non è morto,
"ché la magia del mare
"lo seppe trasformare
"in cosa ricca e strana:
"son l'ossa sue coralli
"e perle le pupille;
"ed ogni ora le ninfe
"fan per lui rintoccare
"la funebre campana".

VOCI DI SPIRITI -
(Dall'interno)
Din-don.

ARIELE -
Ecco: io sento la campana.

FERDINANDO -
Le parole di questa melodia
ricordano mio padre ch'è annegato:
questo non è qualcosa di mortale,
né suono che provenga dalla terra...
Ecco, adesso lo sento su di me...

PROSPERO -
(A Miranda)
Le frangiate cortine dei tuoi occhi(23)
solleva, e dimmi che vedi laggiù.

MIRANDA -
E che cos'è? Uno spirito? Dio mio,
in che modo si va scrutando intorno!
E che stupenda figura s'è dato...
ma di certo dev'essere uno spirito.

PROSPERO -
E invece no, figliola:
quello è uno che mangia e beve e dorme
ed ha gli stessi esatti nostri sensi.
Quel gagliardo che tu vedi laggiù
è un di quelli che han fatto naufragio;
e se la sua persona
non fosse un po' sciupata dall'angoscia,
questo tarlo che rode la bellezza,
potresti dirlo davvero un bell'uomo.
Si vede che ha smarrito i suoi compagni,
e va vagando intorno per trovarli.

MIRANDA -
Io lo direi un essere divino:
perché non ho mai visto sulla terra
nulla di così nobile.

PROSPERO -
(Tra sé)
Ma bene!
Tutto procede, vedo,
come l'animo mio mi suggeriva.

(Parlando ad Ariele, invisibile)
Spiritello, sagace spiritello!
Per questo, fra due giorni sarai libero!

FERDINANDO -
(Vedendo Miranda)
Questa dev'essere senza alcun dubbio
la dea cui fan corteggio quelle musiche.
(Forte)
Permettimi, di grazia, una preghiera:
ch'io ti chieda se abiti quest'isola,
e se puoi darmi qualche buon consiglio
su come meglio ho da condurmi qui;
e infine - ma è la cosa più importante -
dimmi, prodigio, sei fanciulla o no?

MIRANDA -
Prodigio no; fanciulla, sì, di certo.

FERDINANDO -
Mi rispondi nella mia stessa lingua?...
Cielo! Se invece di trovarmi qui,
fossi dove si parla questa lingua,
sarei di tutti quelli che la parlano
il più alto.

PROSPERO -
Il più alto? Che vuol dire?
Che saresti se fosse qui ad udirti
il re di Napoli?

FERDINANDO -
Quello che sono:
un uomo come un altro che è stupito
di sentirti parlar del re di Napoli.
Quel re mi sente: e per questo io piango.
Il re di Napoli adesso son io,
dopo aver visto con questi miei occhi,
che da allora non cessano di piangere,
mio padre, ch'era il re, annegare in mare...

MIRANDA -
Cielo, misericordia!

FERDINANDO -
... con tutti i nobili della sua corte,
il Duca di Milano
e con esso il suo valoroso figlio.(24)

PROSPERO -
(A parte)
Il Duca di Milano,
e la di lui più valorosa figlia
potrebbero smentirti, giovanotto...(25)
ma non ora, non è questo il momento...
Si sono detti amore al primo sguardo...
Ariele, mia delizia,
per questo ti darò la libertà!

(A Ferdinando)
Una parola, gentile signore:
temo che siate su una falsa strada...
una parola...

MIRANDA -
(Tra sé)
Ma perché mio padre
gli si rivolge con tanta durezza?
È il terzo uomo che ho visto, ed il primo
per il quale il mio cuore ha sospirato...
Ah, pietà possa indurre il padre mio
a star dalla mia parte!...

FERDINANDO -
Oh, se tu sei fanciulla, come dici(26),
ed il tuo cuore non è volto altrove,
farò di te la regina di Napoli.

PROSPERO -
Piano, signore. Ancora una parola.

(Tra sé)
Son già l'uno dell'altra...
Ma la faccenda è un po' precipitosa,
e convien ch'io vi metta qualche intoppo;
perché una troppo facile vittoria
non svilisca il valor della conquista.

(A Ferdinando)
Ancora una parola. Ascolta bene:
tu usurpi un titolo che non è tuo,
e vieni su quest'isola da spia,
con l'intenzione di carpirla a me,
che ne sono il padrone.

FERDINANDO -
Questo no!
Com'è vero ch'io sono un uomo vivo!

MIRANDA -
In un così bel tempio, padre mio,
io credo che non può albergare il male;
ché se i maligni spiriti albergassero
in una simile bella dimora,
i buoni avrebbero già fatto a gara
per andare a convivere con loro.

PROSPERO -
(A Ferdinando)
Seguimi.

(A Miranda)
E tu non perorar per lui.
Costui è un traditore.

(A Ferdinando)
Andiamo, vieni:
voglio legarti collo e piedi in ceppi;
avrai l'acqua del mare per bevanda,
e per cibo molluschi d'acqua dolce,
radici disseccate e gusci vuoti
di ghiande stati loro culla. Vieni.

FERDINANDO -
No. Ad un trattamento come questo
resisterò finché il mio avversario
non si dimostrerà di me più forte.

(Fa per snudare la spada, ma Prospero,
con un incantesimo, gli impedisce di muoversi)

MIRANDA -
Padre mio, siate buono,
non imponetegli sì dura prova;
egli è così gentile,
che da lui non c'è nulla da temere(27).

PROSPERO -
Ohò, dico, dev'essere il mio piede
a dirmi quel che deve far la mano?(28)

(A Ferdinando)
Traditore, rinfodera la spada,
ché d'essa non potresti mai servirti,
né oseresti colpirmi,
per quanto ti rimorde la tua colpa.
E smetti quella guardia, ch'essa è inutile:
ch'io con questa bacchetta, con un colpo,
ti mando l'arma a terra e ti disarmo.

MIRANDA -
(Aggrappandosi alla veste del padre)
Oh, padre mio, vi supplico!

PROSPERO -
Allontànati!
Non aggrapparti alle mie vesti. Via!

MIRANDA -
Pietà, padre. Rispondo io per lui.

PROSPERO -
Zitta! Se dici ancora una parola,
mi spingi a redarguirti brutalmente,
se non addirittura a detestarti!
Come! Difendi un impostore?... Zitta!
Tu pensi che ci sia soltanto lui
al mondo di così piacente aspetto,
perché non hai veduto ancora altr'uomo
che lui e Calibano... Scioccherella!...
Se confrontato con la maggioranza
del suo sesso, costui è un Calibano,
e al suo confronto gli altri sono angeli.

MIRANDA -
Vuol dire allora che i miei desideri
sono molto modesti, se son paghi
di non averne visti altri più belli.

PROSPERO -
(A Ferdinando)
Allora, via, obbedisci, ché i tuoi nervi
son ritornati quelli dell'infanzia,
e tu non hai più forza.

FERDINANDO -
È vero, è vero.
Mi sento tutti i sensi prigionieri,
come in sogno. Ma questo sfinimento,
la stessa perdita del padre mio,
il naufragio di tanti cari amici,
le minacce da parte di quest'uomo
cui son costretto a ceder mio malgrado,
non sarebbero peso insopportabile
s'io potessi mirar questa fanciulla
anche attraverso la grata d'un carcere,
e anche non più d'una volta al giorno.
E andassero pur gli altri tutti liberi
per i quattro cantoni della terra:
per me quella prigione
sarebbe spazio più che sufficiente.

PROSPERO -
(Tra sé)
L'incanto ha cominciato a funzionare.

(A Ferdinando)
Andiamo!

(Ad Ariele)
Un ottimo lavoro, Ariele!

(A Ferdinando)
Deciditi a seguirmi.

(Ad Ariele)
Ascolta bene
quello che ancora devi far per me.

MIRANDA -
(A Ferdinando)
Rassicùrati. Questo padre mio
non è poi d'indole così malvagia
come ti può apparir dal suo parlare.
Quello che ha fatto e detto fino ad ora
è insolito del suo comportamento.

PROSPERO -
(Ad Ariele)
Ariele, sarai libero, folletto,
libero come i venti di montagna.
Ma attento ad eseguire puntualmente
i miei comandi.

ARIELE -
Sillaba per sillaba!

PROSPERO -
(A Ferdinando)
Allora, ti decidi? Andiamo, seguimi!

(A Miranda)
E tu non intercedere per lui!

(Escono)

ATTO SECONDO


SCENA I - Altra parte dell'isola


Entrano ALONSO, SEBASTIAN, ANTONIO, GONZALO, ADRIANO, FRANCESCO e altri

GONZALO -
(Al re)
Signore, vi scongiuro, state allegro;
ne avete ben motivo, come tutti,
ché l'essere scampati dalla morte
è bene che compensa largamente
tutto ciò che possiamo aver perduto.
La cagione che vi fa stare afflitto
è delle più comuni: tutti i giorni
ci sono mogli d'uomini di mare,
armatori di navi da trasporto,
o mercanti che l'hanno noleggiate
ch'hanno a dolersi per disgrazie simili;
ma tra milioni d'uomini sono pochi,
che possono gridare, come noi,
al miracolo d'essersi salvati.
Dunque, mio buon signore, fate cuore,
cerchiamo di pesar dentro di noi
afflizione e conforto con saggezza.

ALONSO -
Sta' zitto, te ne prego!

SEBASTIAN -
(Ad Antonio, a parte)
Questi conforti sono zuppa fredda
per lui.

ANTONIO -
(A Sebastian, a parte)
Però il suo confortatore
non ha nessuna voglia di desistere.

SEBASTIAN -
(c.s.)
Guardatelo: sta dando nuova carica
all'orologio della parlantina.
Tra poco batterà di nuovo l'ore.

GONZALO -
(Al re)
Signore...

SEBASTIAN -
(c.s.)
E una. Cominciamo il conto.

GONZALO -
... quando ci si presenta una disgrazia,
chi la riceve ne ricava...

SEBASTIAN -
(Forte)
... un dollaro(29).

GONZALO -
... un dolore, sì, avete detto giusto,
più giusto ch'io credessi che pensaste.

SEBASTIAN -
E voi l'avete inteso giustamente,
meglio di quanto io non l'abbia detto.

GONZALO -
(Al re)
Perciò dicevo appunto, mio signore...

ANTONIO -
Ah, ma che spendaccione è mai costui
della sua lingua!

ALONSO -
(A Gonzalo)
Rispàrmiati, prego!

GONZALO -
Bene. Ho finito... Eppure, tuttavia...

SEBASTIAN -
... e tuttavia lui seguita a ciarlare.

ANTONIO -
Chi dei due, tra lui ed Adriano,
ora farà "chicchirichì" per primo?

SEBASTIAN -
Io dico il vecchio gallo.

ANTONIO -
Io il galletto.

SEBASTIAN -
Ebbene, allora scommettiamo. Quanto?

ANTONIO -
Una bella risata.

SEBASTIAN -
Sì, ci sto.

ADRIANO -
Quest'isola, benché sembri deserta...

SEBASTIAN -
(Ridendo forte)
Ah! Ah! Ah! Ah! Così siete pagato(30).

ADRIANO -
... inabitata, e quasi inaccessibile...

SEBASTIAN -
... pure...

ADRIANO -
... pure...

ANTONIO -
Quel "pure" gli era d'obbligo.

ADRIANO -
... ci dev'esser nell'aria tutt'intorno
una sottile, fine temperanza...

ANTONIO -
"Temperanza" era infatti una donzella
sottile e delicata(31)...

SEBASTIAN -
... ed anche fine,
com'egli ha sì sapientemente detto.

ADRIANO -
Qui l'aria spira dolce, delicata...

SEBASTIAN -
... come avesse i polmoni cagionevoli...

ANTONIO -
... o sentisse un profumo di palude.

GONZALO -
E c'è tutto che serve per campare.

ANTONIO -
È vero; solo che mancano i mezzi.

SEBASTIAN -
Ah, di quelli ce ne son pochi o nulli.

GONZALO -
E come l'erba appare tutt'intorno
d'una freschezza rigogliosa, verde...

ANTONIO -
In verità il terreno appare bruno...

SEBASTIAN -
... e il verde occhieggia solo un po' qua e là.

ANTONIO -
Beh, non s'è mica sbagliato di molto.

SEBASTIAN -
No, s'è soltanto sbagliato di tutto.

GONZALO -
... ma la cosa più strana, inusitata,
direi quasi incredibile, si è...

SEBASTIAN -
... come tutte le cose inusitate...

GONZALO -
... che le robe di queste nostre vesti
quantunque siano state, e lo son state,
inzuppate dal mare, e come bene,
hanno serbato freschezza e colore
quasi, non che gualcite all'acqua salsa
fossero state tutte tinte a nuovo.

ANTONIO -
Se sol potesse parlare una tasca,
non direbbe ch'egli racconta frottole?

SEBASTIAN -
Sì, se non fosse tanto disonesta
da mettersele in tasca, e zitto e mosca.

GONZALO -
Si direbbe che queste nostre vesti
abbian serbato tutta la freschezza
di quando le indossammo il primo giorno,
pel matrimonio della principessa
figlia del re, la bella Claribella,
col re di Tunisi.

SEBASTIAN -
Gran belle nozze!
E che bella fortuna abbiamo avuto
a ritornare a casa sani e salvi.

ADRIANO -
Tunisi non aveva avuto mai
la grazia, prima d'ora, d'un gioiello
di regina di tale perfezione.

GONZALO -
No, da quando la vedova Didone...

ANTONIO -
Vedova un corno! Che c'entra la vedova?
Sentitelo! La "vedova Didone"!...

SEBASTIAN -
Eh, come la prendete, Santo Dio!
E che, allora, se avesse ricordato
anche il "vedovo Enea"?...

ADRIANO -
La "vedova Didone" avete detto?
Ma quella, ora che ci penso meglio,
non era affatto regina di Tunisi,
ma di Cartagine.

GONZALO -
E Tunisi, signore, era Cartagine.

ADRIANO -
Cartagine?

GONZALO -
Sì, sì, parola mia.

ANTONIO -
Eh già, "parola sua": la sua parola
è più potente dell'arpa di Anfione(32).

SEBASTIAN -
Ha innalzato le mura di Cartagine,
con le case, coi tetti e tutto il resto.

ANTONIO -
Chi sa allora che nuovo impossibile
combinerà altrettanto facilmente.

SEBASTIAN -
Mettersi in tasca magari quest'isola
come una mela e portarsela a casa,
in regalo a suo figlio.

ANTONIO -
E cospargere il mare di sementi
per far nascer qua e là tanti isolotti.

ALONSO -
(Come trasalendo, svegliato dalle sue meditazioni)
Eh, già...

ANTONIO -
(Vedendolo finalmente partecipare al colloquio)
Alla buon'ora(33)!...

GONZALO -
(Al re, come continuando un discorso interrotto)
Si diceva, signore, che i nostri abiti
sembrano affatto nuovi,
come quando li abbiam portati a Tunisi
al matrimonio della vostra figlia,
ora regina.

