Titolo:
Peli di gattoAutore: Ellyson
Beta: Querthe
Tipologia: One Shot
Rating: Per tutti
Genere: generale
Personaggi: Severus Piton, se lo dico ora si capisce subito…
Pairing: nessuno
Epoca: post 7 anno
Avvertimenti: AU
Riassunto:
Un pigro pomeriggio di Giugno.
Note: tecnicamente questa storia viene prima di:
L’anatema del Preside PitonDisclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
Peli di gattoÈ una pigra giornata di Giugno.
La scuola è finita da poche settimane, gli studenti hanno lasciato il castello ed ora è popolato solo da fantasmi annoiati e professori stanchi.
Presto anche loro se ne sarebbero andati via per qualche settimana.
Sarebbe rimasto solo con gli elfi domestici e Gazza.
Perfino Hagrid aveva di meglio da fare durate l’estate.
La noia era una sensazione relativamente nuova per lui.
Negli undici anni che avevano diviso le due guerre - abbastanza per far abbassare la guardia a tutto il mondo magico tranne a lui e Silente - non aveva mai provato noia.
Era sempre stato in guardia, concentrato ad ogni cambiamento, anche minimo, anche il più insignificante. Undici anni con le orecchie tese per sentire ogni sussurro nei vicoli più oscuri di Nocturn Alley, tessendo una fitta ragnatela di contatti che avrebbero attivano i suoi sensi anche al minimo sussurro.
Severus Piton non si annoiava mai.
Severus Piton era vigile, attento, scrupoloso, diligente e pignolo al limite dell’ossessione, ma non annoiato. Mai annoiato.
Eppure, la noia era la sensazione che più caratterizzava le sue giornate durante le vacanze, specialmente quelle estive quando il suo lavoro calava drasticamente. Non lo avrebbe ammesso neppure sotto Imperius, ma si annoiava a morte in quel periodo dell’anno.
Si ritrovava a girovagare per Hogwarts, senza una meta, senza uno scopo; a volte rivivendo vecchi ricordi.
Controllava la sua personale dispensa di pozioni molte più volte del necessario, un paio di occasioni si era messo a risistemare l’ubicazione di ogni ingrediente per facilitarne l’accesso durante una preparazione impegnativa, per poi rimettere tutto com’era prima qualche giorno dopo.
Passava ore tra i corridoi della biblioteca, senza trovare nulla di veramente interessante da leggere, spesso rileggendo tomi che conosceva a memoria.
Esattamente come quel pomeriggio.
In mano teneva un libro che aveva riletto più e più volte; poteva puntare il dito su una pagina a caso ad occhi chiusi e avrebbe ripreso il filo della lettura leggendo solo la prima riga; conosceva ogni rilievo dell’inchiostro, la consistenza della carta sotto i polpastrelli, l’odore della colla che teneva insieme le pagine, il peso della copertina di pelle rilegata.
Una
lettura pigra l’avrebbe definita Minerva, uno di quei libri che hai letto e riletto così tante volte che, ormai, non serviva neppure aprire la copertina per rileggerlo.
Per Silente era il numero novantatre della rivista
Knitting, tuttavia non l’aveva mai visto con i ferri in mano. Una volta gli aveva chiesto perché la leggesse: Albus gli aveva risposto, con quel sorriso calmo ed irritante, che guardare i lavori a maglia lo tranquillizzava. Osservare i punti intrecciati lo aiutava ad organizzare i pensieri e analizzare una situazione sotto un altro punto di vista.
Quando la maglia non lo aiutava si rivolgeva al pensatoio.
Scosse la testa lievemente, scacciando Silente dai suoi pensieri e tornando a mettere fuoco le parole del libro.
Aveva perso il filo a metà della pagina, ma non gli interessava, riprese una frase a caso e andò avanti con la lettura.
Ci fu un rumore inaspettato in quel pigro pomeriggio assolato.
Un verso che non credeva di sentire ancora tra quelle mura.
Un miagolio.
Abbassò il libro lentamente.
