Il Calderone di Severus

Durmstrang - Febbraio, Hermione Granger - Grimmauld Place n. 12 - Cappello parlante - Unicorno

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view post Posted on 10/11/2021, 18:55
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Dalla luna...

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Scriviamo qui se qualcuno ha già un'idea per la sfida, se é sicuro di partecipare, se vuole fare il campione, oppure se ha dubbi sulla trama, chiedere consigli e tutto quello che ci viene in mente!



Ricordo che qui ci sono tutte le regole della sfida e dei punteggi.

Oltre a Severus occorre inserire nella storia:
- Hermione Granger
- Grimmauld Place n. 12
- Cappello parlante
- Unicorno



Campione (punti raddoppiati): serpeverde
Portatore delle insegne (punti invariati): bandieraserpe
Scudiero (punti dimezzati): serpescudo
 
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view post Posted on 12/11/2021, 23:57
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Fondi-calderoni

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Su questa penso di poter scrivere qualcosa. Butto giù un paio di idee e ve le comunico, se siete d’accordo…
 
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view post Posted on 13/11/2021, 15:16
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Fondi-calderoni

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Siamo tutte team Severu/Hermione💚
C'è solo l'imbarazzo della scelta
 
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view post Posted on 31/1/2022, 11:21
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SCADENZE PER IL MESE DI FEBBRAIO



- Entro il giorno 15 del mese della sfida i Preside devono dichiarare chi nella propria Scuola quel mese indosserà i panni del:
campione;
portatore di insegne;
scudiero.

- Almeno 5 giorni prima della fine del mese della sfida ogni autore deve inserire la propria storia nella corretta sezione di Magie Sinister Forum e con tutti i necessari requisiti.
Quindi per il mese di Febbraio le storie vanno inserite in MS entro il 23 FEBBRAIO

Come per Gennaio chiedo, chi scrive, di mettere le storie entro il 20 FEBBRAIO così da avere tempo di leggere tutte e vedere eventuali modifiche.
Facendo tesoro di Gennaio sarò più puntigliosa. -_-
Voi lo stesso con me, per favore.

Io ho già scritto la mia storia. E' parecchio lunga, sono oltre i 26.000 caratteri (ok mi ha preso la mano :lol:).
La sto sistemando, ma vorrei metterla qui quanto prima per avere la vostra opinione e per non farvi perdere troppo tempo. E' venuta un po' corale in alcuni punti e non voglio assolutamente che Hermione venga messa in secondo piano.
Questa volta sono riuscita ad usare tutto. :lol:
 
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view post Posted on 31/1/2022, 12:32
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Elena, la mia è pronta. Come sai sono il comandante in capo dei tonti, quindi chiedo: devo metterla qui in questa discussione?
 
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view post Posted on 31/1/2022, 12:42
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CITAZIONE (biboarwen @ 31/1/2022, 12:32) 
Elena, la mia è pronta. Come sai sono il comandante in capo dei tonti, quindi chiedo: devo metterla qui in questa discussione?

Sì, Bianca.
Grazie.
 
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view post Posted on 31/1/2022, 13:21
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Fondi-calderoni

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Autore: biboarwen
Beta-reader: nessuno
Tipologia: one-shot
Raiting: adulti
Genere: drammatico, introspettivo, romantico
Personaggi: Severus Piton, Hermione Granger
Pairing: Severus/Hermione
Epoca: post settimo anno
Avvertimenti: AU
Riassunto: può un’anima distrutta salvare un’anima dannata?
Dopo la guerra, il dolore e i peccati commessi, forse l’unico modo di sopravvivere è concedersi il lusso di amare… e di farsi amare.

Note: storia scritta per la sfida annuale 15 anni con Severus. Mese di febbraio. Scuola di Durmstrang

Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.