ANTONIO -
Ed anche la più splendida
che Tunisi abbia visto fino ad oggi.

SEBASTIAN -
Escludendo, però, mi raccomando,
la vedova Didone.

ANTONIO -
Ah, sì, sì, certo:
Didone vedova! Didone vedova!

GONZALO -
(c.s.)
E non è forse questo mio corpetto
fresco, in un certo senso,
come la prima volta che lo misi?

ANTONIO -
Ben pescato quel "in un certo senso"!

GONZALO -
... sì, dico, come quando l'indossai
al matrimonio della figlia vostra.

ALONSO -
Tu m'inzeppi le orecchie di continuo
di parole che suonano indigeste
allo stomaco dei miei sentimenti.
Mai l'avessi sposata in quel paese
mia figlia Claribella!
Ho perduto mio figlio, nel ritorno,
ed anche lei, da quel che posso intendere,
perché lontana com'è dall'Italia
non spero ormai di rivederla più.
O tu, ch'eri l'erede dei miei regni
di Napoli e Milano, qual mai mostro
ha fatto di te in mare il suo boccone?

FRANCESCO -
Ma forse, maestà, è ancora vivo,
perch'io l'ho visto che fendeva l'onde
a vigorose bracciate, sicuro,
e, cavalcando sulle loro creste,
quasi muovendosi in groppa a loro,
scansandole riottose lungo i fianchi,
e rompendo di petto le più alte,
che, gonfie, gli venivano davanti;
e tener alto fieramente il capo
nel ribollir dei marosi infuriati,
e farsi remo delle forti braccia
per raggiunger la riva,
che, corrosa dal morso dei marosi,
pareva quasi volersi abbassare
per accoglierlo a lei.
Son sicuro che è giunto vivo a terra.

ALONSO -
No, è perduto!

SEBASTIAN -
Se così fosse, Altezza,
non avreste che a ringraziar voi stesso,
per non aver voluto far felice
di vostra figlia questa nostra Europa,
preferendo accoppiarla a un africano;
così lontana, ormai ella è bandita,
dagli occhi vostri, che hanno ben ragione
di lacrimare, per ciò, di dolore...

ALONSO -
Non parlarne, ti prego!

SEBASTIAN -
... e noi qui tutti a pregarvi in ginocchio
e ad insistere in tutte le maniere
di desistere! Ed ella, poverina,
combattuta nell'animo com'era
tra repugnanza e obbedienza di figlia,
che non sapeva da che parte pendere!
Vostro figlio è perduto, come temo,
ed a Milano e a Napoli,
per effetto di quel vostro negozio
ci saranno più vedove
di quanti uomini riporteremo
per consolarle. E ciò per colpa vostra(34).

ALONSO -
Oh, sì, così com'è soltanto colpa mia
la perdita di tutte la più cara(35).

GONZALO -
Signor Sebastian, quel che dite è vero,
ma non è né gentile né opportuno,
che lo stiate a ripeter proprio ora;
non fate che inasprirgli ancor la piaga,
quando dovreste porgergli l'impiastro.

SEBASTIAN -
Bella immagine!

ANTONIO -
Ed anche assai chirurgica!

GONZALO -
Quando voi siete annuvolato, sire,
è maltempo per tutti qui.

SEBASTIAN -
Maltempo?...

ANTONIO -
Pessimo, anzi.

GONZALO -
Vedete, signore,
s'io dovessi colonizzar quest'isola...

ANTONIO -
(A parte, a Sebastian)
Seminerebbe ortiche.

SEBASTIAN -
(A parte, ad Antonio)
Oppure lappole o malva selvatica.

GONZALO -
... e fossi il re, sapete che farei?...

SEBASTIAN -
(c.s.)
Cesserebbe per sempre di sbronzarsi,
per assoluta mancanza di vino.

GONZALO -
... farei che nella mia comunità
si facesse ogni cosa all'incontrario
di quello che si fa solitamente:
niente commerci, di nessuna specie;
niente magistrature;
l'ignoranza per legge obbligatoria;
ricchezza, povertà, servitù, niente;
obbligazioni, successioni, termini,
confini, decime, vigneti, niente;
niente metalli, grano, vino, olio;
sconosciuto il lavoro: tutti in ozio;
anche le donne, ma innocenti e pure.
Nessuna sorta di sovranità...

SEBASTIAN -
(c.s.)
Anche se lui vorrebbe esserne il re.

ANTONIO -
(c.s.)
Già, la fine di questo suo statuto
sembra non ricordarsi del principio.

GONZALO -
... Tutti in comune i beni della terra,
prodotti senza sforzo né sudore.
E niente tradimenti, fellonie,
spade, picche, fucili ed altri ordigni,
niente bisogno d'ordini qualsiasi:
ché la natura dovrebbe produrre
tutto da sé, in misura sufficiente
a nutrire il pacifico mio popolo...

SEBASTIAN -
(c.s.)
E niente matrimoni fra i suoi sudditi?

ANTONIO -
(c.s.)
No, niente, amico mio, tutti in panciolle,
le prostitute come i lestofanti.

GONZALO -
... Governerei con tale perfezione,
da non rimpiangere l'età dell'oro.

SEBASTIAN -
(c.s.)
Salute a Sua maestà!

ANTONIO -
(c.s.)
Viva Gonzalo!
ALONSO -
Basta, ti prego. Quel che dici è nulla.

GONZALO -
Lo credo anch'io, signore.
Ma lo facevo per offrire l'estro
a questi riveriti gentiluomini
dai polmoni così pronti e sensibili
che sanno ridere appunto di nulla.

ANTONIO -
Era di voi che si rideva, infatti.

GONZALO -
Di me che nulla sono, certamente,
rispetto a voi, in queste allegre ciance;
perciò potete pure seguitare
a ridere di nulla.

ANTONIO -
Che stoccata!

SEBASTIAN -
Sì, se non fosse caduta di piatto.

GONZALO -
Voi siete uomini di ardito stampo:
capaci anche di svitar la luna
fuori della sua sfera,
se rimanesse cinque settimane
senza cambiare fase.


Entra ARIELE, invisibile, intonando una musica solenne

SEBASTIAN -
E perché no?
E ce ne serviremmo di lanterna
per andare a cacciare pipistrelli.

ANTONIO -
(A Gonzalo)
Suvvia, signore, non ve la prendete.

GONZALO -
No, no, state tranquillo.
Non metto a repentaglio il mio buon nome
per simili bazzecole...
E dal momento che mi sento addosso
una gran pesantezza...
non mi vorreste conciliare il sonno
continuando con le vostre risa?

ANTONIO -
Mettetevi a dormire ed ascoltateci.


(S'addormentano tutti, tranne ALONSO,
SEBASTIAN e ANTONIO)

ALONSO -
E che, si sono addormentati tutti?
così, tutti d'un colpo?
Anch'io vorrei poter chiudere gli occhi
ed insieme con loro i miei pensieri...
e sento ch'essi sono inclini a farlo.

SEBASTIAN -
Vogliate compiacervi, monsignore,
di non respingere una tale offerta:
il sonno non fa visita al dolore
se non in rari casi,
e quando ciò succede, è un vero balsamo.

ANTONIO -
Noi due, signore, mentre riposate,
staremo qui a farvi buona guardia
e a vegliare alla vostra sicurezza.

ALONSO -
Grazie. Mi vince un pesante torpore.

(S'addormenta - Esce Ariele)

SEBASTIAN -
Che strana sonnolenza
s'è impossessata di tutti costoro.

ANTONIO -
Sarà un effetto del clima.

SEBASTIAN -
Perché allora non fa calar le palpebre
anche a noi? Io non mi sento affatto
disposto al sonno.

ANTONIO -
Né mi sento io.
Ho al contrario lo spirito ben desto.
Si sono sprofondati nel letargo
tutti, come se fossero d'accordo,
tutti di colpo, come folgorati...
Ah, quale idea(36), mio nobile Sebastian!
Quale idea mi balena... No, no, niente!
Eppur mi par di leggertelo in viso,
Sebastian, quello che potresti essere:
l'occasione ti chiama,
ed io già mi figuro, nella mente,
scendere sul tuo capo una corona.

SEBASTIAN -
Che dici? Sei ben sveglio?

ANTONIO -
Certo. Non senti che ti sto parlando?

SEBASTIAN -
Sì, lo sento ma questo tuo parlare
è quello d'un che dorme, certamente:
parli nel sonno, tu. Ma che dicevi?
Bizzarro modo di dormire, il tuo:
ad occhi aperti, in piedi,
parlare, muoversi, gesticolare,
e tuttavia dormire come un sasso!

ANTONIO -
Sei tu che lasci, nobile Sebastian,
dormir, anzi morir, la tua fortuna...
Hai gli occhi chiusi, pur essendo sveglio.

SEBASTIAN -
Tu russi invece, ma nel tuo russare
in suoni articolati io colgo un senso.

ANTONIO -


Sono più serio, infatti, del mio solito:
e tu anche devi esser come me,
se ascolti bene ciò che sto per dirti:
un consiglio che se vorrai seguire
ti farai grande tre volte di più.

SEBASTIAN -
Io sono, in verità, un'acqua stagna.

ANTONIO -
Ed io t'insegno a diventar corrente.

SEBASTIAN -
Insegnamelo, allora,
perché ho una pigrizia ereditaria
che mi fa sempre seguire il riflusso.

ANTONIO -
Ah, se potessi solo indovinare
come carezzi questo mio disegno,
mentre lo prendi a gioco in questo modo!
Come così spogliandolo, lo vesti!
Chi per paura oppure per accidia
se ne rimane in balia del riflusso,
spesso si trova con la chiglia a fondo.(37)

SEBASTIAN -
Continua, te ne prego.
Dal tuo occhio e dal tuo atteggiamento
sembra proprio che voglia venir fuori
qualche cosa di grosso ingombro: un parto,
che sembra procurarti un gran travaglio.

ANTONIO -
Ecco di che si tratta, mio signore:
nonostante che questo gentiluomo
(Indicando Gonzalo)
labile di memoria - come labile
nella memoria altrui sarà egli stesso
una volta sotterra - sia riuscito
in qualche modo a persuadere il re
- ché della persuasione egli è lo spirito,
e fare il persuasore è il suo mestiere -
che il figlio Ferdinando è ancora vivo,
io ti dico al contrario ch'è impossibile
che non sia annegato, come lui
che giace addormentato avanti a noi,
è impossibile stia nuotando in mare.

SEBASTIAN -
Anch'io non spero più che Ferdinando
non sia annegato.

ANTONIO -
Qual grande speranza
non viene a te dal tuo "non spero più"!
Ché nessuna speranza per quel verso,
è sì alta speranza per un altro,
che la stessa ambizione è riluttante
a spingere lo sguardo sì al di là
per timore di ciò che può scoprirvi.
Convieni tu con me
che Ferdinando è affogato?

SEBASTIAN -
Sì, morto.

ANTONIO -
Dimmi allora: chi è dopo di lui
l'erede alla corona?

SEBASTIAN -
Claribella.

ANTONIO -
Quella che vive a Tunisi, regina,
almeno dieci leghe più lontano
di quante occorrano per arrivarci
nel tempo di una vita?
Quella che non potrebbe aver notizia
di quanto accade a Napoli
- salvo che non le faccia da corriere
lo stesso sole, l'Uomo della Luna
essendo troppo lento alla bisogna -
prima che al mento d'uno nato oggi
sia cresciuta una barba da rasoio?
Quella da cui partiti veleggiando
per ritornare a casa, tutti quanti
fummo inghiottiti da un mare in tempesta,
ed i pochi di noi
che furon risospinti in terraferma
sono ora votati dal destino
a recitare un altro atto del dramma
di cui quel che è passato è appena il prologo,
e il resto che si deve ancora svolgere
spetta a voi ed a me d'interpretare?

SEBASTIAN -
Ma che discorso è questo? Che vuol dire?
Che la figlia di mio fratello è a Tunisi,
è vero; ch'essa sia l'erede al trono,
è vero, com'è vero, tuttavia,
che c'è tra i due paesi un certo spazio.

ANTONIO -
Uno spazio ciascun palmo del quale
grida: "Come potrà mai Claribella
misurarci per ritornare a Napoli?
Che se ne resti a Tunisi, e Sebastian
si svegli finalmente dal suo sonno!".

(Indicando i dormienti)
Ecco: se non il sonno, ma la morte
si fosse impadronito di costoro,
non sarebbero peggio, a riguardarli,
di quel che ci si mostrano.
C'è chi può governare bene Napoli
quanto costui che dorme qui disteso;
e ci son gentiluomini capaci
di sciogliere la lingua in vaniloqui
come questo Gonzalo... Come lui,
io stesso sarei in grado di gracchiare
con l'aria più solenne e compassata...
Ah, se pensassi quel che penso io!
Che scala non sarebbe questo sonno
per salire più in alto!... Mi capisci?

SEBASTIAN -
Credo di sì.

ANTONIO -
E come accogli allora
il destro che ti porge la fortuna?

SEBASTIAN -
Ora mi viene in mente che tu stesso
hai spodestato tuo fratello Prospero.

ANTONIO -
Infatti. E guarda come mi stan bene
addosso questi suoi paludamenti:
molto meglio che i panni miei di prima.
I suoi vassalli, ch'erano miei pari,
ora sono miei sudditi.

SEBASTIAN -
Ma per la tua coscienza?

ANTONIO -
E dove sta di casa la coscienza?
Fosse un gelone a un piede,
avrei messo magari le pantofole;
ma in petto questa dea non me la sento.
Venti coscienze che si frapponessero
tra mezzo a me e il ducato di Milano,
potrebbero ghiacciarsi e poi disciogliersi,
prima d'avere il tempo necessario
a procurarmi il minimo disturbo.
Qui c'è il fratello tuo, addormentato.
Non varrebbe la terra su cui giace,
se fosse quel che appare: un uomo morto.
Con non più di tre pollici di lama
di questo docile mio pugnaletto,
io potrei metterlo a dormir per sempre;
mentre anche voi, con lo stesso sistema,
potreste chiudere in eterno gli occhi
a questo preistorico nonnulla,
questo Messer Prudenza,
che non potrebbe più rimproverarci
per questa azione. Quanto a tutti gli altri,
si prenderanno da noi l'imbeccata,
come il gatto si lappa il suo lattuccio:
regoleranno sempre l'orologio
all'ora che gli fisseremo noi.

SEBASTIAN -
D'accordo, caro amico,
il tuo caso sarà il mio precedente:
al modo stesso che tu hai seguito
per avere Milano, io avrò Napoli.
Snuda dunque la spada: un colpo solo
t'affrancherà dal tributo che paghi,
ed io, che sarò re, t'avrò assai caro.

ANTONIO -
Snudiamo insieme allor le nostre spade,
e quando alzo la mia, tu fa' lo stesso
e lasciala cadere su Gonzalo.

SEBASTIAN -
Ah, c'è ancora qualcosa che ho da dirti...