A poca distanza c’era un gatto. Un bel gatto striato da varie tonalità di grigio che lo fissava.
Incontrare un gatto per il castello non era affatto strano.
Se i gufi si vedevano solo la mattina e i rospi stavano per la maggior parte nei dormitori dei rispettivi padroni, i gatti erano un’altra storia. Chi portava un gatto come famiglio veniva avvisato che i felini spesso si nascondevano nel castello, a volte per giorni, era successo che qualcuno non fosse mai rientrato dal proprio padrone.
I gatti erano animali a cui piaceva esplorare, non era raro che uno studente tornasse a casa senza il proprio animaletto per poi trovarlo ad attenderlo al rientro delle vacanze.
Non era, comunque, questo il caso.
Conosceva molto bene quel gatto, era una sua vecchia conoscenza, un amico a cui piaceva stare accanto a lui mentre leggeva nella solitudine del cortile.
L’animale miagolò.
Aveva imparato ad interpretare anche i suoi miagolii.
Sono qua, Severus. - Non sono dell’umore giusto oggi. - replicò tornando a posare gli occhi sul libro.
Aveva perso, di nuovo, il filo.
Lettura pigra, avrebbe ripreso da un punto a caso.
Il gatto miagolò di nuovo.
Non mi ignorerai.- Lasciami in pace a leggere questo libro.
Un miagolio più basso.
Noioso. Non alzò lo sguardo dalle pagine. Non avrebbe dato questa soddisfazione ad un gatto.
Voltò il foglio lentamente, a dire il vero non aveva finito di leggerla, ma non era importante.
Sentì l’animale avvicinarsi e miagolare di nuovo. Un miagolio lungo.
Prestami attenzione, Severus!Abbassò il volume con un sonoro sospiro: il gatto si era avvicinato alle sue gambe.
- No.
Una sola parola detta con tono autoritario, con sicurezza e determinazione.
Ma stava parlando con un gatto e, si sa, i gatti se ne fregano di quello che dicono gli umani.
In più la sua reputazione, finita la guerra, era paragonabile solo a quella di uno gnomo da giardino.
Come si fa a temere Severus Piton, la grande spia di Silente, quando si scopre che ha pianto per anni per una donna?
Non si teme più. Ecco la verità.
Tutti vogliono vedere quello che c’è dietro il mantello nero. Dietro gli occhi di tenebra. Dietro le labbra serrate.
Pietà e compassione, queste erano le emozioni che ora il suo nome ispirava.
Una volta era timore e disgusto, perfino odio.
Nelle giornate in cui si trovava costretto a partecipare alle commemorazioni che venivano organizzate dal Ministero della Magia si ritrova a rimpiangere quei momenti. A volte rivoleva le occhiatacce sgradevoli o i borbottii alle sue spalle pieni di diffidenza.
Ora si ritrovava a schivare mani tese, occhiate colme di falso affetto, parole di conforto che suonavano ipocrite alle sue orecchie.
Quelle stesse persone che ora lo osannavano erano le stesse che fino a qualche anno prima volevano vederlo rinchiuso ad Azkaban o direttamente sotto le labbra raggrinzite di un Dissennatore.
Per non parlare delle lettere di anonime ammiratrici che gli erano arrivate il primo anno dopo la fine della guerra, durante la sua fin troppo lunga ed estuante riabilitazione al San Mungo. Rivoltante.
L’animale camminò lentamente nella sua direzione, deciso ad accomodarsi sulle sue gambe.
- No no no no no no no. - disse velocemente il Preside abbandonando il libro e allungando una mano per fermarlo – Ho detto no!
Alzò gli occhi al cielo nel momento in cui il felino si posizionò sul suo inguine. Girò in tondo un paio di volte, sbattendogli la coda sul volto spigoloso, incurante delle sue proteste e del goffo tentativo di fargliela abbassare.
Come parlare ad un muro peloso. Reputazione da gnomo da giardino.
- Fai sul serio? – domandò irritato, spostando la punta della coda pelosa dal naso adunco.
