Prima lezione puramente tecnica, che si limiterà a dare una breve carrellata di definizioni, in modo da rendere comprensibili le prossime lezioni.
Per scelta (anche perché altrimenti il discorso diventerebbe lunghissimo) ho deciso di escludere la musica pretonale, quindi la musica medievale e rinascimentale, e le estreme avanguardie del XX secolo. Non escludo di poter, in futuro, andar a prendere in considerazione anche questi momenti della storia della musica, ma per il momento ritengo più saggio non mettere troppa carne al fuoco.
E dopo questa lunga premessa, ecco una breve terminologia, nella quale il discorso sulla tonalità è soltanto abbozzato, dal momento che rischia di diventare troppo complesso ed "incontrollabile".
Tonalità è il modo in cui le note sono organizzate nella partitura ed è l'organizzazione che prende il sopravvendo nel XVII secolo sulla più antica modalità, che organizzava la musica medievale e rinascimentale. Si tratta di un sistema basato sul rapporto tra tono (per fare un esempio DO-RE) e semitono (per fare un esempio SI-DO), che varia a seconda della tonalità scelta.
Per esempio
Do MaggioreDO, RE, MI, FA, SOL, LA, SI, dove vi è rapporto di un semitono tra MI-FA e SI-DO.
Re MaggioreRE, MI, FA Diesis, SOL, LA, SI, DO diesis, dove vi è un semitono tra FA diesis - SOL e DO diesis-RE.
Il modo con cui si fanno interagire le varie note e le varie distanze tra loro (che si chiamano intervalli. Per esempio tra DO e MI c'è un intervallo di terza, tra FA e SI di quarta, tra DO e DO di ottava), determina la costruzione base del brano.
Un brano, solitamente, presenta una tonalità di base. (Se prendete in mano un qualsiasi programma di concerto, leggerete cose come Sinfonia in mi maggiore o Sonata in sol minore) La tonalità non viene mantenuta sempre uguale per tutta la durata del brano, ma varia, tramite processi tecnici che vengono chiamati modulazioni. La modulazione è quindi il momento in cui si passa in maniera netta da una tonalità ad un'altra. Per esempio da Do maggiore a Re maggiore. Vi sono anche dei piccoli passaggi, magari per la durata di qualche battuta, che non sono delle vere e proprie modulazioni, ma soltanto un breve alludere ad un'altra tonalità.
Dinamica è il nome con cui si definiscono tutti i passaggi dal piano al forte, attraverso tutte le sfumature possibili, che siano un mezzoforte, un crescendo (quindi un andare lentamente dal piano al forte), un decrescendo (quindi un andare lentamente dal forte al piano), un pianissimo, un fortissimo. O, come esagera qualche compositore, un pianissimo con 18 p, per dire agli esecutori "zucconi, suonatelo piano, ma proprio piano". I segni dinamici vengono abbreviati nelle partiture e negli spartiti in questo modo:
pp pianissimo
p piano
mf mezzoforte
f forte
ff fortissimo
cresc crescendo (ma questo può anche essere esemplificato da una forcella del genere < che prende tutte le note che portano dal piano al forte)
decresc,
decr decrescendo (ma questo può anche essere esemplificato da una forcella del genere > che prende tutte le note che portano dal forte al piano)
Agogica è il nome con cui si raccolgono tutte le "definizioni" della velocità di un brano, quindi, per fare qualche esempio "Allegro", "Moderato", "Lento", "Adagio" ecc..., ma anche "accellerando", "rallentando" (che può essere anche detto "allargando"), "ritardando", "rubato", "stringendo".
Una parentesi importante da fare sulla dinamica e l'agogica è che quest'ultime non sono dei dati oggettivi. Per quanto in partitura vi possa essere scritto "Allegro", quindi aver un tempo veloce, starà all'esecutore decidere quanto veloce fare quest'allegro, se in partitura c'è scritto
p sarà all'esecutore decidere quanto piano fare il segno di dinamica, come ben dimostrano le due esecuzioni dello stesso brano che vi propongo appena sotto.
Si tratta del notturno Op. 9 n°2 in Mi bemolle Maggiore di Chopin, che recita come agogica Andante (quindi un tempo lento). Basta che guardiate il minutaggio per rendervi conto che uno dei due pianisti suona più lentamente dell'altro. Il primo esecutore è Maurizio Pollini, il secondo Arthur Rubinstein: