Il Calderone di Severus

2.1.2 I rapporti familiari all'interno del panorama operistico. Giuseppe Verdi

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view post Posted on 21/4/2010, 14:45
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All'interno del repertorio operistico, parlando di rapporti familiari, un posto un po' a se stante spetta a Giuseppe Verdi, per il semplice fatto che sul corpus delle sue opere, unicamente in Ernani, Attila, Il Corsaro, La Battaglia di Legnano, Un Ballo in maschera e Otello non sono presenti rapporti familiari che escludano il rapporto moglie-marito che è base, tra l'altro, proprio delle ultime due citate. E' pur vero che, all'interno di questi titoli, esistono tre casi in cui il rapporto parentale viene in un qualche modo espresso.
In Attila è il ricordo continuo della morte del padre, ucciso dal re degli Unni stesso, a condurre all'azione Odabella, la protagonista femminile. E, nel finale, quando uccide Attila, quel Padre!... ah padre il sagrifico a te. lascia aperte le più svariate ipotesi sui sentimenti che avrebbero potuto legare Odabella ad Attila, senza la presenza incombente di un padre, seppur morto.
In Battaglia di Legnano e in Un Ballo in maschera le due dopie coniugali hanno entrambe un figlio, ma la maternità/paternità non è centro del dramma e solo funzionale all'azione. Nel primo caso ai sentimenti feriti di Arrigo che, creduto morto dalla fidanzata e dal migliore amico, ritorna trovando la donna sposata con quest'ultimo; nel secondo alle manovre di Renato per umigliare la moglie Amelia, che ama il migliore amico dell'uomo, Riccardo.

E' però di certo significativo che all'interno del catalogo verdiano i rapporti familiari giungano in molti casi ad essere uno dei centri, se non il centro drammaturgico dell'opera. E' questo il caso, per esempio, de I due Foscari, il cui titolo stesso fa riferimento a Jacopo e Francesco Foscari corrispettivamente figlio e padre, ed in cui la trama si incentra sulla figura del padre, Francesco, doge di Venezia, e sul suo tormento nell'incarcerare ed esiliare il figlio, apparentemente colpevole di tradimento, in una tragedia politica a tinte fosche che si conclude con la morte fuori scena di Jacopo e la grande scena finale in cui il vecchio doge, costretto ad abdicare dal Consiglio dei Dieci, muore a sua volta sentendo i rintocchi delle campane di San Marco, che designano il nuovo doge ed il suo fallimento come padre e come sovrano. E' il caso di Don Carlos, di cui parlerò più ampiamente in seguito, in cui il rapporto padre-figlio assume caretteristiche molto complesse, all'interno di un'opera in cui sono ben presenti rilievi politici e amorosi. E' il caso di Simon Boccanegra, in cui compare, oltre ad uno splendido (e per una volta non tormentoso) rapporto padre-figlia, anche il rapporto nonno-nipote.

Il fatto che mi soffermi molto su Verdi, non implica che gli altri compositori non abbiano messo in luce i rapporti parentali, anzi tutt'altro, però, forse (ci sono molti compositori dimenticati di cui si sa poco o niente e quindi non me la sento di parlare con certezza assoluta) è colui che più di ogni altro ha offerto una centralità così ampia al tema.
Si pone inoltre un problema logistico. Se sui titoli di Verdi si riesce a trovare abbastanza materiale da farvi ascoltare, su altri compositori è ben più difficile (basti pensare a Donizetti, delle cui 72 opere, di note e frequentemente rappresentate ne sono rimaste ben poche).

A conclusione di questa lezione introduttiva (domani vi proporrò la prima opera tra quelle di Verdi che analizzerò), vi lascio l'elenco delle opere di Verdi in cui compare un rapporto parentale. Se non trovate scritto nulla il rapporto è padre-figlio/a, altrimenti specifico. In grassetto sono le opere che penso di trattare.

1. Oberto, conte di San Bonifacio: Obert/Leonora
2. Un giorno di regno: Barone di Kelbar/Giulietta
3. Nabuccodonosor: Nabucco/Fenena e Abigaille
4. I Lombardi alla prima crociata: Arvino/Pagano (fratello/fratello)
Arvino/Giselda
Sofia/Oronte (madre/figlio)
Pagano/Giselda (zio/nipote)
5. I due Foscari: Francesco Foscari/Jacopo Foscari
6. Giovanna d'Arco: Giacomo/Giovanna
7. Alzira: Alvaro/Gusmano
Ataliba/Alzira
8. I Masnadieri: Francesco Moor/Carlo Moor (fratello/fratello)
Massimiliano Moor/Francesco e Carlo Moor
9. Luisa Miller: Conte di Walter/Rodolfo
Miller/Luisa
10. Stiffelio: Stankar/Lina
11. Rigoletto: Rigoletto/Gilda
12. Il Trovatore: Azucena/Manrico (madre/figlio)
Conte di Luna/Manrico (fratello/fratello)
13. La Traviata: Giorgio Germont/Alfredo Germont
14. Les vepres siciliens: Guy de Monfort/Henri
15. Aroldo: Egberto/Mina
16. La Forza del destino: Marchese di Calatrava/Leonora
Carlo di Vargas/Leonora (fratello/sorella)
17. Macbeth: Banquo/Fleanzio (anche se Fleanzio è personaggio muto)
Macduff/figli
18. Don Carlos: Philippe II/Carlos
19. Aida: Amonastro/Aida
20. Simon Boccanegra: Simone/Amelia
Fiesco/Amelia (nonno/nipote)
21. Falstaff: Ford/Nannetta

Se avete domande non esitate a porgemele!

 
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view post Posted on 26/4/2010, 15:54
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Luisa Miller



Libretto: Salvatore Cammarano
Prima rappresentazione: Napoli, Teatro San Carlo, 8 dicembre 1849

Personaggi:
Il conte di Walter (basso)
Rodolfo, suo figlio (tenore)
Federica, duchessa d'Ostheim, nipote di Walter (contralto)
Wurm, castellano di Walter (basso)
Miller, vecchio soldato in ritiro (baritono)
Luisa, sua figlia (soprano)
Laura, contadina (mezzosoprano)
Un contadino (tenore)
Damigelle di Federica, Paggi, Familiari, Arcieri, Abitanti del villaggio.

In Tirolo, nella prima metà del secolo XVII

Trama:

Atto I.
Esterno della casa di Luisa.
E' il compleanno di Luisa. I contadini ed Miller, il padre della fanciulla, si riuniscono per festeggiarlo. La giovane è oltremodo felice perché l'amato Carlo giungerà tra poco. Ed in effetti il giovane sopraggiunge, rendendo felice Luisa e sospettoso il padre di lei che teme che lo spasimante sia soltanto un profittatore che farà soffrire in futuro Luisa.
Miller, rimasto solo, viene avvicinato da Wurm, uomo al servizio del Conte di Walter, il quale gli chiede cosa abbia deciso in merito al suo desiderio, espresso un anno prima, di sposare Luisa. Miller risponde propugnando la libertà di sua figlia di scegliere di sposarsi con colui che veramente ama e che egli mai imporrà la sua volontà in tale campo, perché è un padre e non un tiranno. A questo punto, Wurm che vede sfumare la possibilità di possedere Luisa, rivela all'altro uomo, rendendo pià fondati i sospetti di quest'ultimo, che Carlo altri non è che Rodolfo, figlio del potente conte di Walter, che si è presentato a Luisa sotto mentite spoglie.
Wurm, lasciato Miller, torna al castello del conte, riferendogli la notizia che il figlio pare innamorato di una paesana. Il conte ne è irritato e affranto, perché il figlio amato gli si ritorce contro, nonostante tutto quello che Walter darebbe per donargli prestigio. Ed il matrimonio con Federica, duchessa d'Ostheim, rientra in questo progetto.
Quando Rodolfo apprende del fidanzamento con Federica, supplica il conte di permettergli di non sposare la donna, ma il padre rifiuta. Il giovane tenta di rimettersi a Federica, amica d'infanzia e sua cugina, ma la donna, innamorata di lui, si mostra gelosa e sdegnata, lasciando Rodolfo nella più assoluta prostrazione.
La scena si sposta nuovamente nella casa di Luisa. La giovane attende "Carlo", che le ha promesso di raggiungerla durante la battuta di caccia organizzata dal conte, del quale egli si fa passare come scudiero. Arriva Miller che svela a Luisa che "Carlo" è Rodolfo, figlio del conte, e che questi sta per sposarsi con la duchessa Federica. Ma arriva Rodolfo che, accorgendosi di essere stato scoperto sotto le sue mentite spoglie, rassicura Luisa che egli l'ama ancora e che i suoi sentimenti per lei non sono cambiati e che è disposto, anzi, a sfidare il padre per poterla sposare.
Ma in questo momento nella casa di Luisa irrompe Walter con i suoi ed egli fa arrestare Luisa ed il padre. Rodolfo tenta di fermarlo in tutti i modi, ma vi riesce unicamente quando rivela al padre che egli sa come è riuscito a diventare Conte di Walter. Miller e la figlia, sono quindi, apparentemente salvi.

Atto II.
La casa di Luisa.
Il coro e Laura, amica della giovane, la raggiungono per comunicarle la notizia che il padre è stato arrestato dal conte di Walter. Luisa sta per correre al castello, quando sopraggiunge Wurm, il quale la ricatta, offrendole la salvezza del padre, in cambio di una lettera rivolta a lui - e che egli stesso provvederà a far avere a Rodolfo - in lo rassicura circa il suo amore, aggiungendo che ha voluto sedurre Rodolfo per ottenere dei favori. Luisa è titubante, ma di fronte alla minaccia della decapitazione del padre, accetta il ricatto di Wurm, che la obbliga anche a presentarsi davanti alla duchessa, garantendole il suo amore per Wurm. Ed inoltre è costretta a giurare, pena la morte del padre, di non rivelare mai a nessuno la verità.
Wurm torna al castello ed informa il conte che Luisa ha ceduto e gli domanda per quale motivo, quando ha fatto per arrestare pubblicamente la giovane ed il padre, si sia fermato. Il conte chiede a Wurm di ricordare cosa accadde del precedente conte di Walter. Si scoper quindi che l'attuale conte, aiutato da Wurm che era, allora, confidente del vecchio conte, aveva ucciso il legittimo signore, suo cugino, il quale progettava di sposarsi. La paura di un erede e, quindi, una possibile uscita di scena di Rodolfo dall'asse ereditario diretto, ha spinto all'azione il conte, il quale desidera fama e gloria per l'unico figlio. Ma Rodolfo, attirato dagli spari che hanno ucciso il vecchio conte, ha saputo, dal labbro del moribondo, che era il padre l'autore dell'omicidio e non già dei masnadieri come si è voluto far credere in seguito.
Luisa arriva al castello e, seguendo gli ordini di Wurm, rivela alla duchessa che lei ha sempre amato quest'ultimo e mai Rodolfo.
Il giovane, dal canto suo, riceve la lettera che Wurm ha imposto a Luisa di scrivere. In preda alla disperazione si chiede come possa essersi ingannato fino a quel punto sul conto dell'amata e manda a chiamare Wurm che vuole sfidare a duello. Ma l'uomo, sparando in aria, attira alcuni appartenenti alla corte ed il conte di Walter, il quale dice a Rodolfo che ha compreso il suo orrore e acceta quindi di fargli sposare Luisa, ma il giovane, ingannato dalla lettera, rivela disperato al padre che la giovane l'ha tradito ed il conte gli suggerisce di sposare la duchessa. Rodolfo si abbandona al volere del padre, ma in cuor suo matura propositi di morte.

