Dopo la pausa estiva torno con un’opera dalla trama quanto mai contorta e che io amo particolarmente.
Premetto che avrebbe dovuto essere
Rigoletto il centro della prossima lezione circa Verdi ed i rapporti parentali, ma devo ancora individuare gli esempi musicali migliori per l’occasione (e le regie mi stanno dando molto da penare, per farmi evitare una lezione vietata ai minori).
Quindi sarà il turno de Il Trovatore, dove per un istante abbandonerò il confronto padre-figlio, per spostarmi sul confronto madre-figlio, dicendo fin da ora che, nell’opera, in generale, quando la madre non è morta, è meglio non averla proprio
.
Il Trovatore
Libretto: Salvatore Cammarano
Prima rappresentazione: Roma, Teatro Apollo, 19 gennaio 1853
Personaggi:
Il conte di Luna, giovane gentiluomo aragonese (baritono)
Leonora, dama di compagnia della principessa d'Aragona (soprano)
Azucena, zingara della Biscaglia (mezzosoprano)
Manrico, ufficiale del principe d'Urgel e figlio di Azucena (tenore)
Ferrando, capitano degli armati del Conte di Luna (basso)
Ines, confidente di Leonora (soprano)
Ruiz, soldato al seguito di Manrico (tenore)
Un vecchio zingaro (basso)
Un messo (tenore)
Compagne di Leonora e religiose, familiari del conte, uomini d'armi, zingari e zingare.
In Aragona e Biscaglia, ai principi del XV secolo.
Piccola premessa, prima di entrare nella trama vera e propria. La vicenda si svolge durante una guerra civile, per la successione al trono di Aragona, che vede contrapposti il principe d'Urgel e il principe d'Aragona. La vicenda guerresca è minoritaria all'interno della storia, la cosa importante è sapere che ci sono queste due fazioni che oppongono Manrico e il conte di Luna. Altra piccola nota, dal momento che si parla, in principio di storia, del padre del conte di Luna e dato che nessuno dei due è chiamato per nome, quindi mi sarebbe difficile distinguerli, chiamerà il padre conte di Luna senior.
Parte I. Il duello.
Palazzo di Aliaferia. Aragona. E' una notte senza luna.
Ci troviamo all'esterno degli appartamenti del conte di Luna. I suoi armigeri, capitanati da Ferrando, vegliano, annoiati. Il vecchio armigero dice che il conte è preda dell'amore per Leonora e che passa le notti sotto il suo balcone, temendo, però, il giungere di un trovatore, suo rivale. Gli uomini d'arme, chiedono a Ferrando di narrare la storia di Garcia, fratello del conte. E l'uomo accetta.
Il conte di Luna senior aveva due figli e una nutrice vegliaga presso la culla del secondo nato, quando, verso il mattino, questa vi trovò accanto una zingara, che lo stava ammaliando. La zingara fu condannata a morte e bruciata sul rogo, ma la donna aveva una figlia, che si fece carico della vendetta e rapì il piccolo Garcia, il cui corpicino venne ritrovato morto, arso su un rogo, nello stesso punto dove fu bruciata la zingara. Il conte di Luna senior visse per pochi anni dopo la morte del figlio, covando il cuore il presentimento che il piccolo non fosse in realtà morto. Sul letto di morte fece promettere all'altro figlio - l'attuale conte di Luna, quindi - di continuare a cercare il fratello, cosa a cui il giovane si è dedicato, pur senza ottenere alcun risultato.
Gli armigeri del conte maledicono, mentre suona mezzanotte la zingara che ha ucciso il piccolo Garcia.
La scena si sposta nel giardino del palazzo, dove si trovano Leonora e Ines. Quest'ultima chiede all'amica di rientrare, ma la giovane è inquieta perché da qualche notte il suo amato non si fa vedere. Al che Ines le chiede come mai l'abbia conosciuto e chi sia quest'uomo misterioso. Leonora racconta che si è innamorata di lui durante un torneo, perdendone poi le tracce, fino a quando una notta un trovatore non ha cantato sotto i suoi balconi. Ed ella ha riconosciuto nel giovane proprio colui di cui si era innamorata.
Ines, che presagisce che quest'amore sarà fatale all'amica, la prega di dimenticare l'uomo, ma Leonora le dice che è impossibile, anzi che lei potrà soltanto vivere o morire per lui.