Il gatto, in risposta, iniziò a massaggiargli una coscia con le zampette, poi si sdraiò.
- Siamo comodi?
Il miagolio fu lungo, quasi soddisfatto.
Sì, grazie. Sospirò rumorosamente, tentando di far capire al gatto che non gradiva affatto quel trattamento.
Poteva alzarsi e tornare ad Hogwarts, ma si stava bene al parco, con la luce che stava lentamente calando, il castello avvolto dalla luce dorata del tramonto appena iniziato.
Riprese il libro e tornò a leggere o, per lo meno, ci provò per il primo minuto.
Un miagolio acuto, vagamente irritato.
Abbassò il volume incontrando lo sguardo dell’animale.
- No. – ripeté.
Un altro miagolio, ancora più acuto. Ancora più irritato.
- Non ho intenzione di cedere.
Vide una zampetta alzarsi e il luccichio minaccioso delle piccole unghie.
Vuoi che ti graffi? - Sei impossibile. – decretò prendendo la bacchetta e picchiettandolo su libro.
Il tomo cambiò forma: divenne più piccolo, la copertina pesante di pelle fu sostituta da una meno rigida, di semplice cartone. Le pagine non erano di carta raffinata e sottile, ma semplice carta da recupero. Non odorava di antico, ma di colla e inchiostro scadente.
Aprì il libro verso la metà, dove c’era come segnalibro una vecchia figurina delle cioccorane. Era così vecchia, sbiadita e stropicciata che perfino Merlino si rifiutava di tornarci.
Iniziò a leggere ad alta voce, lentamente; senza che se ne rendesse del tutto conto, una mano iniziò ad accarezzare il gatto.
Il pelo era morbido, setoso e caldo. Un piccolo peluche molesto che si aggirava per il castello quando gli studenti non erano più a scuola.
Seguì la linea della schiena, su e giù, un ritmo lento e costante che andava a pari passo con la voce.
Tirò le labbra in un sorriso quando sentì l’animale iniziare a fare le fusa sotto il suo palmo.
Lesse per un’ora abbondante, smettendo solo quando l’orologio della torre del castello suonò sei rintocchi. Il cielo si stava striando di arancione mancava ancora qualche ora al crepuscolo, ma il sole iniziava la sua discesa per nascondersi all’orizzonte.
Fece sparire il libro e abbassò lo sguardo verso il gatto.
- È ora di rientrare.
L’animale si alzò, sbatacchiò il muso e si stiracchiò allungando il corpo affusolato sulle sue gambe.
Lo fissò e miagolò, un suono basso.
Grazie. Si strusciò sul suo petto e scese con un saltello aggraziato.
Si guardò i pantaloni e la giacca nera: un disastro.
- Salazar! – borbottò alzandosi. Non provò a spazzolarsi i vestiti, sapeva che non sarebbe servito a nulla – Erano puliti!
Si incamminò verso il castello con l’animale che gli trottava accanto: la coda ben dritta e lo sguardo fisso davanti.
A pochi metri dal portone principale avvertì un lieve fruscio. Dei passi echeggiarono accanto a lui.
-
Proust, Severus? Davvero? – domandò Minerva sistemandosi gli occhiali rettangolari sul naso.
- Hai fatto le fusa, Minerva.
La strega ridacchiò come la ragazzina che non era più da molto tempo, Severus gli allungò il braccio per aiutarla a camminare. Braccio che Minerva prese subito senza esitazioni; la mano si adagiò delicatamente nell’incavo del suo gomito. L’anziana amica era sempre più stanca. A volte aveva l’impressione che le fosse più facile muoversi in forma di gatto.
Evitò di pensare che faceva la stessa cosa con Silente durante il suo ultimo anno di vita.
- Sei molto comodo. – ammise lei – E la tua voce ha la capacità di rilassarmi.
- Mi hai riempito i pantaloni di pelo. Non intendo farlo di nuovo.
La donna rise di nuovo.
- Lo dici ogni volta, ma cedi
sempre.- Non mi sembra di avere molta scelta.