Atto III.
Luisa è sola nella sua casa. Le sue amiche, capitanate da Laura, tentano di darle conforto e di convincerla a mangiare qualcosa, ma la giovane appare totalmente disinteressata alla vita.
Miller, liberato, come promesso da Wurm, torna a casa e rimane solo con la figlia, dicendole che sa quanto la sua libertà le sia costata. Luisa chiede al padre di donare una lettera a Rodolfo a mezzanotte. In questa, l'uomo legge che la giovane ha intenzione di suicidarsi e di chiedere all'amato di seguirla. Miller rimprovera la figlia che difende il suo desiderio, fino a quando le parole del padre non la fanno precipitare nel senso di colpa e decidere di non seguire la sua risoluzione, prendendo invece la decisione di lasciare per sempre il villaggio e di vagare, insieme, chiedendo il pane di porta in porta. Miller si ritira per dormire, lasciando la figlia sola.
Mentre Luisa prega, Rodolfo entra e versa del veleno nella caraffa d'acqua che sta sul tavolo. Appena Luisa si accorge della sua presenza, il giovane le mostra il foglio, chiedendole, disperato se sia stata lei a scriverlo. La fanciulla, legata dalla promessa fatta a Wurm di non dire nulla a nessuno di quanto accaduto pena la morte del padre, conferma. Rodolfo chiede da bere e dopo che ha bevuto dice che l'acqua è amara. Luisa la beve a sua volta, per accertarsi delle parole di Rodolfo, il quale constata che ormai tutto è compiuto. Quando Rodolfo rivela a Luisa che, insieme a lui, ha bevuto un veleno, la giovane, non più legata dal giuramente, gli rivela ogni cosa. Rodolfo disperato si maledice, ma Luisa lo perdona.
Sopraggiunge Miller che, impotente osserva la figlia morire. La giovane è appena morta, quando sopraggiunge il conte di Walter, insieme a Wurm. Rodolfo raccoglie le ultime forze per uccidere Wurm e, subito muore, accanto a Luisa, pronunciando le ultime parole rivolte al padre: La pena tua mira




In Luisa Miller, tratta dalla tragedia Kabale und Liebe (Cabala e Amore) di Schiller, ci si trova di fronte ad un doppio rapporto padre/figlio, che è, apparentemente antitetico (e su questo punto vado veramente molto sull'opinione personale).
Sicuramente i due padri, Miller, prima, e il conte di Walter, poi, si presentano come due figure antitetiche nelle due loro arie iniziali. Da un lato, Miller, difende la libertà di scelta di sua figlia, dicendo frasi come:
Non son tiranno, padre son io,
non si comanda de' figli al cor.

che denotano sicuramente l'amore che l'uomo ha per sua figlia. Questo è un dato certo. Miller ama Luisa, così come, pur in maniera che a noi appare decisamente sbagliata il conte di Walter ama Rodolfo. Nell'agire dell'uomo non c'è infatti odio, né rivalsa, ma un amore che diventa pretesa di piegare il figlio, di farlo diventare qualcosa che non è. Questo discorso appare chiaro dal fatto che Walter, e nulla a livello librettistico o musicale ci dice che egli menta, si è macchiato le mani del sangue del cugino per vedere Rodolfo potente, ma ancora più questo tratto del carattere del conte, che non è di certo un buon padre (come disse una volta una mia amica con un padre così è meglio essere orfani) e questo non lo nego, anzi è un pessimo padre, prevaricatore e che non comprende affatto il figlio, emerge dalla sua aria di sortita, aria, tra l'altro, priva di cabaletta (per una definizione di cabaletta cfr. lezione 1.4), in cui quindi il sentimento paterno, di una paternità distorta, del conte, non muta, ma rimane stabile a se stesso. E la mancanza della cabaletta sottolinea questa sorta di immobilità di vedute.
E' un brano in cui, accanto al modo di vivere la paternità di Walter, si confonde il senso di colpa per l'omicidio commesso, che porta l'uomo a vedere come una sorta di punizione divina il comportamento del figlio.
La musica, soprattutto nel cantabile, varia man mano che le parole di Walter cambiano sentimento. Se all'inizio, infatti, nell'uomo è presente una certa rabbia nei confronti di Rodolfo, poco dopo si fa più meditabondo e sofferente, mostrando quanto l'affetto del figlio gli manchi, quanto gli manchino le dolcezze della paternità, e di lì va a cercare la causa e la trova in una sorte di punizione divina. Eppure nulla lo porta ad interrogarsi realmente nel suo essere padre. Non v'è consapevolezza delle sue mancanze, del suo non comprendere profondamente Rodolfo. Anche la punizione divina pare diventare una scusante, uno schermo dietro il quale nascondere la verità del suo fallimento come padre, un fallimento che gli costerà il prezzo più caro, nel finale dell'opera stessa, quando Rodolfo si toglierà la vita.

WALTER
(inoltrandosi, seguìto da Wurm)
Che mai narrasti!... Ei la ragione a dunque
smarrì!

WURM
Signor, quell'esaltato capo
voi conoscete.

WALTER
(agitato)
La Duchessa intanto
mi segue!... ~ Digli ch'io lo bramo.

(Wurm si ritira co' servi)

WALTER
Ah! tutto
m'arride... tu, mio figlio, tu soltanto
osi!... La tua felicità non sai
quanto mi costi!...
(è preso da subito timore)
Oh! mai no 'l sappia, mai!
(coprendosi il viso d'ambo le mani. Lungo silenzio)

Il mio sangue, la vita darei
per vederlo felice, possente!...
E a' miei voti, agli ordini miei
si opporrebbe quel cor sconoscente? ~
Di dolcezze l'affetto paterno
a quest'alma sorgente non è...
Pena atroce, supplizio d'inferno
dio sdegnato l'ha reso per me.





Molti spunti di riflessione, circa entrambi i padri, è il lungo finale primo (di cui nell'ascolto che vi proporrò, manca la parte finale, che sarà sottolineata nel testo), unico momento in cui compaiono Miller e Walter a confronto, non solamente come uomini, ma anche come genitori.
In un primo momento la scena si presenta come un confronto tra Rodolfo ed il padre ed il conte appare il cattivo padre descritto poco sopra, troppo preso dai suoi desideri per come deve essere il figlio per rendersi conto che di ben altro carattere è Rodolfo, che altre sono le sue ambizioni, che è diverso da come lui lo vorrebbe. La prima sezione del brano, quindi (in grassetto), si propone come un dialogo tra sordi. Da una parte Walter che non vuole vedere l'amore sincero di Luisa per il figlio e del figlio per Luisa; dall'altro Rodolfo che si oppone al padre, giungendo a snudare la spada di fronte a lui, ma che non può - perché figlio - ucciderlo. Ma è un'opposizione non eroica, incisiva nelle frasi, ma senza eroismo, come si vedrà ancora più nella parte conclusiva della scena (sottolineata e non presente nell'ascolto), in cui Rodolfo, nel tentativo di opporsi all'arresto di Luisa, non riesce mai a fare quanto propone. Un gesto eroico sarebbe stato seguire Luisa in carcere, come propone in seconda opzione, oppure ucciderla, ma, di fronte alle parole del padre, il giovane perde ogni afflato eroico, giungendo a seguire quello che lui stesso dice infernal consiglio: un ricatto. In fondo, Rodolfo, salva Luisa con il mezzo che, nell'atto successivo, il padre, tramite Wurm, utilizzerà per distruggere il suo amore.
Il confronto tra Rodolfo ed il padre, pone quindi in luce, oltre all'incomunicabilità di fondo che sta tra i due - incomunicabilità che non cancella comunque un affetto che, nonostante tutto, esiste -, un punto di contatto nel modo di azione, oltre che ad una certa fragilità caratteriale da parte di Rodolfo che non riesce ad essere mai veramente risoluto nelle sue posizioni.
Interessante, ai fini di un confronto tra le due paternità presentate nell'opera, è la parte centrale del finale primo (in corsivo), in cui Miller mostra un volto, che verrà poi amplificato nel duetto tra Miller e Luisa dell'Atto III, forse inaspettato. Egli, con altri metodi, di certo non impositivi e prevaricatori come quelli di Walter, ottiene dalla figlia quello che vuole.
E mentre Miller si confronta con la figlia, Walter si confronta ancora una volta con il figlio, come si evince benissimo dall'ascolto, dove, dopo la perorazione di Miller, Walter e Rodolfo parlano l'uno all'altro, ancora una volta in un dialogo tra sordi, tra chi non vuole sentire le ragioni dell'altro.
Non ritengo che Miller agisca per imporre se stesso su Luisa, ma a fin di bene. Ciononostante opera un ricatto morale sulla figlia, che tenta di domandare pietà (un gesto fin più che comprensibile, se ci mette nei panni della giovane), con un discorso che punta il dito sulla disumanità di Walter, ma che soprattutto giudica il gesto della figlia come negativo e quasi blasfemo, portandola a pregare (una preghiera che è spontanea nelle parole e nelle affermazioni, ma che parte come preghiera per certi versi imposta dal padre).
Rimane il breve confronto tra i due genitori (parte normale) in cui si pone in luce la differenza morale che intercorre tra il potente - perché non va scordato Walter è un conte, possente - ed il suo sottoposto.

RODOLFO
Tu, signor, fra queste soglie!...
A che vieni?

WALTER
A che? No 'l rese
lo spavento che vi coglie
assai chiaro, assai palese?
Del mio dritto vengo armato
a stornar colpevol tresca.

LUISA, MILLER
Che!...

RODOLFO
L'accento scellerato
più dal labbro mai non t'esca! ~
Puro amor ne infiamma il petto...
oltraggiarlo ad uom non lice.

WALTER
Puro amor, l'amore abbietto
di venduta seduttrice? ~

LUISA, MILLER
Ah!...

(Luisa cade fra le braccia del padre: Rodolfo snuda la spada)

RODOLFO
La vita mi donasti!
(ripone il ferro)
Lo rimembra... t'ho pagato
ora il dono!


MILLER
(che ha posto Luisa sopra una sedia)
A me portasti
grave insulto!... Io fui soldato!...
Trema...

LUISA
(levandosi)
Oh dio!

MILLER
Mi ribollisce
nelle vene il sangue ancor...

WALTER
Ardiresti?...

MILLER
Tutto ardisce
padre offeso nell'onor!...

WALTER
Folle, or or ti pentirai
dell'audacia!... Olà!

(Accorre un drappello d'Arcieri, seguìto da Laura e da molti Contadini.)

ARCIERI
Signore?...

LUISA
Giusto ciel!...

LAURA, CONTADINI
Che avvenne mai?....

RODOLFO
E potresti, o genitore?...

LAURA, CONTADINI
Ei suo figlio!...

WALTER
Arretra, insano!...

RODOLFO
Odi prima...

WALTER
Udir non vo'.
Ambo in ceppi...

(accennando Miller e Luisa agli arcieri)

LAURA, RODOLFO, CONTADINI
Ah!

MILLER
Disumano!

LUISA
(cadendo alle ginocchia di Walter)
Al tuo piè...

MILLER
(rialzandola)
Prostrata!... No!
Fra i mortali ancora oppressa
non è tanto l'innocenza,
che si vegga genuflessa
d'un superbo alla presenza.
A quel dio ti prostra innante
de' malvagi punitor,
non a tal che ha d'uom sembiante,
e di belva in petto il cor.

RODOLFO
Foco d'ira è questo pianto...
cedi... cedi all'amor mio...
Non voler quel nodo infranto,
che tra noi formava iddio...
Negro vel mi sta sul ciglio!...
Ho l'inferno in mezzo al cor!...
Un istante ancor son figlio!...
Un instante ho padre ancor!

WALTER
Tu piegarti, tu, non io,
devi o figlio, cieco, ingrato:
il mio cenno, il voler mio
è immutabil come il fato! ~
Fra il suo core e il cor paterno
frapponeste un turpe amor...
(a Miller e Luisa)
Non può il ciel, non può l'inferno
involarvi al mio furor!

LUISA
(alzando al cielo gli occhi lagrimosi)
Ad immagin tua creata,
o signore, anch'io non fui?
E perché son calpestata
or qual fango da costui?
Deh! mi salva... deh! m'aita...
deh! non m'abbia l'oppressor...
Il tuo dono, la mia vita
pria ripigliati, signor!

LAURA, CONTADINI
(Il suo pianto al pianto sforza!...
Il suo duolo spezza il cor!...)


ARCIERI
Obbedirlo a tutti è forza!
Egli è padre, egli è signor! ~


WALTER
(agli arcieri)
I cenni miei si compiano.

RODOLFO
(mettendosi innanzi a Luisa col ferro sguainato)
Da questo acciar svenato
cadrà chi temerario
s'avanza...

