Dopo una breve introduzione, passiamo alla prima tappa del nostro viaggio insieme al Signore del Male.Il Trono del Diavolo
A Roma si cammina nella Storia. Nei millenni.
Antico e moderno convivono e si confondo.
E tra palazzi e una moltitudine di auto in sosta, capita di trovare, in una piccola piazza dove confluiscono cinque diverse strade, un pezzo di Roma Antica come ce ne sono tanti altri per la città, ma questo ha qualcosa di diverso.
D’inquietante per chi crede.
Siamo nel Quartiere Africano, zona di cultura e storia, zona di Piper, Coppedé, Catacombe e set di numerosi film. Un quartiere vivo.
E in quella piccola piazza, oggi chiamata Piazza Elio Callistio, c’è un monumento, un’antica tomba romana.
Quella piazza, fino alla fine degli anni ’50, era conosciuta con il nome di “Piazza della Sedia del Diavolo”.
Ed è di questa che parleremo.
Innanzitutto un piccolo passo indietro, uno piccolissimo.
Anzi, non proprio piccolissimo.
Siamo nel II secolo d.C., Elio Callistio era un libero dell’imperatore Adriano (dobbiamo, però dire che ad oggi, come afferma la Sovrintendenza di Roma, l’attribuzione del mausoleo ad un certo Aelius Callistion, liberto di Adriano, è piuttosto incerta) e per mostrare che da uomo libero era esattamente come ogni altro romano, volle farsi costruire un mausoleo.
D’altronde l’apparenza non è mai stata cosa da poco.Il sepolcro nasceva su di una collinetta vicino alla vecchia via Nomentana, e in quella natura così spoglia, si ergeva solitario, ma anche stupefacente – e sinistro.
Il tempio, costruito in laterizio, contava due piani i cui lati presentavano specchiature (riquadri rientranti delimitati da cornici) e piccole finestre inserite in paraste corinzie sormontate da un fregio in cotto composto da mattoni di diversi colori che davano l’effetto di una muratura regolare (muratura isodoma).
Vi era anche un seminterrato dal quale si accedeva tramite una scala ricavata nel podio: ogni parete – in
opus vittatum mixtum (opera listata mista) – contava due arcosoli (tomba sigillata da lastre di marmo o in muratura) simmetrici sopra i quali c’erano cinque nicchie ad arco, alternate e rettangolari, sormontate a loro volta da finestre.
Completavano il tutto un pavimento a mosaico interamente bianco e una volta a vela che in quel periodo era di uso molto raro, e una copertura a calotta su pennacchi angolari.
Oltre alla sua importanza architettonica, il tempio era pur sempre una tomba, e al suo interno avvenivano diversi riti.
Nel piano superiore si poteva assistere a cerimonie funebri che avevano lo scopo di legittimare la sepoltura e purificare i parenti, e a banchetti consumati il giorno stesso il funerale, al quale si riteneva partecipasse lo stesso defunto sotto forma di spirito.
Per questo motivo spesso si sostiene la presenza di un qualche tipo di condotto che univa la camera sepolcrale alla stanza superiore dove si facevano passare profumi e vino per coinvolgere il defunto stesso.
Nove giorni dopo c’era un secondo banchetto per decretare la fine del lutto più stretto e altri per il compleanno del morto o per i
Parentalia o
Lemurie.
Apriamo una piccola parentesi.
Che cosa sono i
Parentalia o
Lemurie?
I primi, i
Parentalia o
Parentali, erano delle festività prettamente private dove erano celebrati ogni anno i defunti della famiglia per nove giorni, dal 13 al 21 febbraio, giorno delle
Feralia, celebrazione vera e propria dei morti in cui si credeva che le anime dei defunti si aggirassero liberamente tra i vivi.
Importante era quindi non provocarli, per questo era uso portare dei doni ai defunti: ghirlande di fiori, spighe di grano, sale, pane imbevuto di vino e altri doni personali.
Non vi ricorda nulla?
Feralia deriva da
fero che significa “portare”, portare doni nel giorno dei morti non vi è familiare?
State annuendo, vero?
Bene, ma torniamo agli altri riti:
Lemurie o
Lemuralia.
Secondo la tradizione questi riti furono istituiti da Romolo in persona per placare l’ira di Remo, ucciso dal suo stesso fratello, e consistevano in un rituale celebrato il 9, 11 e 13 maggio presieduto dal
pater familias che recitava preghiere propiziatorie gettandosi alle spalle nove fave nere, utili ad esorcizzare gli spiriti dei morti, i
lemuri, appunto.
Quindi, come vedete, il luogo si presta perfettamente al mistero.
Ma il tempio com’è passato dall’essere la tomba di un liberto allo scranno più importante del Demonio?
Degrado e leggende contribuirono non poco.
Gli anni passarono uno dopo l’altro e il tempio cominciò pian piano a cedere e poi una porzione, un intero lato venne giù: il tempo era stato quasi un assassino.
Su questa collina, circondato dal nulla, questa testimonianza di un’antichità forse non troppo remota – o troppo remota – si ergeva solitario, e da lontano lo spettacolo doveva essere stato spettacolare, ma la notte, la notte diveniva di una bellezza spettrale.
