Il Calderone di Severus

2.1.1. I rapporti familiari all'interno del panorama operistico. Padre e figlio

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view post Posted on 10/3/2010, 11:44
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Come avevo premesso nell'illustrare il corso, questa settimana ho in progetto di tenere due lezioni, essenzialmente per due motivi diversi: in primo luogo perché i due temi appartengono a due filoni diversi, un po' per introdurre un argomento vastissimo e che si protrarrà per diverse settimane, un po' per non ammorbarvi con discorsi soltanto tecnici.

Dopo questa breve introduzione di carattere organizzativo, mi sento in dovere di fare un'ulteriore introduzione al contenuto e alle modalità di questa macro-lezione.
Analizzare i rapporti familiari (escludendo il rapporto moglie-marito che avrà un suo spazio nel momento in cui analizzerà il rapporto amoroso nell'opera seria e nell'opera buffa) è un'impresa quasi folle, in quanto l'intera storia dell'opera presenta, dalle sue origini fino ai giorni nostri (ogni anno vengono create nuove opere, con prime assolute e successive repliche), un continuo indagare i rapporti familiari, con al vertice il rapporto Padre-figlio/a. E non è cosa che stupisca, considerando che fin dagli albori della letteratura i rapporti familiari sono sempre stati presenti, il più delle volte protagonisti del racconto. Altro punto che aggiunge naturalezza alla presenza così cospiscua di rapporti familiari all'interno del panorama operistico è il fatto fondamentale che, il più delle volte, le opere sono tratte da opere letterarie preesistenti (che poi vi sia fedeltà alle suddette opere letterarie preesistenti è tutta un'altra questione... come accade in fondo al cinema).
Di fronte alla vastità del tema, mi pare ovvio di trovarmi a dover operare una scelta oculata degli esempi da proporvi delle varie declinazioni dei rapporti familiari. E devo ammettere che la scelta seguirà anche il mio gusto personale, sia per quel che riguarda le esecuzioni (ma ci saranno momenti in cui vi proporrò due o più esecuzioni di uno stesso momento, per mostrare anche le differenze di messa in scena e come queste portino ad una lettura diversa di uno stesso snodo drammaturgico), sia per quel che riguarda i titoli presentati, per il semplice fatto che ci sono titoli che, non piacendomi molto, non conosco come dovrei per poterveli presentare in maniera sufficientemente approfondita. In altri casi sarò invece influenzata dalla mancanza di esempi da proporvi. E non voglio sproloquiare di qualcosa senza potervi fare ascoltare nulla.
Dopo questa premessa, aggiungo un'ultima parola puramente tecnica. Ogni nuova analisi sarà impostata in questo modo:
a. narrazione della trama.
b. analisi di un brano significativo per mostrare come si rapportano padre e figlio (il brano sarà analizzato dal punto di vista anche testuale)
c. considerazioni finali

Detto questo, comincerò la mia analisi dal rapporto più vasto, quindi quello Padre-Figlio/a, intendendo per Padre la sola figura paterna, lasciando per un momento posteriore la trattazione del rapporto Madre-Figlio/a, che è, tra l'altro molto più raro nel panorama operistico, in quanto, il più delle volte, le madri sono morte e quindi vengono generalmente solo evocate come sante figure ormai non più appartenenti al mondo terreno.
Il rapporto Padre-Figlio/a si declina in molte direzioni, nelle quali si può essenzialmente rintracciarne alcune principali, che possono anche convivere tra di loro:
1. Il rapporto è conflittuale. Il padre e il figlio (o solo uno dei due nei confronti dell'altro) si odiano, oppure il padre funge da ostacolo al figlio, oppure le aspirazioni del padre (o quelle del figlio) mettono l'altro in una situazione di profonda sofferenza e destabilizzazione.
2. Il rapporto è amorevole, ma ostacoli esterni portano ad una profonda sofferenza interiore i due componenti del rapporto.
3. Il rapporto nasce all'interno della storia stessa, attraverso un'agnizione o il rincontrarsi dopo un numero di anni tale che prevede una nuova creazione del rapporto.
4. Il rapporto è ambiguo. Nonostante i sentimenti affettuosi di una o di tutte e due le componenti del rapporto, è presente un elemento di conflitto o di sofferenza interna al padre e al figlio.

Il rapporto Padre-Figlio/a può essere oggetto sia dell'opera seria (che non implica necessariamente un finale tragico, ma che porta con sé la trattazione di tematiche "alte"), sia dell'opera buffa, con tutte le differenze del caso che illustrerò di volta in volta, il che non vuol dire (come vi mostrerò trattando La Cenerentola di Rossini) che nell'opera buffa non esistano figure paterne assolutamente perfide.

Oggi stesso (tarda mattina o serata), aggiungerò la prima analisi che, preannuncio di già, vertirà su Idomeneo, re di Creta di Mozart.

 
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view post Posted on 10/3/2010, 13:00
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Cosa significa "agnizione"?
 
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view post Posted on 10/3/2010, 20:52
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CITAZIONE (Ida59 @ 10/3/2010, 13:00)
Cosa significa "agnizione"?

L'agnizione è quando un padre ed un figlio (ma anche un fratello ed una sorella) si riconoscono come tali, dopo che entrambi hanno pensato che l'altro fosse morto. Di solito il figlio (o fratello) viene perso o abbandonato quando è piccolo e dopo anni viene riconosciuto dal padre (o fratello o sorella) tramite un qualche segno (un ciondolo che il bambino aveva quando si è perso, un neo particolare...). Ne parlerò comunque di un caso emblematico tra qualche settimana.
 
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view post Posted on 10/3/2010, 22:35
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Idomeneo, re di Creta



Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
Libretto: Gianbattista Varesco
Prima rappresentazione: Monaco, Residenztheater, 29 gennaio 1781

Personaggi:
Idomeneo, re di Creta (tenore)
Idamante, suo figlio (soprano)
Ilia, principessa troiana, figlia di Priamo (soprano)
Elettra, principessa, figlia di Agamennone (soprano)
Arbace, confidente del re (tenore)
Il gran sacerdote di Nettuno (tenore)
La voce dell'oracolo di Nettuno (basso)

Trama:
Atto I
Dopo la caduta di Troia. A Creta.
Ilia, principessa troiana, si trova prigioniera a Creta dove si è innamorata, pur contro se stessa e la lealtà verso la sua famiglia, di Idamante, figlio del re dell'isola, Idomeneo. Quando sopraggiunge Idamante, che ricambia il sentimento di Ilia, la giovane principessa gli rammenta chi fosse il padre suo (Priamo) e chi sia il padre del giovane, il quale, per dimostrare il suo amore, decide di liberare i prigionieri troiani che si trovano con Ilia, mentre rimpiange l'assenza del padre che non ha ancora fatto ritorno da Troia.
Di Idamante è innamorata anche Elettra, figlia di Agamennone (che non è chiaro cosa ci faccia a Creta e non viene spiegato nel corso dell'opera), la quale si rode di gelosia ed accusa Idamante di tradire la Grecia, liberando i prigionieri troiani. In questo momento arriva Arbace, il quale porta la notizia che Idomeneo è morto nella tempesta che sta infuriando, lasciando nel dolore più profondo Idamante.
In riva al mare attracca però il naviglio di Idomeneo, dal quale scende il re, in preda al tormento. Egli ha infatti salva la vita grazie ad un patto stretto con Nettuno: egli dovrà sacrificare al dio il primo essere umano che incontrerà. In quel momento Idamante si avanza sulla riva e vede Idomeneo, in cui riconosce poco dopo il padre, cadendo nel dolore più tremendo, quando questi lo allontana, impedendogli di seguirlo.

Atto II
Idomeneo per impedire che Idamante venga immolato, decide di allontanarlo da Creta, facendogli accompagnare Elettra ad Argo, inviando Arbace, a cui ha confidato la terribile verità, ad avvertire Idamante. In quel momento sopraggiunge Ilia che si congratula con Idomeneo per il suo ritorno, riconoscendo in lui una sorta di figura paterna. Il re, indovinando il sentimento che lega la giovane principessa al figlio e intrappolato nei suoi segreti, si sente sempre più dilaniato.
La notizia della partenza getta in nuova prostrazione Idamante, che non comprende per quale motivo il padre lo scacci e che non vuole, al contempo, allontanarsi da Ilia, mentre fa sorgere un'improvvisa speranza in Elettra che si dice sicura di riuscire volgere a lei il cuore di Idamante, una volta ad Argo.
Delle grida improvvise, annunciano una nuova disgrazia. Un mostro si è levato dal mare e sta minacciando Creta. Idomeneo, sempre più oppresso dal senso di colpa, decide che colui che deve morire è lui e non già il figlio innocente.

Atto III
Ilia affida ai venti il suo amore per Idamante, in modo che le sue parole lo accompagnino lontano da Creta, quando entra il giovane principe, che le parla dell'odio che egli pensa il padre provi per lui. I due giovani si dichiarano il loro amore.
Poco dopo arrivano Elettra ed Idomeneo. E' il momento dell'addio. Idamante esce, insieme alle due donne, mentre entrano Arbace ed il sacerdote di Nettuno che chiede al re il motivo della venuta del mostro marino che sta mietendo vittime tra il suo popolo.
Idomeneo non può far altro che rivelare il suo voto, tra l'orrore generale.
Mentre si svolgono questi fatti, Idamante riesce ad uccidere il mostro marino inviato da Nettuno e, appena trionfatore, apprende la verità ed accetta di essere sacrificato, senza incolpare il padre dell'accaduto, ma, al contrario dimostrando il suo profondo affetto.
Idomeneo sta per alzare la spada sul figlio, quando entra Ilia che afferra il braccio del re, fermandolo e offrendosi come vittima al posto di Idamante. In questo istante, la voce dell'oracolo di Nettuno. Il dio è appagato. Idomeneo deve abdicare in favore del figlio e quest'ultimo sposare Ilia. Nell'atmosfera gioiosa del finale, soltanto Elettra si mostra irata, fuggendo, semipazza, dalla gioia degli abitanti di Creta e, soprattutto, da quella di Ilia e Idamante.



Nell'Idomeneo ci si trova di fronte ad un padre ed un figlio che si amano, ma che, per cause interne ed esterne soffrono.
La colpa di Idomeneo, l'aver accettato di sacrificare la vita di un altro al posto della sua, gli si ritorce contro nel modo più terribile. Gran parte dell'opera è incentrata proprio sul tormento interiore del re di Creta che, non volendo rivelare a nessuno la verità, giunge a far soffrire il figlio e a dibattersi nella vana speranza di poter trovare un modo per salvare Idamante dalla morte, e quindi per ingannare Nettuno.
All'interno di una serie di personaggi piuttosto "convenzionali" (la giovane prigioniera dolce e pura, il giovane giusto, la donna gelosa e irata), è Idomeneo ad avere il ruolo che, in maniera ovviamente scorretta si definirebbe più moderno. Egli, più che l'inconsapevole Idamente, racchiude in sé tutto il conflitto su cui si basa il dramma. E' lui la causa della sua sofferenza e della sofferenza di coloro che ama ed è assolutamente impotente nel cercare una soluzione che possa impedire, se non questa sofferenza, per lo meno la morte del figlio amato. E, bisogna sottolineare che nel tentativo, porta unicamente ulteriori sofferenze al popolo cretese, falcidiato dal mostro.

Il rapporto padre figlio assurge, ovviamente, a perno di gran parte delle situazioni, sia che queste si riferiscano a dialoghi tra i due (per esempio il momento stesso in cui il padre ed il figlio si incontrano, in cui allo smarrimento di Idamante di fronte al padre che lo allontana da sé, fa eco il tormento ed il rimorso del re che, agendo per la propria salvezza, ha causato qualcosa di terribile, che, egoista, si ritrova a dover fare i conti con la vita del figlio amato), sia che queste si rifacciano a momenti in cui il padre od il figlio siano soli.
Le pagine dedicate ad Idamante rispecchiano il suo non capire, il suo credere che il padre, creduto morto e ritrovato, lo odi, in una sofferenza e smarrimento che aumentano di atto in atto. Le pagine dedicate ad Idomeneo scavano progressivamente nel senso di colpa, fino al bellissimo momento in cui si ritrova davanti il figlio pronto per il sacrificio. Unico momento, tra l'altro, prima del finale lieto e dell'intervento divino, in cui l'affetto tra padre e figlio viene visualizzato attraverso un abbraccio, un contatto fisico che si trova poco prima del momento in cui il padre alzerà la lama sul figlio, in un contrasto drammatico fortissimo e formidabile.

Purtroppo non ho trovato su internet nessuna traccia di questo spettacolare momento che avrei voluto farvi sentire.
Ho optato quindi, in versione solo audio per evitarvi delle messe in scena veramente bruttissime e risibili, per un'aria di Idomeneo, in cui emerge, in maniera netta, il tormento di un padre (sebbene nel testo non si parli mai di sentimento paterno), del suo cuore dilaniato, in cerca di una soluzione, fosse anche il naufragio di se stesso, quindi la sua stessa morte.

Fuor del mar ho un mare in seno,
Che dei primo è più funesto,
E Nettuno ancora in questo
Mai non cessa minacciar.