WALTER
Forsennato!...
(prende Luisa e la spinge fra gli arcieri)
In me lo scaglia.

RODOLFO
O rabbia!...
Se tratta è fra catene
la sposa mia, nel carcere
giuro seguirla.

WALTER
Ebbene,
la segui.

RODOLFO
Ah! pria che l'abbiano
quei vili in preda, il core
io le trapasso.

(lanciandosi fra gli arcieri, e mettendo la punta della spada sul petto di Luisa)

WALTER
Uccidila.
Che tardi?

RODOLFO
O mio furore!...
Tutto tentai... non restami
che un infernal consiglio...
se crudo, inesorabile
tu rimarrai col figlio... ~
(all'orecchio di Walter, con terribile accento)
Trema! ~ Svelato agl'uomini
sarà dal labbro mio
come giungesti ad essere
conte di Walter!
(esce rapidamente)

WALTER
(sembra colpito da folgore)
Dio!...
Rodolfo... m'odi.... arrestati...
(Tutto m'ingombra un gel!...)
Costei lasciate... è libera...
(convulso e pallido in volto più della morte, cerca raggiungere il figlio)

LAURA, CONTADINI, ARCIERI
Fia ver!...

LUISA, MILLER
Pietoso ciel!...
(gli arcieri partono; Luisa cade in ginocchio mezzo svenuta; gli altri le accorrono d'intorno)






Ultimo snodo fondamentale, come accennato sopra è il duetto tra padre e figlia del terzo atto, di cui, purtroppo non ho trovato nessun ascolto da proporvi o perché mancanti della parte per me più interessante, o perché dall'audio veramente pessimo.
Snodo, per me, fondamentale, per sottolineare meglio come anche Miller sia, alla fine, un padre che impone se stesso sulla figlia, usando il senso di colpa che certe scelte della giovane fanno ricadere su di lei. E' il caso del momento (di cui riporto sotto il libretto) la giovane svela al padre le sue intenzioni suicide.
Appare chiaro che Luisa sia ben convinta della sua scelta - ed in fondo, la sua reazione alla morte che le dà Rodolfo è la reazione di qualcuno che vuole la morte e non già di qualcuno che vuole la vita -, che veda nella morte l'unica via di uscita da un mondo opprimente (di un'oppressione che viene da Wurm, da Walter ed anche dal padre stesso), ma le parole di Miller che, più che nel finale prima, portano ad una sorta di ricatto morale sull'anima della giovane, la fanno desistere, perché - e lo dice chiaramente - si sente colpevole, al punto tale da annulare la propria volontà in quella del padre.
E quando arriverà la scelta di andare insieme a mendicare, è Miller che intona la melodia, fintamente cullante, che viene ripresa da Luisa, in un simbolo musicale dell'accettazione passiva della volontà paterna (e qui mi dolgo ancora di più di non potervi proporre l'esempio musicale della scena).
Certo, Miller non è Walter, non arriva mai a tanto, ma come Walter su Rodolfo impone se stesso sulla volontà di Luisa. In fin dei conti, i due giovani sono soli, senza alcun appoggio adulto - Miller nel finale primo non difende il loro amore, ma l'onore della figlia che è qualcosa di ben diverso -, a lottare per la loro felicità, felicità che, alla fine, da parte di entrambi è raggiungibile solo attraverso la morte.
Se è Rodolfo che dà la morte a Luisa e si suicida, nulla impedisce di pensare che Luisa avrebbe bevuto ugualmente dalla coppa colma di acqua avvelenata, anche nel caso in cui avesse saputo che lì v'era la morte. Ed alcune messe in scene la rappresentano consapevole fin dal momento in cui beve, del proprio destino. Se sia giusto o sbagliano nessuno può saperlo ovviamente.


LUISA
La tomba è un letto sparso di fiori,
in cui del giusto la spoglia dorme,
sol pei colpevoli, tremanti cori
veste la morte orride forme;
ma per due candide alme fedeli
la sua presenza non ha terror...
È dessa un angelo che schiude i cieli,
ove in eterno sorride amor.

MILLER
Figlia?... ~ Compreso d'orror io sono! ~
Figlia... e potresti... contro... te stessa?...
Pe 'l suicida non v'è perdono!

LUISA
È colpa amore?

MILLER
Cessa...Deh! Cessa...
Di rughe il volto... mira... ho solcato...
il crin m'imbianca l'età più greve...
L'amor che un padre ha seminato
ne' suoi tardi anni raccoglier deve...
Ed apprestarmi crudel tu puoi
messe di pianto e di dolor?...
Ah! nella tomba che schiuder vuoi
fia primo a scendere il genitor!

LUISA
Ah! no... ti calma, o padre mio...
Quanto colpevole, ahimè! son io...
Non pianger... m'odi!...

MILLER
Luisa...



Con i versi di Cammarano vi lascio, proponendovi di dare una vostra opinione su queste due figure paterne, dal mio punto di vista molto controverse e di immaginare (bastano poche righe) cosa ne sarà di Walter o di Miller dopo la morte dei rispettivi figli.
Ovviamente per ogni domanda sono a vostra disposizione.





 
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view post Posted on 27/4/2010, 10:01
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I ♥ Severus


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Ooh... sono molto stupita della profondità psicologica di questo tuo lungo commento intrepertativo dell'opera e mi inchino alle tue conoscenze.
L'ascolto lo devo rimandare a questa sera, insieme alla rilettura dei brani del libretto e all'esecuzione dei compiti, che farò sull'onda emotiva della musica.
 
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view post Posted on 27/4/2010, 12:44
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CITAZIONE (Ida59 @ 27/4/2010, 11:01)
Ooh... sono molto stupita della profondità psicologica di questo tuo lungo commento intrepertativo dell'opera e mi inchino alle tue conoscenze.

Guarda che poi mi monto la testa! :P
Il tutto è frutto, in realtà, di diversi ascolti dal vivo (l'ultimo giusto domenica scorsa a Torino... durante le mie vancaze italiane, non perdo il vizio di andare di teatro in teatro) e dell'amore viscerale che nutro per quest'opera, che mi ha portata a riflettere a lungo sulle relazioni tra i personaggi che sono ricchissime e diversamente interpretabili.
 
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view post Posted on 4/5/2010, 09:04
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Perdono, perdono, perdono... non ho ancora fatto i compiti, ma posso farli solo di sera e queste ultime sere non sono state molto tranquille (e ieri ero così a pezzi che non ho nepure acceso il PC!).
Spero di riuscirci stasera.
 
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view post Posted on 4/5/2010, 12:47
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CITAZIONE (Ida59 @ 4/5/2010, 10:04)
Perdono, perdono, perdono... non ho ancora fatto i compiti, ma posso farli solo di sera e queste ultime sere non sono state molto tranquille (e ieri ero così a pezzi che non ho nepure acceso il PC!).
Spero di riuscirci stasera.

Non ti preoccupare!! Fai i compiti quando puoi e riesci. Grazie al cielo non è come quando si va a scuola e c'è la data di consegna che si avvicina fatidica e si è sempre in alto mare.
 
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view post Posted on 10/5/2010, 21:26
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I ♥ Severus


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Finalmente ho ascoltato i brani, ma per i compiti mi serve un po' di tempo, riascoltare i pezzi e lasciar libera l'immaginazione.
Non so... magari è strano, ma in fondo mi piace di più il Conte, rispetto a Miller: è come se, nella sua ira disillusa, lo trovassi più sincero rispetto al ricatto mascherato dell'altro.
L'idea di che sarà dei due genitori già ce l'ho, ma ci vuole un pochino di tempo per svilupparla, e ora sono stanca.
 
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view post Posted on 26/5/2010, 19:39
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I ♥ Severus


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Solo per ricordarmi che devo ancora fare i compiti... e ripescare la vaga idea che avevo avuto ma che ora non ricordo più. Mi sa che devo risentire i brani.
 
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view post Posted on 1/10/2010, 10:15
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Dopo la pausa estiva torno con un’opera dalla trama quanto mai contorta e che io amo particolarmente.
Premetto che avrebbe dovuto essere Rigoletto il centro della prossima lezione circa Verdi ed i rapporti parentali, ma devo ancora individuare gli esempi musicali migliori per l’occasione (e le regie mi stanno dando molto da penare, per farmi evitare una lezione vietata ai minori).
Quindi sarà il turno de Il Trovatore, dove per un istante abbandonerò il confronto padre-figlio, per spostarmi sul confronto madre-figlio, dicendo fin da ora che, nell’opera, in generale, quando la madre non è morta, è meglio non averla proprio :P.


Il Trovatore



Libretto: Salvatore Cammarano
Prima rappresentazione: Roma, Teatro Apollo, 19 gennaio 1853

Personaggi:
Il conte di Luna, giovane gentiluomo aragonese (baritono)
Leonora, dama di compagnia della principessa d'Aragona (soprano)
Azucena, zingara della Biscaglia (mezzosoprano)
Manrico, ufficiale del principe d'Urgel e figlio di Azucena (tenore)
Ferrando, capitano degli armati del Conte di Luna (basso)
Ines, confidente di Leonora (soprano)
Ruiz, soldato al seguito di Manrico (tenore)
Un vecchio zingaro (basso)
Un messo (tenore)
Compagne di Leonora e religiose, familiari del conte, uomini d'armi, zingari e zingare.

In Aragona e Biscaglia, ai principi del XV secolo.

Piccola premessa, prima di entrare nella trama vera e propria. La vicenda si svolge durante una guerra civile, per la successione al trono di Aragona, che vede contrapposti il principe d'Urgel e il principe d'Aragona. La vicenda guerresca è minoritaria all'interno della storia, la cosa importante è sapere che ci sono queste due fazioni che oppongono Manrico e il conte di Luna. Altra piccola nota, dal momento che si parla, in principio di storia, del padre del conte di Luna e dato che nessuno dei due è chiamato per nome, quindi mi sarebbe difficile distinguerli, chiamerà il padre conte di Luna senior.

Parte I. Il duello.
Palazzo di Aliaferia. Aragona. E' una notte senza luna.
Ci troviamo all'esterno degli appartamenti del conte di Luna. I suoi armigeri, capitanati da Ferrando, vegliano, annoiati. Il vecchio armigero dice che il conte è preda dell'amore per Leonora e che passa le notti sotto il suo balcone, temendo, però, il giungere di un trovatore, suo rivale. Gli uomini d'arme, chiedono a Ferrando di narrare la storia di Garcia, fratello del conte. E l'uomo accetta.
Il conte di Luna senior aveva due figli e una nutrice vegliaga presso la culla del secondo nato, quando, verso il mattino, questa vi trovò accanto una zingara, che lo stava ammaliando. La zingara fu condannata a morte e bruciata sul rogo, ma la donna aveva una figlia, che si fece carico della vendetta e rapì il piccolo Garcia, il cui corpicino venne ritrovato morto, arso su un rogo, nello stesso punto dove fu bruciata la zingara. Il conte di Luna senior visse per pochi anni dopo la morte del figlio, covando il cuore il presentimento che il piccolo non fosse in realtà morto. Sul letto di morte fece promettere all'altro figlio - l'attuale conte di Luna, quindi - di continuare a cercare il fratello, cosa a cui il giovane si è dedicato, pur senza ottenere alcun risultato.
Gli armigeri del conte maledicono, mentre suona mezzanotte la zingara che ha ucciso il piccolo Garcia.
La scena si sposta nel giardino del palazzo, dove si trovano Leonora e Ines. Quest'ultima chiede all'amica di rientrare, ma la giovane è inquieta perché da qualche notte il suo amato non si fa vedere. Al che Ines le chiede come mai l'abbia conosciuto e chi sia quest'uomo misterioso. Leonora racconta che si è innamorata di lui durante un torneo, perdendone poi le tracce, fino a quando una notta un trovatore non ha cantato sotto i suoi balconi. Ed ella ha riconosciuto nel giovane proprio colui di cui si era innamorata.
Ines, che presagisce che quest'amore sarà fatale all'amica, la prega di dimenticare l'uomo, ma Leonora le dice che è impossibile, anzi che lei potrà soltanto vivere o morire per lui.
Dopo che le due donne sono finalmente rientrate all'interno del palazzo, si fa avanti il conte di Luna che osserva la luce che si intravede dalla camera di Leonora. Crede che quella sia la notte giusta per rivelarle il suo amore e si appresta ad entrare nel palazzo, quando ode degli accenti tratti da un liuto. E' il trovatore ed il suo canto fa fremere di gelosia il conte. A questo punto Leonora esce dal palazzo e, scambiando il conte (che è avvoltolato nel mantello, quindi un'ombra nel giardino scarsamente illuminato, in una notte senza luna) per il trovatore, gli confessa il suo amore. Il trovatore esce allo scoperto (il tenore canta la parte fuori scena) e dice a Leonora di essergli infida. La ragazza si accorge dell'errore, spiega lo sbaglio al trovatore e gli dice che lei ama solo lui. Il conte si infuria e chiede al trovatore di rivelare il suo nome. Questi accetta e dice di essere Manrico. Il conte riconosce quindi in lui un avversario politico e lo sfida a duello. Leonora tenta di separarli, ma i due uomini, l'uno roso dalla gelosia, l'altro pronto a battersi per la giovane, non sentono ragioni e si allontanano, lasciando sola la ragazza.