(Si appartano per parlare sottovoce)


Musica - Rientra ARIELE, a loro invisibile

ARIELE -
(All'orecchio di Gonzalo)
Il mio padrone, con la sua magia,
ha previsto il pericolo che tu,
che sei suo amico, stai ora correndo,
e mi manda a tenervi tutti in vita,
altrimenti fallisce il suo progetto.

(Canta all'orecchio di Gonzalo che dorme)
"Mentre tu stai russando,
"la congiura occhialuta va tramando
"di toglierti di mezzo, e come e quando.
"Se tieni alla tua testa,
"scaccia il sonno e ti desta.
"Svegliati, su, alla lesta!".

ANTONIO -
Che aspettiamo? Sbrighiamoci, su, presto!

GONZALO -
(Svegliandosi)
Oh, buoni angeli, salvate il re!

(Scuote il re)
Ehi, su, svegliatevi!... Ma che succede(38)?

(Ad Antonio e Sebastian)
Che sono quelle spade sguainate?
E quegli sguardi torvi?...

ALONSO -
(Svegliandosi)
Che succede?

SEBASTIAN -
Stavamo qui a vegliare al vostro sonno,
quando ad un tratto ci giunse all'orecchio
un sordo riecheggiare di muggiti
come di tori, o piuttosto leoni.
Non so come non v'hanno risvegliato.
Le orecchie mie ne furono intronate,
paurosamente.

ALONSO -
Non ho udito nulla.

ANTONIO -
Oh, sì, davvero un orribile strepito,
da spaventare l'orecchio d'un mostro;
da scatenare un vero terremoto!
Doveva essere, sicuramente,
il ruggito d'un branco di leoni.

ALONSO -
Hai udito qualcosa, tu, Gonzalo?

GONZALO -
In fede mia, signore, quel ch'ho udito
è stato solo un canto a mezza voce
e molto strano, che m'ha risvegliato.
Dopodiché vi ho scosso ed ho gridato,
ché, appena aperti gli occhi,
ho visto quelle spade sguainate.
Un rumore c'è stato, questo sì.
Sarà bene perciò che stiamo in guardia,
e ce ne andiamo via da questi luoghi,
spade in pugno.

ALONSO -
Sì, andiamocene, è meglio;
e mettiamoci ancora alla ricerca
del povero mio figlio.

GONZALO -
Dio lo scampi
da queste belve che sono nell'isola.
Perché son certo ch'egli è qui.

ALONSO -
Muoviamoci.


(Escono tutti)

ARIELE -
(A parte)
Prospero, il mio padrone,
saprà così quel che ho fatto per lui...
Va', va' sicuro in cerca di tuo figlio!

(Esce)





SCENA II - Altra parte dell'isola, brulla, senza vegetazione.


Entra CALIBANO con un fascio di legna e un mantello

CALIBANO -
Tutti gli umori più pestilenziali
che il sole succhia da pantani e stagni
ricadano su Prospero, e lo infettino
e lo riducano tutto una piaga,
a pezzetto a pezzetto, a oncia a oncia.
Gli spiriti che sono al suo servizio
mi ascoltano, lo so, e tuttavia
non mi posso tener dal maledirlo.
Quelli però non mi punzecchieranno
né mi verranno a mettere paura,
assumendo le forme di folletti,
o a rotolar nel fango,
o a condurmi la notte fuori strada
prendendo forma di tizzoni accesi,
se lui non gli dà l'ordine di farlo.
Ma me li veggo sguinzagliati intorno
per ogni inezia: a volta come scimmie,
a farmi smorfie e digrignare i denti
e darmi morsettini; o come istrici,
a rotolarsi sopra la mia strada,
mentre cammino scalzo,
e subito a drizzare i loro aculei,
ogni volta che poso il piede a terra.
Tal'altra volta sono dei serpenti
che m'avvinghiano tutto da ogni parte,
fischiando con le lor forcute lingue,
da uscire pazzo.

Entra TRINCULO

Toh, eccone uno,
che viene certo a me per tormentarmi
perché ho tardato a portare la legna.
Ora mi butto lungo lungo per terra,
forse così non si accorge di me.

(Si stende a terra bocconi sotto il mantello)

TRINCULO -
Qui si prepara un nuovo temporale,
e non si vede arbusto né cespuglio
sotto cui ripararsi in qualche modo.
Lo sento già dal fischiare del vento.
Quella nuvola nera - e come grossa! -
ha l'aria d'un immenso otre maligno
pronto a rovesciar giù acqua a torrenti.
E io, se tuona ancora come prima,
dove metto al riparo la mia testa?

(Scorge Calibano disteso a terra)
Ehi, oh! Che vedo qui? Un uomo? Un pesce?
Morto? Vivo?... Dev'esser proprio un pesce,
all'odore di rancido e stantio,
come di baccalà... Uno strano pesce!
Se fossi in Inghilterra, come un tempo,
a possedere un pesce come questo,
anche dipinto sopra un cartellone,
non ci sarebbe bifolco laggiù,
che non fosse disposto, la domenica,
a pagare uno scudo, per vederlo.
Da quelle parti, un mostro come questo,
ad avercelo in proprio, ti fa ricco.(39)
Qualsiasi rara bestia, in quel paese,
può fare la fortuna d'un cristiano.
Non darebbero il becco d'un quattrino
per aiutare un mendicante stroppio,
ma son prontissimi a buttarne dieci
per ammirare un pellerossa morto.
Però questo ha le gambe, come un uomo...
e per prime due braccia... come un uomo.

(S'avvicina a Calibano e lo tasta)
Uh, questo è ancora caldo!
Allora debbo cambiare opinione,
non posso più pensarla come prima:
pesce, questo non è; è un isolano,
colpito appena da qualche saetta.

(Tuono)

Ahi! Ahi! Qui ricomincia il temporale!
Sarò costretto a trovare riparo
sotto il mantello qui, di questo coso;
non c'è altro scampo a portata di mano.
Eh, come la sventura ti può dare
le compagnie di letto più impensate!
Mi riparo qua sotto,
finché non sia passata la bufera.

Entra STEFANO, cantando, con una
bottiglia in mano, fatta di scorza d'albero.

STEFANO -
(Canta)
"In mare, in mare
"non voglio più andare,
"voglio in terra crepare...".

È un motivo piuttosto volgaruccio
per essere cantato a un funerale.
Ma il mio conforto ce l'ho qui con me.

(Beve alla bottiglia, e poi canta)

"Il capitano, il mozzo, il colubrina,
"ed io, con il nostromo ed il secondo
"ce n'andavamo insieme per il mondo
"a far l'amore chi con Mariannina,
"chi con la Giulia chi con l'Adelina;
"ma a nessuno piaceva Caterina,
"perché con la sua lingua viperina,
"Caterina era un guaio:
"non c'era marinaio
"che non gridasse: "Vatti ad impiccare!"
"ché lei smontava tutte le sue brame
"con l'odore di pesce e di catrame;
"ma un qualunque sartore
"la poteva grattar dov'è... il pudore!
"E allora, amici, a mare!
"Caterina si vada ad impiccare!".

Anche questa è piuttosto volgaruccia.
Ma ho sempre qui la mia consolazione.

(Beve)

CALIBANO -
Non stare a tormentarmi!... Aiuto! Aiuto!

STEFANO -
(Scorgendo a terra Calibano e Trinculo)
Ohi, ohi! Che roba è questa?
Non ci sarà mica il diavolo, qua sotto?
Volete farci qualche scherzo, eh?,
truccati da selvaggi e pellirosse...
Non sarò mica scampato al naufragio
per venir qui a morire di paura
per le tue quattro gambe! Marameo!
Perché lo sai che dice il vecchio adagio:
"Non c'è barba di uomo a quattro zampe
che sia capace di farlo arretrare";
e questo detto sarà sempre vero
finché il naso di Stefano fa aria.

CALIBANO -
Ohi, ohi, lo spiritello mi tormenta!

STEFANO -
Questo dev'essere un mostro dell'isola,
un mostro a quattro zampe,
in preda ad un attacco di terzana.
Ma dove diavolo l'avrà imparata
la nostra lingua?... Beh, solo per questo
voglio prestargli un poco di sollievo;
se riesco a guarirlo ed ammansirlo,
e a portarmelo a Napoli con me,
sarà un vero regalo,
degno d'ogni più grande imperatore
ch'abbia calzato scarpe di coppale.

CALIBANO -
Ohi, ohi, non tormentarmi più, ti supplico!
Un'altra volta sarò più sollecito
a portare la legna sotto casa.

STEFANO -
Discorre nel delirio della febbre,
e dice tutte frasi scombinate...
Gli darò un sorso dalla mia bottiglia.
Se non ha mai bevuto vino prima,
può darsi che gli passi questa fitta.
Se potessi far tanto di guarirlo
e d'addomesticarlo, nessun prezzo
ch'io possa chiedere per lui, nel venderlo,
sarà troppo alto; e chi lo comprerà
si rifarà la spesa, largamente.

CALIBANO -
Finora troppo male non m'hai fatto,
ma capisco da questo tuo tremore
che ti prepari a farmene di molto;
è Prospero che agisce su di te.

STEFANO -
Girati verso me, apri la bocca.
Ecco qualcosa, gatto,
che ti farà parlare(40); apri la bocca,
questo ti scrollerà, te l'assicuro,
la tremarella una volta per tutte.

(Lo fa bere alla bottiglia)
Eh, qui ti sta vicino un vero amico,
e tu non te ne accorgi... Bevi ancora,
apri quelle ganasce un'altra volta!

(Gli dà ancora da bere)

TRINCULO -
(Da sotto il mantello di Calibano)
Questa voce mi pare di conoscerla...
Dovrebb'essere di... Ma no, impossibile!
Quello a quest'ora sarà già annegato...
Ma questi sono diavoli!... Ohi, ohi!

STEFANO -
Quattro gambe e due voci... Strano mostro!
La sua voce davanti
è fatta per dir bene dell'amico;
quella di dietro per parlarne male,
e pronunciare frasi calunniose...
Se mi riesce di tirarlo su
con tutto il vino di questa bottiglia,
gli passerà la febbre... Un altro sorso!
(Gli dà ancora da bere)

Ma penso che per questa bocca basti;
ne faccio dare una sorsata all'altra.

TRINCULO -
Stefano!

STEFANO -
Come! Tu con l'altra bocca
mi chiami a nome? Oh, Dio, misericordia!
Altro che strano mostro! Questo è un diavolo!
È meglio che lo lascio lì com'è:
non ho il cucchiaio col manico lungo.(41)

TRINCULO -
Stefano!... Se tu sei davvero Stefano,
toccami... parlami... Io sono Trinculo,
l'amico tuo, non avere paura.

STEFANO -
Se sei Trinculo, allora, vieni fuori!
Ti tiro io per le gambe più piccole;
perché se qui ci sono gambe piccole,
sono quelle di Trinculo, è sicuro.

(Lo tira fuori da sotto il mantello di Calibano)

E tu sei proprio lui, non c'è alcun dubbio!
Ma come t'è potuto capitare
di metterti qui a fare da seggetta
a un vitello lunare come questo?
O è lui che caca Trinculi?

TRINCULO -
Era qui,
morto, ho creduto, colpito da un fulmine...
Stefano, allora non sei annegato...
A vederti, davvero mi vien fatto
di sperare che tu non lo sia più.
Ma s'è calmato adesso il temporale?
Perché per ripararmi in qualche modo
dalla sua furia m'ero intrufolato
a terra, qui, sotto questa gabbana
del vitello lunare, che tu dici,
e che m'è parso proprio fosse morto.
E così, Stefano, anche tu sei vivo?
Eccoci, allora: due napoletani,
Stefano, e sani e salvi tutti e due!

STEFANO -
Oh, no, ti prego, non farmi girare(42):
il mio stomaco è ancora un po' incostante(43).

CALIBANO -
(Tra sé)
Se questi due non sono degli spiriti,
son due belle creature.
E quello là dev'esser proprio un dio,
perché ha con sé un liquore celestiale.
Mi devo inginocchiare innanzi a lui!

STEFANO -
(A Trinculo)
Come hai fatto a salvarti, me lo dici?
E come mai sei capitato qui?
Voglio che giuri su questa bottiglia
di dirmi come hai fatto a venir qui.
In quanto a me, ho trovato la salvezza
su una botte di vin secco di Spagna
gettata in mare da quei marinai;
sì, te lo giuro su questa bottiglia
fabbricata da me, con le mie mani,
da una corteccia d'albero,
dopo che venni sbalestrato a riva.

CALIBANO -
E su quella bottiglia io giuro a te
d'esserti sempre suddito fedele,
perché il liquore suo non è terrestre.

STEFANO -
Trinculo, allora, giura, avanti, su,
e raccontami come l'hai scampata.

TRINCULO -
Nuotando fino a riva, come un'anatra.
Io nuoto come un'anatra, lo giuro.

STEFANO -
Qua, bacia il libro santo.
(Gli porge la bottiglia, e lo fa bere)

Potrai saper nuotare come un'anatra,
ma un'oca sei ed un'oca rimani.

TRINCULO -
(Dopo aver sorseggiato alla bottiglia)
Oh, buono, Stefano! Ce n'hai dell'altro?

STEFANO -
L'intera botte, amico;
e la cantina dove sta nascosta
è un anfratto roccioso, in faccia al mare.

(A Calibano)
E tu, che dici, vitello lunare?
Come va la tua febbre? T'è passata?

CALIBANO -
Tu sei piovuto qua dal cielo, vero?

STEFANO -
Sì, dalla luna: l'Uomo della Luna
d'una volta, ero io, te l'assicuro.

CALIBANO -
Infatti ti ci ho visto là, e t'adoro.
Mi ti mostrava sempre la padrona,
te, col tuo cane e il tuo fascio di rovi(44).

STEFANO -
Vieni, giura anche tu su quel che dici,
e bacia il libro sacro.
(Gli fa dare un altro sorso alla bottiglia)

Dopo vado a riempirla. Giura ancora.
(Gli fa dare un altro sorso)

TRINCULO -
Per la luce del giorno! Questo mostro
mi pare proprio un gran babbeo di mostro!
E io, che avevo paura di lui!
È così debole che non sta in piedi...
Tu "l'Uomo della Luna"... L'ha bevuta,
questo babbeo di mostro credulone!
Una bella sorsata, mostro, eh?

CALIBANO -
Ogni palmo di terra di quest'isola
voglio mostrarti, buono a darti frutto;
e baciare i tuoi piedi, inginocchiato!
Sii tu il mio dio, ti prego!

TRINCULO -
Luce santa!
Un empio mostro, un mostro ubriacone!
Se appena appena il suo dio s'addormenta,
gli leva dalle mani la bottiglia.

CALIBANO -
(A Stefano)
Voglio baciarti i piedi,
voglio giurarti d'essere tuo suddito.

STEFANO -
Avanti, allora: inginocchiati e giura.

(Gli porge la bottiglia)

TRINCULO -
Ci sarà da morir dalle risate
con questo mostro testa-di-capretto.
Ma che schifo di mostro!
Mi viene quasi voglia di picchiarlo.

STEFANO -
Avanti, bacia il libro.

TRINCULO -
Ma è già sbronzo!
Però che brutto mostro, abominevole!