Fiero Nume! dimmi almeno:
Se al naufragio è sì vicino
Il mio cor, qual rio destino
Or gli vieta il naufragar?




Per concludere, credo, ma questa è opinione personalissima, che gran parte del rapporto padre-figlio si giochi soprattutto all'interno del padre, non perché Idamante non sia interessato dalla sua relazione con Idomeneo, ma piuttosto perché nel re vi è la piena consapevolezza di quello che sta avvenendo.

Potete benissimo dissentire da questa mia opinione (so che l'opera non è delle più conosciute, ma credo che la trama e l'analisi del rapporto possa darvi qualche idea) e aggiungere tutte le considerazioni che volete, nonché pormi tutte le domande chiarificatrici del caso (tranne ovviamente il perché Elettra sia a Creta, questo è un grande mistero della lirica :P ).
 
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view post Posted on 11/3/2010, 16:23
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Per me l'opera era del tutto sconosciuta (bello il pezzo che hai inserito: sì, il dolore o, meglio, la disperazione del padre si sente eccome!), ma dalle spiegazioni che hai dato concordo con te che è solo all'interno della figura del padre che può compiutamente giocarsi la relazione padre-figlio, perchè solo il padre ne conosce tutti gli elementi correlati e il suo dolore è, per così dire, completato dalla conoscenza del dolore che le sue azioni (incomprensibili per Idamante) provocano al figlio. Ad Idamante rimane solo il dolore per l'incompreso rifiuto del padre, che pure non inficia il suo amore filiale, ma il rapporto rimane monco per la mancata conoscenza dei fatti "nascosti". Solo nel finale la relazione padre-filgio potrebbe compiutamente svilupparsi anche nel Figlio, ma credo che, in questa opera, a questo punto venga sublimata nella scena (grandiosa) del finale, con il sacrificio che poi si trasforma in tripudio e, forse, non c'è più tempo per l'introspezione di questo rapporto nell'interiorità di Idamante.

Una piccola nota: Idamante, pur essendo una figura maschile, è veramente interpretato da un soprano (donna?) o è solo un errore?

 
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CITAZIONE (Ida59 @ 11/3/2010, 16:23)
Per me l'opera era del tutto sconosciuta (bello il pezzo che hai inserito: sì, il dolore o, meglio, la disperazione del padre si sente eccome!), ma dalle spiegazioni che hai dato concordo con te che è solo all'interno della figura del padre che può compiutamente giocarsi la relazione padre-figlio, perchè solo il padre ne conosce tutti gli elementi correlati e il suo dolore è, per così dire, completato dalla conoscenza del dolore che le sue azioni (incomprensibili per Idamante) provocano al figlio. Ad Idamante rimane solo il dolore per l'incompreso rifiuto del padre, che pure non inficia il suo amore filiale, ma il rapporto rimane monco per la mancata conoscenza dei fatti "nascosti". Solo nel finale la relazione padre-filgio potrebbe compiutamente svilupparsi anche nel Figlio, ma credo che, in questa opera, a questo punto venga sublimata nella scena (grandiosa) del finale, con il sacrificio che poi si trasforma in tripudio e, forse, non c'è più tempo per l'introspezione di questo rapporto nell'interiorità di Idamante.

Una piccola nota: Idamante, pur essendo una figura maschile, è veramente interpretato da un soprano (donna?) o è solo un errore?

Molto bella la tua analisi. Ed in effetti, ti confermo che nella scena finale manca l'introspezione di questo rapporto nell'interiorità di Idamante. Idamante si limita ad accettare i fatti, a comprendere, ma, alla fine, l'introspezione rimane tutta ad Idomeneo che chiude l'opera con una nuova aria, che segna il suo abbandono del trono di Creta, per poi lasciar spazio ad un coro festoso.

Quanto ad Idamante, il ruolo fu scritto originariamente per castrato che cantavano con voce per noi irricostruibile (grazie al cielo attualmente non si immolano più bambini all'arte musicale, come avvenne soprattutto durante il XVII e XVIII secolo), ma simile a quella femminile. Essenzialmente in un castrato veniva evitata la muta della voce, facendogli mantere, pur con le varianti dovute comunque alla crescita, una voce non-maschile.
L'usanza di utilizzare castrati nasce a Roma, dal momento che in Vaticano era interdetto alle donne cantare nei cori (divieto che non riguardava la scena pubblica, né i teatri d'opera privati). Per aver quindi voci femminili si arrivò all'utilizzo dei castrati. L'opera, fin dai suoi albori, iniziò a farne uso per le parti dell'eroe giovane. L'uso dei castrati per ruoli del genere rispondeva bene all'estetica barocca, che è estetica fatta di eccesso e di grandezza smisurata. In poche parole il castrato dava un'aurea più eroica all'eroe giovane, proprio perché la sua voce era, come dire, non-umana, quindi con un che di sovrannaturale. Lo so che, per noi è abominevole, ma così era.
Nell'opera italiana vengono quindi usati sovente, soprattutto nell'opera seria che parla di nobili ed eroi, i castrati. Nell'opera francese, invece, il ruolo dell'eroe giovane è piuttosto affidato a quello che si chiamava haute-contre, un tenore dalla voce particolarmente acuta.
Oggi, non essendovi fortunatamente più castrati, si affidano i ruoli un tempo scritti per castrati a donne (soprani o mezzosoprani) che recitano quindi in quello che viene chiamato travesti, ovvero ruoli maschili cantati da donne. La pratica dei ruoli in travesti rimarrà piuttosto in voga nella prima metà del XIX secolo, per sottolineare la giovinezza dell'eroe, per poi giungere, man mano che si avanza ad essere relegata al paggetto di corte. Non deve quindi stupire se in Capuleti e Montecchi di Vincenzo Bellini, il ruolo di Romeo è affidato ad un mezzosoprano.
 
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Tancredi



Musica: Gioacchino Rossini
Libretto: Gaetano Rossi
Prima rappresentazione: Venezia, Teatro la Fenice, 6 febbraio 1813 (seconda versione con finale tragico: Ferrara, 21 marzo 1813)

Personaggi:
Argirio: tenore
Amenaide, sua figlia: soprano
Tancredi: contralto
Orbazzano: basso
Isaura: mezzosoprano
Roggiero: mezzosoprano
Nobili e cavalieri, scudieri, popolo e saraceni


Trama:
Siracusa. Intorno all'anno 1000.

Antefatto:
La città è teatro della guerra tra bizantini e saraceni. In questo quadro Siracusa cerca di mantenere la propria indipendenza, ma è lacerata dalla lotta intestina tra la famiglia di Argirio e quella di Orbazzano. Tancredi, di origine normanna, viene accusato ingiustamente di fedeltà alla corte di Bisanzio e quindi esiliato. La giovane Amenaide corteggiata sia da Solimar, capo dei saraceni, che da Tancredi, si innamora di quest'ultimo a cui giura eterna fedeltà.