Parte II. La Gitana
Un accampamento di zingari. Verso l'alba.
Gli zingari e le zingare stanno attendendo l'alba, cantando e danzando, ma la loro allegria è interrotta dalla nenia di una di loro, Azucena, la quale ricorda, cupamente un rogo e la donna che vi è stata bruciata. Quando gli zingari hanno tutti lasciato l'accampamento, per andarsi a procacciare il pane nelle propinque ville, la donna rimane sola con il figlio, Manrico, che si sta rimettendo da una ferita.
Il giovane le chiede di raccontare la storia funesta che si nasconde dietro la sua cupa canzone. La donna acconsente.
Ricorda la morte della madre, la quale, accusata di aver ammaliato un bambino, è stata condannata al rogo dal Conte di Luna senior. Nel morire la donna si è rivolta alla figlia, che la seguiva con il figlioletto tra le braccia, e le ha ingiunto di vendicarla. Per farlo Azucena ha rapito il figlio del conte (quindi il Garcia di cui parla Ferrando nel primo atto) e l'ha condotto con sé, fino al luogo dove era stata arsa la madre. Lì ha acceso un nuovo rogo, ma le lacrime del bambino l'hanno fermata per un istante. L'apparizione improvvisa della madre ed il grido mi vendica hanno però indotto la donna a gettare il bambino nel fuoco, soltanto quando è stato troppo tardi, Azucena si è accorta di aver bruciato il suo stesso figlio, anziché il figlio del conte di luna.
A questo punto Manrico, sconvolto dal racconto di Azucena, le chiede se egli sia veramente suo figlio. La donna lo rassicura, dicendogli che quando ricorda quegli eventi la sua mente si smarrisce. Gli dimostra inoltre quanto sia stata amorosa nei suoi confronti, lei che l'ha raggiunto nei campi di Pelilla, dov'era caduto in battaglia e dove tutti lo credevano morto e lei l'ha curato, strappandolo alla morte. Manrico crede alle parole della donna e si ritrova a rispondere alle domande della donna, la quale gli chiede per quale motivo, quando ne ha avuto l'occasione non abbia ucciso il conte di luna.
Il giovane risponde dicendo che, quando l'ha avuto in sua mercé in singolar tenzone (si tratta quindi dell'esito del duello della parte I), nel momento in cui avrebbe dovuto calar la spada, ha come sentito una voce dal cielo che gli intimava di non ferirlo. Al che Azucenza risponde che nel cuore del conte, durante la battaglia dei campi di Pelilla, non ha parlato alcuna voce, dal momento che è stato proprio il nobiluomo ha ferire mortalmente Manrico. La donna fa quindi promettere al figlio di uccidere il conte di Luna non appena ne avrà l'occasione.
In quel momento arriva un messo che annuncia a Manrico che Castellor è in mano dei fidi di Urgel e che Urgel stesso invita il giovane trovatore a portarsi nella rocca per vigilarne le difese. Nel frattempo però, Leonora, credendo morto Manrico, ha deciso di farsi suora quella sera stessa nel vicino chiostro della croce.
Manrico, in preda al sentimento amoroso, corre a fermare Leonora, senza ascoltare le preghiere della madre che tenta di trattenerlo.
Chiostro della Croce. E' notte.
Il Conte di Luna, anch'egli a conoscenza della scelta di Leonora e certo che Manrico sia morto, si trova nel chiostro del convento dove la fanciulla prenderà il velo. Insieme ai suoi, vuole rapire la giovane e portarla con sé, certo che il suo amore saprà vincere la sua resistenza.
Leonora giunge con le sue dame ed è in procinto di entrare nel convento quando si palesa il Conte, ma il giovane non può nulla, perché arriva anche Manrico con i suoi. Gli uomini di de Luna sono messi in fuga dal manipolo capitanato dal trovatore e Leonora fugge, di sua volontà, con l'amato.

Parte III. Il Figlio della Zingara.
Accampamento del Conte di Luna, nei pressi di Castellor.
I soldati si preparano ad assaltare il castello l'indomani, mentre il Conte è roso dalla gelosia e dalla volontà di strappare Leonora a Manrico. In quel momento Ferrando conduce con sé una zingara fatta prigioniera, mentre si aggirava intorno al campo.
Interrogata dal conte la zingara, che è ovviamente Azucena, dice di venire da Biscaglia e di essere alla ricerca del figlio che l'ha lasciata sola. Il conte le chiede se non rammenta un fanciullo, figlio di conti, rapito dal suo castello quindici anni prima. Azucena gli chiede chi lui sia e il conte le svela di essere il fratello del rapito. La donna nega di aver mai sentito parlare dell'accaduto, ma Ferrando la riconosce come la zingara che ha rapito il piccolo Garcia. La donna invoca il soccorso di Manrico ed il conte decide di sfruttare la cosa per far cadere in trappola Manrico, oltre che per vendicare il fratello.
Presso la cappella di Castellor.
Leonora e Manrico stanno per sposarsi, quando arriva Ruiz con la notizia che Azucena è prigioniera e che è stata condannata al rogo. Il trovatore, incurante del pericolo, decide di precipitarsi a salvare la madre.

Parte IV. Il supplizio.
Palazzo di Aliaferia. Notte oscurissima.
Manrico è stato catturato e rinchiuso in carcere insieme alla madre per essere giustiziati entrambi l'indomani, il giovane decapitato e la zingara bruciata.
Leonora ha scoperto dove l'amato sia rinchiuso e, accompagnata da Ruiz, si reca presso il palazzo di Aliaferia nella cui torre gemono i prigionieri di stato. La ragazza è decisa a salvare Manrico anche a costo della propria vita o a morire con lui, decisione resa ancor più risoluta nel momento in cui la giovane ode la voce del trovatore che canta dalla sua prigione.
In quel momento, dopo che Ruiz se n'è già andato da tempo, giunge il Conte di Luna che ha cercato invano Leonora, la quale, celatasi poco prima, si palesa all'uomo, chiedendogli grazia per Manrico. Al rifiuto del Conte, Leonora gli offre se stessa. Il giovane nobiluomo accetta lo scambio, vedendo finalmente la possibilità di poter conquistare l'amata. E acconsente anche che sia la ragazza stessa a dare la notizia a Manrico. Mentre il Conte va a dare ordine ai suoi uomini di lasciar passar Leonora perché possa andare nella prigione del trovatore, la giovane si avvalena con il veleno che teneva nascosto nel suo anello (che bisogna ovviamente immaginare dotato di pietra preziosa cava), dicendo Sì, m'avrete, ma fredda, esanime e spoglia.
Cella nel palazzo di Aliaferia.
Manrico e Azucena sono in prigione. La donna delira, pensando al rogo e ai monti della biscaglia, mentre il figlio tenta di consolarla e di darle pace. Quando la zingara si è assopita, giunge Leonora, che annuncia a Manrico la sua libertà, aggiungendo che però lei non potrà andare con lui. Al che il giovane, credendosi tradito da Leonora, la maledice. Soltanto quando la ragazza barcolla e cade a terra, allo stremo delle forze, il trovatore si accorge che qualcosa non va. La giovane nobildonna gli confessa che ha preso il veleno, perché prima che d'altri vivere io volli tua morir. In questo momento arriva il conte di Luna che si rende conto dell'inganno. Appena Leonora è morta, chiama le guardie perché portino Manrico al suplizio. Il trovatore dà l'addio alla madre e viene condotto fuori dalla cella.
Azucena si desta e chiede al conte notizie di suo figlio. L'uomo le risponde che sta andando a morte. La donna attende la notizia dell'avvenuta morte di Manrico per dire al Conte Egli era tuo fratello. All'uomo, disperato, non resta che commentare E vivo ancor


Trovatore è un'opera dalla trama intricata, ma fortemente logica, soprattutto se si pensa al personaggio di Azucena, che persegue per tutto il corso dell'opera la sua vendetta. Come dimostrerò in seguito, la donna alleva Manrico, o meglio Garcia, il rapito figlio del Conte di Luna senior, con l'unico scopo di vederlo morire o di vederlo compiere un fratricidio (non bisogna scordare che Azucena fa giurare a Manrico di uccidere il Conte nel caso in cui si ritrovi a combattere con lui).
La vita di Azucena è quindi fissa sull'idea della vendetta e Verdi non ci dice, in nessuna parte dell'opera, che lei ama Manrico, come una madre. In Azucena pare non esservi un solo attimo di cedimento nel perseguire il suo scopo. Se il giovane ama teneramente la donna che l'ha allevato (in fondo Manrico non può aver ricordi pregressi, dato che è stato rapito che aveva sì e no un anno), non si ha amore da parte di Azucena, che vede nel giovane unicamente una pedina da muovere per ottenere la tanto agognata vendetta.
E sta qui che si instaura un altro rapporto familiare. Azucena vuole vendicarsi perché figlia. Desidera distruggere la vita di chi l'ha privata della madre, prima con la volontà di bruciare il piccolo Garcia (e sarà proprio in quel momento, come si vedrà tra poco), che avrà l'unico cedimento, di fronte al pianto di un bambino che aveva la stessa età del suo piccolo che morrà sempre a causa di quella vendetta implacabile; poi con la volontà di provocare un fratricidio.
Azucena non decide di uccidere il Conte di Luna senior, colui che ha dato l'ordine, ma di distruggergli la vita, togliendoli il figlio minore, totalmente innocente della morte della madre. Così come innocente è il Conte di Luna, la cui unica colpa è essere il fratello di Manrico, e quindi il designato perché, alla fine, si compia il fratricidio.
Dipinta così, Azucena appare un essere implacabile e privo di altri sentimenti che non la vendetta. E' chiaro però che la donna soffra terribilmente per la morte della madre e che sia proprio questo suo amore per la madre a rendere possibile il desiderio di vendetta. Come è chiaro che l'infanticidio, lei madre probabilmente amorevole del proprio figlioletto, l'abbia fortemente turbata.
E questo particolare viene ben reso dal racconto di Azucena, dalla sua versione dei fatti nell'atto secondo:

AZUCENA
[...]Dell'ava il fine acerbo
è quella storia... La incolpè superbo
Conte di maleficio, onde asseria
colto un bambin suo figlio... Essa bruciata
Fu dov'arde or quel fuoco!

MANRICO
Ahi!
sciagurata!

AZUCENA
Condotta ell'era in ceppi al suo destin tremendo
col figlio... teco in braccio io la seguia piangendo:
infino ad essa un varco tentai, ma invano, aprirmi...
invan tentò la misera fermarsi, e benedirmi!
Chè, fra bestemmie oscene, pungendola coi ferri,
al rogo la cacciavano gli scellerati sgherri!...
Allor, con tronco accento, mi vendica! esclamò...
Quel detto un eco eterno in questo cor lasciò.

MANRICO
La vendicasti?

AZUCENA
Il figlio giunsi a rapide del Conte,
lo trascinai qui meco!... le fiamme ardean già pronte.