CALIBANO -
(A Stefano)
Ti mostrerò le migliori sorgenti.
E andrò per te a cogliere le more;
e a pescare, e a raccogliere la legna
per portartene quanta te ne occorre.
Peste al tiranno che fin qui ho servito!
Non gli porterò più manco uno stecco!
Voglio seguire te, soltanto te,
uomo meraviglioso!

TRINCULO -
Vedi un po'!
Proprio tutto da ridere a scompiscio
questo mostro che fa una meraviglia
d'un arnese sbornione come te!

CALIBANO -
(A Stefano)
Lascia ch'io ti conduca, te ne supplico,
dove fioriscono i meli selvatici;
ti scaverò con le mie unghie lunghe
le gustose radici della terra;
ti porterò nei luoghi
dove fabbrica il nido la ghiandaia;
t'insegnerò come si prende al laccio
l'astuta ed agilissima bertuccia;
ti guiderò nei boschi di noccioli;
ti porterò talvolta dagli scogli
i giovani gabbiani. Vuoi venire?

STEFANO -
Senti, adesso, ti prego, facci strada,
senza dir più nemmeno una parola.
Sai che ti dico, Trinculo?
Che col fatto che il re con il suo seguito
sono tutti annegati, siamo noi
i legittimi eredi di quest'isola.
Che te ne pare?...

(A Calibano)
Qua la mia bottiglia!
Compagno Trinculo, è presto riempita.

CALIBANO -
(Canta sguaiatamente, da ubriaco)
"Padrone bello, addio!
"Addio, padrone bello!".

TRINCULO -
Ulula, il mostro. Mostro ubriacone!

CALIBANO -
(c.s.)
"Più non farò recinti per pescare;
"più non porterò legna da bruciare;
"più non avrò taglieri da grattare,
"né piatti da lavare.
"Bau-bau, Calibano
"ha cambiato sultano.
"E tu tròvati un altro
"che gli passi la mano.
"Allegria, libertà!
"allegria, libertà!".

STEFANO -
E bravo il nostro mostro! Facci strada.


(Escono)

ATTO TERZO


SCENA I - Davanti alla grotta di Prospero


Entra FERDINANDO con un ceppo sulla spalla

FERDINANDO -
Ci son divertimenti
che a gustarli richiedono fatica,
e proprio in questa fatica sta il gusto;
ci son lavori vili
che si posson fare a nobil fine,
ed anche le più umili mansioni
posson servire altissimi propositi.
Questo servizio mio, rozzo e gravoso,
mi sarebbe pesante quanto odioso,
se non fosse ch'io servo una padrona
che vivifica pure ciò che è morto
e rende ogni fatica un godimento.
Ah, cento volte più cortese lei
che suo padre, un lunatico scorbutico
che più aspro con me non si potrebbe:
eccomi, per suo ordine, costretto
a trasportare ceppi a mille a mille,
e a metterli a catasta.
La soave mia giovane padrona
nel vedermi così affaticato
s'intenerisce e dice, tra le lacrime,
che mai ebbe sì alto esecutore
una sì vile ed umile mansione...
Ma io sto divagando... Qual sollievo
però non è per questa mia fatica
il trattenermi in sì dolci pensieri!
Ma eccola che viene.


Entra MIRANDA. Nel fondo, non visto, PROSPERO

MIRANDA -
Oh, non affaticatevi così,
ve ne prego! Vorrei tanto che un fulmine
avesse incenerito tutti quanti
quei ceppi che dovete accatastare!
Vi prego, deponetelo per terra
quello, e vogliate riposarvi un poco.
Son sicura che quando sarà al fuoco
quel ceppo piangerà pel dispiacere
d'avervi affaticato. Riposatevi.
Mio padre è tutto immerso nei suoi studi,
e qui, per due - tre ore, non verrà.

FERDINANDO -
Ho paura, diletta anima mia,
che il sole calerà
prima ch'io abbia scaricato tutto(45).

MIRANDA -
Se volete sedervi per un poco,
qualche ciocco potrei portarlo io;
quello che avete in spalla, per esempio,
datelo a me, che l'accatasto io.

FERDINANDO -
No, preziosa creatura. Questo no.
Mi si spezzino i muscoli, piuttosto,
e mi si rompa la spina dorsale,
prima ch'io debba vederti abbassata
a compiere un lavoro così vile,
restandomene qui seduto in ozio.

MIRANDA -
Se va bene per voi questo lavoro,
perché non lo dovrebbe anche per me?
Anzi, per me sarebbe più leggero,
perché lo sosterrei di miglior animo,
perché voi lo eseguite controvoglia.

PROSPERO -
(Tra sé)
Povero verme mio! Sei contagiato!
La tua presenza qui n'è già una prova.

MIRANDA -
Vi vedo stanco.

FERDINANDO -
No, no, mia diletta;
anche la notte è una fresca mattina
per me, quando mi trovo accanto a te.
Dimmi qual è il tuo nome, te ne prego,
ch'io lo ricordi nelle mie preghiere.

MIRANDA -
Miranda... (Oh, padre mio, t'ho trasgredito!).

FERDINANDO -
Miranda! Oh, tu, mirabile creatura,
vertice d'ogni umana ammirazione!
Degna di quanto è più prezioso al mondo!
Molte donne hanno attratto
il mio occhio ammirato, e molte volte
l'armonia della lor dolce favella
ha incatenato il mio vigile orecchio;
e più d'una, per numerose grazie
m'è piaciuta: nessuna mai, però,
con sì totale abbandono dell'anima,
ch'io non finissi per trovare in essa
una qualche nascosta imperfezione
che m'apparisse così in disaccordo
con le più nobili sue qualità,
da relegarle in ombra tutte quante.
Ma tu, oh!, tu, che sei così perfetta,
e così impareggiabile,
fosti creata con le miglior parti
d'ogni umana creatura messe insieme.

MIRANDA -
Io non conosco alcuna del mio sesso;
non ho mai visto altro viso di donna
se non il mio, guardandomi allo specchio.
Né ho mai visto nessuno prima d'ora
di cui potessi dir che fosse un uomo,
all'infuori di voi, mio buon amico,
e del mio caro padre.
D'altre fattezze umane sono ignara;
ma giuro sul pudore mio di donna,
ch'è il gioiello di tutta la mia dote,
che non vorrei altro compagno al mondo
all'infuori di voi; né la mia mente
sa figurarsi altra immagine d'uomo
che mi possa piacere oltre la vostra...
Ma m'accorgo che vado chiacchierando
in maniera aberrante, già dimentica
delle paterne raccomandazioni.

FERDINANDO -
Miranda, io sono un principe di sangue,
ed anzi, credo - ma così non fosse! -
un re; né soffrirei di portar legna,
questo servizio degno d'uno schiavo,
più di quanto m'andrebbe di soffrire
un noioso moscone sulle labbra.
Senti quel che ti dice la mia anima:
fin dal primo momento che t'ho vista
il mio cuore è volato al tuo servizio,
e lì resta, per essere tuo schiavo;
ed è per amor tuo, solo per esso,
ch'io son questo paziente portalegna.

MIRANDA -
Vuol dire che mi amate?

FERDINANDO -
O cieli! O terra!
Siatemi voi benigni testimoni,
e coronate voi le mie parole,
se sincere, d'un esito felice!
E s'io mento, volgete a mia rovina
quanto di meglio abbiate a me serbato!
Sì, Miranda, al di là di tutto al mondo
io amo, e ammiro, e stimo, e onoro te.

MIRANDA -
(Asciugandosi una lacrima)
Sciocca che sono! Mi viene da piangere,
per qualcosa che mi fa sì felice!

PROSPERO -
(Tra sé)
O fausto incontro di due rari affetti!
Possa il cielo versare le sue grazie
in quel che vien nascendo fra di loro!

FERDINANDO -
Piangi? Perché?

MIRANDA -
Per questa mia pochezza
che non sa offrire quel che vorrei dire,
e meno ancora sa come accettare
quello che, se mi manca, morirò.
Ma questo è come un gioco da bambini:
ché l'amore più cerca di nascondersi,
più traspare, massiccio, smisurato.
Via, dunque, pudiche reticenze!
Ed ispirami tu, santa innocenza,
a dir semplicemente quel che sento.
Sarò tua moglie, se mi sposerai;
se no, morirò vergine, ma tua.
Tu puoi negarmi d'esser tua compagna;
non d'essere - lo voglia o no - tua serva.

FERDINANDO -
Mia padrona sarai, o mia diletta,
ed io per sempre ai piedi tuoi, tuo suddito,
umilissimamente.

MIRANDA -
Mio marito?...

FERDINANDO -
Sì, tuo marito, e con più forte ardore
d'un prigioniero per la libertà.

(Le porge la mano)
Eccoti la mia mano.

MIRANDA -
Ecco la mia,
e con essa ti do tutto il mio cuore.
Ed ora arrivederci. Fra mezz'ora.

FERDINANDO -
Oh, mille e mille volte arrivederci!


(Escono Ferdinando e Miranda)

PROSPERO -
Io non sarò felice come loro,
cui tutto ciò è venuto di sorpresa,(46)
ma non saprei come più compiacermene.
Torno al mio libro magico,
perché prima di cena, col suo aiuto,
dovrò far luogo ad alcuni incantesimi.

(Esce)





SCENA II - Altra parte dell'isola


Entrano CALIBANO, STEFANO e TRINCULO

STEFANO -
Non dirmi niente. Ci berremo l'acqua
quando la botte si sarà vuotata;
prima, non una goccia.
Perciò barra diritta e all'abbordaggio!
Servo-mostro, alla mia salute, bevi!

TRINCULO -
Servo-mostro?... Che isola bislacca!
Pare che gli abitanti siano cinque
in tutta l'isola, noi tre compresi(47).
Se gli altri due hanno il nostro cervello,
davvero qui lo Stato è messo male!

STEFANO -
Bevi, su, servo-mostro, s'io te l'ordino!
Hai gli occhi come infissi nella testa.

TRINCULO -
E dove vuoi che li abbia, nella coda?
Sarebbe un mostro ancor più portentoso.

STEFANO -
Ci ha lasciata affogata la sua lingua
nel vin di Spagna, il nostro uomo-mostro.(48)
A me non ce la fa nemmeno il mare
ad affogarmi; ho dovuto nuotare
per trentacinque leghe in lungo e in largo,
avanti di toccare questa costa,
ma ce l'ho fatta... Mostro, d'ora in poi,
per la luce del giorno, sarai tu
il mio luogotenente, su quest'isola(49),
o il mio reggi-bandiera.

TRINCULO -
Il tuo luogotenente,
se così intendi; perché quanto a reggere,
lui non regge se stesso sulle gambe.(50)

STEFANO -
A correre non ci obbliga nessuno,
signor mostro.

TRINCULO -
E nemmeno a camminare;
vi basterà stare accucciati a terra,
tranquilli e senza dire una parola.

STEFANO -
E parla, dunque, vitello lunare,
parla almeno una volta in vita tua,
se sei un bravo vitello lunare!

CALIBANO -
Come stai, tuo onore?
A te vorrò leccare anche le scarpe.
Lui non voglio servirlo:
lui non è coraggioso come te.

TRINCULO -
Ignorantissimo mostro, tu menti!
Io son capace di menarle sode
a un capo-sbirro. E mi dai del vigliacco?
E s'è potuto mai dar del vigliacco
a uno che ha bevuto tanto vino
com'io oggi? E avresti la pretesa,
tu che sei mezzo pesce e mezzo uomo,
di propinare agli altri tutt'intera
una bugia mostruosa come questa?

CALIBANO -
(A Stefano)
Senti come si fa gioco di me?
E tu glielo permetti, mio signore?

TRINCULO -
"Mio signore" lo chiama... Dico io
se un mostro debba esser tanto idiota.

CALIBANO -
Ecco, lo senti ancora?... Te ne prego,
mordilo tanto da farlo morire.

STEFANO -
Trinculo, frena quella tua linguaccia.
E bada che se fai l'ammutinato...
t'impicco al primo albero che incontro(51).
Questo povero mostro ora è mio suddito,
e non deve soffrir che tu l'oltraggi.

CALIBANO -
Ti ringrazio, mio nobile signore.
Vuoi compiacerti d'ascoltare ancora
quella supplica che ti presentai?

STEFANO -
Perbacco, se mi voglio "compiacere"!
Inginocchiati, e dimmela daccapo.
Io resto in piedi, e Trinculo lo stesso.


Entra ARIELE, invisibile

CALIBANO -
Ecco, come t'avevo detto prima,
io qui sono soggetto ad un tiranno,
uno stregone, che con l'arte sua,
m'ha rubato quest'isola.

ARIELE -
Bugiardo!

CALIBANO -
(A Trinculo)
Bugiardo sarai tu, buffo scimmione!
Come vorrei che questo mio padrone,
valoroso com'è, ti distruggesse!
Io non gli dico nessuna bugia!

STEFANO -
Trinculo, se continui a interromperlo,
giuro su questa mano,
che ti faccio saltare qualche dente.

TRINCULO -
Interromperlo, io? Non ho parlato.

STEFANO -
Allora zitto, e non fiatare più.

(A Calibano)
E tu va' pure avanti con la supplica.

CALIBANO -
Dicevo dunque che quello stregone
s'è impossessato con la sua magia
di quest'isola e l'ha strappata a me.
Se tu volessi, con la tua potenza,
far vendetta per me sopra di lui,
perché so che il coraggio non ti manca...

STEFANO -
Ah, questo è più che certo!

CALIBANO -
... mentre che manca a questo coso qui,
tu diverrai padrone di quest'isola,
e io tuo servo.

STEFANO -
Sì, ma come fare?
Puoi tu condurmi dalla parte avversa?

CALIBANO -
Sì, certo, mio signore.
Te lo consegnerò che sta dormendo,
e puoi ficcargli un chiodo nella testa.

ARIELE -
Bugiardo, non puoi farlo.

CALIBANO -
Che razza di buffone variopinto
è questo strofinaccio da cucina!

(A Stefano, indicando Trinculo)
Imploro la tua altezza di picchiarlo,
e toglierli di mano la bottiglia.
Quando non l'avrà più,
per togliersi la sete, acqua di mare
si dovrà bere, ch'io non gli dirò
dove son qui le polle d'acqua dolce.

STEFANO -
Trinculo, non cacciarti in altri guai:
se m'interrompi un'altra volta il mostro,
io, te lo giuro sopra questa mano,
chiudo fuor dalla porta la clemenza
e ti riduco come un baccalà.

TRINCULO -
Perché? Che ho fatto? Non ho fatto niente!
Vuol dire che mi metto più lontano.

STEFANO -
Neghi d'avergli dato del bugiardo?

ARIELE -
Bugiardo tu.

STEFANO -
Bugiardo a me? Toh, prendi!
(Percuote Trinculo)

E se ci pigli gusto alle legnate,
prova a dirmi bugiardo un'altra volta.

TRINCULO -
Ma io bugiardo non te l'ho mai detto!
E che! Ti sei perduto, col cervello,
anche l'udito?... È questa tua bottiglia!
A tanto ti riduce, a berne troppo,
il vin di Spagna! Un canchero al tuo mostro,
e a te ti porti via le dita il diavolo!