Atto I
Argirio ed Orbazzano, in vista della battaglia contro i saraceni che sono nei pressi della città, decidono di porre fine agli antichi rancori che dividono le due famiglie e, per rendere più saldo questo legame, Argirio promette Amenaide in sposa ad Orbazzano. D'altro canto il fidanzamento tra Amenaide ed Orbazzano racchiude in sé una sfida a Solimar, il quale aveva promesso di non assalire Siracusa in cambio della mano della giovane. Amenaide, che ha appena spedito, di nascosto, una lettera a Tancredi, è ovviamente sconvolta dall'annuncio fattole dal padre, anche se non osa ribellarsi.
Poco dopo Tancredi, contravvenendo all'ordine di esilio, sbarca a Siracusa, insieme all'amico Roggiero che invia subito in cerca di Amenaide.
In quei pressi arrivano Amenaide e Argirio. Tancredi si nasconde. Argirio dice alla figlia che si ha notizia di un ritorno di Tancredi in Sicilia e, per questo motivo, vuole affrettare le nozze tra Amenaide e Orbazzano. La giovane esita e tenta di far desistere il padre, il quale ricorda la figlia che la sua fedeltà non va già ad un traditore, quanto alla patria ed al genitore.
Appena è uscito l'uomo, Tancredi si palesa ad Amenaide. Questa lo supplica di andarsene per evitare la morte che lo coglierebbe se qualcuno, riconoscendolo, lo denunciasse alle autirità.
Credendo Amenaide infedele, non appena gli giunge voce del matrimonio tra lei ed Orbazzano che Argirio ha deciso di far celebrare quello stesso giorno, Tancredi irrompe, poco prima che si celibrino le nozze, e chiede di essere difensore di Siracusa. Non riconosciuto da nessuno, salvo che da Amenaide e dalla sua confidente Isaura, viene festeggiato come nuovo eroe della città.
Poco dopo, Amenaide, facendosi coraggio e sfidando l'autorità paterna, afferma che non sposerà mai Orbazzano.
Quest'ultimo, giunto in possesso della lettera che Amenaide ha inviato a Tancredi, la mostra ad Argirio, il quale, orripilato la legge ad alta voce:
"T'affretta: in Siracusa atteso sei;
gloria ed amor t'invitano. Trionfa
degli inimici tuoi:
vieni a regnar su questo cor, su noi."

Tutti, Tancredi incluso, credono che la lettera sia stata inviata a Solamir. Amenaide, per non svelare che il cavaliere ignoto che si è offerto come campione di Siracusa è Tancredi, non si dice la verità e viene così condotta in prigione con l'accusa di tradimento.


Atto II
Orbazzano porta ad Argirio la sentenza del senato, che condanna a morte ad Amenaide. Affinché la condanna sia valida, occorre la firma di Argirio, ultimo dei senatori, a non avere ancora firmato. Argirio è scisso, incerto se seguire la ragion di stato che vorrebbe che lui firmasse e le ragioni del cuore che gli imporrebbero di salvare la figlia, ma, infine, assillato dagli abitanti di Siracusa e da Orbazzano, firma segnando la condanna a morte di Amenaide.
Amenaide, sola in prigione, si consola pensando che Tancredi, un giorno, saprà che lei gli è sempre stata fedele.
Arrivano Argirio ed Orbazzano per prelevare la giovane e condurla a morte. Argirio abbraccia la figlia, che si professa innocente ed intimamente vuole morire con lei.
In quel momento si presenta Tancredi che si pone come difensore di Amenaide e sfida per questo a duello Orbazzano. Mentre i due escono e combattono, Amenaide prega per la salvezza dell'amato. Tancredi, acclamato dal popolo, ha ucciso Orbazzano e quindi l'innocenza di Amenaide è ristabilita e la sua vita è salva.
Quando, però, Amenaide si trova sola con Tancredi, scopre che egli la crede ancora infedele e che le ha fatto soltanto grazia della vita perché non sopportava di saperla morta.
Si sentono i saraceni appressarsi alla città. Tutto il popolo si riunisce ed è, in questo momento che Amenaide, per dimostrare che Tancredi che vuole prendere la guida dell'esercito, non è affatto un traditore ne svela il nome. Il bando viene tolto e Argirio stesso offre la guida dell'esercito a Tancredi.
I siracusani hanno la meglio sui nemici e Tancredi rientra trionfatore in scena. Solamir stesso, morente, gli ha rivelato che mai ha ricevuto lettere da Amenaide. Il giovani è quindi convinto della fedeltà della giovane. Ed Argirio, tra il giubilo generale, unisce Amenaide e Tancredi, che si sposeranno di lì a poco.

Esiste un finale alternativo dell'opera, che è generalmente quello attualmente più eseguito, scritto per il teatro comunale di Ferrara, in cui la vicenda segue le stesse linee di quella raccontata, se non variando nel finale. Tancredi, vincitore, è però ferito a morte. Proclama, quindi, morente l'innocenza di Amenaide e prima di spirare la chiama sua sposa.


All'interno di una trama così ingarbugliata e molti versi illogica (sfido a pensare realistico che qualcuno possa accettare come difensore della propria città il primo arrivato, senza nemmeno chidergli "e tu chi sei?" :P), emerge un rapporto padre e figlia piuttosto intrigante e, in mezzo a tanta illogicità, logico.
Entrambi compiono un'evoluzione all'interno della vicenda. Amenaide, in un primo momento incapace di ribellarsi al padre, arriva a prendere coscienza di se stessa e a rifiutare pubblicamente il volere del padre. Argirio, dal canto suo, prima padre che vuole imporre la sua volontà, poi, dopo aver firmato la condanna a morte, a tal punto legato alla figlia da voler morire al suo fianco.
Se, all'inizio dell'opera, le parole severe che Argirio rivolge alla figlia titubante (d'irritar paventa la patria, e il genitor), fanno pensare che il padre sia il "solito" padre che vuole imporsi sulla figlia, il proseguo della storia e soprattutto la grande scena che vede l'uomo combattere tra la ragion di stato e la ragion di cuore, gli danno nuova umanità che rende anche più logico l'affetto che Amenaide gli porta.
Amenaide, pur nella sua ribellione, appare personaggio più statico nel rapporto con il padre, anche perché è schiacciata interiormente da troppi pesi. Il sospetto di infedeltà di Tancredi, il volere del padre, la condanna alla prigione e alla morte. In lei è quindi analizzato piuttosto il personaggio della fanciulla innocente, creduta da tutti colpevole e che, alla fine, viene scagionata, lasciando trionfare la sua virtù. In questo sta anche il suo rapporto con il padre, in cui l'affetto filiale non viene meno con la presa di consapevolezza della propria volontà.
Argirio è personaggio, invece, rappresentato soprattutto come padre e potente ed è come padre che agisce in molte delle scene in cui compare.
Non mi sento però, di dire, come avevo fatto per Idomeneo che il rapporto padre-figlia si gioca tutto nel personaggio di Argirio, perché anche il rapporto di Amenaide nei confronti del padre muta e soprattutto Amenaide sa tutto, anzi sa più del madre e sceglie espressamente di mentirgli, celando l'identità di Tancredi.
Quello che mi sento però di dire è che il punto di vista di Argirio può apparire, per certi versi più interessante.