- Tu hai sempre una scelta, mio caro ragazzo. – rispose lei picchiettando l’altra mano sul suo braccio.
Mio caro ragazzo. Si irrigidì, non riuscì ad evitarlo né, tanto meno, di non farlo sentire all’amica che non sembrò particolarmente turbata.
- Ti ho già chiesto di non chiamarmi così. – disse a voce bassa – Albus mi chiamava in quel modo e io l’ho ucciso.
- Hai intenzione di uccidere anche me in un prossimo futuro?
Si voltò a guardarla così velocemente che temette di aver spezzato qualche tendine del collo.
- Minerva!
- Oh... non guardarmi così. – lo rabbonì – Io e Albus ne parliamo spesso.
- Parlate di come l’ho ucciso?
- Parliamo di un sacco di cose. Della guerra, degli studenti, di Potter e di te. Certo è solo un quadro, ma fa sentire meno soli.
La capiva fin troppo bene, ma sapeva altrettanto bene che il volto dipinto di quel quadro faceva ancora dannatamente male.
L’immagine di Silente era il sale di su una ferita mai del tutto cicatrizzata e che con molta probabilità non si sarebbe mai chiusa. Non definitivamente.
Minerva si voltò a guardarlo, si erano fermati davanti al portone principale, le massicce porte erano chiuse, ma il piccolo portoncino no.
La vicepreside era invecchiata molto negli ultimi anni. Da quando era stato rianimato nella Stamberga e poi svegliato in quel letto a San Mungo, la vedeva sempre più provata e stanca ogni volta che andava a trovarlo.
Aveva cercato di rimettersi in piedi anche per lei, per toglierle qualche peso dalle spalle, per farle vivere una serena vecchiaia.
- Mi dispiace di averti portato via il tuo migliore amico, Minerva.
Non glielo aveva mai detto, lei si era scusata, centinaia di volte, spesso piangendo, ma lui… lui non l’aveva mai fatto. Non a parole, almeno.
La donna gli sorrise.
- Non sei tu che hai portato via Albus. La maledizione l’ha ucciso, tu hai solo fatto in modo che la sua morte fosse utile per uno scopo più grande. Va bene così, Severus. Tu non devi scusarti, per nulla.
- Tu e Albus parlerete ancora di me?
- Certamente! Siamo due vecchie pettegole! I pettegolezzi ci piacciono.
- Io non sono un
pettegolezzo!
- Non fino a quanto la tua vita sarà paragonabile a quella di un prete cattolico!
- Minerva!
La strega rise, entrarono nell’atrio del maniero. Sibilla stava scendendo in quel momento le scale. Borbottava qualcosa mentre stringeva al collo uno scialle decisamente troppo pesante per la stagione.
Li superò senza degnarli di uno sguardo e lasciandosi alle spalle una scia che sapeva fin troppo di sherry e incenso vecchio. Severus non era neppure certo che li avesse visti.
- Peggiora, Severus. – lo avvisò Minerva tristemente – Molto velocemente. Credo che stia pensando di andare in pensione.
Forse sarebbe stato meglio, poteva chiudere il corso di Divinazione e cercare qualche altro corso di più utile.
- Le parlerò…- disse passandosi una mano sul volto spigoloso – magari quando non puzzerà di sherry.
- È arrivato il momento per questo vecchio gatto di andare nelle sue stanze. Ci vediamo a cena. Domani non portare Proust, voglio qualcosa di diverso.
- Leggerò Baudelaire, Minerva. So quanto
ami Baudelaire. – le disse ironico.
La donna sbuffò iniziando a salire lentamente le scale.
- Userò i tuoi pantaloni come tiragraffi.
Scosse il capo e salì anche lui la prima rampa. Iniziava ad avere fame, ma prima voleva darsi una sistemata.
Non aveva intenzione di cenare ricoperto di peli di gatto.
FINEBonus Track (ovviamente fatte con IA)
Edited by ellyson - 8/3/2024, 13:26