Caratteri spazi esclusi: 21665

Portami a casa

Il corridoio, buio e deserto, tradisce i segni dell’abbandono. Il grande lampadario non illumina più niente, pende dal soffitto come un fantasma esangue che mi sfotte senza voce e senza alcuna intenzione. La polvere si insinua sulle pareti logore, da cui il ritratto di Phineas Nigellus mi guarda come se aspettasse da troppo tempo qualcuno da poter biasimare.
Io sono l’uomo perfetto, da biasimare.
Quello di Walburia, invece, ha smesso di urlare contro i traditori del sangue, forse si è rassegnata, o forse non gliene frega più niente. Neppure a lei.
Anche l’incantesimo di Malocchio si è dissolto. Per un attimo avevo sperato che Albus mi si parasse davanti, che mi aggredisse con il suo corpo impalpabile, così che io potessi maledirlo, ancora una volta, per tutte le immagini che mi costringe a portarmi dietro da anni. Mi resta da maledire solo lui. Per me stesso ho esaurito persino la voce.
Gli arazzi stracciati pendono dalle pareti, raccontano storie di un tempo lontano. Di una paura sepolta e di un coraggio incosciente.
Vi è strisciata la follia, tra queste mura imponenti.
Forse, per qualche tempo, vi è anche strisciato qualcosa di simile alla giustizia: un manipolo di folli che si era messo in testa di sconfiggere un pazzo assassino.
Sono morti quasi tutti, uno dopo l’altro. E chi non è morto, forse, avrebbe voluto morire.
È difficile sopravvivere.
Talvolta è addirittura ingiusto. Non so se lo sia per gli altri. Sicuramente lo è per me.
Gli stivali importunano le assi crepate di un pavimento che ha vissuto troppo a lungo. Il porta ombrelli a forma di zampa di Troll è ancora là, dove Tonks vi ci era inciampata bestemmiando l’ultima volta. Un’altra vittima di una guerra assurda. Un’altra madre da provare a ricordare. O a dimenticare.
Il buio e le ragnatele avvolgono ogni cosa, infrangendosi contro un silenzio che sembra quasi irreale.
Perché diavolo sono venuto qui? Sono così stupido da rintanarmi in uno dei pochi posti rimasti immutati dopo una guerra sporca?
Faceva schifo prima e fa schifo anche adesso. Quanto meno rappresenta una certezza. Una delle poche che mi restano.
Cosa sono, ora? Un eroe?
Davvero uno come me può essere etichettato come eroe?
Un tintinnare di ceramica mi raggiunge dalla cucina nel seminterrato, dalla scala la luce tremolante dell’alba fa capolino quasi con vergogna. Come se fosse intimorita dall’oscurità che mi circonda. E che rappresento.
Mi piacerebbe poter provare anche solo uno straccio di paura. Ma, in fondo, uno come me, di cosa dovrebbe avere paura?
Nemmeno la morte mi ha voluto. Mi ha risputato su questa terra come un boccone troppo amaro da inghiottire. Forse non sapeva, la nera signora con la falce, che ho un terrore fottuto di continuare a respirare?
Forse anche lei si diverte a vedere quanto inetto io sia a vivere una vita che non mi sono mai concesso il lusso di desiderare. O forse, invece, anche lei è stata meno forte di te.
I rumori proseguono in lontananza.
Se ne fregano delle mie domande mute e della mia abilità nell’essere invisibile.
Potrebbe essere quel maledetto elfo scorbutico che si ostina a sistemare una casa insistemabile, ormai fedele al suo nuovo padrone, eroe sfregiato del mondo.
Ma io so che sei qui, ragazzina. So che sei tu.
Sei venuta a prenderti l’unica certezza che ti resta dopo aver perso tutto, come me? A respirare la polvere che regna sovrana al numero 12 di Grimmauld Place? O semplicemente sapevi che, come un cretino, dopo averlo fatto ovunque, sarei venuto qui a cercarti?
Mi avvicino strisciando nell’ombra. Non produco alcun rumore. Un’abitudine che non riesco a scrollarmi di dosso.
Supero l’ennesimo tendaggio lasciato ad appassire in mano agli anni e all’incuria. Raggiungo la scala. Scendo i gradini uno dopo l’altro.
La poca luce, scampata per un soffio allo sporco incrostato sui vetri, si infrange su un tavolo abbandonato a sé stesso.
Davvero mi stavi aspettando?
Non ti ho fatto capire abbastanza quanto difficile sia amare un assassino a cottimo? Una spia a cui gli anni e la vergogna hanno fatto a brandelli l’anima?
Eppure ti ho dissuaso in tutti i modi possibili. E ho provato persino a dissuadere me stesso. Senza mai riuscirci. Senza che tu lo sapessi mai.
Quando quel dannato serpente mi ha infilato le zanne nella pelle del collo, ho pensato per un attimo di aver trovato il coraggio di lasciarti libera. Di regalarti la vita che avevi il diritto di vivere. Lontana da me e dallo schifo che mi porto inesorabilmente appiccicato addosso.
Non sono riuscito neppure in questo.
Non basta essere chiamato eroe per cancellare venti anni di omicidi assurdi.
Se solo sapessero, Hermione, quanto il mio ruolo, in quella giustizia, sia stato pericolosamente simile all’orrore. Quanto sia stato uguale alla colpa.
Si può davvero acclamare qualcuno che ha passato la vita a puntare la bacchetta sul cuore degli innocenti?
Forse sì, in questo dannato mondo malato si può fare anche questo.
Ma tu, Hermione? Davvero sei venuta in questa casa, ormai inutile, ad aspettarmi?
Ti meriti di più. Te l’ho già fatto capire una volta, tanto tempo fa, quando ti ostinavi, con tutta la forza di una gioventù incosciente, a costringermi a buttare al vento una maschera che mi difendeva dal mondo.
Non mi ha difeso da te. Anche se non lo hai mai saputo.
Paleso la mia presenza con un frusciare di mantello.
Il putridume della mia esistenza non è riuscito a strapparmi di dosso il sottile piacere di apparire all’improvviso, come un’ombra tra le ombre.
Sollevi quelle tue dannate iridi nocciola verso la porta. Le stesse che hanno mandato a puttane ogni mio tentativo di autocontrollo, ogni mia propensione all’indifferenza, mentre mettevi in gioco l’anima per salvarmi la vita.
Dannazione quanto è tutto assurdo! Un uomo che sta morendo dovrebbe pensare alla morte. Io riuscivo a pensare solo a te.
Forse è stato il potere di sentirmi creduto, forse quello stramaledetto sentimento che per un anno mi hai sbattuto in faccia. Forse la disperazione per una vita intera affogata nel rigurgito più inconfessabile dell’essere uomo. Non so dirtelo.
Ma è da quella notte che ho capito di essere innamorato di te.
Nel mio modo assurdo, incapace di trovare una strada per essere ammesso. Ma innamorato di te.
Mi lanci negli occhi uno sguardo forzatamente distratto, prima di rituffarlo nella tazza di tè che stringi tra le dita di una mano.
Nell’altra trattieni con voracità il cappello parlante, o almeno quello che ne resta. Non parla nemmeno più, è solo un pezzo di stoffa inutile e malconcio. Come me.
Probabilmente è saturo anche lui. Ha visto troppo male, anche lui.
Perché diavolo lo hai portato qui? Me lo chiedo per un istante mentre ti osservo stringerlo come se fosse un feticcio. Come se fosse qualcosa che ti tiene legata ad un passato che non sarà in grado di tornare.
Ti lasci sfuggire una risata sarcastica, in un mal riuscito tentativo di dissimulare un sussulto.
«Ne vuoi una tazza?» me lo chiedi solo per interrompere il silenzio.
Sai benissimo che non mi siederò su quella sedia, che non berrò quel dannato tè e che non spiccicherò una sola parola.
Non ho mai voluto vederti, nelle infinite visite che mi hai fatto in ospedale.
Puoi biasimarmi, Hermione?
Dovevo essere morto, ed ero vivo.
Dovevo essere distrutto, e mi ritrovavo innamorato di una ragazzina. Con un sangue che la ragione voleva seccarmi nelle vene e che il cuore, testardo, si ostinava invece a pomparmici dentro.
Sono rimasto aggrappato alla vita per te. Come un idiota.
Perché ti sei fatta amare?
Perché diavolo mi hai sbattuto in faccia la tua intelligenza fuori dal comune, il luccichio dei tuoi occhi, il tuo sorriso lasciato uscire con noncuranza e tutta la tua necessità di vedermi sopravvivere?
Pensavi che fossi così forte da contrastare anche la tua freschezza, dopo aver visto tutta la crudeltà a cui gli errori ed un vecchio mago pazzo mi hanno costretto?
Resto in silenzio. Forse la cosa che so fare meglio di qualsiasi altra.
«Non hai perso il vizio di ignorare le mie domande, vedo…» dici sollevando le spalle.
Lasci scivolare la tazza di tè sul piano scheggiato del tavolo, nella grande cucina deserta.
Una fotografia conquista il mio campo visivo.
L’avevi fatta tu, con una macchina Babbana di tuo padre. Avevi armeggiato per qualche minuto, avevi attaccato un filo curioso, aggrovigliato come poche cose sono in grado di essere e, ignorando le mie rimostranze e i miei modi burberi, eri corsa verso di me. Avevi premuto di fretta il tasto di un pulsante che tenevi in mano, e la luce accecante di un flash aveva rischiarato improvvisamente il mio sotterraneo umido.
Avevi riso. Io no. Non ero in grado di farlo allora e non sono in grado di farlo adesso.