MANRICO
Le fiamme?... oh ciel!... tu forse?

AZUCENA
Ei distruggeasi in pianto...
io mi sentiva il core dilaniato, infranto!...
Quand'ecco agli egri spirti, come in un sogno, apparve
la vision ferale di spaventose larve!...
Gli sgherri ed il supplizio!... la madre smorta in volto...
scalza, discinta!... il grido, il noto grido ascolto...
mi vendica!... La mano convulsa tendo... stringo
la vittima... nel foco la traggo, la sospingo!...
Cessa il fatal delirio... l'orrida scena fugge...
la fiamma sol divampa, e la sua preda strugge!
Pur volgo intorno il guardo, e innanzi a me vegg'io
dell'empio Conte il figlio!...

MANRICO
Ah! come?

AZUCENA
Il figlio mio,
mio figlio avea bruciato!

MANRICO
Che dici! Quale orror!

AZUCENA
Sul capo mio le chiome sento rizzarsi ancor!

(Il brano è cantato da Violeta Urmana, nella produzione del Teatro alla Scala. Direzione: Riccardo Muti. Regia: Hugo de Ana. Manrico: Salvatore Licitra)


E' quindi un momento di pietà che porta Azucena ad uccidere il proprio figlio, l'unico suo momento di follia, perché dopo non vi saranno più cedimenti, ma soltanto un mandare Manrico contro il Conte di Luna, un mandare il Conte di Luna contro Manrico.
Voglio sottolineare fin da ora che Azucena non è pazza, ma perfettametne lucida nella sua vendetta. Era questo un punto su cui lo stesso Verdi è sempre stato molto preciso nelle sue lettere. Azucena non è una donna resa folle dal dolore, ma una donna che agisce con logica ferrea, tranne che in quel momento in cui scaglia nel fuoco il proprio figlioletto (si immagina naturalemtne un figlio che abbia la stessa età... facciamo 10 mesi del bimbo rapito), perché il pianto del piccolo di Luna, la commuove, lei che è pur sempre, all'epoca, una madre ed una figlia appena rimasta orfana in maniera violenta e orribile.

Poco sopra vi parlavo dell'amore di Manrico per Azucena, quindi del suo amore filiale per una donna che non è sua madre, ma non solo, per una donna che lo condannerà a morte, che lo ha già condannato a morte da tempo.
E l'amore di Manrico emerge subito dopo il terribile racconto di Azucena, quando la interroga:

MANRICO
Non son tuo figlio?... e chi son io, chi dunque?

AZUCENA
Tu sei mio figlio!

MANRICO
Eppur dicesti...

AZUCENA
Ah!... forse...
che vuoi!... quando al pensier s'affaccia il truce
caso, lo spirto intenebrato pone
stolte parole sul mio labbro... madre,
tenera madre non m'avesti ognora?

MANRICO
Potrei negarlo?

AZUCENA
A me, se vivi ancora,
nol dei? Notturna, nei pugnati campi
di Pelilla, ove spento
Fama ti disse, a darti
sepoltura non mossi? La fuggente
aura vital non iscovrì, nel seno
non t'arrestò materno affetto?... E quante
cure non spesi a risanar le tante
ferite!...

Credo che si noti bene come Manrico liquida velocamente il dubbio circa la maternità di Azucena e come accetti rapidamente la sua spiegazione che non appare, almeno ai miei occhi, particolarmente convincente. In nessun altro punto dell'opera, tra l'altro, Manrico è mai preso da dubbi, anzi parla sempre di Azucena come di sua madre e per lei è disposto a rischiare la vita alla fine del terzo atto (madre infelice, corro a salvarti / o teco almeno corro a morir), cosa che dimostra quanto egli ami la donna.
Ho sempre ritenuto - altrimenti il nostro eroe risulterebbe di una tontaggine incredibile - che Manrico non voglia credere alla verità insita nel racconto di Azucena. Verità a cui crede l'ascoltatore, ma a cui non crede lui. Perché, in fondo, molto umanamente, Manrico non vuole credere che la donna che lui ama di tutto il suo amore filiale, sia un'assassina. Forse non crede nemmeno che Azucena abbia ucciso il figlio del Conte, credendo - o meglio, volendo credere - che fosse tutto un delirio, dovuto al dolore della zingara per la morte della madre.
Il momento del racconto può apparire come l'unico errore commesso da Azucena nell'opera. In fondo rischia molto raccontando tutto a Manrico, ma credo che, appunto perché Azucena, pur nella sua logica, nel suo irrefrenabile desiderio di vendetta, è comunque umana, un essere che ha sofferto tremendamente per la morte della madre e per l'infanticidio, la donna si lasci trascinare dai ricordi e racconti più di quanto non vuole a Manrico, sapendo forse, subito dopo, di avere il completo affetto del "figlio", la sua completa fiducia, tanto che, come vi ho detto, Manrico liquida velocemente i dubbi.
Nel gesto di Azucena che va a cercare Manrico sul campo di battaglia, potrebbe essere riconoscibile un gesto di materna cura. Io però preferisco vederlo come un gesto di chi dispera del veder compiersi nella maniera più terribile la propria vendetta. Se Manrico è caduto in battaglia, ferito è vero dal Conte, ma da un Conte inconsapevole di quello che ha fatto, la sua vendetta sarebbe compiuta unicamente a metà. E' necessario che Manrico viva perché possa essere ucciso dal fratello, o perché egli possa uccidere il fratello.
E quest'ipotesi è ben visibile dal cantabile del duetto tra Azucena e Manrico, che segue di poco la parte di recitativo che vi ho riportato poco sopra. Si tratta del momento in cui Manrico spiega perché nel duello ha risparmiato il Conte (udendo quella voce dal cielo che è il famoso richiamo del sangue), seguita da Azucena che gli fa promettere di uccidere l'uomo se si ritrovasse a duellare ancora con lui, quindi ad uccidere suo fratello.

MANRICO
Mal reggendo all'aspro assalto,
ei già tocco il suolo avea:
balenava il colpo in alto
che trafiggerlo dovea...
quando arresta un moto arcano
nel discender questa mano...
le mie fibre acuto gelo
fa repente abbrividir!
Mentre un grido vien dal cielo,
che mi dice: non ferir!

AZUCENA
Ma nell'alma dell'ingrato
non parlò del cielo il detto!
Oh! Se ancor ti spinge il fato
a pugnar col maledetto,
compi, o figlio, qual d'un Dio,
compi allora il cenno mio!
Sino all'elsa questa lama
vibra, immergi all'empio in cor.

(Azucena: Yvonne Naef; Manrico: José Cura; Direzione: Carlo Rizzi; Regia: Elijah Moshinsky; Londra, Covent Garden)


Nel trovatore non esiste però solo il rapporto zoppo madre-figlio, ma anche il rapporto fratello-fratello, a sua volta zoppo. Solo il Conte di Luna è consapevole di aver un fratello, anzi il Conte cerca da anni il fratellino scomparso (si può ipotizzare che il Conte quando Manrico/Garcia sia stato rapito avesse sui 6-7 anni), senza mai trovarlo, ma senza mai demordere nella ricerca. E' insito nel Conte l'amore per il fratello rapito, che non può voler credere che sia morto in quel modo orrendo.
E di questo amore è prova la scena del terzo atto, in cui Azucena viene portata di fronte al conte. Non appena l'uomo scopre che la donna vien da Biscaglia, egli non chiede cosa diamine ci faccia lì una zingara, non la interroga per scoprire se la donna non sia per caso una spia degli uomini di Urgel (in fondo il Conte dovrebbe sapere che vi sono degli zingari tra le loro fila), ma si affretta a interrogarla circa il fratello, sperando di averne notizie.
Ed Azucena approfitta della situazione, anche quando viene riconosciuta da Ferrando. Ho sempre avuto la netta impressione che la donna invochi appositamente Manrico, rivelando al conte che il suo rivale in amore è suo figlio, ma tacendogli ovviamente che Manrico sia il fratello tanto cercato, tanto amato, perché questo avrebbe reso vana la sua vendetta. In fondo Azucena pone volutamente le basi per il finale dell'opera, per il fratricidio.
Il Conte di Luna, che non è come a volte si pensa, il villain dell'opera, è soltanto una vittima della vendetta di Azucena, un giovane uomo (ricordiamo che se Manrico a 16 anni, il Conte ne avrà al massimo 22-23) roso dalla gelosia, certamente, ma non cattivo. Egli stesso, nel mandare a morte Manrico, si chiede se non abusi del potere che gli ha trasmesso il principe di Aragona. Non è un uomo senza cuore, ma un uomo innamorato e respinto, geloso di Manrico che è anche un esponente dell'esercito nemico in una guerra civile. Ma se avesse saputo che Manrico era il fratello tanto cercato, avrebbe sicuramente messo a tacere la gelosia e lasciato che il giovane e Leonora potessero essere felici.
Certo, condanna Azucena al rogo, ma ricordiamoci che la vicenda si svolge comunque in un momento segnato dalla guerra civile e che il Conte è mosso dal desiderio di vendicare il fratello che ormai, avendo trovato la rapitrice, potrebbe credere veramente assassinato e perduto per sempre.
Ciò non toglie il fatto che Azucena intrappoli lo stesso Conte nella sua trama di vendetta. Avrebbe la possibilità di parlare, di dire "tuo fratello è vivo", ma tace e mente. E questa è prova che non ha dubbi, né tentennamenti, che Manrico è veramente null'altro che una pedina sul suo scacchiere.

Esploratori
Innanzi, o strega, innanzi...

Azucena
Aita!... Mi lasciate... O furibondi,
Che mal fec'io?

Conte
S'appressi.
(Azucena è tratta innanzi al Conte)
A me rispondi
E trema dal mentir!

Azucena
Chiedi!

Conte
Ove vai?

Azucena
Nol so.

Conte
Che?

Azucena
D'una zingara è costume
Mover senza disegno
Il passo vagabondo,
Ed è suo tetto il ciel,
Sua patria il mondo.

Conte
E vieni?

Azucena
Da Biscaglia, ove finora
Le sterili montagne ebbi a ricetto!

Conte
(Da Biscaglia!)

Ferrando
(Che intesi!... O qual sospetto!)

Azucena
Giorni poveri vivea,
Pur contenta del mio stato;
Sola speme un figlio avea...
Mi lasciò!... m'oblìa, l'ingrato!
Io deserta, vado errando
Di quel figlio ricercando,
Di quel figlio che al mio core
Pene orribili costò!...
Qual per esso provo amore
Madre in terra non provò!

Ferrando
(Il Suo volto!)

Conte
Di', traesti
Lunga etade tra quei monti?

Azucena
Lunga, sì.

Conte
Rammenteresti
Un fanciul, prole di conti,
Involato al suo castello,
Son tre lustri, e tratto quivi?

Azucena
E tu, parla... sei?...

Conte
Fratello del rapito.

Azucena
(Ah!)

Ferrando
(notando il mal nascosto terrore di Azucena)
(Sì!)

Conte
Ne udivi
Mai novella?

Azucena
Io?... No... Concedi
Che del figlio l'orme io scopra.

Ferrando
Resta, iniqua...

Azucena
(Ohimè!...)

Ferrando
Tu vedi
Chi l'infame, orribil opra
Commettea...

Conte
Finisci.

Ferrando
È dessa.

Azucena (piano a Ferrando)
(Taci)

Ferrando
È dessa che il bambino
Arse!

Conte
Ah! perfida!

Coro
Ella stessa!

Azucena
Ei mentisce...

Conte
Al tuo destino
Or non fuggi.

Azucena
Deh!...

Conte
Quei nodi
Più stringete.
(I soldati eseguiscono)

Azucena
Oh! Dio!... Oh Dio!...

Coro
Urla pure.

Azucena (con disperazione)
E tu non m'odi,
O Manrico, o figlio mio?...
Non soccorri all'infelice
Madre tua?

Conte
Sarebbe ver?
Di Manrico genitrice?

Ferrando
Trema!...

Conte
Oh sorte!... in mio poter!

Azucena
Deh, rallentate, o barbari,
Le acerbe mie ritorte...
Questo crudel supplizio
È prolungata morte...
D'iniquo genitore
Empio figliuol peggiore,
Trema... V'è Dio pe' miseri,
E Dio ti punirà!