E' la grande scena del secondo atto, momento di alta riflessione del personaggio che vive un dramma terribile: da una parte l'amore per Amenaide e quindi la volontà di non condannarla a morte, dall'altra la coscienza che lui è un uomo di stato e come tale deve applicare la legge equamente e senza fare differenze, anche se il nome della condannata è quella di sua figlia. Ed infine, come accade spesso nell'opera (più avanti vi fornirò un altro esempio del genere), vince la ragion di stato, in una scelta che appare palesemente non facile.
Credo, ed è per questo che ho deciso di porre questa scena come esempio musicale, che in questa scena si riassuma moltissimo l'essere padre di Argirio ed il suo essere al contempo una figura di autorità.
Ascoltando la scena, vi pregherei di notare come il canto cambi tra le parti in cui Argirio parla al suo cuore, dove il canto è più semplice, più ripiegato e quando parla al popolo in cui il canto si fa più difficile e arzigogolato, come se Rossini volesse sottolineare maggiormente la scissione tra interiorità ed esteriorità, tra essere padre ed essere autorità politica e giuridica.
Una piccola nota. L'esecuzione non è eccelsa, ma purtroppo non ho trovato nulla di meglio dell'intera aria, ma il problema sta nell'estrema difficoltà dell'aria stessa che richiederebbe delle doti incredibili.


ARGIRIO
(colpito)
Oddio! Crudel! qual nome
caro e fatal or mi rammenti! e come
tutto mi scosse il petto!...
Eh! non s'ascolti un vil debole affetto!
Sì, a qual voce flebile, e severa
dal profondo del cor, ferma (mi dice)
è tua figlia che danni... oh! me infelice!
Ah! segnar invano io tento
la sua cruda sorte estrema.
La mia man s'arresta e trema,
di terror si gela il cor:
sì, ti sento il fier cimento
gemi in sen, paterno amor.

ISAURA,
Odi natura che ti consiglia,
e per la figlia, chiede pietà.

PARTE DEL CORO e ORBAZZANO,
Servi alla patria: cedi alla legge,
chi il fren ne regge figli non ha.

ARGIRIO
(risoluto)
Sì, virtù trionfi omai:
paga, o patria, al fin sarai
(va al tavolino e firma il foglio)
peran tutti della patria
co' la figlia i traditor.

CORO
Trova ognora in te la patria
il suo padre, il suo splendor.

ARGIRIO
Ma, la figlia!... oddio!... frattanto...
va alla morte, oh quale orror!...
Perdonate questo pianto
a un oppresso genitor.

CORO
Di virtù, di gloria il vanto
sia compenso al tuo dolor.




Concludo precisando unicamente che il ruolo di Tancredi è stato creato espressamente per voce femminile. Si tratta quindi di un ruolo in travesti.

E adesso lascio la parola a voi! Dite pure tutto quello che volete e ponete tutte le domande che volete, anche sulla trama, che è ingarbugliata e magari ha qualche punto oscuro, che spero di poter risolvere.

 
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Più che ingarbugliata, direi totalmente illogica, e da lì il conseguente ingarbuglio! ;) Però, ormai, agli equivoci che fioriscono esuberanti nell'opera ci sono avvezza, anche se la mia esperienza è molto modesta; Rossini, poi, mi sembra che con questi giochi ci vada a nozze...

Un tenore dalla voce molte "sottile" e acuta (ancora perdona l'improprietà di linguaggio) che certo non è il tipo di voce da me preferita, ma credo sia invece consono alla musica di Rossini, se non ho capito male.
Ho notato le variazioni del suo canto, quello più intimistico del padre, e quello più curato e infiorettato dell'uomo di stato: preferisco il primo tipo, seppur di poco, per quanto detto sopra sul tipo di voce, ma in generale nella voce maschile mi piace la "potenza" e non questi arzigogoli!

CITAZIONE
estrema difficoltà dell'aria stessa che richiederebbe delle doti incredibili

Che cosa intendi, esattamente?
 
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view post Posted on 19/3/2010, 21:04
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CITAZIONE (Ida59 @ 19/3/2010, 17:14)
Più che ingarbugliata, direi totalmente illogica, e da lì il conseguente ingarbuglio! ;) Però, ormai, agli equivoci che fioriscono esuberanti nell'opera ci sono avvezza, anche se la mia esperienza è molto modesta; Rossini, poi, mi sembra che con questi giochi ci vada a nozze...

Un tenore dalla voce molte "sottile" e acuta (ancora perdona l'improprietà di linguaggio) che certo non è il tipo di voce da me preferita, ma credo sia invece consono alla musica di Rossini, se non ho capito male.
Ho notato le variazioni del suo canto, quello più intimistico del padre, e quello più curato e infiorettato dell'uomo di stato: preferisco il primo tipo, seppur di poco, per quanto detto sopra sul tipo di voce, ma in generale nella voce maschile mi piace la "potenza" e non questi arzigogoli!

CITAZIONE
estrema difficoltà dell'aria stessa che richiederebbe delle doti incredibili

Che cosa intendi, esattamente?

Gli arzigogoli li ha scritti Rossini, quindi la colpa non è del tenore. O meglio la è, da un certo punto di vista, perché rende brutti i suddetti arzigogoli, o meglio, in gerco colorature.
La scrittura di Rossini è quella che prevede il maggior numero di colorature per le voci maschili e, se le colorature sono fatte bene, la voce risulta bella piena.
Il cantante del brano, a fronte di un'aria difficilissima (le colorature sono difficili da cantare) e della sua acutezza sbianca molto le note e, alle voce, sporca gli acuti (quindi va vicino, vicino a stonare). Anzi diciamo che lo trovo in parte inadeguato alla parte, ma qui andrei poi molto sul tecnico e rischierei di diventare incomprensibile.
Dal canto mio io preferisco, per certi versi, il canto di grazia a quello di forza. Ma diciamo che quello che preferisco è banalmente un cantante che canta bene :P

Di sotto ti metto un esempio di rossini cantato bene, in cui il cantante non si sbianca negli acuti e la voce risulta più "piena". Poi il gusto è gusto (io sono una rossiniana di ferro e per esempio non sopporto Cavalleria Rusticana. Lo so che sono strana ;) ), ma è solo per rendere meglio l'idea di quello che io reputo un'inadeguatezza del cantante che ho trovato per Tancredi, la cui trama è, come dici tu assolutamente illogica.