Non so nemmeno perché te lo avessi permesso. Non lo avrei fatto con nessun altro.
Ma avevi detto che scattavi quella foto per ricordarti dei momenti più belli della tua vita. Quella volta qualcosa di simile all’orgoglio era stata più forte di me. Era curioso che i momenti più belli della vita di una giovane, bellissima donna, fossero delle schifose lezioni di occlumanzia che Minerva mi aveva costretto a darti.
Se c’era una persona al mondo, una sola, più sconquassata di me, io l’avevo trovata.
Una ragazzina, tanto intelligente da far vacillare il mio disgusto per il genere umano, colta ed arguta, che rifuggiva tutto il resto per passare il suo tempo in un sotterraneo buio, in compagnia di un uomo buio.
A nulla erano valsi i miei modi detestabili, il mio carattere di merda. Forse, semplicemente, te ne sei sempre fottuta, forse non ero più in grado di renderli tanto efficaci, o più probabilmente, invece, per la prima volta nella mia vita, tutta quell’assurdità era riuscita a farmi sentire meno inutile.
Sapevo che mi amavi, Hermione. Lo vedevo luccicare nei tuoi occhi.
Tante volte ho creduto che me lo lasciassi vedere apposta, mentre entravo senza troppa gentilezza nella tua mente. Che spingessi in alto quel sentimento, così che io venissi tramortito da qualcosa a cui non ero pronto, e non riuscissi a vedere tutto il resto.
Eri abbastanza abile per farlo. Ed eri anche abbastanza folle, per farlo.
Indichi la foto con uno sguardo stanco.
«Ho pensato per mesi che sarebbe stato tutto quello che mi fosse rimasto di te…»
Ti guardo senza battere ciglio.
«Ma forse è proprio così, vero Severus?»
Il mio nome sulle tue labbra mi infila un brivido in mezzo alle vertebre.
Dove è finita la ragazzina piena di timori e speranze che mi ha fatto perdere la ragione?
L’ha uccisa la guerra, Hermione?
L’hai sepolta insieme ai cadaveri, nel prato che un tempo aveva rappresentato la tua conquista?
Mi appoggio sullo stipite della porta, incrociando le braccia al petto. Sono bravo a fingere, a non farti vedere quale inferno tenti di risalirmi la gola per evadere verso una realtà che non gli ho mai neppure lasciato scorgere.
«Che diavolo ci fa qui, quello?» sibilo, indicando il cappello parlante che tenta di resistere alla tortura ormai spasmodica delle tue dita.
Cambio discorso. Non sono in grado di affrontarti. Non sono in grado di prendermi questa dannata vita che mi hanno rinfilato a forza nell’esofago.
Ridi amaramente.
«Oh, questo… è mio compito, adesso. Minerva è troppo stanca per occuparsi anche di cose del genere. Mi sembrava giusto conservarlo in un posto pulito che non avesse subito tutta la devastazione che ho visto. Un posto in cui aspettare che Hogwarts tornasse al suo splendore. Se mai ci tornerà, al suo splendore…» fai una pausa, ti osservi le unghie ormai esauste delle mani, quelle che non hai perso il vizio di mangiare in preda all’agitazione e alla paura «Ma credo che siano morti in troppi perché possa tornarci. Vedi? Non parla più…» ti lasci andare ad un nuovo sorriso amaro, rivolto al buio in cui sai che sono affogato. «Pensavo che saresti morto anche tu… e a quel punto niente ci sarebbe più tornato, al suo splendore.»
Trangugio frettolosamente la saliva. Sembra fatta di acido.
Perché continui a cercarmi?
Di me non resta più niente, Hermione. Adesso che mi hanno tolto un piano da seguire, un ragazzino da salvare, un mostro da uccidere, che senso ha la mia vita?
Forse davvero mi resti solo tu. E ho una paura fottuta di trascinarti in un passato che non sarà mai in grado di farmi respirare.
«Ho letto della tua nomina: Professoressa di trasfigurazione. Un buon risultato per una so tutto io Grifondoro…».
Il sarcasmo è tutto quello che mi resta da regalarti.
E tu te ne freghi. Te ne sei sempre fregata. Dei miei silenzi, della mia apatia. Della mia maschera oltre la quale ti sei ostinata a guardare fino a riconoscere un uomo distrutto.
Mi stiletti addosso uno sguardo pieno di rimprovero. Poi torni ad osservare con un interesse palesemente forzato la tua tazza di tè che satura l’aria di note di menta.
«Ti è mai importato qualcosa di me?»
Me lo chiedi senza pensarci.
Sono riuscito a farti montare la rabbia fino ad esplodere. Sono bravo in questo. Sono sempre stato il più bravo in questo. E nell’uccidere senza lasciare alcuna traccia.
«Sono qui...» biascico senza entusiasmo.
Puoi considerarla una risposta, Hermione? Ti basta, questa, come risposta?
«GiŻ sollevi lo sguardo «Vuoi semplicemente farti una scopata sul pavimento o sei venuto a vedere se la ragazzina che si è macchiata l’anima, uccidendo un unicorno per salvarti la vita, merita la tua attenzione? Non ci sono più professori e studentesse, quindi…» fai una pausa, ridi «a dirla tutta non c’è più nemmeno una scuola, degna del nome che porta, in cui potrebbero esistere. E allora dimmi: ti importa qualcosa di me? Della cretina che hai cacciato da un ospedale per un anno intero?»
Maledizione quanto è riuscita a cambiarti la guerra, Hermione!
O forse sono stato io. La mia vicinanza, stracolma di immagini difficili da dimenticare, il tormento che mi possiede l’anima da ormai una vita intera.
Sei un’altra vittima della mia sete di redenzione, ragazzina?
Dimmi di no, ti prego! Non potrei sopportare anche questo.
«È un po’ ammaccato. Ma da qualcosa bisognerà pur ripartire.» lo dici indicando il vecchio cappello malconcio, cercando qualsiasi scusa per distogliere l’attenzione da una domanda che ti sei imposta per mesi di non farmi, e che poi ti è scappata dalle labbra senza che riuscissi a trattenerla.
Sì, vorrei strapparti i vestiti di dosso, e prenderti qui, sul pavimento. Vorrei farlo adesso, per poi ricominciare subito dopo. Come lo avrei voluto dal maledetto giorno in cui ho capito che quella spina nel fianco che Minerva aveva voluto infliggermi, in realtà una spina nel fianco non era. Che eri l’unica persona al mondo con cui riuscivo a parlare. Sempre nel mio modo assurdo, gelato, erroneo e quasi ridicolo. Ma con cui riuscivo a parlare.
Vorrei prenderti tra le braccia adesso, per proseguire domani, e dopodomani, e poi ricominciare il giorno dopo ancora, senza più smettere di sentire la sensazione che il tuo corpo piccolo e pulito è in grado di regalare al mio, martoriato dalle cicatrici e dal disgusto per me stesso.
Non farmelo dire. Sai che non ne sono capace.
Ti amo.
Contro ogni pronostico, ogni ragione, ogni ricordo indelebile. Mi sono innamorato di te.
«Allora?» lo chiedi spazientita alzandoti dalla sedia. Abbandoni quel logoro pezzo di stoffa sul legno pieno di polvere e di crepe. Il tè nella tazza traballa pericolosamente, cercando una via per evadere dalla sua prigione di ceramica.
Superi il tavolo, mi ti pari davanti.
Le mani sui fianchi. Mi sembri la Molly dei tempi andati. Quella che rimproverava senza alcun successo un esercito di figli idioti.
«Quando avevi intenzione di dirmelo, Severus? Oltre ai pensieri, che violavi con una facilità imbarazzante, io ti avevo regalato anche l’anima. Tu lo sapevi… Mi meritavo la verità. Gli altri no, forse. Ma io mi meritavo la verità! E invece ho dovuto guardarti morire. Ho dovuto vedere il sangue che usciva dal tuo corpo come un fiume in piena, la luce dei tuoi occhi che si spegneva lentamente. Tu, proprio tu, avresti dovuto sapere cosa si prova…
E invece no! Te ne sei fottuto!»
Ti avvicini pericolosamente. Hai le labbra aride e bianche, così diverse da quelle che mi sono scoperto a desiderare, nascosto dal mondo, in un sotterraneo impregnato dai vapori nauseabondi delle pozioni.
«Non avevo scelta…»
«Puttanate! Ce l’avevi, Severus. Ti bastava raccontarmi il tuo passato, ti bastava mettermi a parte del tuo presente. Ma cosa credevi? Che fossi una stupida ragazzina?»
«Non lo sei?» domando senza trasporto.
Incroci le braccia al petto. Il tuo sguardo si fa sottile come la lama di un coltello.
«Cosa? Una stupida o una ragazzina?»
Sollevo un sopracciglio.
«Smettila!» è solo un sibilo che mi esce dalle labbra.
Gli occhi ti si riempiono di lacrime. Non avresti voluto che io le vedessi.
«Non credi che anche io abbia sofferto abbastanza? Pensi di essere stato solo tu ad aver perso qualcosa? Di avere l’esclusiva sul dolore?»
Le guance ti si tingono di rosso, coperte da due scie di lacrime scappate al tuo controllo. Anche le labbra sono rosse, adesso. Come tanto tempo fa.
Ti avvicini ulteriormente, mentre io resto immobile. Per quanto ancora potrò tentare di salvarti da me stesso? Per quanto ancora riuscirò a resistere a questo maledetto impulso di baciarti che mi preme sotto i bottoni della giacca, rischiando di farli esplodere?
«Perché non parli, porca puttana?!» lo urli piena di rabbia. Tu che non ti arrabbi mai e parli sempre, a me, che mi arrabbio sempre e non parlo mai.