Conte
Tua prole, o turpe zingara,
Colui, quel traditore?...
Potrò col tuo supplizio
Ferirlo in mezzo al core!
Gioia m'innonda il petto,
Cui non esprime il detto!...
Meco il fraterno cenere
Piena vendetta avrà!

Ferrando, Coro
Infame pira sorgere,
Ah, sì, vedrai tra poco...
Né solo tuo supplizio
Sarà terreno foco!...
Le vampe dell'inferno
A te fina rogo eterno;
Ivi penare ed ardere
L'anima tua dovrà!

(Conte di Luna: Dmitri Hvorostovskij; Azucenna: Yvonne Naef; Convent Garden, Londra)


Non rimane che l'ultimo atto del processo di vendetta di Azucena, e, parallelamente, l'ultimo atto del rapporto fraterno tra il Conte-Manrico, quindi il fratricidio.
Azucena ha ancora una volta - per quanto i tempi operistici siano brevissimi (ed in questo la regia che vi propongo è geniale, facendo uccidere direttamente Manrico al Conte con un colpo di pistola [la vicenda è trasposta nell'ottocento], prima che Azucena possa anche solo dire "ferma") - la possibilità di dire la verità. Potrebbe semplicemente svegliarsi (ma stava veramente dormendo?) e dire al conte "fermati, quello è tuo fratello". Invece prende tempo e la verità arriva quando è troppo tardi.
Azucena ha vendicato sua madre, ha sacrificato il "figlio" che le ha sempre portato amore. Lei come figlia ha soddisfatto il suo dolore.
Ed il conte, con il corpo del fratello, che lui stesso ha ucciso, - è fratricidio anche se ad uccidere Manrico fosse stato il boia, venendo l'ordine dal Conte - davanti a sé (o in questa regia fra le braccia) vivrà nella consapevolezza di aver odiato e condananto a morte colui che ha sempre cercato. E di aver perso anche Leonora che si è suicidata per Manrico.
In tutti questi rapporti familiari, Leonora non entra, ma anch'essa è un'altra vittima di Azucena, la quale tacendo la verità ha posto i due fratelli l'uno contro l'altro. Come dicevo poco sopra, nulla di tutto questo sarebbe successo se il Conte avesse riconosciuto prima in Manrico il fratello perduto.
Per riportarvi l'esempio musicale delle ultime battute dell'opera, riporto tutta la scena, perché non posso fare altrimenti. E poi, così, avrete davanti ai vostri occhi anche Leonora, di cui ho parlato, ovviamente poco in questa sede, perché di madre-figlio e di fratello-fratello si parlava.

Manrico
Ciel!.. non m'inganna quel fioco lume?...

Leonora
Son io, Manrico...

Manrico
Oh, mia Leonora!
Ah, mi concedi, pietoso Nume,
Gioia sì grande, anzi ch'io mora?

Leonora
Tu non morrai... vengo a salvarti...

Manrico
Come!... a salvarmi?, fia ro!

Leonora
Addio...
tronca ogni indugio... t'affretta... parti...
(accennandogli la porta)
Manrico
E tu non vieni?

Leonora
Restar degg'io!...

Manrico
Restar!...

Leonora
Deh! fuggi!...

Manrico
No.

Leonora
(cercando di trarlo verso l'uscio)
Guai se tardi!

Manrico
No...

Leonora
La tua vita!...

Manrico
Io la disprezzo...
Pur figgi, o donna, in me gli sguardi!...
Da chi l'avesti?... ed a qual prezzo?...
Parlar non vuoi?... Balen tremendo!...
Dal mio rivale!... intendo... intendo!...
Ha quest'infame l'amor venduto...
Venduto un core che mi giurò!

Leonora
Oh, come l'ira ti rende cieco!
Oh, quanto ingiusto, crudel sei meco!
T'arrendi... fuggi, o sei perduto!
Nemmeno il cielo salvar ti può!
(Leonora si getta ai piedi di Manrico)


Azucena (dormendo)
Ai nostri monti... ritorneremo...
L'antica pace... ivi godremo...
Tu canterai... sul tuo liuto...
In sonno placido... io dormirò...

Manrico
Ti scosta...

Leonora
Non respingermi...
Vedi?... languente, oppressa, lo manco...

Manrico
Va'... ti abbomino...
Ti maledico...

Leonora
Ah, cessa!
Non d'imprecar, di volgere
Per me la prece a Dio
È questa l'ora!

Manrico
Un brivido
Corse nel petto mio!

Leonora (Cade bocconi)
Manrico!

Manrico (accorrendo a sollevarla)
Donna, svelami...
Narra.

Leonora
Ho la morte in seno...

Manrico
La morte!...

Leonora
Ah, fu più rapida
La forza del veleno
Ch'io non pensava!...

Manrico
Oh fulmine!

Leonora
Senti! la mano è gelo...
(toccandosi ilpetto)
Ma qui... qui foco orribile
Arde...

Manrico
Che festi!... o cielo!

Leonora
Prima che d'altri vivere...
Io volli tua morir!...

Manrico
Insano!... ed io quest'angelo
Osava maledir!

Leonora
Più non resisto!

Manrico
Ahi misera!...
(Entra il Conte, arrestandosi sulla soglia)
Leonora
Ecco l'istante... io moro...
(stringendogli la destra in segno d'addio)
Manrico! Or la tua grazia...
Padre del cielo... imploro...
Prima... che... d'altri vivere...
Io volli... tua morir!
(Spira)

Conte
(Ah! volle me deludere,
E per costui morir!)
(additando agli armati Manrico)
Sia tratto al ceppo!

Manrico
(partendo tra gli armati)
Madre... oh madre, addio!

Azucena (destandosi)
Manrico!... Ov'è mio figlio?

Conte
A morte corre!...

Azucena
Ah ferma!... m'odi...

Conte
(trascinando Azucena verso la finestra)
Vedi?...

Azucena
Cielo!

Conte
È spento!

Azucena
Egli era tuo fratello!..

Conte
Ei!... quale orror!...

Azucena
Sei vendicata, o madre!

Conte(inorridito)
E vivo ancor!




(Manrico: José Cura; Conte di Luna: Dmitri Hvorostovskij; Leonora: Veronica Villeroel; Azucena: Yvonne Naef; Londra Covent Garden)


Vi lascio ovviamente con la possibilità di fare tutte le domande che volete, di dissentire dalla mai interpretazione, ovviamente soggettiva, del personaggio di Azucena.
E di meditare - non è un compito - sul personaggio del Conte di Luna e su cosa ne sarà di lui dopo la conclusione dell'opera.
 
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view post Posted on 1/10/2010, 12:32
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CITAZIONE (Ida59 @ 26/5/2010, 20:39)
Solo per ricordarmi che devo ancora fare i compiti... e ripescare la vaga idea che avevo avuto ma che ora non ricordo più. Mi sa che devo risentire i brani.

Ommammammia! I compiti! Arg... temo di aver completamente dimenticato l'idea...
 
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view post Posted on 1/10/2010, 13:17
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Bellissima lezione, grazie! Me la sono goduta con tutti gli ascolti e questa sera, su tuo consiglio, mi collegherò a TVParma per vedermi l'opera!

Riguardo al Conte di Luna e a quella sua ultima frase "E vivo ancor!" ovviamente mi ha ricordato Severus. Potebbe essere il giovane Severus nell'angosciante disperazione della morte di Lily, oppure il Severus della nostra sfida, che non ha potuto morire, ma che ancora non vuole vivere, carico di rimorsi e senza più alcuno scopo nella vita.

Cosa farà il Conte di Luna?
Non so, mi sembra un uomo forte e coraggioso che, ad ogni modo, saprà sopravvivere anche a se stesso e alla sua innocente colpa.
 
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view post Posted on 1/10/2010, 13:49
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Ed ecco infine anche i compiti arretrati: su Walter e Miller.

Miller a mio parere non ha l’aria di uno che si suicida per il dolore, anche tenuto conto del suo sottostante credo religioso che traspare spesso dalle sue parole. Del resto, le sue stesse parole sono chiare “Pe 'l suicida non v'è perdono!”, e trovo in lui una sorta di falsità bigotta in quel suo imporsi alla figlia, a fin di bene, sì, ma del bene di chi?
Lo vedo continuare la sua vita cercando di trovare una ragione, una giustificazione a tutto quanto è accaduto, senza mai vedere quella che può essere stata la sua colpa: la cecità nel comprendere la figlia.

La figura di Walter la trovo molto più complessa e mi immagino che la sua severa rigidità di padre possa essere improvvisamente rotta dalla morte del figlio che, finalmente, se pur troppo tardi, lo porta a comprendere la sua diversità (del figlio) rispetto a ciò che il padre avrebbe voluto. È come se la morte di Rodolfo portasse infine a compimento quella vendetta divina di cui tu parlavi e l’uomo si rende così conto della totale inutilità di tutto il suo operato, di quel trono rubato per un figlio che non lo voleva, perché altre erano le sue priorità.
Vedo quindi emergere in Walter tutti i rimorsi per il male che ha fatto, compreso l’aver amato in modo sbagliato il figlio, e passare il resto della sua vita a cercare di mettervi riparo, per quanto può.
 
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view post Posted on 12/3/2011, 15:54
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Dal momento che domenica verrà trasmesso Simon Boccanegra ho deciso di anticipare la lezione circa il rapporto padre-figlia in quest'opera, anche se, considerando i vari temi toccati nell'opera, non mi limiterò a questo.

Simon Boccanegra



Libretto: Francesco Maria Piave, con interventi e rimaneggiamenti di Arrigo Boito
Prima rappresentazione: Venezia, Teatro La Fenice, 12 marzo 1857
Prima rappresentazione della seconda versione: Milano, Teatro alla Scala, 24 marzo 1881

Personaggi:

PROLOGO
Simon Boccanegra, corsaro al servizio della Repubblica genovese(baritono)
Jacopo Fiesco, nobile genovese (basso)
Paolo Albiani, filatore d'oro, genovese (baritono)
Pietro, popolano di Genova (baritono)
Marinai, Popolo, Domestici di Fiesco ecc…

DRAMMA
Simon Boccanegra, primo Doge di Genova (baritono)
Maria Boccanegra, sua figlia, sotto il nome di Amelia Grimaldi (soprano)
Jacopo Fiesco, sotto il nome d’Andrea (basso)
Gabriele Adorno, gentiluomo genovese (tenore)
Paolo Albiani, cortigiano favorito del Doge (baritono)
Pietro, altro cortigiano (baritono)
Un capitano dei balestrieri (tenore)
Un’ancella di Amelia (mezzosoprano)
Soldati, Marinai, Popolo, Senatori, Corte del Doge ecc…

L’azione è in Genova e sue vicinanze, intorno alla metà del secolo XIV.
Tra il Prologo e il Dramma passano 25 anni.