 
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view post Posted on 19/3/2010, 21:26
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Bè, è vestito come un pagliaccio, ma ha la voce d'un eroe possente!
Le colorature nelle voci maschili continuano a non piacermi molto, ma la voce di questo cantante mi piace eccome e le sue colorature sono indubbiamente tutta un'altra cosa!
Che opera è e chi è lui?
A me ha fatto venire in mente il principe di Cenerentola che la vuole cercare dopo che ha perso la scarpina! :D


Ops... che idiota, nome del cantante e dell'opare erano scritti sopra!
Però avevo indovinato, pur sparando assolutamente a caso!!!


Ma non è lo stesso cantante del pezzo del Don Pasquale, quello al quale aveva preferito l'altro perchè aveva la voce più "piena e forte"?
Ma anche lui, qui, dimostra di possedere la stessa potenza vocale: quindi, è stata una sua "decisione" non usarla nell'altro brano, quasi preferendo recitare il dolore invece che cantarlo?
 
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CITAZIONE (Ida59 @ 19/3/2010, 21:26)
Bè, è vestito come un pagliaccio, ma ha la voce d'un eroe possente!
Le colorature nelle voci maschili continuano a non piacermi molto, ma la voce di questo cantante mi piace eccome e le sue colorature sono indubbiamente tutta un'altra cosa!
Che opera è e chi è lui?
A me ha fatto venire in mente il principe di Cenerentola che la vuole cercare dopo che ha perso la scarpina! :D


Ops... che idiota, nome del cantante e dell'opare erano scritti sopra!
Però avevo indovinato, pur sparando assolutamente a caso!!!

Ma non è lo stesso cantante del pezzo del Don Pasquale, quello al quale aveva preferito l'altro perchè aveva la voce più "piena e forte"?
Ma anche lui, qui, dimostra di possedere la stessa potenza vocale: quindi, è stata una sua "decisione" non usarla nell'altro brano, quasi preferendo recitare il dolore invece che cantarlo?

L'unica cosa che non hai indovinato è che il principe nella Cenerentola di Rossini (che sarà la prossima opera in programma nei rapporti familiari) non la cerca grazie alla scarpa, ma ad uno smaniglio (traduzione: braccialetto) che lei gli ha datto perché la trovasse (una Cenerentola più decisa insomma).

Ed è lo stesso cantante del Don Pasquale (ho scordato di scriverlo. Ecco cosa succede a rispondere, mentre gioco con Juliette :P Sto diventando bionica!), Juan Diego Florez che, attualmente, è, per me, uno dei migliori tenori sulla piazza nel suo repertorio (quindi te lo troverai in molti altri esempi).
In Don Pasquale, in realà, la voce sembra meno potente perché sta cantando in mezza-voce, quindi in piano, altro modo per rappresentare il dolore di Ernesto. E tiene un canto a fior di labbra (come si chiama in gerco) per tutta la parte, mentre l'altro cantante (Kraus, che io reputo uno dei più grandi tenori della sua generazione, se non il più grande) ondeggia più tra il piano ed il forte, ma qui si entra nelle scelte interpretative che sono sempre opinabili.
 
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view post Posted on 26/3/2010, 16:05
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La Cenerentola



Musica: Gioacchino Rossini
Libretto: Jacopo Ferretti
Prima rappresentazione: Roma, Teatro Valle, 25 gennaio 1817

Personaggi:
Don Ramiro, principe di Salerno: tenore
Dandini, suo cameriere: basso
Don Magnifico, barone di Montefiascone, padre di: basso buffo
Clorinda (e di): soprano
Tisbe: mezzosoprano
Angelina, sotto il nome di Cenerentola, figliastra di Don Magnifico: contralto
Alidoro, filosofo, maestro di don Ramiro: basso
Cortigiani del principe.

Prima di introdurre la trama, vi faccio notare immediamente qualcosa che vi sarà balzato agli occhi, leggendo la lista dei personaggi.
Non esiste alcuna fata, ma tutt'al più un filosofo, maestro di don Ramiro e al posto della matrigna abbiamo un patrigno, catalogato come basso buffo (ed infatti fa ridere), ma che alle volte, di buffo a ben poco, diventando irremediabilmente crudele (che poi si rida della sua crudeltà, alle volte, è un altro discorso).
Essenzialmente La Cenerentola di Rossini è una lettura illuminista della nota vicenda, che toglie quindi tutte le componenti fantastiche presenti nella fiaba.


