| Nella letteratura classica si dice che siano i non-morti a non poter riflettere la propria immagine in uno specchio. In questo caso parliamo di “un uomo morto che cammina”, o meglio, un uomo morto dentro, che contempla un presente apparentemente immobile, privo degli abituali confini di “passato e futuro”.
Lo scenario si svela con la rivelazione di questo nulla, dove la speranza è totalmente morta e i sogni si sono dissipati: si sono adagiati a terra come il velo che ricopriva quello specchio, quella verità scomoda che il protagonista, nonostante tutto, ha deciso, in ultimo, di affrontare. E in questa sorta di limbo si trova lui, Severus Piton... Nei libri come nella vita reale, spesso il destino si decide nei luoghi più insospettabili. In questo caso, il suo, si decide davanti a uno specchio, in un continuo dentro e fuori del personaggio, nel suo vivere una vita mai completamente vissuta, troppo mascherata, lasciata in secondo piano per dar luce a sogni irrealizzabili nel buio terrificante della sofferenza esistenziale. Praticamente davanti a se stesso.
I ricordi e i sogni evocati dal mago sono il perfetto connubio tra il gioco primordiale dell’immaginazione e una passione illecita ma necessaria… vitale. Il suo è un amore incondizionato per il sogno, per un’irrealtà che Severus cerca di trasformare in realtà, in tutti i modi, respirando ogni giorno illusioni sempre più grandi.
Ci sono diversi paradossi in questa storia. Il primo, di questo monologo di un uomo sofferente, sta nella grande tristezza che riesce a evocare nel lettore il personaggio di Severus. Osserva il nulla, rimane come il vecchio cane fedele sulla tomba del padrone, contemplando un’irrealtà che lo ha consumato per anni e che, ancora, riesce a ipnotizzarlo, anche senza mostrargli più niente. Un altro paradosso è che ad alimentare i suoi sogni è sempre stata una donna reale, in carne ed ossa, per la quale Severus avrebbe potuto lottare e combattere veramente, invece di nascondersi dentro se stesso, sempre più in profondità. Ma il sogno rimane in vita solo fino a quando Lily non viene realmente uccisa da Voldemort. E qui, quando il cuore dell’illusoria esistenza del mago smette di battere, con esso muoiono anche tutti i suoi sogni e la sua energia vitale si spegne. E l’unico desiderio che gli rimane, quando alla fine capisce che ciò che lo manteneva vivo ormai è definitivamente andato perduto, è quello di morire.
I toni della storia sono molto cupi e delineano bene la complessa introspezione del personaggio. E’ una storia triste, molto triste. Ma, personalmente, non nel senso che fa venir voglia di piangere. E’ proprio triste l’esistenza di Severus, se tale si può definire. Perché, se le cose fossero realmente andate così, egli non avrebbe mai vissuto. Avrebbe giocato con la propria vita, usandola come un oggetto, per alimentare sogni equivalenti a parassiti, che l’avrebbero soltanto consumato, giorno per giorno, dandogli una felicità che si sarebbe potuta frantumare da un momento all’altro. E così è stato.
E’ apprezzabile la cieca fedeltà che però dimostra nei confronti di Lily. Pur non condividendo l’enorme illusione che ha costruito con le sue mani, apprezzo, invece, la fedeltà del personaggio a un’unica donna. Ma non tanto la fedeltà in sè, quanto l'energia che il mago riversa monodirezionalmente su di essa. Egli rimane così legato a lei, anche se il loro legame è sempre stato sottile come un filo d’aria, che anche mentre la morte avanza verso di lui, essa viene accolta con sincera felicità. E questo, unicamente perché Severus pensa di potersi ricongiungere “realmente” a Lily. In questo caso, giusto per tirare le somme, apprezzo l'ostinazione con cui l'ha rincorsa... ricordandomi, però, che non lo ha mai fatto realmente.
Sì, molto triste, ma consigliabile, a livello di lettura, per lo stile impeccabile, la caratterizzazione brillante con cui vengono strutturati i pensieri di Severus Piton e il coinvolgimento che determina nel lettore. Il mio coinvolgimento è stato di tipo “rabbioso”. Seguire questa storia ha voluto dire arrabbiarsi con un essere umano che mi ha fatto provare pietà per la sua incapacità di combattere, capacità che aveva, che ha dimostrato di avere (parlando solo di questa storia, in questo contesto) soprattutto alla fine, quando addirittura va ad affrontare la sua stessa morte pur di “riconquistare” la sua Lily. Per concludere: ciò che ho tratto da questa storia, è stato che al cospetto della verità, di speranze infrante e di tragedie non evitate, l’unico nemico che resta da affrontare è il proprio riflesso. Un riflesso che, anche se abbiamo negato per tutta la vita, quando arriva il momento di tirare le somme, diventa impossibile da evitare.
|