Trama (della seconda versione che è quella che viene normalmente esguita):

Prologo
Una Piazza genovese su cui si affaccia la chiesa di San Lorenzo ed il palazzo dei Fieschi.
Paolo Albiani apprende da Pietro che ci si appresta a eleggere Doge della città Lorenzino, vicino al partito patrizio e Guelfo. Paolo propone di convincere invece il popolo a indicare come Doge Simon Boccanegra, corsaro per la repubblica genovese, il quale ha compiuto diverse imprese a favore della sua città. Simone sopraggiunge poco dopo. Paolo gli chiede se lo tenti la corona di Doge, ma Simone rifiuta, fino a quando Paolo non gli ventila che, qualora lui divenisse Doge, Jacopo Fiesco non potrebbe più negargli la mano dell’amata Maria. Solo per amore di Maria, quindi, Simone accetta di essere proposto come Doge di Venezia.
Rimasto solo Paolo è raggiunto da Pietro ed insieme convincono il popolo a parteggiare per Simone, aggiungendo che la potente famiglia dei Fieschi tacerà. Per convincere il popolo ad agire in favore di Simone, Paolo aggiunge che nella casa dei Fieschi geme e langue una fanciulla infelice, che altri non è che Maria, rinchiusa in casa dal padre, Jacopo, per evitare che veda Simone.
All’uscire della folla, entra Jacopo Fiesco, il quale medita sulla morte della figlia Maria, spentasi di dolore. L’uomo fa ricadere la colpa su Simone che, dal suo punto di vista, avrebbe sedotto la figlia. Simone entra poco dopo, il quale, ignaro della morte dell’amata, supplica Jacopo di perdonarlo (non è chiaro per cosa, ma immagino, considerando ciò che segue, per essere fuggito con Maria circa quattro anni prima) e di concedergli la mano della fanciulla. Ma Fiesco non ascolta ragioni e rifiuta tutte le offerte di pace di Simone, fino a quando non gli propone un patto: Simone potrà avere Maria, soltanto se consegnerà a lui la figlioletta avuta con la fanciulla (quindi, giusto per fare un po’ di chiarezza la nipote di Fiesco). Simone risponde che non può, dal momento che la bambina è scomparsa dalla casa dove abitava nei pressi di Pisa. Un giorno, tornando dal mare, è giunto presso la casa, ma l’uscio era aperto e la figlia scomparsa. La donna che si prendeva cura della piccola è morta. Fiesco allora, per nulla impietosito, dice di non poter dargli Maria, dato che Simone non può fare ciò che egli desidera. Allontanatosi Jacopo, Simone entra nella casa, silenziosa e deserta, e scopre il cadavere di Maria.
Disperato esce dal palazzo, proprio mentre il coro lo festeggia come Doge.

Atto I
Giardino de’ Grimaldi. È l’alba.
Amelia Grimaldi attende, presso il mare, l’arrivo dell’amato, Gabriele Adorno. Quando questi arriva, la giovane donna gli dice che teme per lui, dal momento che ha scoperto che egli, insieme al vecchio Andrea, suo precettore, e a Lorenzino, sta complottando contro il Doge, ma la certezza del reciproco amore scaccia i fantasmi di un qualsiasi pericolo. Amelia fa anche cenno alla presenza di un uomo che la osserva sovente, sul limitare del giardino. In quel momento viene annunciato l’arrivo del Doge che, tornato da caccia, chiede di poter visitare la magione dei Grimaldi. Amelia acconsente e si allontana per poter andare a prepararsi. Sopraggiunge Andrea (che altri non è se non Jacopo Fiesco sotto falso nome), il quale rivela a Gabriele che Amelia non è una Grimaldi. Infatti la vera Amelia Grimaldi morì a tre anni a Pisa. Per preservare i beni della famiglia, essendo gli eredi maschi proscritti dal Doge, si decise di far passare come Amelia un’orfanella. Gabriele afferma che non gli importa affatto se Amelia sia o non sia una Grimaldi, in quanto lui l’ama con tutto il cuore. Al che Andrea/Fiesco acconsente a che Gabriele la sposi.
Dopo che i due uomini si sono allontanati, si avvicinano il Simone, ormai Doge, e Paolo, il quale gli ha chiesto di chiedere la mano di Amelia per se stesso (è lui l’uomo che la spia dal giardino).
Il Doge, dopo aver congedato Paolo, incontra Amelia e le svela di aver perdonato i suoi fratelli che possono così ritornare a Genova. Amelia, colpita dalla generosità di Simone, gli svela di essere innamorata, ma allo stesso tempo che v’è un uomo che la osserva sempre e che la brama, non perché l’ami, ma perché vuole l’oro dei Grimaldi. Il Doge capisce che quell’uomo è Paolo. Amelia, sempre più colpita dal fatto che il Doge pare averla presa in simpatia, gli dice di non essere una Grimaldi, ma un’orfanella che viveva presso Pisa, persasi il giorno in cui Giovanna, la donna che vegliava su di lei, è morta. Ricorda ancora un uomo di mar noi visitava. Il Doge le mostra una miniatura, raffigurante l’amata Maria. Amelia ne trae una simile dal petto. Le immagini sono uguali. È così, dopo aver appurato che Amelia si chiama in realtà Maria, come la madre morta, è la figlia perduta di Simone. Padre e figlia si abbracciano colmi di affetto.
Quando Simone si ricongiunge con Paolo, gli comunica che deve rinunciare ad Amelia (continuerò a chiamarla così, onde evitare di confonderla con la madre). Paolo, arrabbiato, decide di farla rapire da Lorenzino.
Una Sala del Consiglio nel Palazzo degli Abati.
È riunito il consiglio di Genova. Simone sta parlando ai ventiquattro consiglieri (dodici patrizi e dodici plebei [ricordo che Simone è Doge di partito plebeo]), riportando un nuovo trattato con il re di Tartaria e le parole di Petrarca (nell’opera mai chiamato con il suo nome, ma “romito di Sorga” e “cantor della bionda avignonese”) che chiede pace con Venezia. Il Doge vorrebbe che i consiglieri si mostrassero favorevoli alle parole del Petrarca, ma questi rifiutano in nome degli interessi economici.
In questo momento si odono delle grida al di fuori del palazzo. Il popolo è insorto. Simone vede Gabriele Adorno fuggire inseguito dalla plebe. Chiama l’araldo e dà ordine di aprire le porte del palazzo. Il popolo entra e svela che sta inseguendo Gabriele perché questi ha ucciso Lorenzino. Gabriele si difende dicendo che Lorenzino aveva rapito Amelia. Simone impallidisce. Gabriele accusa, più o meno esplicitamente, Simone di aver dato ordine a Lorenzino di rapire Amelia e sta per assassinare il Doge, quando arriva la giovane donna stessa, la quale si para davanti al padre e ferma Gabriele.
Amelia spiega di essere riuscita a fuggire e dice di vedere nel consiglio chi ha dato l’ordine di farla rapire. Il Doge e Gabriele chiedono chi sia, ma i consiglieri si accusano a vicenda e sguainano le spade, chi accusando i patrizi, chi i plebei. Soltanto l’intervento del Doge che invoca la pace, li ferma dal commettere una strage.
Simone rende la spada a Gabriele e lo confina per una sola notte in cella. Poi, insieme a tutti i consiglieri (incluso Paolo che non è riuscito a fuggire), maledice chi ha rapito Amelia.

Atto II
Stanza del Doge nel palazzo ducale in Genova
Paolo si incontra segretamente con Pietro (immagino che sia scappato, in qualche modo, dato che tutti hanno capito che è lui il colpevole, altrimenti sarebbe un po’ bizzarro lasciarlo libero di fare danni), che gli porta Andrea (cioè Jacopo Fiesco sotto falso nome). Mentre attende l’arrivo del vecchio patrizio, Paolo versa del veleno nella coppa che contiene l’acqua che Simone è solito bere prima di coricarsi. Paolo gli offre un pugnale per uccidere il Doge nel sonno, ma Fiesco rifiuta, perché vuole affrontare Simone faccia a faccia e non già col tradimento. Paolo lo fa quindi ricondurre alla prigione. Poco dopo arriva Gabriele, portato sempre da Pietro. Paolo gli dice che Amelia vive ora a Palazzo e Gabriele, credendo che la giovane donna sia stata sedotta dal Doge, accetta di ucciderlo.
Gabriele si apposta quindi nella stanza del Doge. Entra Amelia, la quale lo rassicura circa il suo amore. Ma Gabriele fraintende alcune parole della giovane che gli dice di amare Simone d’amor santo (perché non gli dica subito che è suo padre non l’ho mai capito). Gabriele si nasconde su un balcone, quando entra il Doge, palesemente afflitto, perché, nonostante tutti i suoi sforzi, su Genova non v’è pace. Poi chiede ad Amelia, che ha pianto a causa delle accuse di Gabriele, cosa l’angusti. La giovane gli dice che è innamorata di Gabriele Adorno. Simone, dopo un attimo di esitazione, accetta a che lei possa diventarne la moglie.
Rimasto solo Simone, stanco e oppresso dalla carica di potere che ricopre, beve la coppa d’acqua (quindi anche il veleno) e si pone a dormire. Gabriele entra e sta per uccidere Simone, quando arriva Amelia che tenta di fermarlo, facendo sdegnare ancora di più Gabriele, il quale è ormai convinto che la giovane l’abbia tradito con il Doge. Simone si ridesta e svela a Gabriele di essere il padre di Amelia. Il giovane patrizio è pieno di rimorso e, quando scoppia una rivolta del suo partito politico (i patrizi che sono anche i Guelfi, mentre Simone è legato ai Ghibellini) contro il Doge, si schiera con Simone, il quale lo invia come nunzio di pace e che tale pace sarà proprio resa ancora più salda dal suo matrimonio con Amelia.

Atto III
Interno del Palazzo Ducale
Fiesco, che era trattenuto in prigione, viene liberato e gli viene resa la spada. Mentre sta per uscire dal palazzo, incontra Paolo, trascinato in prigione da alcune guardie. Quest’ultimo rivela a Fiesco di aver avvelenato Simone e, mentre echeggiano i cori che accompagnano il matrimonio tra Amelia e Gabriele, Fiesco guarda con spregio Paolo, perché aborre il suo omicidio e il suo tentato rapimento di Amelia (che ricordo Fiesco non sa essere sua nipote).
Dopo che Paolo è stato condotto via dalle guardie per andare al patibolo, Fiesco rimane solo per un breve momento, prima che giunga Simone, sul quale il veleno sta iniziando ad avere effetto. Il Doge rimane per diverso tempo a rimirare il mare, chiedendosi perché non abbia trovato morte in gioventù durante le sue scorribande da corsaro. In questo momento si fa avanti Fiesco, il quale si fa riconoscere da Simone (che fino a questo momento pensava fosse Andrea). Simone gli offre pace, Fiesco rifiuta, ma il Doge gli svela che egli, che gli aveva chiesto la figlioletta venticinque anni prima il giorno della morte di Maria, ha sempre avuto al fianco la nipote, che deve essere riconosciuta in Amelia Grimaldi. A queste parole, Fiesco, resosi conto che il suo astio non ha senso di esistere e, probabilmente, capendo quanto male abbia fatto il suo odio, piange. Simone gli chiede un abbraccio, ma Fiesco sente solo rimorso e svela a Simone che è stato avvelenato.
In quel momento sopraggiungono Amelia, Gabriele e il corteo nuziale. Simone chiede a Fiesco di non rivelare alla figlia che egli sta per morire. Il Doge rivela ad Amelia che in Fiesco può riconoscere il nonno, ma la felicità del momento è travolta dalle parole di Simone che preparano la figlia alla sua morte. Vacilla, benedice la figlia e Gabriele, che nomina nuovo doge, poi muore invocando Maria. Sarà Fiesco ad annunciare la morte di Simone al popolo riunito sotto le finestre di palazzo ducale.


L’opera si basa sulla figura di Simone, nelle sue due “anime”. Da un latro l’uomo-Simone, dall’altro il Doge-Simone, ma è spesso l’uomo-Simone a prevalere sul Doge-Simone.
Le motivazioni stesse che lo spingono ad accettare la carica di Doge sono però puramente personali, legate al desiderio di essere finalmente felice accanto alla donna amata, che gli è stata negata. L’opera non spiega come siano andati i fatti, quindi si può fare qualsiasi ipotesi in proposito.
Quello che è certo è che l’intervento di Fiesco divide i due innamorati.
Ed ecco che, all’interno dell’opera, si trova un primo rapporto padre-figlia, che, alla luce dello sviluppo degli eventi, si pone in netto contrasto con il rapporto tra Simone e Amelia. Fiesco è un padre che impone se stesso sulla figlia, che arriva a segregarla in casa purché non frequenti il corsaro genovese, di stirpe non degna della figlia di un patrizio e per di più di parte politica avversa. È così preso dalla sua idea che non comprende che Maria ama effettivamente Simone e che questi non è affatto un seduttore.
E' però anche un padre dolente, che piange la figlia, quando questa muore, che mostra il suo lacerato spirito di mesto genitore. E forse, un senso di colpa, non ammesso dallo stesso personaggio, fino al momento in cui piange verso il finale dell'opera, rintracciabile in quel Prega, Maria, per me che chiude l'aria.