Trama:
All'interno del cadente palazzo di don Magnifico.
Mentre Clorinda e Tisbe si pavoneggiano davanti allo specchio, Angelina canta una canzone in cui un re, cercando una sposa, che sceglie per sé, tra tre pretendenti, l'innocenza e la bontà. Le sorellastre rimbrottano Cenerentola per cantare sempre la stessa canzone, ma la giovane riprende a cantare, subito interrotta da Clorinda e Tisbe.
In quel momento si sente bussare alla porta. Un vecchio mendicante (in realtà è Alidoro travestito) entra e chiede la carità. Clorinda e Tisbe lo scacciano, mentre Angelina gli dà un po' di colazione. Le sorellastre, accorgendosi del fatto, stanno per rimbrottare Cenerentola, quando arrivano dei cavalieri, cortigiani del principe don Ramiro, che invitano le figlie di don Magnifico al ballo della sera stessa, avvertendole che il principe stesso verrà a prenderle.
Usciti i cavalieri ed Alidoro, le sorellastre mandano Cenerentola a preparare abiti e ghingeri, per poi chiamare il padre, ancora addormentato. Don Magnifico, risvegliato di colpo, si arrabbia con le figlie per poi raccontare un sogno in cui ha visto un somaro a cui spuntavano le penne e che si andava a posare su un campanile, le cui campane cominciano a rintoccare a festa. La lettura che l'uomo dà del sogno è che egli sia il somaro e le penne le figlie che diventeranno entrambe regine, riempendolo di nipoti. E le due sorelle vedono nel sogno del padre qualcosa di premonitore, dicendogli subito dell'invito del principe.
All'uscita dei personaggi dalla scena, entra uno scudiero, che è però don Ramiro, travestito come tale. Egli si è infatti scambiato di ruolo con il fido cameriere Dandini che reciterà da principe, il tutto con lo scopo di poter meglio scrutare il cuore delle femmine. La prima persona che egli incontra nella casa è Angelina ed i due si innamorano. E' a Ramiro che la giovane dice, un po' goffamente, di essere figliastra di don Magnifico (Quel che padre non è padre / onde poi le due sorelle / era vedova mia madre / ma fu madre ancor di quelle / e quel padre pien d'orgoglio).
Dopo che i due si sono lasciati, sopraggiunge Don Magnifico che trova don Ramiro, il quale, da bravo "scudiero" annuncia che tra poco arriverà il "principe". Ed infatti, poco dopo, Dandini, in gran pompa, con tutto il seguito di cortigiani, arriva e, recitando da principe (recito da grande, e grande essendo, grandi le ho sparar), corteggia in maniera esagerata Clorinda e Tisbe, che poi escono accompagnate dai cortigiani. Anche don Magnifico, don Ramiro e Dandini, stanno per lasciare il luogo, quando arriva Cenerentola che chiede al patrigno di poter andare anche lei al ballo per un ora soltanto. La situazione sta per precipitare, quando arriva Alidoro, portando con sé il gran codice delle zitelle, secondo il quale con Don Magnifico, stan tre sorelle. Il barone dice che la terza figlia è morta e, dopo un breve parapiglia, se ne va.
Cenerentola rimasta sola, viene rincuorata da Alidoro che, molto prosaicamente, le procura gli abiti per il ballo e la conduce con sé.
La scena cambia. Siamo adesso nel palazzo del principe, dove Dandini e Ramiro parlano tra loro, subito interrotti da Clorinda e Tisbe che inseguono il falso principe. Quando questo dice che colei che lui non sposerà, sarà destina al suo scudiero le due sorelle sono inorridite.
Dalla sala da ballo del palazzo si sente un mormorio. Esce Alidoro che informa i quattro che una dama velata ed incognita (ovviamente si tratta di Cenerentola) è arrivata alla festa. Quando tutti esntrano nel salone, la dama ha ancora il volto coperto da un velo e solo su invito di Dandini si scopre. Tutti rimangono immobilizzati e stupiti, ravvisando ognuno in lei qualcosa di Cenerentola, escludendo poi subito l'idea. E lo stesso don Magnifico, nominato poco prima da Dandini cantiniere del palazzo, annunciando che la cena è pronta, vede nella dama sconosciuta una somiglianza con Cenerentola, subito negata.
Colui che è più turbato è proprio Ramiro che ravvisa la somiglianza tra la giovane e l'infelice che l'ha colpito in mattinata.

Atto II
Dopo che Don Magnifico ha sognato con le figlie le cariche che gli spetteranno quando una delle due si sarà sposata con il principe, Dandini entra nel salone ormai vuoto, inseguendo Angelina, la quale ammette di essere innamorata di un altro, dello scudiero. Ramiro, che ha seguito di nascosto il dialogo, si palesa ed i due rimangono soli. La giovane dice a Ramiro di cercarla e perché la trovi gli lascia uno smaniglio (bracciale) gemello dell'altro bracciale che ella porta, poi, aggiungendo un allor, se non ti spiaccio, allor m'avrai, se ne va.
Ramiro, rimasto solo, annuncia a Dandini che da quel momento ritorna ad essere il cameriere e che lui, Ramiro, riprende la sua carica di principe.
Dandini, ormai ex-principe, viene avvicinato da Don Magnifico che gli chiede se si sia fatta una scelta e Dandini, che non ha ancora dismesso gli abiti principeschi, gioca con Don Magnifico, facendogli credere che la scelta sia stata fatta, per poi beffarlo svelandogli di essere in realtà un cameriere.
La scena si sposta nuovamente nella casa di don Magnifico.
Cenerentola sola, pensa a quelo che lei crede a tutti gli effetti essere uno scudiero. Arrivano Don Magnifico e le sorellastre decisamente irritati e poco dopo scoppia un temporale.
La carrozza del principe (che sta cercando Angelina), si ribalta, ma Alidoro facendo un accurato lavoro con le ruote della carrozza, ci ha messo lo zampino, proprio davanti alla casa di don Magnifico.
Fortuitamente don Ramiro (ora vestito da Principe, mentre Dandini è vestito da Cameriere) vede lo smaniglio al polso di Angelina e, ovviamente, la gioia è doppia, dal momento che, come aveva percepito la dama incognita e la bella infelice sono la stessa persona. Don Magnifico e le sorellastre irridono cenerentola, dicendole che Ramiro si sta burlando di lei, ma, quando il principe conduce Angelina a palazzo, devono piegarsi alle evidenze.
La storia si conclude con il consueto perdono finale di Cenerentola.

L'inserimento di quest'opera, in cui il rapporto padre-figliastra è solo accennato, nasce dalla volontà di mostrare come un rapporto del genere può essere trattato in un'opera buffa (Cenerentola, con il gioco di travestimenti ha tutte le caratteristiche dell'opera buffa e certe scene sono francamente divertenti), oltre a proporre un padre cattivo (perché don Magnifico è cattivo padre per le proprie figlie straviziate e cattivo patrigno verso Angelina) in un contesto comico. Anzi spesso la cattiveria di don Magnifico, di cui, come ho detto in presentazione, si ride, è perno di alcune scene, tra cui quella che vi proporrò poco sotto, in cui, più che la matrigna della fiaba, il patrigno risulta decisamente malvagio e leggermente sadico con Angelina. La cosa appare evidente in tutto il finale ultimo, in cui l'incredulità di fronte alla volontà di Ramiro di sposare Angelina, diventa malvagità pura, nel momento in cui, il perdono della giovane, viene giudicato da Magnifico ipocrita, al punto da essere rigettato, se non poi venir accettato in un tutt'altro che sincero pentimento finale, indotto dal solito Alidoro.
Quindi se, da un lato, abbiamo una Cenerentola che, spogliata dell'elemento fantastico, rimane fedele a se stessa (fatto salva la volontà di essere seguita da Ramiro ed amata per quello che è... una serva, e non la perdita fortuita della scarpetta), con il perdono finale e la sua bontà che viene portata in trionfo, dall'altro il personaggio del patrigno, assume connotati buffi (Magnifico è un basso buffo), ma, come molti personaggi buffi rossiniani, di una buffoneria cattiva.
Forse non è un esempio geniale per delineare i vari rapporti padre-figlio, ma diciamo che il mio amore per La Cenerentola mi ha portato a volerla inserire in questo campo, anche per dimostrare, come dicevo in partenza che nell'opera buffa i padri possono essere tranquillamente cattivi e far ridere allo stesso tempo.