Dopo che le due donne sono finalmente rientrate all'interno del palazzo, si fa avanti il conte di Luna che osserva la luce che si intravede dalla camera di Leonora. Crede che quella sia la notte giusta per rivelarle il suo amore e si appresta ad entrare nel palazzo, quando ode degli accenti tratti da un liuto. E' il trovatore ed il suo canto fa fremere di gelosia il conte. A questo punto Leonora esce dal palazzo e, scambiando il conte (che è avvoltolato nel mantello, quindi un'ombra nel giardino scarsamente illuminato, in una notte senza luna) per il trovatore, gli confessa il suo amore. Il trovatore esce allo scoperto (il tenore canta la parte fuori scena) e dice a Leonora di essergli infida. La ragazza si accorge dell'errore, spiega lo sbaglio al trovatore e gli dice che lei ama solo lui. Il conte si infuria e chiede al trovatore di rivelare il suo nome. Questi accetta e dice di essere Manrico. Il conte riconosce quindi in lui un avversario politico e lo sfida a duello. Leonora tenta di separarli, ma i due uomini, l'uno roso dalla gelosia, l'altro pronto a battersi per la giovane, non sentono ragioni e si allontanano, lasciando sola la ragazza.
Parte II. La Gitana
Un accampamento di zingari. Verso l'alba.
Gli zingari e le zingare stanno attendendo l'alba, cantando e danzando, ma la loro allegria è interrotta dalla nenia di una di loro, Azucena, la quale ricorda, cupamente un rogo e la donna che vi è stata bruciata. Quando gli zingari hanno tutti lasciato l'accampamento, per
andarsi a procacciare il pane nelle propinque ville, la donna rimane sola con il figlio, Manrico, che si sta rimettendo da una ferita.
Il giovane le chiede di raccontare la storia funesta che si nasconde dietro la sua cupa canzone. La donna acconsente.
Ricorda la morte della madre, la quale, accusata di aver ammaliato un bambino, è stata condannata al rogo dal Conte di Luna senior. Nel morire la donna si è rivolta alla figlia, che la seguiva con il figlioletto tra le braccia, e le ha ingiunto di vendicarla. Per farlo Azucena ha rapito il figlio del conte (quindi il Garcia di cui parla Ferrando nel primo atto) e l'ha condotto con sé, fino al luogo dove era stata arsa la madre. Lì ha acceso un nuovo rogo, ma le lacrime del bambino l'hanno fermata per un istante. L'apparizione improvvisa della madre ed il grido
mi vendica hanno però indotto la donna a gettare il bambino nel fuoco, soltanto quando è stato troppo tardi, Azucena si è accorta di aver bruciato il suo stesso figlio, anziché il figlio del conte di luna.
A questo punto Manrico, sconvolto dal racconto di Azucena, le chiede se egli sia veramente suo figlio. La donna lo rassicura, dicendogli che quando ricorda quegli eventi la sua mente si smarrisce. Gli dimostra inoltre quanto sia stata amorosa nei suoi confronti, lei che l'ha raggiunto nei campi di Pelilla, dov'era caduto in battaglia e dove tutti lo credevano morto e lei l'ha curato, strappandolo alla morte. Manrico crede alle parole della donna e si ritrova a rispondere alle domande della donna, la quale gli chiede per quale motivo, quando ne ha avuto l'occasione non abbia ucciso il conte di luna.
Il giovane risponde dicendo che, quando l'ha avuto in sua mercé in singolar tenzone (si tratta quindi dell'esito del duello della parte I), nel momento in cui avrebbe dovuto calar la spada, ha come sentito una voce dal cielo che gli intimava di non ferirlo. Al che Azucenza risponde che nel cuore del conte, durante la battaglia dei campi di Pelilla, non ha parlato alcuna voce, dal momento che è stato proprio il nobiluomo ha ferire mortalmente Manrico. La donna fa quindi promettere al figlio di uccidere il conte di Luna non appena ne avrà l'occasione.
In quel momento arriva un messo che annuncia a Manrico che Castellor è in mano dei fidi di Urgel e che Urgel stesso invita il giovane trovatore a portarsi nella rocca per vigilarne le difese. Nel frattempo però, Leonora, credendo morto Manrico, ha deciso di farsi suora quella sera stessa nel vicino chiostro della croce.
Manrico, in preda al sentimento amoroso, corre a fermare Leonora, senza ascoltare le preghiere della madre che tenta di trattenerlo.
Chiostro della Croce. E' notte.