(Nicolai Ghiaurov, direttore: Claudio Abbado, Milano 1978)

A te l'estremo addio, palagio altero,
Freddo sepolcro dell'angiolo mio!...
Né a proteggerti io valsi!... Oh maledetto!...
tu, Vergin, soffristi
(volgendosi all'immagine)
Rapita a lei la verginal corona?...
Ma che dissi!... deliro!... ah mi perdona!
Il lacerato spirito
Del mesto genitore
Era serbato a strazio
D'infamia e di dolore.
Il serto a lei de' martiri
Pietoso il cielo diè...
Resa al fulgor degli angeli,
Prega, Maria., per me.


L'altro rapporto padre-figlia, più esteso, per quanto duri - a livello narrativo - poco più di un giorno, è quello che lega improvvisamente Amelia e Simone.
Quest'ultimo è un padre ben diverso da Fiesco, un padre che, forse proprio per il suo vissuto, accetta che Amelia ami Gabriele Adorno, per quanto questi sia un nemico; un padre che ama - e che ha amato durante la lunga assenza - la figlia, così come ha amato Maria. (ricordo che Amelia porta lo stesso nome della madre, ma per pura comodità continuo a chiamarla Amelia)
Ed Amelia stessa è figlia affezionata al padre, che perde troppo presto.
V'è in questo rapporto così breve un'intensità affettiva che non esiste nel rapporto di certo più lungo di Fiesco con Maria, proprio perché tra Fiesco e Maria non v'è il dialogo che c'è invece tra Amelia e Simone, che si trovano a vivere un rapporto paterno e figliale probabilmente a lungo sognato e desiderato. E per questo terribilmente forte. E' per questo motivo che il fatto che Amelia accetti senza battere ciglio di essere la figlia di Simone, sembri assolutamente realistico, perché Amelia è in cerca di un padre (figura che non può trovare in Andrea/Fiesco), così come Simone è in cerca della figlia.
Nel duetto dell'agnizione v'è una dolcezza sia da parte di Simone che da parte di Amelia che rende ancora più crudele la morte di Simone, il quale non può vivere che brevemente l'amore paterno-figliale.
Nell'ascolto che vi propongo non è presente l'intero duetto. Pongo quindi la parte di libretto che non ascolterete tra parentesi quadre.

[DOGE:
Favella il Doge
Ad Amelia Grimaldi?

AMELIA:
Così nomata sono.

DOGE:
E gli esuli fratelli tuoi non punge
Desio di patria?

AMELIA:
Possente... ma...

DOGE:
Intendo...
A me inchinarsi sdegnano i Grimaldi...
Così risponde a tanto orgoglio il
Doge...
(Le porge un foglio)

AMELIA (leggendo):
Che veggo!... il lor perdono?

DOGE:
E denno a te della clemenza il dono.
Dinne, perché in quest'eremo
Tanta beltà chiudesti?
Del mondo mai le fulgide
Lusinghe non piangesti?
Il tuo rossor mel dice...

AMELIA:
T'inganni, io son felice...

DOGE:
Agli anni tuoi l'amore...

AMELIA:
Ah mi leggesti in core!
Amo uno spirto angelico
Che ardente mi riama...
Ma di me acceso, un perfido,
L'orror dei Grimaldi brama...

DOGE:
Paolo!

AMELIA:
Quel vil nomasti!...
E poiché tanta
Pietà ti muove dei destini miei,
Vo' svelarti il segreto che mi ammanta...]
Non sono una Grimaldi!...

DOGE:
Oh ! ciel... chi sei?...

AMELIA:
Orfanella il tetto umile
M'accogliea d'una meschina,
Dove presso alla marina
Sorge Pisa...

DOGE:
In Pisa tu?

AMELIA:
Grave d'anni quella pia
Era solo a me sostegno;
Io provai del ciel lo sdegno,
Colla tremola sua mano
Involata ella mi fu.
Pinta effigie mi porgea.
Le sembianze esser dicea
Della madre ignota a me.
Mi baciò, mi benedisse,
Levò al ciel, pregando, i rai...
Quante volte la chiamai
L'eco sol risposta diè.

DOGE (tra sé):
(Se la speme, o ciel clemente,
Fosse sogno!... estinto io sia
Ch'or sorride all'alma mia,
Della larva al disparir!)

AMELIA:
Come tetro a me dolente
S'appressava l'avvenir!

DOGE:
Dinne... alcun là non vedesti?...

AMELIA:
Uom di mar noi visitava...

DOGE:
E Giovanna si nomava
Lei che i fati a te rapîr?...

AMELIA:
Sì.

DOGE:
E l'effigie non somiglia
Questa?

(Trae dal seno un ritratto, lo porge ad Amelia, che fa altrettanto)

AMELIA:
Uguali son!...

DOGE:
Maria!...

AMELIA:
Il mio nome!...

DOGE:
Sei mia figlia.

AMELIA:
Io...

DOGE:
M'abbraccia, o figlia mia.

AMELIA:
Padre, padre il cor ti chiama!
Stringi al sen Maria che t'ama.

DOGE:
Figlia!... a tal nome palpito
Qual se m'aprisse i cieli...
Un mondo d'ineffabili
Letizie a me riveli;
Qui un paradiso il tenero
Padre ti schiuderà...
Di mia corona il raggio
La gloria tua sarà.

AMELIA:
Padre, vedrai la vigile
Figlia a te sempre accanto;
Nell'ora malinconica
Asciugherò il tuo pianto...
Avrem gioie romite
Note soltanto al ciel,
Io la colomba mite
Sarò del regio ostel.

(Amelia, accompagnata dal padre fino alla soglia, entra nel palazzo; il Doge la contempla estatico mentre ella si allontana)


(Amelia: Renée Fleming; Simon Boccanegra: Dmitri Hvorostovsky, concerto registrato a San Pietroburgo nel 2009)


Ma Simone non è solo padre, è anche un potente, il Doge di Genova, un potente magnanimo, che cerca, anche se non riesce ad ottenerla, se non poco prima della sua morte, grazie al matrimonio tra Amelia e Gabriele, la pace per la città devastata dalla guerra civile e dall'odio tra le varie fazioni.
E' il caso della sua grande perorazione che chiude l'Atto I, dove si nota, in maniera netta la differenza tra Simone, pronto ad andare oltre le vecchie diatribe, e Fiesco che continua ancora, a questo punto a essere immerso nel suo odio, che si frantumerà soltanto quando sarà troppo tardi, perché Simone morirà.

DOGE
Plebe! Patrizi! Popolo
Dalla feroce storia!
Erede sol dell'odio
Dei Spinola e dei D'Oria,
Mentre v'invita estatico
Il regno ampio dei mari,
Voi nei fraterni lari
Vi lacerate il cuor.
Piango su voi, sul placido
Raggio del vostro clivo
Là dove invan germoglia
Il ramo dell'ulivo.
Piango sulla mendace
Festa dei vostri fior,
E vo gridando: pace!
E vo gridando: amor!

AMELIA (a Fiesco):
(Pace! lo sdegno immenso
Raffrena per pietà!
Pace! t'ispiri un senso
Di patria carità)

PIETRO (a Paolo):
(Tutto fallì, la fuga
Sia tua salvezza almen)

PAOLO (a Pietro):
(No, l'angue che mi fruga
È gonfio di velen)

GABRIELE:
(Amelia è salva, e m'ama!
Sia ringraziato il ciel!
Disdegna ogni altra brama
L'animo mio fedel)

FIESCO:
(O patria! a qual mi serba
Vergogna il mio sperar!
Sta la città superba
Nel pugno d'un corsar!)

CORO (fissando il Doge):
Il suo commosso accento
Sa l'ira in noi calmar;
Vol di soave vento
Che rasserena il mar.


(Simon Boccanegra: Carlos Alvarez, Parigi 2006)


Ma quella pace che Simone cerca a livello "statale", la cerca anche a livello personale. Interessanti sono tutte le invocazioni al mare, come luogo di pace estrema, una pace che non ha mai posseduto e che forse potrebbe toccare al fianco della figlia, ma che gli viene rapita perché Paolo (uomo geloso del potere di Simone, avido e meschino, quindi diverso da Fiesco che è sì colmo d'odio, ma che ha anche un forte senso dell'onore e che non pugnalerebbe mai un nemico alle spalle) l'ha avvelenato.
Simon Boccanegra è anche un'opera in cui la storia d'amore narrata non è di fondamentale importanza, perché Amelia è più figlia che innamorata e Gabriele Adorno è personaggio privo di interesse psicologico, tanto che le parti amorose non sono quelle che vengono ricordate da chi ama quest'opera. E' il duetto Amelia-Simone che il melomane aspetta, è la scena del consiglio, è l'aria di Fiesco, è il duetto tra Fiesco e Simone dell'ultimo atto.
Eppure nell'opera v'è un'altra storia d'amore, sottesa, ma ben più intensa. Ed è l'amore di Simone per Maria, evocata e nominata più volte ed evocata in punto di morte. In effetti quell'ultimo Maria!! potrebbe essere rivolto alla figlia che, vi ricordo, si chiama Maria, ma io credo (e non sono la sola. Anzi ci sono voci ben più autorevoli della mia) che quella Maria invocata nel finale non sia la figlia, ma l'amata perduta, che spera di incontrare nuovamente oltre la morte.

 
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view post Posted on 12/3/2011, 17:42
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I ♥ Severus


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Da un dolce sogno d'amore!

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Mamma mia che trama complessa e quanti personaggi che alla prima lettura mi confondono. Poi rileggo con calma così mi preparo per domani. Sempre belle le tue personali note tra parentesi.
Ma… ma come, una volta che c’è un padre comprensivo verso la figlia… lo fanno subito fuori?
Agnizione? Sono sicura di avertene già chiesto il significato… aspetta, forse ci arrivo: si tratta del momento in cui padre e figlia si riconoscono come tali, giusto?
Be’… ad ogni modo, quel duetto mi ha fatto venire i brividi! (e Dimitri ha uno splendido sorriso)

Per noi parlare poi di questo:
CITAZIONE
che quella Maria invocata nel finale non sia la figlia, ma l'amata perduta, che spera di incontrare nuovamente oltre la morte.

Che non può far altro che ricordarmi la morte di Severus!

Spero proprio che domani si tratti di una buona rappresentazione perché tutte le tue spiegazioni, sempre ben fatte e piene di passione, hanno cerato in me molta aspettativa circa questa opera (che mi era del tutto sconosciuta).
Come sempre, grazie.
 
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view post Posted on 13/3/2011, 09:33
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CITAZIONE (Ida59 @ 12/3/2011, 17:42) 
Ma… ma come, una volta che c’è un padre comprensivo verso la figlia… lo fanno subito fuori?

E' la crudeltà dell'opera. In Verdi spesso vincono i "cattivi" ed i "buoni" soccombono di fronte a loro. Non oso immaginare cosa sarebbe diventato Harry Potter nelle sue mani (una riflessione sul potere probabilmente con Voldemort vittorioso alla fine... perché in Verdi il potere oppressore non viene quasi mai sconfitto. L'eccezione è rappresentata da La Battaglia di Legnango).
Riporto qui un aneddoto: durante una rappresentazione di Simone a Parma, una signora si era talmente immedesimata nella storia che ha urlato all'indirizzo del baritono-Simone, quando sta per bere: "Non bere stupido, che è avvelenata".

CITAZIONE
Agnizione? Sono sicura di avertene già chiesto il significato… aspetta, forse ci arrivo: si tratta del momento in cui padre e figlia si riconoscono come tali, giusto?

Giusto!

CITAZIONE
Be’… ad ogni modo, quel duetto mi ha fatto venire i brividi! (e Dimitri ha uno splendido sorriso)

Quel duetto è stupendo e, se cantato bene, fa piangere metà pubblico.

CITAZIONE
Spero proprio che domani si tratti di una buona rappresentazione perché tutte le tue spiegazioni, sempre ben fatte e piene di passione, hanno cerato in me molta aspettativa circa questa opera (che mi era del tutto sconosciuta).

Lo spero anch'io, perché è una delle mie opere preferite! E se mi fanno vedere una brutta edizione, potrei diventare acida e cattiva, stile Fiesco :P .

 
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