CALIBANO -
(Ride forte)
Ah! Ah! Ah! Ah!

STEFANO -
Continua la tua storia.

(A Trinculo)
E tu, tienti lontano, per favore.

CALIBANO -
Dunque, come dicevo, è suo costume
al pomeriggio farsi un sonnellino;
là, dopo avergli preso prima i libri,
tu gli potrai strappare le cervella,
o sfracellargli il cranio con un ciocco,
o conficcargli nel ventre una pertica,
o tagliargli la gola col coltello.
Senza quei libri, tienilo presente,
egli è un povero sciocco come me;
e non c'è un sol genietto o spiritello,
cui possa comandare, perché tutti
l'odiano a morte, come l'odio io.
Bada però a bruciare solo i libri;
tiene anche là preziose suppellettili
- così li chiama - da arredar la casa,
quando riuscirà ad averne una.
Ma la cosa cui fare più attenzione
è la grande bellezza di sua figlia.
Lui stesso dice che non ha l'eguale.
Io, altre femmine non ne ho mai viste,
tranne mia madre Sicorace e lei;
ma lei è superiore a Sicorace
quanto il massimo è superiore al minimo.

STEFANO -
È proprio tanto bella, questa figlia?

CALIBANO -
Sì, mio signore; degna del tuo letto,
garantito; e chi sa che bella prole
sarebb'ella capace di portarti.

STEFANO -
D'accordo, mostro. Ucciderò quell'uomo;
sua figlia ed io saremo re e regina
- e salvi Iddio la nostra maestà! -
e Trinculo e tu stesso viceré.
Che ne dici di questo piano, Trinculo?

TRINCULO -
Eccellente, mi pare.

STEFANO -
Qua la mano.
Mi dispiace d'averti maltrattato
poc'anzi, ma pel resto di tua vita
bada a bonificarti quella lingua.

CALIBANO -
Tra una mezz'ora sarà addormentato.
Sei deciso a spacciarlo?

STEFANO -
Sul mio onore.

ARIELE -
Io corro ad avvertirne il mio padrone.

CALIBANO -
Mi fai felice. Al colmo della gioia.
Dobbiamo festeggiarlo! Me la canti
la canzone che m'hai insegnato prima?

STEFANO -
Tutto quello che vuoi, mostro... Su, Trinculo,
cantiamo; voglio accontentarlo in tutto.

(Canta)
"Beffa e deridi,
"deridi e beffa,
"e pensa a uffa(52)".

CALIBANO -
Il motivo, però, non era questo.


(Ariele suona il motivo della canzone su uno
zufolo, accompagnandosi con un tamburo)

STEFANO -
E questa che roba è?

TRINCULO -
È il motivo del nostro ritornello
suonato dal ritratto di Nessuno.

STEFANO -
Se sei un uomo, vieni fuori, mòstrati.
Se sei un diavolo, fa' come vuoi.

TRINCULO -
Oh, perdono! Pietà dei miei peccati!

STEFANO -
L'uomo morendo salda tutti i debiti.
Io ti sfido!... Ah, ah! Misericordia!

CALIBANO -
Hai paura?

STEFANO -
No, no, mostro, nessuna...

CALIBANO -
Padrone, non dovete aver paura.
L'isola è piena di questi sussurri,
di dolci suoni, rumori, armonie,
che non fanno alcun male, anzi dilettano.
A volte son migliaia di strumenti
che vibrando mi ronzan negli orecchi;
altre volte son voci sì soavi,
che se ascoltate dopo un lungo sonno,
m'inducono di nuovo ad assopirmi;
e allora, in sogno, sembra che le nubi
si spalanchino e scoprano tesori
pronti a piovermi addosso; ed io mi sveglio
col desiderio di sognare ancora.

STEFANO -
Che felice regnare sarà questo:
potrò godermi la musica a uffo.

CALIBANO -
Dopo, però, che avrai soppresso Prospero.

STEFANO -
Questo sarà tra poco cosa fatta.
Ho bene in mente quello che m'hai detto.

TRINCULO -
Il suono s'allontana. Seguitiamolo,
e poi daremo mano alla faccenda.

STEFANO -
Mostro, va' innanzi tu. Noi stiamo dietro.
Vorrei proprio vederlo com'è fatto
questo fanatico di tamburino,
che ci sta dando dentro a tutto spiano!
Andiamo, allora?

TRINCULO -
Io ti seguo, Stefano.


(Escono)





SCENA III - Altra parte dell'isola


Entrano ALONSO, SEBASTIAN, ANTONIO, GONZALO, ADRIANO, FRANCESCO ed altri

GONZALO -
Per la nostra Signora che sta in cielo,
Sire, non ce la faccio proprio più.
Queste mie vecchie ossa sono a pezzi;
e questo luogo è un vero labirinto
con tutti questi suoi camminamenti
dritti, tortuosi... Con licenza vostra,
debbo fermarmi a riprendere fiato.

ALONSO -
Ti capisco, Gonzalo, vecchio mio,
perché mi sento anch'io tutto sfinito
dalla stanchezza. Sediamoci un poco.
È vano ormai lasciarmi lusingare
dalla speranza. Devo abbandonarla.
Colui che ci affanniamo a ricercare
è in fondo al mare, e questo si fa beffa
d'ogni nostra ricerca in terraferma.
Lasciamolo per sempre al suo destino.

ANTONIO -
(A parte, a Sebastian)
Ha perso le speranze. Buon per noi.
Ma voi, per un banale contrattempo(53),
non abbandonerete, spero, il fine
che vi siete proposto di raggiungere.

SEBASTIAN -
(A parte, ad Antonio)
Alla prima occasione, senza indugi,
faremo il colpo.

ANTONIO -
Allora questa notte.
Spossati come son dalla fatica
del lor tanto vagare in lungo e in largo,
non vorranno tenersi certo vigili,
e, del resto, nemmeno lo potrebbero,
come quando le forze erano fresche.

SEBASTIAN -
Ho detto questa notte. Punto e basta!

(Musica strana e solenne)

Entra, in alto, PROSPERO, invisibile.
In basso, entrano strane apparizioni recando
una tavola imbandita, e intrecciano intorno ad essa
una danza con graziosi gesti di saluto che invitano
il re e gli altri a sedersi a tavola; indi dileguano.

ALONSO -
Sentite, amici? Che musica è questa?

GONZALO -
Meravigliosa musica! Soave!

ALONSO -
Cieli benigni, assisteteci voi!

SEBASTIAN -
Uno spettacolo di marionette,
così animate, da sembrar viventi!
Davvero crederò, da qui in avanti,
che gli unicorni esiston veramente,
e che in Arabia fiorisce una pianta
dove s'asside in trono la Fenice,
e questa abbia davvero là il suo regno.

ANTONIO -
E così io: non potrò fare a meno
di creder ciecamente agli uni e all'altra;
e se c'è ancor qualcosa d'incredibile
che va cercando d'essere creduta,
venga pure da me, ché troverà
uno che è pronto a giurare che è vera.
I racconti di chi ha girato il mondo
non furono mai frottole inventate,
anche se ancora c'è qualche imbecille
che ad ascoltarli rimanendo a casa,
seguita a sostenere che son frottole.

GONZALO -
Se mi mettessi a raccontare a Napoli
quanto abbiam visto qui, son sicuro
che non c'è un cane che mi crederebbe;
d'aver visto, cioè, questi isolani
- ché certamente eran gente dell'isola -
i quali, pur sotto mostruose forme,
hanno modi piacevoli e gentili
quali pochi - o direi quasi nessuno -
possiedon della nostra specie umana.

PROSPERO -
(A parte)
Hai detto bene, onesto gentiluomo;
ché tra coloro che son qui con te
ce n'è qualcuno più tristo del diavolo.

ALONSO -
Sono ancor tutto preso di stupore
per quelle forme, quei gesti, quei suoni
che avevano, pur senza dir parole,
un eccellente lor muto parlare.

PROSPERO -
(c.s.)
Risèrbati le tue lodi alla fine.

FRANCESCO -
Si sono dileguati in modo strano.

SEBASTIAN -
Che importa? Hanno lasciato da mangiare,
e i nostri stomaci ce n'han bisogno.

(Ad Alonso)
Non volete assaggiarne, Vostra Grazia?

ALONSO -
Io? No.

GONZALO -
Non c'è da aver paura, Sire,
delle stranezze che vediamo intorno(54).
Quando eravamo ancora dei fanciulli,
chi avrebbe mai creduto, di noi tutti,
che sui monti esistessero degli uomini
forniti di gorgiere come i tori,
con due bisacce pendule di carne
per sottogola? O che ci fossero altri
con la testa incastrata dentro al petto?
Pure, di ciò, qualsiasi viaggiatore
assicurato a cinque contro uno(55)
ci può fornir testimonianza certa.

ALONSO -
Beh, mi siederò a tavola a mangiare,
anche se questo pasto sia il mio ultimo...
Tanto, ormai non m'importa più di nulla;
per me è passato il meglio della vita.
Fratello, ed anche voi, monsignor Duca,
venite qui a sedere insieme a noi.


Mentre tutti si accingono a sedere a tavola,
scoppiano tuoni e fulmini


Entra ARIELE, in forma di arpia; svolazza, battendo le ali
sulla tavola imbandita, che, con abile trucco, fa arretrare
in fondo fino a farla scomparire

ARIELE -
(Piantandosi davanti ai tre, al posto della tavola)
Peccatori voi siete, tutti e tre;
dal mare, non mai sazio, vomitati
sopra quest'isola disabitata,
per volontà del Fato, al quale spetta
armonizzare questo basso mondo(56)
assegnando a ciascuno la sua parte,
e che ha deciso che voi siete indegni
di vivere più a lungo in mezzo agli uomini.

(Alonso e gli altri snudano le spade)

Vi ho reso tutti pazzi.
E la pazzia fa l'uomo temerario
al punto d'impiccarsi o d'annegarsi.
Sciocchi che siete! I miei compagni ed io
siamo tutti ministri del Destino;
e s'anche foste in grado di colpirci,
la materia di cui le vostre spade
son fatte può altrettanto facilmente
ferire il fragoroso vento, o fendere
con colpi che farebbero sol ridere,
l'acqua che si richiude su se stessa,
che distaccare un pelo alle mie ali.
E invulnerabili al pari di me
son pure i miei compagni.
Perciò non ci provate: noi faremo
le vostre spade talmente pesanti
che non potrete manco sollevarle.
Vi ricordo, piuttosto - perché è questo
il mandato che m'è stato commesso -
che voi tre siete rei d'aver cacciato
da Milano il buon Prospero, suo duca,
abbandonandolo in balia del mare
- che su di voi se n'è poi vendicato -
insieme all'innocente sua figliola;
per la qual turpe azione
le superne celesti potestà

che possono talvolta differire
il lor castigo, mai dimenticarsene,
ebbero a scatenar contro di voi
e mari e terre e tutti gli elementi.
Te, Alonso, hanno privato di tuo figlio,
e t'annunciano, adesso, per mia bocca,
che una lenta, continua distruzione,
peggiore d'una morte subitanea,
seguirà passo passo il tuo cammino;
e che voi tutti quanti siete qui,
se volete sfuggire alla lor collera,
(che altrimenti s'abbatterà su voi
qui stesso, su quest'isola deserta),
non avrete altra via di salvazione
che un totale e sincero pentimento,
accompagnato dal proponimento
di seguire una vita intemerata.

(Ariele svanisce in un rombo di tuono)


Al suono di una dolce melodia, entrano di nuovo
le stesse apparizioni di prima che, danzando
questa volta con ogni sorta di gesti smorfiosi,
portano via la tavola imbandita

PROSPERO -
Ottimamente, Ariele! Quell'arpia
me l'hai interpretata egregiamente,
e con grazia davvero cattivante.(57)
Non hai omesso nemmeno una virgola,
delle istruzioni che t'avevo dato
su quello che dovevi dire loro,
ed anche i miei minori spiritelli
han sostenuto tutti la lor parte
con buona grinta e gran naturalezza.
I miei potenti incanti vanno a segno,
ed ora questi, che son miei nemici,
son tutti preda della lor pazzia,
tutti quanti in totale mio potere.
Ora li lascio al lor vaneggiamento
per tornare dal giovin Ferdinando,
ch'essi credono morto nel naufragio,
e dalla cara, a lui e a me, Miranda.

GONZALO -
In nome di ciò ch'è più sacro al mondo,
signore, perché state così immobile,
con quello sguardo fisso, sbigottito?

ALONSO -
Oh, mostruoso, mostruoso!
M'è parso che parlassero le onde,
come per ricordarmelo;
che lo cantassero i venti, ululando;
m'è parso che anche il tuono,
quella orrenda, profonda canna d'organo,
come a bordone del mio maleficio,
mi ripetesse quel suo nome: Prospero!
Perciò è sicuro, il letto di mio figlio
è nel fondo melmoso dell'oceano;
ma io lo cercherò anche più in fondo
di quanto possa andare lo scandaglio,
per giacermi in quel fango insieme a lui.

SEBASTIAN -
(A parte, ad Antonio)
Vengano pure i diavoli, a legioni!
Uno per uno, li sbaraglio tutti!

ANTONIO -
Ed io con te, e solo a te secondo!

(Escono Sebastian e Antonio)

GONZALO -
Tutti e tre fuor di senno, disperati!
La loro grave colpa,
come un veleno a effetto ritardato,
comincia a mordere le lor coscienze.

(Ad Adriano)
Voi che avete più sciolte le giunture,
seguiteli, vi supplico, di fretta,
e tratteneteli, se necessario
dal fare ciò cui questo lor delirio
potrebbe indurli.

ADRIANO -
Va bene. Seguitemi.


(Escono)

ATTO QUARTO


SCENA I - Davanti alla grotta di Prospero


Entrano PROSPERO, FERDINANDO e MIRANDA

PROSPERO -
Se t'ho trattato con troppa durezza,
te ne ripaghi il premio che ricevi;
perché t'ho dato un terzo di me stesso,
tutto ciò per cui vivo,
e che affido oramai alle tue mani.
Le angherie alle quali t'ho costretto
altro non furono che le mie prove
per saggiare l'amore tuo per lei;
e tu l'hai degnamente superate.
Or io sanziono, qui, davanti al cielo,
questo dono prezioso, Ferdinando.
Non ridere di me
se la esalto così: vedrai tu stesso
com'ella superi di gran misura
ogni lode che possa mai raggiungerla.

FERDINANDO -
Di ciò non potrei esser più convinto,
fosse un divino oracolo a negarlo

PROSPERO -
Prendi dunque mia figlia, Ferdinando,
come mio dono, e come degno acquisto
fatto da te con il dovuto merito.
Ma attento: se tu voglia innanzi tempo
infrangere il suo nodo virginale,
prima, cioè, che siano celebrate
le cerimonie del rito sacrale,
non che piover dai cieli dolce grazia
a rendere feconda questa unione,
sarà l'odio, lo sterile rancore
dall'occhio bieco e la torva discordia
a cospargere il vostro sacro talamo
di tali e tante nauseabonde erbacce
da costringere entrambi a detestarlo.
Cerca, pertanto, di tenerti saggio
fin che Imene non getti su voi due
il propiziante raggio suo soave.