Il Conte di Luna, anch'egli a conoscenza della scelta di Leonora e certo che Manrico sia morto, si trova nel chiostro del convento dove la fanciulla prenderà il velo. Insieme ai suoi, vuole rapire la giovane e portarla con sé, certo che il suo amore saprà vincere la sua resistenza.
Leonora giunge con le sue dame ed è in procinto di entrare nel convento quando si palesa il Conte, ma il giovane non può nulla, perché arriva anche Manrico con i suoi. Gli uomini di de Luna sono messi in fuga dal manipolo capitanato dal trovatore e Leonora fugge, di sua volontà, con l'amato.
Parte III. Il Figlio della Zingara.
Accampamento del Conte di Luna, nei pressi di Castellor.
I soldati si preparano ad assaltare il castello l'indomani, mentre il Conte è roso dalla gelosia e dalla volontà di strappare Leonora a Manrico. In quel momento Ferrando conduce con sé una zingara fatta prigioniera, mentre si aggirava intorno al campo.
Interrogata dal conte la zingara, che è ovviamente Azucena, dice di venire da Biscaglia e di essere alla ricerca del figlio che l'ha lasciata sola. Il conte le chiede se non rammenta un fanciullo, figlio di conti, rapito dal suo castello quindici anni prima. Azucena gli chiede chi lui sia e il conte le svela di essere il fratello del rapito. La donna nega di aver mai sentito parlare dell'accaduto, ma Ferrando la riconosce come la zingara che ha rapito il piccolo Garcia. La donna invoca il soccorso di Manrico ed il conte decide di sfruttare la cosa per far cadere in trappola Manrico, oltre che per vendicare il fratello.
Presso la cappella di Castellor.
Leonora e Manrico stanno per sposarsi, quando arriva Ruiz con la notizia che Azucena è prigioniera e che è stata condannata al rogo. Il trovatore, incurante del pericolo, decide di precipitarsi a salvare la madre.
Parte IV. Il supplizio.
Palazzo di Aliaferia. Notte oscurissima.
Manrico è stato catturato e rinchiuso in carcere insieme alla madre per essere giustiziati entrambi l'indomani, il giovane decapitato e la zingara bruciata.
Leonora ha scoperto dove l'amato sia rinchiuso e, accompagnata da Ruiz, si reca presso il palazzo di Aliaferia nella cui torre gemono i prigionieri di stato. La ragazza è decisa a salvare Manrico anche a costo della propria vita o a morire con lui, decisione resa ancor più risoluta nel momento in cui la giovane ode la voce del trovatore che canta dalla sua prigione.
In quel momento, dopo che Ruiz se n'è già andato da tempo, giunge il Conte di Luna che ha cercato invano Leonora, la quale, celatasi poco prima, si palesa all'uomo, chiedendogli grazia per Manrico. Al rifiuto del Conte, Leonora gli offre se stessa. Il giovane nobiluomo accetta lo scambio, vedendo finalmente la possibilità di poter conquistare l'amata. E acconsente anche che sia la ragazza stessa a dare la notizia a Manrico. Mentre il Conte va a dare ordine ai suoi uomini di lasciar passar Leonora perché possa andare nella prigione del trovatore, la giovane si avvalena con il veleno che teneva nascosto nel suo anello (che bisogna ovviamente immaginare dotato di pietra preziosa cava), dicendo
Sì, m'avrete, ma fredda, esanime e spoglia.
Cella nel palazzo di Aliaferia.
Manrico e Azucena sono in prigione. La donna delira, pensando al rogo e ai monti della biscaglia, mentre il figlio tenta di consolarla e di darle pace. Quando la zingara si è assopita, giunge Leonora, che annuncia a Manrico la sua libertà, aggiungendo che però lei non potrà andare con lui. Al che il giovane, credendosi tradito da Leonora, la maledice. Soltanto quando la ragazza barcolla e cade a terra, allo stremo delle forze, il trovatore si accorge che qualcosa non va. La giovane nobildonna gli confessa che ha preso il veleno, perché
prima che d'altri vivere io volli tua morir. In questo momento arriva il conte di Luna che si rende conto dell'inganno. Appena Leonora è morta, chiama le guardie perché portino Manrico al suplizio. Il trovatore dà l'addio alla madre e viene condotto fuori dalla cella.