La scena che vi propongo è quella in cui Angelina chiede se può andare anche solo per un'ora al ballo, per due motivi: mostrare nella prima parte (e credo che il libretto sia chiarissimo da questo punto di vista) la cattiveria di don Magnifico, e quella che Stendhal, per un'altra opera, chiama follia organizzata, ovvero quei momenti in cui tutti i personaggi sono presi da un'improvvisa incomprensione per quello che sta accadendo, il ritmo accellera e tutto diventa confuso, le parole prima di ogni altra cosa.

Cenerentola
Una parola.

Signore, una parola:
In casa di quel Principe
Un'ora, un'ora sola
Portatemi a ballar.

Don Magnifico
Ih! Ih! La bella Venere!
Vezzosa! Pomposetta!
Sguaiata! Cova-cenere!
Lasciami, deggio andar.

Dandini
(tornando indietro, ed osservando Ramiro immobile)
Cos'è? qui fa la statua?

Sottovoce fra loro in tempo del solo di Don Magnifico.

Ramiro
Silenzio, ed osserviamo.

Dandini
Ma andiamo o non andiamo!

Ramiro
Mi sento lacerar.

Cenerentola
Ma una mezz'ora... un quarto.

Don Magnifico
(alzando minaccioso il bastone)
Ma lasciami o ti stritolo.

Ramiro e Dandini
(accorrendo a trattenerlo)
Fermate.

Don Magnifico
(sorpreso, curvandosi rispettoso a Dandini)
Serenissima!
(ora a Dandini ora a Cenerentola)
Ma vattene. - Altezzissima!
Servaccia ignorantissima!

Ramiro e Dandini
Serva?

Cenerentola
Cioè...

Don Magnifico
(mettendole una mano sulla bocca e interrompendola)
Vilissima
D'un'estrazion bassissima,
Vuol far la sufficiente,
La cara, l'avvenente,
E non è buona a niente.
(minacciando e trascinando)
Va' in camera, va' in camera
La polvere a spazzar.

Dandini
(opponendosi con autorità)
Ma caro Don Magnifico
Via, non la strapazzar.

Ramiro
(fra sé, con sdegno represso)
Or ora la mia collera
Non posso più frenar.

Cenerentola
(con tuono d'ingenuità)
Signori, persuadetelo;
Portatemi a ballar.
Ah! sempre fra la cenere
Sempre dovrò restar?

Nel momento che Don Magnifico staccasi da Cenerentola ed è tratto via da Dandini, entra Alidoro con taccuino aperto.

Alidoro
Qui nel mio codice
Delle zitelle
Con Don Magnifico
Stan tre sorelle.
(a Don Magnifico con autorità)
Or che va il Principe
La sposa a scegliere,
La terza figlia
Io vi domando.

Don Magnifico
(confuso ed alterato)
Che terza figlia
Mi va figliando?

Alidoro
Terza sorella...

Don Magnifico
(atterrito)
Ella... morì...

Alidoro
Eppur nel codice
Non v'è così.

Cenerentola
(Ah! di me parlano.)
(ponendosi in mezzo con ingenuità)
No, non morì.

Don Magnifico
Sta' zitta lì.

Alidoro
Guardate qui!

Don Magnifico
(balzando Cenerentola in un cantone)
Se tu respiri,
Ti scanno qui.

Ramiro, Dandini e Alidoro
Dunque morì?

Don Magnifico
(sempre tremante)
Altezza sì.

Momento di silenzio.

Tutti
(guardandosi scambievolmente)
Nel volto estatico
Di questo e quello
Si legge il vortice
Del lor cervello,
Che ondeggia e dubita
E incerto sta.

Don Magnifico
(fra' denti, trascinando Cenerentola)
Se tu più mormori
Solo una sillaba
Un cimiterio
Qui si farà.

Cenerentola
(con passione)
Deh soccorretemi,
Deh non lasciatemi,
Ah! di me, misera
Che mai sarà?

Ramiro
Via consolatevi.
Signor lasciatela.
(strappandola da Don Magnifico)
(Già la mia furia
Crescendo va.)

Alidoro
(frapponendosi)
Via meno strepito:
Fate silenzio.
O qualche scandalo
Qui nascerà.

Dandini
Io sono un Principe,
O sono un cavolo?
Vi mando al diavolo:
Venite qua.


L'edizione che vi propongo è quella che vede Claudio Abbado alla direzione dell'Orchestra del Teatro alla Scala di Milano, con regia di Ponelle.
I ruoli sono interpretati da Frederica von Stade (Angelina), Francisco Araiza (Ramiro), Paolo Montarsolo (Magnifico), Claudio Desderi (Dandini) e Paul Plishka (Alidoro)


Spero che il gioco di travestimenti della trama sia piuttosto chiaro. Come sempre potete fare tutte le domande che volete.
E la prossima opera che analizzerò sarà decisamente di carattere più serio e con molte più cose da dire (svelo subito l'arcano, dicendo che si tratterà, sempre che qualche idea non mi illumini il cammino, di Rigoletto)
 
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view post Posted on 28/3/2010, 14:48
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Un pezzo godibilissimo!
Accidenti, ma quanto è viscido e odioso (bravissimo nella recitazione) Don Magnifico!

CITAZIONE
quella che Stendhal, per un'altra opera, chiama follia organizzata, ovvero quei momenti in cui tutti i personaggi sono presi da un'improvvisa incomprensione per quello che sta accadendo, il ritmo accellera e tutto diventa confuso, le parole prima di ogni altra cosa.

Ecco: "follia organizzata" è un termine assolutamente perfetto per definire quei pezzi che Rossini mette in ogni sua opera e in cui non si capisce più nulla. Rossana li chiamava "i pazzi" quando sentiva i toni salire e confondersi mentre ascoltavo "L'italiana in Algeri"
 
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view post Posted on 28/3/2010, 17:49
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CITAZIONE (Ida59 @ 28/3/2010, 15:48)
Ecco: "follia organizzata" è un termine assolutamente perfetto per definire quei pezzi che Rossini mette in ogni sua opera e in cui non si capisce più nulla. Rossana li chiamava "i pazzi" quando sentiva i toni salire e confondersi mentre ascoltavo "L'italiana in Algeri"

Citando L'Italiana in Algeri hai proprio fatto riferimento all'opera a cui Stendhal faceva riferimento!
Ed in effetti tutto il finale del primo atto dell'Italiana è qualcosa di folle e, se a teatro reso bene, divertentissimo.

Quanto a Don Magnifico, ti do ragione, è viscido e odioso!
 
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13 replies since 10/3/2010, 11:44   176 views
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