FERDINANDO -
Così com'io da questo nostro amore
spero giorni sereni, bella prole,
e una vita da lui vivificata,
dichiaro che il più buio nascondiglio,
il luogo più propizio ed invitante,
il più sfrenato stimolo dei sensi
che il genio più malefico
possa ispirare in umana creatura,
mai non potranno volgere in lascivia
l'onor mio e rubare il terso filo
della celebrazione di quel giorno,
ond'io debba ridurmi a concepire
che i cavalli di Febo siano zoppi,
e che la notte sia stata costretta
a restare in catene sulla terra(58).

PROSPERO -
Ben detto. Siedi e parlale. Ella è tua.
Ariele, mio solerte servo! Ariele!

Entra ARIELE

ARIELE -
Son qui, padrone, pronto ai tuoi comandi.

PROSPERO -
Tu e i compagni tuoi subordinati
avete egregiamente soddisfatto
al precedente compito affidatovi.
Ora debbo impiegarvi nuovamente
per un trucco di analoga natura.
Va', raduna la frotta degli spiriti
che ho messo al tuo comando,
e falli qui venire in tutta fretta:
debbo mostrare a questa giovin coppia
qualche prova della mia arte magica.
Gliel'ho promesso, ed essi se l'aspettano.

ARIELE -
Subito adesso?

PROSPERO -
Sì, in un batter d'occhio.

ARIELE -
Finito non avrai di dire "va'",
o tratto il fiato a dir "così", "cosà"
che ciascun di loro sarà qua,
con le sue smorfie e i suoi lazzi. Ti va?
E il mio padrone di più m'amerà.
Vero, padrone?

PROSPERO -
Sì, di tutto cuore,
mio dolce Ariele. Però non tornare
fin che io non ti chiamo.

ARIELE -
Bene, inteso.

(Esce)

PROSPERO -
Bada a tenerti virtuoso con lei.
Non allentar la briglia alle effusioni.
I giuramenti, pure i più solenni,
son per il sangue come paglia al fuoco.
Tienti astenuto quanto più lo puoi,
altrimenti addio voti e giuramenti.

FERDINANDO -
Non abbiate paura, mio signore.
La bianca, fredda, virginale neve
che siede da regina sul mio cuore
è buon freno all'ardore del mio sangue(59).

PROSPERO -
Bene. Su, allora, vieni, caro Ariele!
E vedi di portar qualcuno in più
che non in meno dei tuoi spiritelli.
Apparite, e silenzio!
Guardate solo. Non una parola.

Musica dolce


INTERLUDIO(60)
(In maschera, cantato e danzato)


Entra IRIDE

IRIDE -
"Cerere, nostra provvida signora,
"lascia per qualche tempo
"le tue maggesi ricche di frumento,
"d'avena, veccia, segala e piselli;
"lascia i tuoi monti ricoperti d'erba,
"dove pasturano le folte greggi,
"le vaste praterie,
"con le biche dei fieni che le nutrono;
"lascia le prode dei tuoi ruscelletti
"che il rugiadoso Aprile, ad un tuo cenno,
"orla di vaghi gigli e di peonie
"per intrecciarne virginali serti
"alle gelide Ninfe di quell'acque;
"lascia i folti scopeti, la cui ombra
"cerca lo sconsolato garzoncello
"respinto dall'amata;
"lascia i vigneti allacciati alle canne;
"lascia le sterili coste rocciose,
"dove spesso t'indugi a prender aria;
"ti chiama qui la regina del cielo,

Scende dall'alto GIUNONE

"della quale son io l'arco pluviale
"e il messaggero. Sua Sovrana Grazia
"ti vuole qui, su questa proda erbosa
"compagna dei suoi giuochi.
"Scendono già veloci i suoi pavoni(61).
"Vieni, feconda Cerere, ad accoglierla.

Entra CERERE

CERERE -
"Salve, multicolore messaggera,
"sempre obbediente alla sposa di Giove,
"tu che con l'ali tue di zafferano
"spargi sopra i miei fiori
"stille di miele e piogge rinfrescanti
"e incoroni, inarcata nell'azzurro,
"i miei boschi e le spoglie mie pendici,
"ricca cintura all'altera mia terra.
"A qual bisogna mi vuole compagna
"la mia regina, su quest'erba fresca?

IRIDE -
"A celebrare un contratto d'amore,
"e dispensare generosi doni
"a due felici amanti.

CERERE -
"Arco celeste, dimmi, tu lo sai
"se ci saranno Venere e suo figlio
"a fare da corteggio alla regina?
"perché dal giorno ch'essi complottarono
"d'assistere il fuligginoso Dite
"quando rapì mia figlia(62),
"ho ripudiato la sua compagnia
"e quella del bendato suo marmocchio.

IRIDE -


"Non temere. Tu non li incontrerai.
"L'ho vista mentre, fendendo le nubi,
"correva con il figlio verso Pafo(63),
"sul suo carro trainato da colombe.
"Pensavano d'aver, con la lor arte,
"gettato un qualche filtro di lascivia
"su quel giovine e quella giovinetta,
"che han fatto giuramento
"di non anticiparsi il pagamento
"dei diritti del talamo nuziale
"finché Imene non abbia accesa loro
"la sua teda(64). Ma fu vano incantesimo.
"Di Marte l'infiammata concubina
"pertanto ha desistito dall'impresa,
"abbandonando il campo,
"e il suo dispettosissimo marmocchio
"ha spezzato, deluso, le quadrella,
"giurando che mai più vorrà scoccarne,
"se non per gioco a tirare sui passeri,
"come un qualsiasi altro monellaccio.

CERERE -
"Ecco, arriva l'augusta maestà
"della grande Giunone, mia regina.

Giunone s'è posata in terra

GIUNONE -
"Come sta la mia provvida sorella(65)?
"Vieni, unisciti a me nel benedire
"questa coppia di amanti,
"così che la lor vita scorra prospera
"e onorata nei lor discendenti".


CANZONE

GIUNONE -
(Cantando)
"Siano onori e ricchezze
"compagni a vostre nozze benedette,
"lunga vita, abbondanza,
"e bella e numerosa figliolanza.
"Ore felici su di voi Giunone
"invoca, con la sua benedizione".

CERERE -
(Cantando)
"Sia di messi sempre ornata
"per voi due ciascuna annata,
"vigne e grappoli giganti,
"piante turgide, pregnanti;
"e, finita la raccolta,
"primavera un'altra volta.
"Sempre lunge da voi sia
"ristrettezza e carestia.
"Questa la benedizione
"di Cerere alla vostra sacra unione"...

FERDINANDO -
Oh, maestosa visione!
E questa musica, quale armonia!...

(A Prospero)
Ma debbo credere che siano spiriti?

PROSPERO -
Spiriti, sì, che la mia arte magica
ha voluto evocar dai lor confini
per recitarvi questa fantasia.

FERDINANDO -
Ch'io possa allora viver qui per sempre!
Con un padre così straordinario,
capace d'operar tali incantesimi,
questo luogo diventa un paradiso!

PROSPERO -
Silenzio, figli miei: Giunone e Cerere
si sussurran qualcosa d'importante.
Lo spettacolo non è terminato.
Perciò restate fermi ed in silenzio,
altrimenti si spezza l'incantesimo.


Giunone e Cerere bisbigliano tra loro, poi fanno
cenno a Iride, come a darle un qualche incarico

IRIDE -
"Ninfe, che siete Najadi chiamate,
"e nei tortuosi rivi dimorate,
"di giunchi coronate,
"e dagli occhi innocenti,
"l'onda crespa lasciate
"delle chiare correnti,
"accorrete obbedienti
"di Giunone agli appelli.
"Caste Ninfe, venite,
"e cortesi supplite
"questo patto d'amore
"onesto a celebrare."

Entrano alcune NINFE

"E voi, che il gran falciate,
"con le facce abbronzate,
"i solchi abbandonate,
"e con noi tripudiate.
"Oggi è giorno di festa,
"copritevi la testa
"con cappelli di paglia;
"e ciascuno in pariglia
"con una ninfetta
"s'appresti a intrecciare
"gioiosa quadriglia.


Entrano alcuni MIETITORI, nel lor costume,
si uniscono alle ninfe, intrecciando con loro
una graziosa danza, verso la fine della quale
PROSPERO si leva all'improvviso in piedi e
pronuncia qualche parola (magica)

PROSPERO -
(Tra sé)
M'ero dimenticato
del bestial Calibano e dei suoi complici
e dell'infame lor cospirazione
per uccidermi; e questa è quasi l'ora
di esecuzione della lor congiura.

(Agli spiriti)
Ben fatto. Andate, voi. È finito.

Gli spiriti, con uno strano, cupo, brusio
si dileguano, malinconici

FERDINANDO -
(A parte, a Miranda)
Strano, tuo padre dev'essere preda
d'un pensiero che molto lo sconvolge.

MIRANDA -
Infatti. Mai lo vidi prima d'oggi
in sì violenta e smoderata collera.

PROSPERO -
Ferdinando, ti vedo assai turbato,
come sgomento: non aver paura.
I giochi di magia son terminati.
Come t'avevo detto, quegli attori
erano solo spiriti dell'aria,
ed in aria si son tutti dissolti,
in un'aria sottile ed impalpabile.
E come questa rappresentazione
- un edificio senza fondamenta -
così l'immenso globo della terra,
con le sue torri ammantate di nubi,
le sue ricche magioni, i sacri templi
e tutto quello che vi si contiene
è destinato al suo dissolvimento;
e al pari di quell'incorporea scena
che abbiam visto dissolversi poc'anzi,
non lascerà di sé nessuna traccia.
Siamo fatti anche noi della materia
di cui son fatti i sogni;
e nello spazio e nel tempo d'un sogno
è racchiusa la nostra breve vita.
Mio caro, ho l'animo alquanto turbato,
il mio vecchio cervello è un po' sconvolto.
Perdona questo mio svigorimento.
Ma di me non dovete preoccuparvi.
Ritiratevi, se così vi piace,
nella mia grotta a riposare un po'.
Io muoverò qui fuori quattro passi,
per acquietare questo mio malessere.

FERDINANDO e MIRANDA -
V'auguriamo di ritrovar la quiete.

(Escono, entrando nella grotta)

PROSPERO -
Ariele, vieni, presto!

Entra ARIELE

Così. Grazie.

ARIELE -
Dai tuoi pensieri non mi stacco mai.
Che cosa mi comandi?

PROSPERO -
Spiritello,
dobbiamo ora affrontare Calibano.

ARIELE -
Sì, comandante. Quando, poco fa,
nello spettacolo facevo Cerere,
avevo quasi voglia di parlartene;
non l'ho fatto per tema d'irritarti.

PROSPERO -
Dov'hai lasciato, di', quei tre furfanti?

ARIELE -
Te l'ho detto: eran tutti paonazzi
pel molto vino ch'hanno tracannato
e che li ha resi tanto ardimentosi
da tirar sciabolate contro l'aria
perché osava soffiare loro in faccia,
e percuoter la terra sotto i piedi
perché osava baciar loro le piante:
sempre tesi, però, nel lor proposito.
Ho preso allora a battere un tamburo,
al che li ho visti drizzare le orecchie
come puledri bradi, il naso in aria,
le ciglia in su, come a fiutar la musica.
Ho talmente stregato i loro orecchi,
che, al pari di vitelli appena nati,
si son messi a seguire il mio muggito,
come appresso alla loro madre mucca,
intrepidi, tra morsi di pruneti,
aculei di ginestre,
punture di saggine e di roveti,
che bucavano i loro stinchi molli,
sicché li ho trascinati fino qui,
lasciandoli sommersi fino al mento
in questo stagno lurido di schiuma
vicino alla tua grotta, il cui fetore
sovrasta pure quello dei lor piedi.

PROSPERO -
Ottimamente, fringuellino mio!
Tienti ancora invisibile per poco,
e vammi a prendere, dentro alla grotta,
tutto il ciarpame di vesti che trovi,
e portamele qui; saranno l'esca
per catturar quei ladri.

ARIELE -
Vado, vado!

(Entra nella grotta)

PROSPERO -
Un diavolo, un demonio in carne ed ossa,
quel Calibano:(66) non c'è insegnamento
che riesca a cambiarne la natura.
Le cure che, per pura umanità,
gli ho dedicato, son servite a nulla,
tutte invano; e a misura che il suo corpo
si fa più ripugnante con l'età,
s'incarognisce anche la sua anima.
Ma voglio metterli tutti a tortura,
fino a farli mugghiare come bestie.

Rientra ARIELE, carico di vistosi, luccicanti costumi

Bravo. Appiccali, vieni, a questo tiglio.(67)

PROSPERO e ARIELE si fanno invisibili, pur
rimanendo in scena, mentre entrano CALIBANO,
STEFANO e TRINCULO, tutti zuppi maceri

CALIBANO -
Piano, vi prego, senza far rumore:
che nemmeno la talpa, sottoterra,
riesca a udire un solo vostro passo.
Ecco, siamo davanti alla sua grotta.

STEFANO -
Quel tuo folletto, che a sentire te,
mostro, non ci doveva far del male,
s'è portato con noi, né più né meno,
come un qualunque fior di farabutto.

TRINCULO -
Io puzzo, mostro, dalla testa ai piedi,
di piscio di cavallo, ed il mio naso
se n'è molto indignato.

STEFANO -
E il mio lo stesso.
Bada, mostro, che se mi salta al naso
d'arrabbiarmi con te...

TRINCULO -
... saresti un mostro
da poter dire bello che spacciato.

CALIBANO -
Un poco di pazienza, mio signore,
e conservami ancora per un poco
il tuo favore: il lauto guiderdone
verso il quale sto per accompagnarti
ti ricompenserà d'ogni disagio.
Parla piano, però, che qui è silenzio,
profondo come il cuore della notte.

TRINCULO -
Sì, ma l'aver perduto le bottiglie
in mezzo a quel maledetto pantano...

STEFANO -
... è non solo disgrazia e disonore,
ma una perdita, mostro, senza pari...

TRINCULO -
... più del bagno che ho fatto, per mio conto.
E di tutto dobbiamo ringraziare,
mostro, l'inoffensivo tuo folletto.

STEFANO -
Sai che ti dico? Io la mia bottiglia
me la vado a riprendere, laggiù,
dovessi averne fin sopra i capelli
per la fatica che mi costerà.

CALIBANO -
Ti prego, mio sovrano, statti calmo.
Ecco, questa è la bocca della grotta.
La vedi?... Niente strepito, e va' dentro!
Compi questo magnifico misfatto
che farà tua quest'isola per sempre,
e che farà di questo Calibano
l'eterno leccatore dei tuoi piedi.

STEFANO -
Qua la mano. Comincio a intrattenere
nella mia mente pensieri di sangue.

TRINCULO -
O, re Stefano! O Pari! O degno Stefano!(68)
Guarda, guarda che ricco guardaroba
c'è qui in serbo per te.