Azucena si desta e chiede al conte notizie di suo figlio. L'uomo le risponde che sta andando a morte. La donna attende la notizia dell'avvenuta morte di Manrico per dire al Conte
Egli era tuo fratello. All'uomo, disperato, non resta che commentare
E vivo ancorTrovatore è un'opera dalla trama intricata, ma fortemente logica, soprattutto se si pensa al personaggio di Azucena, che persegue per tutto il corso dell'opera la sua vendetta. Come dimostrerò in seguito, la donna alleva Manrico, o meglio Garcia, il rapito figlio del Conte di Luna senior, con l'unico scopo di vederlo morire o di vederlo compiere un fratricidio (non bisogna scordare che Azucena fa giurare a Manrico di uccidere il Conte nel caso in cui si ritrovi a combattere con lui).
La vita di Azucena è quindi fissa sull'idea della vendetta e Verdi non ci dice, in nessuna parte dell'opera, che lei ama Manrico, come una madre. In Azucena pare non esservi un solo attimo di cedimento nel perseguire il suo scopo. Se il giovane ama teneramente la donna che l'ha allevato (in fondo Manrico non può aver ricordi pregressi, dato che è stato rapito che aveva sì e no un anno), non si ha amore da parte di Azucena, che vede nel giovane unicamente una pedina da muovere per ottenere la tanto agognata vendetta.
E sta qui che si instaura un altro rapporto familiare. Azucena vuole vendicarsi perché figlia. Desidera distruggere la vita di chi l'ha privata della madre, prima con la volontà di bruciare il piccolo Garcia (e sarà proprio in quel momento, come si vedrà tra poco), che avrà l'unico cedimento, di fronte al pianto di un bambino che aveva la stessa età del suo piccolo che morrà sempre a causa di quella vendetta implacabile; poi con la volontà di provocare un fratricidio.
Azucena non decide di uccidere il Conte di Luna senior, colui che ha dato l'ordine, ma di distruggergli la vita, togliendoli il figlio minore, totalmente innocente della morte della madre. Così come innocente è il Conte di Luna, la cui unica colpa è essere il fratello di Manrico, e quindi il designato perché, alla fine, si compia il fratricidio.
Dipinta così, Azucena appare un essere implacabile e privo di altri sentimenti che non la vendetta. E' chiaro però che la donna soffra terribilmente per la morte della madre e che sia proprio questo suo amore per la madre a rendere possibile il desiderio di vendetta. Come è chiaro che l'infanticidio, lei madre probabilmente amorevole del proprio figlioletto, l'abbia fortemente turbata.
E questo particolare viene ben reso dal racconto di Azucena, dalla sua versione dei fatti nell'atto secondo:
AZUCENA
[...]Dell'ava il fine acerbo
è quella storia... La incolpè superbo
Conte di maleficio, onde asseria
colto un bambin suo figlio... Essa bruciata
Fu dov'arde or quel fuoco!
MANRICO
Ahi!
sciagurata!
AZUCENA
Condotta ell'era in ceppi al suo destin tremendo
col figlio... teco in braccio io la seguia piangendo:
infino ad essa un varco tentai, ma invano, aprirmi...
invan tentò la misera fermarsi, e benedirmi!
Chè, fra bestemmie oscene, pungendola coi ferri,
al rogo la cacciavano gli scellerati sgherri!...
Allor, con tronco accento, mi vendica! esclamò...
Quel detto un eco eterno in questo cor lasciò.
MANRICO
La vendicasti?
AZUCENA
Il figlio giunsi a rapide del Conte,
lo trascinai qui meco!... le fiamme ardean già pronte.
MANRICO
Le fiamme?... oh ciel!... tu forse?
AZUCENA
Ei distruggeasi in pianto...
io mi sentiva il core dilaniato, infranto!...
Quand'ecco agli egri spirti, come in un sogno, apparve
la vision ferale di spaventose larve!...
Gli sgherri ed il supplizio!... la madre smorta in volto...
scalza, discinta!... il grido, il noto grido ascolto...
mi vendica!... La mano convulsa tendo... stringo
la vittima... nel foco la traggo, la sospingo!...
Cessa il fatal delirio... l'orrida scena fugge...
la fiamma sol divampa, e la sua preda strugge!
Pur volgo intorno il guardo, e innanzi a me vegg'io
dell'empio Conte il figlio!...
MANRICO
Ah! come?
AZUCENA
Il figlio mio,
mio figlio avea bruciato!
MANRICO
Che dici! Quale orror!
AZUCENA
Sul capo mio le chiome sento rizzarsi ancor!
(Il brano è cantato da Violeta Urmana, nella produzione del Teatro alla Scala. Direzione: Riccardo Muti. Regia: Hugo de Ana. Manrico: Salvatore Licitra)