Guardarlo distanti era quasi inquietante.
Il mausoleo era quasi una rovina, un rudere che dava riparo a uomini e bestie, e quando calava il buio, i pastori che vi andavano a rifugiare, accendevano fuochi per riscaldarsi, e le danze di queste fiamme sulle pietre, da lontano, creavano uno scenario quasi dantesco,
infernale.
E guardarlo distanti era guardare uno scranno imponente – ad osservarlo bene sembra una sedia comprensiva di braccioli –, un trono che non poteva essere di altri se non di Satana, lui che aveva trovato il suo posto ideale da dove guardare e ridere di un’altra sedia, di un altro trono: la Cattedra di San Pietro.
E allora cominciarono le storie. Storie che si fecero leggende e miti.
Siamo all’incirca nel 1300, l’alchimista Zum Thurm arriva a Roma per la sua prima ed unica volta e si reca in questo tempio funebre ormai segnato dal tempo, dove già circolavano voci sinistre di prodigi e malefici, e scolpisce,
graffia, mattone dopo mattone, la parola “kabala” e lancia un sortilegio che avrebbe permesso a chiunque avesse trovato ogni lettera di esprimere un desiderio.
Bastava trovarle tutte, fino alla “A” finale e allora si sarebbe dovuto battere tre volte sulla pietra e poi urlare: «Voglio cambiare storia!» e la storia cambiava davvero.
In meglio o in peggio questo non si sapeva: chi aveva avuto fortuna e chi, come un ricco mercante, dovette in un attimo ricorrere ad usurai e finì in rovina.
E le storie continuarono.
Bocca dopo bocca dopo bocca.
E arriviamo al 1700, verso la fine del secolo, il
desiderio diventa divinazione, la pietra continua a cadere, ma ciò che rimane immutata è l’inquietante fama della Sedia, la presenza costante del Demonio tra le sue crepe: esalazioni demoniache che condizionano l’uomo fino a spingerli a pratiche divinatorie, non sono altro che la conferma del suo essere lì.
Del suo essere seduto sul
suo scranno.
Del suo allungare le mani sugli uomini.
Uno dei quali fu un tale Marco – Marcolino dei prodigi – che era solito recarsi tra quelle
comode mura in compagnia di
dame e
cavalieri che non facevano altro che lasciarsi andare ai più sordidi piaceri: ebbrezza e sesso non mancavano. Orge che ingozzavano il signore del luogo.
Tali pratiche, però, avrebbero suscitato poco scandalo se non fosse stato per una serie di profezie che Marco aveva iniziato a fare: la Chiesa chiudeva gli occhi su vino ed eros, ma la divinazione era una pratica troppo legata al suo nemico numero uno.
E Marcolino dei prodigi non fece una bella fine (pare che avesse addirittura predetto l’invasione con conseguente Breccia di Porta Pia).
Saltiamo un paio di decenni, o giù di lì, per incontrare Giovanni che di mestiere faceva il pastore.
Abbiamo detto che sia la zona sia il mausoleo stesso erano covo di pecore e rifugio di uomini e quando un giorno un piccolo animale sfuggì al suo controllo, la sua vita cambiò. Radicalmente.
Non appena aveva messo piede tra quelle mura, aveva cominciato a gridare a chiunque strani avvertimenti: «Attento a te!» aveva detto ad uno. «Vedo che hai le viscere in disordine, curati con infuso di ortiche!»
Il suo talento si fece ben presto strada in ogni vicolo di Roma e molti andarono da lui, e un non precisato giorno, una certa Assunta da Napoli gli si presentò davanti per chiedere una cura per dissenteria perniciosa (in quel periodo ci si moriva e basta).
Giovanni non fece altro che grattare un po’ di polvere dalle mura già rovinate della Sedia e ne fece una pozione per la donna che miracolosamente guarì.
Il problema fu che la notizia di questo miracolo giunse a chi aveva fatto della propria missione combattere il male: Assunta era in realtà una prostituta, così furono entrambi accusati, lei di meretricio e lui di stregoneria, ma il potere che aveva acquistato Giovanni da quelle rovine, li fece scomparire e poterono così salvarsi.
Nessuno seppe mai che ne fu di entrambi.
Si vociferava persino di una signora di Monte Mario, tale Antonia Cirillo, che negli anni ’90 del secolo scorso avesse trovato la pietra grattata da Giovanni: lei ha negato, ma nella sua casa c’era sempre un via vai di gente a chiedere miracoli.
Adesso la Sedia del Diavolo è incastonata nella modernità e si è persa un po’ quell’aura di mistero e paura, per Natale gli abitanti del luogo allestiscono al suo interno persino un piccolo presepe.
C’è chi crede e chi no, ma se lo fate, passando, magari noterete un
suo sorriso a quella vista.
Oppure sentirete un brivido corrervi lungo la schiena.
p.s. Come altri quartieri di Roma, qui si respira un’aria che apre lo stomaco, una sorta di sortilegio, ma insomma, tra tutti i peccati, quello di gola, soprattutto per i romani, e quello che più si tollera
Edited by Ania_DarkRed86 - 14/4/2018, 17:48