CALIBANO -
Lascialo perdere,
grullo, non vedi che è tutto ciarpame?

TRINCULO -
Oh, oh, mostro, che dici!
Noi di rigatteria ce ne intendiamo!
O Re Stefano, quanta bella roba!

STEFANO -
Trinculo, togliti via quel mantello!
Quella roba è per me!

TRINCULO -
L'avrà Tua Grazia!

CALIBANO -
L'idropisia l'affoghi, questo tànghero!
E che! Impazzite per certe robacce?
Ma lasciatele perdere,
e pensate piuttosto all'assassinio!
Se quello là si sveglia,
ci copre di punture in tutto il corpo,
e allora sì che saremo ridotti
anche noi come questa cianfrusaglia.

STEFANO -
Calma, mostro, silenzio...
(Rivolto all'albero al quale Ariel ha appiccato i vestiti)
Signor tiglio,
non è forse per me questa casacca?
Ora che la casacca è sotto il tiglio,
vuol dir che me la piglio,
perché questa casacca ben mi sta(69).

TRINCULO -
Fa' pure. Se così ci corre l'estro,
ognun di noi sa rubar da maestro.

STEFANO -
E grazie a te per l'arguta facezia.
Toh, prendi, un bel vestito per compenso.
Finché di questa terra sarò re,
l'arguzia troverà la sua mercé.
Rubare con la corda ed il livello
è un'eccellente prova di cervello.
Eccoti, toh, in compenso, un'altra veste.

TRINCULO -
Mostro, mettiti il vischio nelle dita
e via col resto.

CALIBANO -
No, non voglio nulla.
Stiamo perdendo tempo,
e fra poco saremo tutti e tre mutati in oche
selvatiche o in bertucce senza fronte.

STEFANO -
Coraggio, mostro, muovi quelle dita,
aiutaci a portare questa roba
là dove tengo il mio baril di vino,
altrimenti ti caccio dal mio regno.
Forza, prendi su questo.

TRINCULO -
E questo.

STEFANO -
E questo...


S'interrompe per l'improvviso frastuono
di abbaiamento di cani e voci di cacciatori

Entrano alcuni spiriti in forma di segugi e, incitati
da Prospero e da Ariele, si buttano ad inseguire i tre

PROSPERO -
Dài, dài, Montagna!

ARIELE -
Dài, Argento! Argento,
da questa parte!

PROSPERO -
Forza, Furia, forza!
Sotto, Tiranno! Sotto! Addosso, addosso!

Calibano, Stefano e Trinculo fuggono,
incalzati dalla canizza; spariscono nel fondo

(Ad Ariele)
Corri, va', ordina ai miei folletti
di torturare le loro giunture
con spasimi di secche convulsioni,
di stirar loro la muscolatura
con i crampi dei vecchi, e punzecchiarli
da ridurgli la pelle maculata
peggio che il leopardo o la pantera.

ARIELE -
Senti come ruggiscono!

PROSPERO -
Date loro la caccia fino all'ultimo.
I miei nemici son ora ridotti
tutti alla mia mercé.
Presto le mie fatiche avranno termine,
e tu potrai volare in libertà.
Ma resta un poco ancora al mio servizio.

(Escono)

ATTO QUINTO


SCENA I - Davanti alla grotta di Prospero il cui ingresso è semichiuso


Entrano PROSPERO, nel suo mantello magico, e ARIELE

PROSPERO -
Il mio disegno sta venendo a capo;
gl'incantesimi vanno tutti a segno;
i miei folletti mi sono obbedienti
ed il tempo procede a mio favore.(70)
Che ora volge del giorno?

ARIELE -
L'ora sesta;
quella in cui mi dicesti, mio signore,
che sarebbe cessato il nostro impegno.

PROSPERO -
Così ti dissi, infatti, sì, sul punto
di scatenare la tempesta in mare.
Ma dimmi, spiritello,
che n'è del re e di tutto il suo seguito?

ARIELE -
Ancora tutti confinati insieme
esattamente come li hai lasciati,
secondo l'ordine che tu m'hai dato:
imprigionati nel bosco di tigli
che protegge, signore, la tua grotta
dalle intemperie; né possono muoversi,
se non sarai tu stesso a liberarli.
Il re, con suo fratello e tuo fratello
son fuor di sé dalla disperazione
e gli altri lì, tra sgomenti ed afflitti,
a compiangerli; e più di tutti, quello,
mio signore, che tu indicasti come
"il buon vegliardo, nobile Gonzalo":
le lacrime gli scorron per la barba
come gocce di pioggia al freddo inverno
sovra un tetto di canne;
agiscon così forte su di loro
gl'incantesimi tuoi,
che a vederli tu stesso proveresti
un moto di pietà.

PROSPERO -
Tu credi, spirito?

ARIELE -
A me, s'io fossi creatura umana,
accadrebbe così.

PROSPERO -
E così a me;
sento che accade adesso;
ché, se tu che non sei che un soffio d'aria
sei toccato da tanta commozione,
io, che appartengo alla lor stessa specie,
e che provo le lor stesse passioni,
non mi dovrò sentire più di te
mosso a pietà di questo loro stato?
Anche se m'han ferito nel profondo
coi gravissimi torti che m'han fatto,
faccio che la ragione in me prevalga
a nobilmente contrastar la collera;
ché perdonare è più nobile agire
che vendicarsi. Essi sono pentiti,
ed io non spingerò il mio castigo
più in là d'un semplice aggrottar di ciglia.
Va' dunque a liberarli, Ariele, presto.
Vo' romper gl'incantesimi,
restituire a ciascuno di loro
la perduta ragione, a far che tornino
nuovamente se stessi.

ARIELE -
Vado subito,
e te li riconduco qui, signore.

(Esce - Prospero disegna un cerchio col bastone)

PROSPERO -
Elfi delle colline, dei ruscelli,
dei tersi e placidi laghi, dei boschi;
e voi che lungo le sabbiose rive
su cui non lascia orma il vostro piede
vi divertite ad inseguire il flutto
che si ritrae, e quando rifluisce
a scansarlo, fuggendo via da esso;
voi, gnomi, che al chiarore della luna
tracciate verdi cerchi d'erba amara,
che i greggi si rifiutan di brucare;
e voi, cui solo piace divertirsi
a far spuntare i funghi a mezza notte,
e che gioite quando dalle torri
udite batter l'ora della sera,
io fino ad oggi con il vostro aiuto
(per deboli artigiani che voi siate),
ho potuto abbuiare il gran meriggio,
stanar dagli antri i riottosi venti,
e scatenarli ovunque, in mare e in terra,
destar di colpo strepitosa guerra
tra il verde mare e il ceruleo cielo,
accendere del fragoroso tuono
le paurose fulminee saette,
e con esse spaccar di Giove stesso
la salda quercia(71), scrollar dalla base
il monte che nel mare si protende,
strappar dalle radici il cedro e il pino.
Le tombe hanno svegliato, al mio comando,
i lor dormienti, aperti i lor coperchi,
e li han lasciati uscire,
sì potente si dimostrò finora
la mia magica arte.
Ma ora all'esercizio di tale arte
io faccio abiura, null'altro chiedendo,
come ultimo servizio, che produrmi
qualche istante di musica celeste
perch'io possa raggiungere il mio scopo
d'agire sovra i sensi di coloro
cui questo aereo incanto è destinato;
poi spezzerò questa mia verga magica,
e la seppellirò ben sottoterra
e in mare scaglierò tutti i miei libri,
che vadano a sommergersi più in fondo
di quanto mai sia sceso uno scandaglio.(72)

(Musica solenne)

Rientra ARIELE, seguito da ALONSO, GONZALO,
SEBASTIAN, ANTONIO, ADRIANO e FRANCESCO;
tutti gesticolano stranamente, come impazziti. Prospero
ha tracciato in terra un grande cerchio nel quale essi
entrano, restando lì fermi, incantati.

(Prospero li osserva un poco, poi continua)
Un solenne alitare d'armonie,
la più efficace tra le medicine
a una mente sconvolta
per curare sconvolte fantasie,
ridoni la salute al tuo cervello
che inutile ti bolle ora nel cranio.
Fermi là dove siete! A farvi immobili
è l'incantesimo d'una magia.
Mio buon Gonzalo, uomo venerando,
i miei occhi, per simpatia coi tuoi,
son vaghi di versar lagrime amiche.

(A parte)
L'incanto si va rapido sciogliendo
e il risveglio dei sensi, come l'alba
che s'insinua furtiva nella notte
a dissiparne il buio poco a poco,
comincia in loro a disperdere i fumi
che ne offuscan la limpida ragione.

(Forte)
Buon Gonzalo, mio vero salvatore,
leale amico di colui che servi,
saprò ricompensar, tornato in patria,
e non solo a parole, i tuoi servigi.
Alonso, tu sei stato efferatissimo
con me e con mia figlia;
e ad istigarti è stato tuo fratello;
e di ciò tu, Sebastian, sei pentito...
(Ad Antonio)
Tu, che sei mio fratello,
ed hai aperto il cuore all'ambizione,
scacciandone rimorso e fratellanza;
tu, che insieme a Sebastian - nel cui cuore
più pungente dev'essere il rimorso -,
hai pensato di uccidere il tuo re,
per snaturato che tu sia, fratello,
io ti perdono...

(A parte)
Ecco, a poco a poco,
si riscuotono le loro facoltà,
ed il flusso che avanza avrà tra breve
ricoperto nuovamente il litorale
della ragione, che sta ancora immerso
in fangosa putredine.
Nessun di loro, che pure mi guardano,
sarebbe in grado ancor di riconoscermi.
Ariele, va' veloce alla mia grotta,
portami qua cappello e spada. Presto!

(Esce Ariele)

Voglio mutarmi d'abito, e mostrarmi
qual ero un tempo: Duca di Milano.
Su, Ariele, che fra poco sarai libero.

Rientra ARIELE e, cantando, aiuta Prospero
ad indossare le vesti che gli ha recate

ARIELE -
(Cantando)
"Dove succia la pecchia, anch'io fo' succio,
"nei calici di primule mi giaccio.
"Quando canta il cucù il suo ritornello,
"io me ne volo in groppa a un pipistrello,
"a inseguire l'estate,
"nel regno delle fate,
"per vivere in letizia
"nella fresca delizia
"di ramoscelli dal fiore ingemmati".

PROSPERO -
Eccolo, il mio squisito cardellino!
Come mi mancherai, mio dolce Ariele!
Ma devi avere la tua libertà.
Così dev'essere, così sarà.
Va', invisibile sempre come sei,
alla nave del re: sotto coperta
ci troverai, ancora addormentati,
i marinai; svegliami, ti prego,
il capitano ed il capo nocchiero,
e falli venir subito da me.

ARIELE -
Mi bevo l'aria e non avrà il tuo polso
fatto due battiti, ch'io sarò qui.

(Esce)

GONZALO -
Quest'isola è davvero la dimora
d'ogni sorta di triboli, di angosce,
di meraviglie e di stordimenti!
Oh, che una qualche potenza del cielo
voglia guidarci fuor da questi luoghi
pieni di cose tanto spaventose!

PROSPERO -
(Ad Alonso)
Guardami adesso, re: io sono Prospero,
l'oltraggiato signore di Milano.
E per meglio convincerti che è lui
quel duca, vivo, colui che ti parla,
io t'abbraccio, ed a te e ai tuoi compagni
do un cordial benvenuto in casa mia.

ALONSO -
Se tu sei quel che dici, oppure no,
o se sei uno di quegli incantesimi
che già m'han tratto in inganno, non so;
il tuo polso però lo sento battere
come quello d'un uomo in carne e sangue;
e dal primo momento che t'ho visto
ho sentito placarsi nel mio spirito
quell'afflizione che m'aveva invaso
come una forma, temo, di pazzia.
Se tutto questo è vero ed è reale,
si tratta d'una ben strana vicenda.
Se così è, rassegno il tuo ducato
nelle tue mani, e ti chiedo perdono
dei torti che t'ho fatto. E tuttavia
mi chiedo sempre come sia possibile
che Prospero sia vivo, e in questo luogo.

PROSPERO -
(A Gonzalo)
Prima di tutto, mio nobile amico,
lascia ch'io stringa in un cordiale abbraccio
codesta veneranda tua canizie,
virtuosa e proba al di là d'ogni limite.

(Abbraccia Gonzalo)

GONZALO -
Se tutto questo sia reale o no,
davvero non mi sento di giurarlo.

PROSPERO -
È che ti trovi ancora sotto il fascino
d'ingannevoli immagini dell'isola,
che ti fanno stentare a riconoscere
quello che c'è di vero innanzi a te.
Ma siate tutti benvenuti, amici!

(A Sebastian e Antonio)
Quanto a voi due, miei bravi gentiluomini,
potrei, se solamente lo volessi,
scatenar su di voi l'ira del re,
denunciandovi come traditori;
ma voglio dire "basta" a tutto questo...

SEBASTIAN -
(A parte)
Sembra che il diavolo gli parli dentro.

PROSPERO -
... sì, finirla per sempre.

(Ad Antonio)
Quanto a te,
scelleratissimo signore, a te,
ch'io non potrei chiamare mio fratello
senza sentirmi infettare la bocca,
di tutte le tue colpe nefandissime,
io ti perdono; ti chiedo soltanto
il mio ducato che, so, d'altra parte,
non potresti comunque ricusarmi.

ALONSO -
Se sei Prospero, devi raccontarci
come ti sei salvato, e come accade
che ti trovi a incontrarci in questi luoghi
dove siamo soltanto da tre ore
gettati a queste rive da un naufragio
nel quale ho perso - oh, straziante ricordo! -
il mio diletto figlio Ferdinando...

PROSPERO -
Di questo assai m'affliggo, monsignore.

ALONSO -
... una perdita tanto irreparabile,
che la stessa rassegnazione umana
si dichiara incapace a rimediare.

PROSPERO -
Ad essa, forse, non vi rivolgeste,
penso, con sufficiente forza d'animo.
Ché per eguale perdita io stesso
posso dire d'aver dalla sua grazia
ricevuto sovrano lenimento,
ed ora sono rassegnato e in pace.

ALONSO -
Una perdita eguale?

PROSPERO -
E dolorosa
per me altrettanto, ed anch'essa recente;
ed a renderla meno sopportabile
ho mezzi di conforto assai più deboli
di quelli vostri: ho perduto mia figlia.

ALONSO -
Una figlia! Anche voi! Oh, santo cielo!
Saperli adesso entrambi vivi a Napoli,
re e regina colà!... S'esser potesse,
vorrei magari io stesso esser sepolto
nella melma del limaccioso letto
in cui si giace adesso il mio figliolo.
E quando la perdeste, vostra figlia?

PROSPERO -
Nel corso del recente fortunale.
Ma m'accorgo che questi gentiluomini
sono per questo incontro sì confusi
da non sapere più cosa pensare(73);
stentano a credere che gli occhi loro
dicano il vero, e che le lor parole
siano fatte di fiato naturale.
Ma per quanto voi siate ancor sbalzati
fuori dai vostri sensi, siate certi
che quello ch'è davanti agli occhi vostri
è ben Prospero, duca di Milano,
da lì sbalzato fuori con violenza
e che, per un capriccio del destino
venne sospinto sopra questi lidi
dove il naufragio ha gettato anche voi,
per essere sovrano di quest'isola.
Ma di ciò basta, ché questo è discorso
che a farlo ci vorrebbero più giorni;
non è storia da raccontare a tavola
né adatta a questo nostro primo incontro.
E dunque, benvenuto, signor mio.
Quella grotta, vedete, è la mia corte:
ho poco séguito, qui, nessun suddito.
Ma guardate, vi prego, nel suo interno:
poiché m'avete reso il mio ducato,
io voglio compensarvi con qualcosa
che vi sarà di pari gradimento;
mostrarvi, almeno, una tal meraviglia
da procurarvi altrettanta letizia
quanta ne ha procurata or ora a me
l'aver riottenuto il mio ducato.

Si spalanca l'apertura della grotta e compaiono alla vista
FERDINANDO e MIRANDA, intenti a una partita a scacchi

MIRANDA -
Ah, no, caro signore, voi barate!

FERDINANDO -
Oh, no, Miranda, no, dolce amor mio!
Non lo farei giammai, per tutto il mondo!

MIRANDA -
Sì, invece. Ma se pur fosse la posta
una ventina di regni, ugualmente
direi che il vostro gioco è regolare.

ALONSO -
Se ancora questo avesse a dimostrarsi
un altro degli incanti di quest'isola,
sarà per me come l'aver perduto
tristemente, per la seconda volta,
l'unico mio dilettissimo figlio.

SEBASTIAN -
Oh, gran miracolo!

FERDINANDO -
Talora i mari,
per quanto minacciosi, hanno pietà.
Li avevo ingiustamente maledetti.

(S'inginocchia al padre)

ALONSO -
D'un genitore al colmo della gioia
ti circondino le benedizioni.
Alzati e dimmi com'è che sei qui.

MIRANDA -
Oh, meraviglia! Quanta bella gente!
Come son belle le creature umane!
Oh, splendido, smagliante nuovo mondo
che contieni abitanti come questi!

PROSPERO -
Nuovo solo per te, Miranda mia.

ALONSO -
Ferdinando, chi è quella fanciulla
con cui giocavi? La sua conoscenza
non può esser più vecchia di tre ore.
È forse lei la benigna deità
che ci ha divisi e poi riuniti insieme?

FERDINANDO -
È creatura mortale, mio signore;
immortale è però la Provvidenza
ond'essa è mia. L'ho scelta, padre mio,
in un momento in cui nessun consiglio
avrei potuto chiedere a mio padre,
ché non credevo più d'averne uno.
È la figlia del Duca di Milano,
del quale tanto spesso avete udito
esaltata l'illustre rinomanza,
ma che mai prima avete conosciuto.
Da lui ben posso dir d'aver avuto
la vita in dono una seconda volta;
ché di lui fa di me un secondo padre
ora l'amore di questa fanciulla.

ALONSO -
Tale sarà per lei anche tuo padre.
Anche se suonerà abbastanza strano
che un padre chieda perdono a sua figlia.

PROSPERO -
Basta, non più, signore!
Non carichiamo il peso dei ricordi
con tristezze che sono ormai passate!

GONZALO -
Se non fossi rimasto fino ad ora
ammutolito da un interno pianto,
avrei così parlato: "O dèi benigni,
abbassate lo sguardo sulla terra,
e fate scendere su questa coppia
una corona di benedizioni!
Ché certamente siete stati voi
a tracciare in anticipo il cammino
che doveva condurci fino qui".

ALONSO -
Ed io, Gonzalo, ti rispondo: "Amen!".

GONZALO -
Era dunque disegno degli dèi
che il Duca di Milano,
venisse sbalestrato da Milano,
perché la sua progenie
dovesse diventare re di Napoli?
E dunque rallegriamoci, signori,
d'una gioia che superi ogni gioia!
E siano scritti su colonne eterne,
a caratteri d'oro, questi eventi
tutti accaduti in uno stesso viaggio:
Claribella trovò marito a Tunisi,
suo fratello trovò una moglie qui,
nel luogo stesso ove s'era smarrito;
Prospero ha ritrovato su quest'isola
il suo ducato, e ognun di noi se stesso
dopo che ognun se stesso avea smarrito.

ALONSO -
(A Ferdinando e Miranda)
Ragazzi, datemi le vostre mani:
cingano sempre dolore e sventura
quel cuore che non faccia per voi voti
d'ogni felicità.

GONZALO -
E così sia!

Entra ARIELE con il CAPITANO e il
CAPO NOCCHIERE della nave del re

Oh, guardate, signore, altri dei nostri!
Lo dicevo - oh, mio spirito profetico -
che fintanto che fosse stata in piedi
sulla terra una forca, era impossibile
che quest'uomo perisse per naufragio!
Ed ora dimmi un po', grande blasfemo,
che scaricavi, con le tue bestemmie,
da bordo in mare la divina grazia,
non sacramenti più?
La terraferma ti fa stare zitto?...
Che notizie ci porti?

CAPO NOCCHIERE -
La più bella
è quella di trovar qui sani e salvi
il nostro re con tutti i suoi compagni.
L'altra, altrettanto bella,
che il nostro vascello,
che sol tre ore fa abbiam creduto
schiantato e andato in pezzi in mezzo al mare,
è intatto e saldo al largo,
pronto al comando come il primo giorno
che al suo timone siamo scesi in mare.

ARIELE -
(A parte, a Prospero)
Tutto questo è mia opera, signore,
da quando t'ho lasciato, poco fa.

PROSPERO -
(Ad Ariele, a parte)
Il mio ingegnosissimo genietto!

ALONSO -
Questi non sono eventi naturali.
Ogni istante ne reca di più strani.
Come siete arrivati fino qui?

CAPO NOCCHIERE -
Cercherei di spiegarvelo, signore,
se fossi ben sicuro d'esser sveglio.
Stavamo tutti - non sappiamo come -
stesi morti dal sonno ed ammucchiati
sottocoperta, quando, poco fa,
siamo stati svegliati da un frastuono
confuso e misterioso di ruggiti,
urla, lamenti, stridii di catene
ed altri rumoracci, tutti orribili;
e subito ci siam trovati in piedi,
liberi tutti e là, davanti a noi,
il nostro bravo vascello reale
tutto rimesso a nuovo, e il capitano
a saltar dalla gioia nel vederlo.
Subito dopo, in un batter di ciglio,
come in un sogno, non posso dir altro,
ci siam trovati divisi dagli altri
e qui portati, ancor mezzo storditi.

ARIELE -
(A parte, a Prospero)
Ho lavorato bene, eh?

PROSPERO -
(A parte, ad Ariele)
Benissimo,
mio diligente spirito! Sei libero!

ALONSO -
Questo è l'intrico più straordinario
in cui un uomo si sia mai trovato:
c'è in tutta la vicenda qualche cosa
di più di quanto accada in natura.
Ci vorrebbe per me solo un oracolo
a correggere un tal convincimento.

PROSPERO -
Mio signore e sovrano,
non tormentatevi troppo la mente
nell'andarvi a cercare spiegazioni
alla bislaccheria di questi eventi;
alla prima occasione,
che son certo non tarderà a venire,
vi spiegherò tra noi, da solo a solo,
tutto quanto è accaduto,
e troverete ogni cosa plausibile.
Frattanto state pure di buon animo,
e pensate di tutto per il meglio.

(Ad Ariele)
Vieni qua, spiritello:
va', metti Calibano in libertà
coi suoi compagni, e sciogli l'incantesimo.

(Esce Ariele)

(Ad Alonso)
Allora, come state, Vostra Grazia?
C'è ancora, della vostra compagnia,
qualche strano individuo
del quale forse non vi ricordate,
e che manca all'appello. Eccoli qua(74).

Rientra ARIELE, spingendo avanti a sé
CALIBANO, STEFANO e TRINCULO,
tutti e tre con indosso gli abiti rubati

STEFANO -
Ciascun per tutti, e nessuno per sé(75).
Perché al mondo è questione di fortuna.
Coragio, mostro gradasso, coragio!(76)

TRINCULO -
Se non son vane spie
le finestre che porto sulla fronte(77),
ecco una vista quanto mai piacevole.

CALIBANO -
O Sètebo(78), se questi son spiriti,
son davvero magnifiche creature!
E com'è bello, oggi, il mio padrone!
Ma ho paura che mi castigherà.

SEBASTIAN -
(Indicando i tre)
Ah, ah, che roba è questa, Don Antonio?
Da comprare in contanti?

ANTONIO -
Così pare.
Uno di loro è senza dubbio un pesce,
e un pesce ha sempre un prezzo di mercato.

PROSPERO -
Ecco, guardate un po' le vestimenta
che si son messe addosso questi tre,
e dite voi se possano mai essere
quello ch'essi vorrebbero apparire.
Questo sgorbio, sua madre era una strega
d'una stregoneria così potente
da manovrar le fasi della luna,
l'alterno rifluir delle maree,
esercitandone, insomma, l'influsso,
senza averne il potere naturale.
Questi tre tomi m'hanno derubato,
e questo mezzo uomo e mezzo diavolo
(ché, di fatto, è il bastardo d'un demonio)
ha complottato insieme agli altri due
per togliermi la vita.
Due di questi compari son dei vostri,
e per vostri dovete riconoscerli;
l'altro, questa creatura delle tenebre,
la riconosco invece come mia.

CALIBANO -
Stavolta sarò pizzicato a morte.

ALONSO -
Ma quello non è Stefano,
quello sbornione del mio cantiniere?

SEBASTIAN -
E sborniato è, infatti, pure adesso.
Ma il vino dove diavolo l'ha preso?

ALONSO -
Anche Trinculo è cotto, che barcolla.
Ma dove avran potuto procurarsi
questo elisire che li ha sì indorati?

(A Trinculo)
Dimmi un po', tu, come diavolo hai fatto
a ridurti in codesta salamoia?

TRINCULO -
Mi ci trovo, in questa salamoia,
dall'ultimo momento che vi ho visto,
e ho paura che non potrò più spremerne
le mie ossa. Ne avrò però il vantaggio
di non essere punto dalle mosche.

SEBASTIAN -
E tu, Stefano, eh, come ti senti?

STEFANO -
Non mi toccate: io non sono Stefano,
io sono tutto un crampo.

PROSPERO -
Volevi farti tu il re dell'isola,
eh, compare?

STEFANO -
Un re ben malandato,
allora sarei stato.

ALONSO -
(Indicando Calibano)
E quello là?
Mai visto un coso più strano di questo.

PROSPERO -
Deforme d'animo, come d'aspetto.
Manigoldo, va' dentro alla mia grotta,
e facci entrare pure i tuoi compari.
E se vuoi, come pare, il mio perdono,
puliscila e rassettala a dovere.

CALIBANO -
Lo farò! D'ora innanzi sarò bravo,
voglio riguadagnarmi il tuo favore.
Che razza di somaro sono stato
a scambiar per un dio questo sbornione,
e ad adorare questo idiota pazzo.(79)

PROSPERO -
Via, via, vattene via!

ALONSO -
Via di qua,
e rimettete a posto quel bagaglio,
dove l'avete preso.

SEBASTIAN -
Anzi, rubato.

(Escono Calibano, Stefano e Trinculo,
entrando nella grotta)

PROSPERO -
(Ad Alonso)
Invito cordialmente Vostra Altezza
e tutti gli altri della compagnia
a entrare in questa mia povera grotta,
dove riposerete questa notte;
che, penso, passeremo in buona parte
in tali conversari che, di certo,
ce la faranno apparire più corta:
io vi racconterò della mia vita,
e di tutte le sue peripezie
dal giorno in cui son giunto su quest'isola.
E domattina ce ne andremo insieme
a raggiungere in mare il vostro barco,
per far rotta su Napoli,
dove spero vedere celebrato
il matrimonio di questi due giovani
nostri figli diletti; e di laggiù
poi ritirarmi nella mia Milano,
dove uno su tre dei miei pensieri
sarà volto alla tomba.

ALONSO -
Sono impaziente d'ascoltar da voi
tutta la storia della vostra vita,
che sarà certo strana e affascinante.

PROSPERO -
Ed io ve la dirò davvero tutta;
e vi prometto bonaccia di mare,
venti propizi e vele sì veloci
da farvi presto raggiungere al largo
il resto della vostra real flotta.
Ariele, mio pulcino,
a te di fare che tutto questo accada
per il meglio: è il tuo ultimo servizio.
Poi, torna pure libero nell'aria,
e vivi lieto. Addio!
Favorite, vi prego, entrate tutti.


EPILOGO
(recitato da Prospero)


I miei incantesimi sono finiti;
sol mi restano ora le mie forze,
piuttosto scarse, per la verità.
Ora sta a voi decidere, signori,
s'io debba rimanere sempre qui,
racchiuso in questo luogo solitario,
o partire per Napoli con loro.
Ma spero che non sia vostra vaghezza
ch'io resti relegato su quest'isola
- e per vostro incantesimo, in tal caso -
avendo riottenuto il mio ducato
e perdonato a tutti i traditori;
che vogliate al contrario
magicamente con le vostre mani
sciogliermi e liberarmi da ogni laccio,
e gonfiare col vostro fiato amico
le mie vele, altrimenti è il fallimento
di tutto il mio progetto
ch'era quello di farvi divertire.
Non ho più spiritelli al mio comando
né magico potere d'incantesimi;
e la mia fine sarà disperata
se non venga da voi
una tal penetrante intercessione
in mio favore presso la pietà,
da assolvermi da tutte le mie colpe.
E se a voi piace d'esser perdonati
dei peccati, dall'indulgenza vostra
fate ch'io venga assolto anch'io dei miei.
(Esce)




FINE

 
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view post Posted on 30/3/2011, 10:36
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I ♥ Severus


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CITAZIONE (halfbloodprincess78 @ 29/3/2011, 22:53) 
1978 The Tempest
Michael Hordern, David Suchet, Ruby Wax, Juliet Stevenson, Alan Rickman. Directed by Clifford William
Come al solito poche informazioni.

Chiamale poche informazioni!!! Hai messo anche il copione!
Brava, Cla, come sempre!
 
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halfbloodprincess78
view post Posted on 5/10/2011, 07:26




Ho trovato altre foto che non abbiamo:
Peccato siano piccine.

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iysofFg

Edited by Arwen68 - 4/2/2018, 18:06
 
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view post Posted on 5/10/2011, 08:42
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I ♥ Severus


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Ma che bellissimo sorriso!
 
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Ale85LeoSign
view post Posted on 8/5/2014, 10:25




Belle immagini sì. Un po' inquietante l'uomo-medusa vicino ad Alan in quella a colori O_o
 
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view post Posted on 23/2/2016, 01:19
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view post Posted on 16/9/2018, 23:20
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Pozionista abile

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Erika, stasera ci stai regalando un sacco di splendidi post! :wub:
 
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view post Posted on 16/9/2018, 23:21
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:wub: :wub:
 
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