Le lacrime ormai ti rigano il viso. Sembra non importartene più.
È inutile l’orgoglio, Hermione. Perlomeno lo è davanti a me, che avrei tante di quelle cose per cui varrebbe la pena di provarci, a piangere.
Fai ancora un passo. Sei a pochi centimetri dal mio corpo.
Sollevi una mano. Fai per colpirmi la guancia. Poi ti fermi. Stringi le dita in un pugno che ti rende bianche le nocche, quasi affogate in un maglione di lana troppo grande.
Resti immobile un istante, mentre con lo sguardo cerchi un pavimento che speri possa rappresentare un momentaneo nascondiglio.
«Ho provato ad odiarti, sai?»
Sollevi gli occhi, trovando di nuovo la forza di guardarmi.
Da vicino sono ancora più belli. Ancora più dannatamente limpidi.
«Ci ho provato quando tutti ti chiamavano traditore. Assassino.
Ci ho provato quando ho capito che avevi mentito anche me, come a tutti gli altri.
Ci ho provato quando ho visto che avevi passato la vita ad amare un’altra. Ci ho provato quando per un anno non hai voluto vedermi, mentre te ne stavi sdraiato in un letto di ospedale…»
Le tue iridi color nocciola vengono invase dalle lacrime.
«Perché non hai mai voluto vedermi? Io…» interrompi la frase mordendoti un labbro.
Ho fatto schifo per tutta la vita, ragazzina. E se adesso non ne fossi più capace?
Sarebbe così assurdo dirti che ci ho passato quasi tutta la mia esistenza, ad amare un’altra? Perché da quando hai travolto la mia solitudine con i tuoi modi saccenti e le tue parole irrefrenabili, ho capito di amare te? Di non aver mai amato nessuno come amo te?
Sarebbe così difficile dirti che non ho mai voluto vederti perché ti amo così tanto da non riuscire a sopportare l’idea di macchiare la tua innocenza candida?
I miei occhi sono immobili. Ti guardano con l’abilità a nascondere ogni cosa che ho costruito negli anni.
Incroci le braccia al petto. Abbassi la testa, cercando di incatenare lo sguardo alle tue mani, così che niente di ciò che ci infuria dentro possa raggiungermi.
«Posso chiederti un favore, Severus?»
Non aspetti la mia risposta.
«Dimmi che di me non te ne è mai fregato niente. Che tutto quell’amore che mi sforzavo di farti vedere tra i miei pensieri ti ha sempre fatto ridere a crepapelle. Che ti faccio pena, perché a vent’anni non sono riuscita a trovare altro da fare che recarmi, ogni maledetto giorno, in un ospedale in cui nessuno mi ha mai fatta entrare. Dimmi che non sai che fartene dell’amore assurdo, incontenibile e devastante di una ragazzina.
Dammi una ragione, ancora una, per odiarti e provare ad andare avanti con la mia anima compromessa…»
«Smettila!» te lo sibilo con rabbia.
Tu sollevi gli occhi. Mi arpioni le iridi nere con tutta la forza della tua disperazione.
«Perché? Devo pur sopravvivere, Severus…»
Silenzio.
Tu resti immobile. Io resto immobile. Per un attimo anche il tempo resta immobile.
«Perché non vuoi dirmi come si fa ad andare avanti, quando ti sei macchiato di una colpa imperdonabile per qualcuno che non sa cosa farsene di tutto l’amore che provi? Tu lo sai, Severus. Tu sei sopravvissuto…»
Dannazione, ragazzina. Che diavolo vuoi da me?
«Ti ho detto di smetterla!» te lo sibilo ancora.
Tu sollevi un sopracciglio. Non capisci.
Già, Hermione, non capisco nemmeno io.
Poi esplodi.
«Smettila tu! Smettila di guardarmi così, smettila di essere fottutamente gelido, immobile, ed impenetrabile. Smettila di essere tutto quello che io amo fino a farmi contorcere le budella, cazzo!» lo urli in preda alla disperazione.
Fai un sospiro profondo. Cerchi di calmarti, prima di riportare gli occhi nei miei.
«Dimmi qualcosa. Qualsiasi cosa…» due lacrime ti rigano le guance.
«Cosa diavolo vuoi che ti dica, ragazzina?» te lo ringhio con rabbia ad un palmo dalla faccia.
Non sono forte come credevo di essere. E forse non sono nemmeno disperato come credevo di essere, non di fronte alle tue lacrime.
Ti paralizzi davanti al mio volto.
«Vuoi che ti dica che ho una paura fottuta di non saper essere felice? Che ho una paura fottuta di rendere infelice anche te? Di trascinarti in mezzo agli incubi che mi porto dietro ogni notte e che non mi lasceranno mai in pace? Vuoi che ti dica che sono stanco di lottare contro il mondo e contro me stesso? Vuoi che ti dica che mi sento inappropriato, impacciato e stupido mentre mi guardi piangendo? Che vorrei solo stringerti tra le braccia fino ad imprimermi il tuo odore così a fondo nei polmoni da non essere più in grado di dimenticarlo? Vuoi che ti dica che vorrei essere diverso, riuscire a sorriderti, prenderti la mano e trascinarsi fuori da questa casa polverosa, da questo passato troppo ingombrante? Vuoi che ti dica che mi faccio schifo, perché so che meriti molto di più? Vuoi che ti dica che sapere che mi ami mi rende difficoltoso il respiro e incerti i pensieri? Che l’ho capito quando tu eri solo una ragazzina ed io una spia troppo ben travestita per poter essere riconosciuta? Vuoi che ti dica che vorrei afferrare quel vecchio cappello malconcio e trascinarlo insieme a te nell’unico posto che sono riuscito a chiamare casa, per ricostruirlo al tuo fianco? Vuoi che ti dica che baratterei l’anima in questo istante, pur di scrollarti di dosso la colpa di cui ti sei macchiata per salvarmi la vita? Vuoi che ti dica che ti amo, anche se non ho la più pallida idea di come si faccia ad amare nel modo giusto? Cosa diavolo vuoi che ti dica, Hermione?»
È un urlo soffocato, quello che mi esce dalle labbra. Eppure, nel tempo di un attimo, improvvisamente, mi sento libero.
Insicuro, incapace. Ma libero.
Tu sorridi tra le lacrime. Ti mordi il labbro, ancora una volta.
«Sarebbe davvero bellissimo, se mi dicessi tutto questo! Assurdo, ma bellissimo…» lo sussurri appena. E sembra che, di colpo, siano spartite dal tuo sguardo tutta la rassegnazione, tutta la tristezza, tutta l’impotenza che vi avevo scorto dentro, arrivando di soppiatto in questa casa abbandonata. Tutta l’insoddisfazione che ci vedo dentro da che ricordo.
«Sì… lo sarebbe.» lo dico piano, quasi senza far rumore. Ma tu lo senti. Forse, di me, tu hai sempre sentito tutto.
Restiamo in silenzio, ci guardiamo senza filtri, per la prima volta dopo tutto il tempo in cui avremmo voluto mandarli in frantumi, quei maledetti filtri, senza mai riuscirci e senza mai poterci permettere di farlo.
«I miei fantasmi non se ne andranno, lo sai anche tu.
E allora adesso sono io a chiedertelo, ragazzina: vuoi farti solo una scopata sul pavimento, per sapere che gusto si prova a farsi accarezzare da un mostro, oppure hai intenzione di insegnarmi a vivere? Di sopportare tutta l’apatia a cui non so sottrarmi? Di tollerare, giorno dopo giorno, colpe che non mi lasceranno respirare? Siamo due anime dannate, Hermione. E tu lo sei per causa mia. Una nuova medaglia da appuntare sulla mia divisa di demone.»
Fai per stringermi le braccia al collo. Poi ci ripensi.
«Ho intenzione di amarti, così come ti ho sempre amato... di darti la mia anima dannata, così che tu possa provare a guarirla.»
Sorrido. Non so se lo faccio nel modo giusto, Hermione. Ma ti sorrido.
È facile, lo sai? Non pensavo che lo fosse così tanto.
Con un dito ti accarezzo la guancia.
Per un attimo sembra che anche questa casa, piena di rumori sinistri, di ricordi e di elfi psicopatici, abbia voluto concederci il tempo di guardarci negli occhi, e di riconoscerci.
«Potresti baciarmi, professore? Giusto per farmi capire che è tutto vero. Per farmi capir…»
«Adesso stai zitta, Hermione…» Ti appoggio la bocca sulle labbra, mentre sento il tuo respiro invadere il mio, lenirlo e renderlo vivo.
Le tue lacrime mi bagnano la pelle, si avvinghiano alle mie dita che non riescono più ad abbandonare il tuo viso.
È un bacio piccolo, che si nasconde tra la poca luce e la polvere.
È un bacio vero, il primo bacio vero della mia vita che, improvvisamente, mi sembra meno inutile.
È un bacio giusto. Finalmente giusto.
Ti allontani da me il tanto che basta a guardarmi negli occhi. Non sganci le braccia dal mio collo, in un gesto così tenero da bloccarmi il fiato nei polmoni.
Trovo il coraggio di guardarti. Forse uno degli sforzi più sfiancanti della mia vita.
Non sono capace di farlo nel modo giusto, lo so. Eppure tu non vuoi accorgertene.
I miei occhi superano i tuoi, si infrangono sul tavolo alle tue spalle, dove il cappello parlante sembra osservarmi con un misto di ironia canzonatoria e approvazione.
Maledetto pezzo di stoffa cencioso!
«Andiamo?» te lo chiedo senza più riuscire a guardarti.
«Dove?»
«A Hogwarts. Senza un professore di pozioni, una professoressa di trasfigurazione e un dannatissimo cappello parlante, il nuovo anno non può cominciare…»
Butti la testa all’indietro, ridi per un attimo.
Sei bella da togliere il fiato.
«D’accordo, Severus. Portami a casa!»

FINE


Ditemi cosa ne pensate, ragazze…
 
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view post Posted on 31/1/2022, 13:30
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:XD: :XD: :XD: :XD: :XD: :XD: :XD: :XD: :XD: :XD:
non ha preso solo a me la mano.
:XD: :XD: :XD: :XD: :XD: :XD: :XD: :XD: :XD: :XD:


Grazie Bianca. La stampo e l'analizzo virgola, dopo virgola :lol:
 
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view post Posted on 31/1/2022, 14:11
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Fondi-calderoni

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Grazie Bianca. La stampo e l'analizzo virgola, dopo virgola :lol:

Mi alzate la palla con una Severus/Hermione… non mi sono trattenuta 😂😂
 
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view post Posted on 1/2/2022, 12:32
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NickySnape scrivi qualcosa per Febbraio?
Alaide tu avevi già detto di no, vero?
 
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CITAZIONE (ellyson @ 1/2/2022, 12:32) 
Alaide tu avevi già detto di no, vero?

Esatto.
 
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view post Posted on 1/2/2022, 13:08
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CITAZIONE (Alaide @ 1/2/2022, 13:01) 
CITAZIONE (ellyson @ 1/2/2022, 12:32) 
Alaide tu avevi già detto di no, vero?

Esatto.

Ok!
 
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Fondi-calderoni

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Speriamo… devo partire a giorni e starò via per un bel po’, vi faccio sapere entro la fine della settimana se riesco a scrivere qualcosa
 
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view post Posted on 1/2/2022, 13:32
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CITAZIONE (NickySnape @ 1/2/2022, 13:31) 
Speriamo… devo partire a giorni e starò via per un bel po’, vi faccio sapere entro la fine della settimana se riesco a scrivere qualcosa

Tranquilla.
Se riesci bene.
Una Severus/Hermione si legge sempre volentieri. :lol:
 
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view post Posted on 3/2/2022, 13:17
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Questa é la mia storia.
Ancora va riletta.
Devo trovarci un titolo. :lol:
Le domande che vi faccio sono sostanzialmente due:
- In alcuni punti é venuta più corale di quello che mi aspettavo. Quindi, Hermione secondo voi é messa in secondo piano?
- La scena col Ceppello ci sta o sembra buttata lì perché deve esserci anche lui?


Ora che la sto riguardando ho paura di aver fatto troppo. -_-

Titolo: DA DEFINIRE
Autore: ellyson
Beta:
Tipologia: One Shot
Rating: Per tutti
Genere: generale
Personaggi: Severus Piton, Hermione Granger,
Pairing: Severus/Hermione
Epoca: post 7 anno
Avvertimenti: AU
Riassunto:

DA DEFINIRE

Caratteri (spazi inclusi): 27.353

Note: storia scritta per la sfida annuale 15 anni con Severus. Mese di Febbraio. Scuola di Durmstrang.
DA DEFINIRE Scuola di Durmstrang

Nota: questa storia fa parte dell’universo Eligis tuum iter. Dello stesso universo potete leggere anche Porcospino, Hopless Hope, Eredità, Esprimi un desiderio, Severus, In attesa di questo momento, La strana coppia, M.U.O.R.I. - Copiare – Uno sporco lavoro

TITOLO

La vita non smetteva più di sorprenderlo.
Era sopravvissuto alla guerra; al morso di Nagini; alle occhiate di maghi e streghe che si chiedevano se effettivamente fosse una spia di Silente o solo un Mangiamorte molto astuto capace di girare la verità a suo vantaggio.
Era sopravvissuto alla rivelazione di chi aveva reso possibile la sua straordinaria ed incomprensibile sopravvivenza e successivamente un amore improvviso e travolgente che l'aveva spaventato a tal punto da fuggire sentendosi inadeguato per quella donna così giovane.
Arreso, infine, a quel sentimento che non era non stato più in grado di ignorare.
Desideroso solo di un po’ di felicità che per anni era sembrata irraggiungibile. Un miraggio traballante nella sua precedente vita arida come il deserto.
Quella sua seconda vita, quella seconda opportunità che non aveva mai avuto neppure l'ardire di sognare, era stata un susseguirsi di sorprese.
Tutte straordinariamente piacevoli.
Il mago osservò Elijah sparpagliare diversi libri per bambini sul pavimento nel grande salotto di Grimmauld Place.
Era sempre strano trovarsi in quella casa ora pulita e accogliente.
Era stata completamente ristrutturata, Potter e sua moglie avevano tolto tutto quello che ricordava un'epoca oscura ed infelice.
L'epoca dove lui era solo un'ombra in mezzo ad altre ombre.
Il quadro della madre di Black era stato eliminato utilizzando incantesimi di alto livello che lui stesso aveva creato con l’aiuto della sua brillante moglie, l'arazzo della famiglia Black era stato staccato dal muro, piegato con cura e fatto recapitare ad Adromeda che, a sua volta, l'aveva consegnato alla sorella Narcissa. Da quello che sapeva, Narcissa l'aveva lasciato a prendere polvere in una scatola in una delle cantine buie di Villa Malfoy.
Erano sparite le teste mozzate degli elfi, incarico che aveva visto Hermione staccarle personalmente dalle pareti una per una per poi dar loro degna sepoltura vicino alla tomba di Dobby.
L’unica cosa rimasta della vecchia casa era la cornice del quadro Preside Black appesa nel salotto, ma era sempre vuota. Il ritratto del vecchio Black era per la maggior parte del tempo nella cornice in presidenza a sonnecchiare come tutti gli altri presidi, tratte quando entrava Hermione. In quel caso se ne andava borbottando parole acide, ancora offeso per il trattamento subito durante la guerra.
La casa che un tempo trasudava oscurità e odio verso i Babbani era diventata un luogo caldo e accogliente.
Ginny, tuttavia, voleva avvicinarsi alla Tana, desideravano un giardino in modo che i loro figli, con tutti i cugini e gli amici potessero giocare, così si stavano trasferendo e loro avevano acconsentito – Hermione aveva acconsentito, lui era stato costretto a partecipare nonostante tutti i suoi sbuffi – ad aiutarli a imballare parte delle loro cose.
Si era così ritrovato a Grimmauld Place di sabato mattina a sistemare in scatoloni vasi e stoviglie chiedendosene il motivo.
Il tutto con poche ore di sonno alle spalle dato che Elijah non li aveva fatti dormire molto quella notte.
Quello stesso dolce bambino che, al momento, stava sfogliando tranquillo un libro per bambini piccoli sul pavimento.
Era calmo, ma solo perché si era appena svegliato dal riposino pomeridiano.
Mentre con le lunghe dita avvolgeva un bicchiere con una pagina di una vecchia copia della Gazzetta del Profeta, Hermione entrò nel salotto con una pila di tovaglie in mano e una che svolazzava alle sue spalle.
- Ti rendi conto quanto questo sia inutile? - sibilò appoggiando il bicchiere incartato con cura nella scatola – Ti ricordo che siamo maghi! Possiamo far sparire ogni mobile con un colpo di bacchetta e farlo riapparire nella nuova casa.
Sua moglie appoggiò le tovaglie sul tavolo, lanciò un'occhiata al figlio e sorrise dolcemente.
Per tutti i gargoyle quanto amava quel sorriso.
Ed era suo. Solo e solamente suo.
- Il quartiere è Babbano, Severus. Si insospettirebbero se non vedessero trasportare neppure uno scatolone.
- Ricordami perché li stiamo aiutando.
- Sono nostri amici.
- Tuoi amici, Hermione. - ci tenne a precisare - Sono tuoi amici.
Lei non si lasciò ingannare, si avvicinò, gli posò una mano sul petto e gli sfiorò le labbra con un delicato bacio.
Ma un bacio non bastava. Non bastava mai.
Gliene rubò un altro a fior di labbra.
- Quando mi hai sposato hai preso tutto il pacchetto. Era scritto nelle carte che abbiamo firmato al Ministero.
- Per questo c'erano tante scritte in piccolo? - domandò ironico.
Hermione scoppiò a ridere, era la seconda cosa che amava di più a mondo.
Un bel suono che gli ricordava sempre quanto fosse fortunato e quanto avrebbe potuto perdere per la sua testardaggine.
Elijah si alzò dal pavimento, mise un piede su un libro che lo fece cadere picchiando il sedere ben fasciato dal pannolino.
Rise prima di rialzarsi per svicolare di nuovo dimostrando una testardaggine imputabile solo un mix perfetto di geni Serpeverde e Grifondoro.
- Quel bambino sarà la mia morte. - sussurrò Hermione con un sospiro sconsolato – Già da quando era nella pancia.
Era vero. Se con la gravidanza di Hope non aveva avuto alcun problema, se non le nausee mattutine che si erano protratte fin quasi alla fine della gravidanza, non si poteva dire lo stesso della gravidanza di Elijah.
Con una bambina di poco più di un anno e un lavoro stancate aveva avuto una minaccia di aborto al quinto mese che l'aveva costretta a letto fino al parto.
Erano stati quattro mesi duri ed estenuanti per tutti.
Elijah era un bambino curioso, a volte troppo per un bambino di poco meno di due anni.
Sembrava non aver paura di nulla e questo faceva paura a lui.
Aveva, però, scoperto una cosa interessante: amava sentirlo leggere. Quando si metteva sul divano con un libro si arrampicava sulle sue gambe per sentirlo leggere a voce alta.
Non importava che libro fosse: dalle fiabe di Beda il Bardo ai manuali di pozioni. Anzi, a dire il vero, gli era sembrato che fosse molto più interessato dalle immagini sui libri di pozioni che da quelle sui libri di Beda, ma probabilmente lo aveva solo immaginato.
Quanto poteva capirne un bambino con addosso un pannolino della differenza tra l’occhio di un coleottero nero e la pupilla di un’anguilla?
Finalmente Elijah riuscì a superare i libri e si avvicinò ad Hermione allungando le braccia.
Hermione lo prese in braccio e gli diede un sonoro bacio sulla guancia paffuta.
Poteva esserci un’immagine più bella di quella?
Mancava solo la sua ampollina.
Come richiamata da un incantesimo di appello Hope entrò di corsa nel salotto seguita da Teddy, James, Al che ridevano e George che li inseguiva con uno scialle rosa sulla testa.
- Papà! - urlò ridendo la bambina nascondendosi dietro le sue gambe – Aiuto! Il grande rospo rosa ci vuole mangiare!
Sollevò un sopracciglio mentre George acchiappava Al e gli faceva il solletico.
- Il grande rospo rosa?
- Sì! - fece Teddy che per l'occasione aveva cambiato il colore dei capelli, facendoli diventare di una tonalità di rosa leggermente più scura rispetto a quello dello scialle – Il rospo Dolores!
- George! - sibilò Hermione.
- Ogni riferimento é puramente casuale.- si giustificò lui con un sorriso che diceva esattamente il contrario, si avvicinò a Elijah e gli tese le braccia – Guarda chi si svegliato dal pisolino. - il bambino si lasciò prendere in braccio – Stiamo diventando pesanti, eh?
- Perché Fred e Angelina non ci sono? - domandò Hermione.
- Oh... Angelina é andata da sua madre con Fred per qualche giorno. Quando si avvicina l'anniversario della morte del marito a Janet le fa bene avere un po' di movimento attorno e Fred é la perfetta distrazione.
Vide sul volto di sua moglie un'espressione che conosceva fin troppo bene.
- Angelina doveva andare da sua madre tra un paio di giorni. – fece una pausa e lo scrutò attentamente - Cosa hai fatto George?
- Nulla! - si giustificò lui velocemente, fin troppo velocemente – Angelina in questo periodo dice sempre che si sente troppo grossa e troppo ingombrante. Dice che aspetta un figlio solo, ma sembrano due da quanto la sua pancia sia grande. Le ho solo detto di vedere il lato positivo!
Hermione mise le mani sui fianchi.
- Quale sarebbe il lato positivo George?
- Che se non perde i chili dopo la gravidanza avrà un futuro come portiere!
Hermione strinse le labbra, prese il bambino dalle braccia di George e glielo passò.
Accolse il piccolo senza discussioni, cercare di calmare ora sua moglie sarebbe stata una mossa poco furba.
- Zio George é nei guai.- mormorò Hope ancora nascosta dietro le sue gambe.
Neppure il tempo di finire la frase che Hermione gli tirò uno scappellotto. Tutti i bambini scoppiarono a ridere.
Lui riuscì a stento a trattenere un sorriso.
George incassò il colpo senza dire nulla poi le riservò un sorriso furbo.
- Hope mi ha detto cosa vuole per il suo compleanno! – disse evidentemente soddisfatto di aver spostato l’attenzione su qualcosa di diverso.
Qualcosa che Hope nominava da settimane.
Il fratello di Ginny guardò dietro le sue gambe e allargò quel sorriso malandrino.
Quello stesso sorriso che per gli era costato centinai di punti quando era solo uno studente.
- Un unicorno! Vero, Hope?
La parola era bandita in casa, avevano avvisato tutti di non menzionare gli unicorni almeno fino a quando non sarebbe passata la fissa alla piccola.
George lo sapeva, ma l’aveva ignorato di proposito.
Vendetta in pieno stile George Weasley.
Vide Hermione sgranare gli occhi nello stesso momento in cui Hope iniziò a saltare per il salotto urlando che per il compleanno desiderava un unicorno rosa.

* * * *


Verso sera, quando i piccoli erano nella sala giochi per le ultime avventure prima di tornare a casa supervisionati da Kreacher, sedevano in cucina.
Gli scatoloni erano stati impilati in un angolo. Il numero necessario per non far insospettire i vicini.
Mentre Ginny ed Hermione terminavano di sistemare i piatti, lui e Potter finivano in silenzio il bicchiere di liquore che si erano concessi dopo cena.
Si guardava attorno ripensando a quanto avevano visto quelle mura, quante volte aveva preso posto a quel tavolo -uno dei pochi mobili sopravvissuti al restauro della famiglia Potter – di notte, avvolto in un mantello più nero della stessa oscurità che li circondava, a parlare con Albus sottovoce per non far sentire ai ragazzi, sempre con le orecchie tese, qualcosa che non avrebbero dovuto conoscere.
Sembrava passata un'eternità. A volte si chiedeva se fosse accaduto realmente, ma gli bastava guardare le cicatrici del suo corpo per averne conferma.
Anche la tomba bianca era un ottimo promemoria.
Ricordava ancora tutte le riunioni con gli altri membri dell'Ordine, ogni missione, ogni bugia che gli aveva permesso di tenere salda la maschera di doppiogiochista.
Si guardò attorno, i muri erano stati tinteggiatati, i mobili cambiati, ma poteva quasi vedere ogni singolo membro dell'Ordine riuniti a quel tavolo a bere con loro.
Li poteva vedere seduti a quel tavolo a guardarli.
Osò guardare Potter: fissava anche lui le pareti, perso in chissà quali pensieri.
Lo vedeva sorridere, ridere con i propri figli e sembrare un uomo normale.
Non il Prescelto.
Non Colui che ha ucciso Lord Voldemort.
Non l’uomo di Silente.
Ogni tanto, però, lo trovava a fissare il vuoto, fugaci momenti in cui gli occhi si incupivano, duravano solo pochi attimi, ma c’erano e lui li aveva notati.
Non sapeva come aiutarlo, non sapeva neppure se voleva un aiuto e, molto probabilmente, non era l’uomo migliore per dispensare consigli.
Probabilmente cambiare casa era la soluzione perfetta.
Forse era per questo che Ginny aveva insistito tanto per il trasloco, aveva visto anche lei quello sguardo e la necessità di spazio per la famiglia era la scusa perfetta per allontanarlo dai cattivi pensieri.
Le donne erano straordinarie in questo, Hermione era campionessa nel cogliere al volo i suoi turbamenti.
Sentì il suo tocco sulla spalla, le riservò un lieve sorriso e le baciò il palmo della mano, uno dei pochi momenti di tenerezza che avrebbe mostrato davanti agli altri.
Aveva ancora una reputazione da mantenere in fin dei conti.
Salutarono i Potter, presero i bambini e raggiunsero casa in Metropolvere.
- Sono contenta che si trasferiscano. – disse Hermione mentre asciugava Elijah dopo il bagnetto – Quella casa mi mette sempre a disagio. Troppi brutti ricordi.
Sapeva esattamente a cosa alludeva, vide nei suoi occhi lo stesso vuoto di Potter e gli si strinse il cuore.
Si chiese se tutti i sopravvissuti alla guerra avevano lo stesso sguardo. Capitava anche a lui di avere dei momenti di vuoto in cui ricordava qualcosa di così orribile e scuro che era impossibile da ignorare.
Momenti vuoti dove l’orrore vissuto tornava prepotente a galla.
Quando capitava Hermione era sempre lì. Faro luminoso nella sua oscurità.
- Perché non posso avere un unicorno? – domandò all’improvviso Hope mentre lui le pettinava i capelli neri e li annodava in una treccia o, almeno, ci provava.
- Non possiamo tenere un unicorno in giardino.
- Ma… ma… mi prenderò cura io di lui!
- Non importa, Hope. Non é un animale domestico.
- Possiamo prendere un peluche. – suggerì Hermione.
- Come non ce ne fossero abbastanza in quella cameretta. – borbottò ricevendo un’occhiataccia dalla moglie.
- Io ne voglio uno vero. – borbottò la bambina sconsolata uscendo dal bagno.
- Se non lo fa Angelina, ammazzo George con le mie mani. – borbottò nello stesso modo Hermione seguendo la bambina e tendendo Elijah per mano.
Si sistemò velocemente per la notte, era esausto, voleva solo andare a letto e dormire, sperando che i bambini non lo svegliassero di notte.
Si bloccò sulla porta della camera quando vide il letto decisamente più affollato del dovuto.
- Storia! - urlò Hope.
- Sììììì! – fece eco Elijah, in mano stringeva il ciuccio.
Hermione si limitò a mostrare quel suo sorriso adorabile.
Maledizione a quel sorriso.
Sollevando gli occhi al cielo si mise a letto, Hope si accoccolò tra le braccia di Hermione, Elijah appoggiò la testolina sul suo braccio, il ciuccio era già tornato in bocca.
- Questa sera tocca alla mamma scegliere la storia. – dichiarò lui.
- Quella dei fondatori. – risposte lei già con gli occhi mezzi chiusi – Mi piace quando racconti come è stata fondata Hogwarts e come hanno creato il Cappello Parlante.
Iniziò a raccontare senza leggere nessun libro, aveva letto “Le origini di Hogwarts” così tante volte che non gli serviva.
Hope ed Elijah crollarono praticamente subito, Hermione non arrivò alla descrizione della nascita del Capello Parlante, prima che il sonno prendesse il sopravvento, gli sussurrò un dolcissimo ti amo che lo fece sorridere come un’ebete.
Avrebbe dovuto portare i bambini a letto se l’indomani non voleva svegliarsi pieno di dolori, ma era così stanco e la sua famiglia al completo aveva un profumo così buono che spostò un poco suo figlio per avere un po’ di spazio in più sul materasso, spense la luce della lampada sul comodino e chiuse gli occhi.
La mattina dopo avrebbe bevuto una pozione antidolorifica.

* * * *


Nonostante la parola unicorno fosse stata di nuovo bandita da casa, Hope non aveva cambiato idea.
Anzi, più si avvicinava il giorno del suo compleanno, più diventava assillante. Parlava così tanto di unicorni che aveva iniziato anche a sognarli di notte.
Sognare di cavalcare unicorni rosa era peggio di una maledizione senza perdono.
Erano risusciti a trovare un compromesso dopo un lungo pomeriggio: un nuovissimo peluche che avevano già comprato e incartato e una festa a tema unicorno con tanto di cerchietti colorati e luccicanti che tutti gli inviati alla festa avrebbero indossato.
Hope aveva accettato non particolarmente entusiasta, perorando la sua causa con un acume che aveva sorpreso entrambi.
Hermione gli aveva confidato che avrebbe avuto un futuro brillante nel Ministero della Magia.
Quel sabato pomeriggio era nel suo ufficio intento a compilare le ultime carte burocratiche della settimana, i suoi figli stavano giovando sul pavimento dello studio circolare, mentre sua moglie finiva di sistemare la casa per la festa di compleanno.
Hope, colorava con entusiasmo l'ennesimo disegno di un unicorno; ormai la casa era tappezzata da unicorni di tutti i colori.
Elijah aveva abbandonato i pastelli e stava guardando un libro Babbano da bambini di spesso cartone, con forme colorate e inserti morbidi da accarezzare. Il ciuccio era stretto tra le sua labbra.
Quel giorno sembrava non volersene liberare, Hermione gli aveva spiegato che era un comportamento del tutto normale date le attenzioni che avevano per Hope.
Tornò a concentrare le sue attenzioni sulle carte inviategli dal Ministero, la scuola avrebbe chiuso tra due mesi e iniziavano ad arrivare le liste dei nomi dei ragazzi ammessi al primo anno.
Sollevò lo sguardo quando, con la coda dell'occhio, intravide una piccola figura alzarsi e avvicinarsi ad uno degli scaffali, sollevò lo sguardo e notò Elijah guardare in alto, in direzione del Cappello Parlante.
Non aveva un buon rapporto con quell'oggetto, sempre se si poteva usare la parola rapporto quando si parlava di qualcosa di inanimato.
Le parole che Silente gli aveva detto quel giorno nella foresta gli ronzavano ancora in testa.
Il Cappello era stato danneggiato durante l'ultima battaglia. Quando era stato recuperato tra le macerie del castello Minerva gli aveva confessato che lo credeva irrimediabilmente danneggiato.
Il tessuto era annerito, permanentemente bruciato in molti punti, le cuciture erano saltate, ma quando lo aveva sentito parlare si era resa conto che, forse, c'era ancora una piccola possibilità di salvarlo.
C'erano voluti mesi e maghi esperti in antiche magie chiusi in una stanza segreta dell'Ufficio Misteri, ma ne erano usciti con il cappello come nuovo.
Nessuno aveva mai saputo come c'erano riusciti.
Ciò che viene fatto nel Ufficio Misteri, rimane nell'Ufficio Misteri.
Il Cappello era tornato a scuola; al primo smistamento dopo la guerra era stato accolto con applausi scroscianti e urla di felicità.
Aveva ammaliato tutti con una nuova filastrocca di benvenuto, la più lunga della storia di Hogwarts a sentire Minerva.
Fu un lungo ringraziamento e tutti quelli che avevano lottato per mantenere la pace nel mondo magico.
Il secondo anno, quando aveva ripreso il suo ruolo di Preside dopo la lunga convalescenza, la canzone fu ancora più toccante. Un’ode a tutti coloro che avevano perso la vita in guerra e a chi sentiva di aver perso l’anima.
Si era sentito chiamato in causa, non tanto per aver ucciso Silente, ma perché aveva lasciato Hermione solo qualche mese prima.
Lasciare lei era stato molto più doloroso che lasciare il fantasma di Lily.
Elijah si tolse il ciuccio da bocca e lo guardò:
- Cappello... storia...- disse puntando il piccolo dito contro l’oggetto.
- Sì, é il Cappello della storia che piace alla mamma.
Il bambino si alzò sulla punta dei piedi allungando la manine.
- Non é un giocattolo Elijah.
Elijah non sentì ragioni, anzi Hope si alzò anche lei curiosa abbandonando il disegno.
Con un sospiro mosse appena la bacchetta facendo volteggiare il Cappello Parlante sulla scrivania.
I bambini si arrampicarono sulle sue gambe, sedendosi ognuno su un suo ginocchio.
- Davvero parla? - domandò Hope osservando l’oggetto – Io non l’ho mani sentito.
- Parlo solo quando ho qualcosa di interessante da dire! - fece il Cappello all’improvviso spaventando i bambini.
Elijah si voltò a guardarlo.
- Parla.
- Puoi dirmi in quale Casa entrerò? - domandò la bambina.
- Non si può.
- Perché? - domandò Elijah.
- Perché la vostra mente non é ancora matura, né il vostro carattere del tutto formato. Le mie valutazione potrebbero essere errate.
- Perché? - questa volta lo chiese Hope.
- Perché dovete ancora fare le necessarie esperienze che vi aiutino a forgiare il vostro carattere.
- Perché? - Elijah aveva abbandonato il ciuccio sulla scrivania osservava il Cappello con molto interesse.
- Perché in base a queste scelte potrò capire quale sarà la Casa migliore per voi.
- Perché? - chiese Hope inclinando il capo confusa.
Severus sorrise di fronte alla curiosità dei suoi figli, lui ed Hermione passavano pomeriggi interi a rispondere alle domande di quei due curiosoni.
Erano felici difronte a tutto questo interesse per il mondo che li circondava, ma dopo un pomeriggio a rispondere ad un numero infinito di perché arrivano alla sera esausti e col mal di testa.
- Oh insomma! - quasi gridò il Cappello Parlante – Siete troppo piccoli!
I bambini scapparono ridendo.
Il mago scosse il capo e afferrò il Cappello per rimetterlo al suo posto.
Lo fissò più o meno all’altezza di dove avrebbero potuto esserci gli occhi.
- Undici anni sarebbe l’età giusta per decidere la vita di un ragazzino?
- Pulce nell’orecchio, eh, Preside Piton?
Si voltò a guardare i suoi figli: Hope aveva ripreso a disegnare e Elijah a sfogliare il suo libro.
- Forse,- ammise tornando a guardare il Cappello – solo una frase di Silente che mi é tornata in mente.
- Sono millenni che seleziono la Casa migliore per ogni mago undicenne che oltrepassa il portone di Hogwarts.
- E non hai mai sbagliato?
- Giammai!
Sbuffò non del tutto convinto.
- Se non fossi stato smistato tra i Serpeverde, forse, la mia vita sarebbe stata diversa.
- Se non fosse stato smistato tra i Serpeverde non avrebbe la sua famiglia, Preside Piton. Rinuncerebbe alla sua famiglia per un se fosse?
Posizionò il Cappello sulla mensola, al posto che aveva occupato in tutti quei secoli.
Si voltò verso i bambini, verso quel futuro arrivato in modo inaspettato. Aveva attraversato una vita d’inferno per avere quel futuro, aveva quasi gettato tutto alle ortiche perché non si era sentito degno di quel dirompente amore che gli offriva Hermione.
Avrebbe rinunciato a quello che aveva ora per un ipotetico futuro diverso?
Guardò i suoi figli: Hope stava scarabocchiando il foglio con la punta della lingua tra le labbra sottili, Elijah era così concentrato sul suo libro che aveva abbandonato l’inseparabile ciuccio sulla sua scrivania.
Lanciò una rapida occhiata al ritratto di Silente: la cornice era vuota. Chiaro segno che il mago era nell’altra cornice appesa sopra il camino del suo salotto ad osservare i preparativi della festa.
Pensò a sua moglie intenta a sistemare casa, al suo sorriso che amava più di qualsiasi cosa al mondo, al suo modo di amarlo, così attenta, così passionale.
Ogni volta che la guardava si sentiva dannatamente fortunato.
Tornò a guardare i bambini e sorrise.
No. Non avrebbe mai rinunciato alla sua famiglia.
Avrebbe rifatto tutto, ogni scelta sbagliata, ogni anno di dolore, ogni cruciatus che gli aveva segnato per sempre il corpo, ogni notte insonne, ogni incubi se, alla fine, il risultato era la sua famiglia.
Sua e di nessun altro.
Si voltò per rispondere al Cappello Parlante, ma si rese conto che lo strappo che fungeva da bocca era sparito. L’oggetto era tornato un semplice cappello inanimato.
Non aveva più nulla di interessante da dire.
La porta dell’ufficio si aprì.
- Mamma! - urlò la bambina saltando in piedi – E’ pronta la mia festa?
- In casa c'è qualsiasi addobbo possibile a forma di unicorno e stanno per arrivare tutti gli invitati. - le risposte Hermione sorridendo – Ma prima dobbiamo cambiarci. Ho il vestito giusto per l’occasione.
Con un colpo di bacchetta i pantaloni e la maglietta di Hope si trasformarono in un vestito dal morbido corpetto bianco luccicante e una vaporosa gonna di tulle dei colori dell’arcobaleno.
- Papà guarda! - rise la piccola – Ti piace?
- Sei bellissima, ampollina.
- Manca qualcosa però. - continuò Hermione facendo apparire un cerchietto con un vistoso corno fucsia ricoperto di brillantini circondato da fiorellini colorati – Ecco.- disse mettendole a posto i capelli – Ora sei una perfetta principessa unicorno.
- Anch’io! - fece Elijah avvicinandosi.
- Ecco qui anche a te. - mormorò lei picchiettando con delicatezza la bacchetta sulla testa del bambino e facendo apparire un cerchietto con un corno blu – Ora andiamo. Dobbiamo passare da Hagrid prima di andare a casa. Vuole farti gli auguri.
Il sole di quel pomeriggio di primavera gli accarezzò il volto mentre percorreva il parco del castello, Hope correva verso la capanna di Hagrid, sembrava una piccola fata che volteggiava su una nuvoletta arcobaleno.
Sorrise mentre Elijah gli pendeva la mano.
Hope fu la prima ad arrivare, Hagrid li aspettava vicino al recinto, salutò la piccola prendendola in braccio e sollevandola in aria.
Sentirono Hope ridere e poi lanciare un urletto così acuto che Thor si mise a guaire.
Si avvicinarono al recinto notando immediatamente cosa avesse fatto gridare così la bambina.
C’erano due unicorni nel recinto, una femmina adulta dal pelo argentato e un cucciolo dal manto dorato che beveva il latte dalla mamma.
- E’... é... é... - balbettò la bambina con gli occhi sgranati – é... é...
- E’ appena nato. - disse Hagrid con un enorme sorriso soddisfatto sul volto – Le mamme di unicorno preferiscono dare alla luce i piccoli lontani dal cuore della foresta. Perché le acromantule preferiscono mangiare i... - bloccò la frase come se si fosse reso conto di quello che aveva detto solo in un secondo momento - lascia perdere Hope, questo non ti interessa. La mamma e il suo cucciolo resteranno nei dintorni fino a quando il piccolo non cambierà colore del manto. Potrai venire a trovarlo tutte le volte che vuoi, potrai aiutarmi a prendermi cura di lei. E’ una femmina. Puoi anche darle un nome.
- Un nome?
- Certamente. Lo vuoi accarezzare?
Hope sgranò gli occhi ancora più, si voltò verso di loro.
Era gioia allo stato puro.
- Posso farlo?
- Solo se ascolti quello che dice Hagrid. E’ lui l’esperto di Creature Magiche.
La piccola annuì vigorosamente stortando il cerchietto sulla testa.
- Vieni anche tu piccolo? - domandò il mezzo gigante allungando la grande mano verso Elijah.
Elijah allungò timidamente una mano verso il guardiacaccia, la mole di Hagrid lo intimidiva, ma allungò coraggiosamente una piccola mano permettendo ad Hagrid di stringerla e condurlo nel recinto.
Hermione si affiancò a lui e appoggiò il capo sul suo braccio.
- Crescono in fretta. - mormorò – Troppo.
Intrecciò le loro dita e si portò la mano alle labbra.
- Grazie. - mormorò.
- Per cosa, Severus?
- Per questa vita. - le disse indicando i bambini che accarezzavano il mando del cucciolo di unicorno - Per tutto questo amore, Hermione. Senza di te e i bambini sarei solo un vecchio, acido mago vestito di nero.
- Sono io che ringrazio te, Severus. Ogni volta che ti vedo con i bambini, ogni giorno che mi sveglio accanto a te, ti amo sempre di più.
Gli regalò quel meraviglioso sorriso che lo faceva innamorare ogni volta, le accarezzò le fossette e si chinò a baciarla delicatamente.
- Mamma! Papà! - urlò Hope correndo verso di loro – Ho deciso di chiamarla Hoofy! Hagrid mi ha detto che posso venire a trovarla tutti i giorni!
Non aspettò neppure una loro risposta, tornò indietro dalla coppia di animali facendoli ridere.
Hermione attirò di nuovo a sua attenzione.
- E’ il momento di mantenere la promessa, papà. - lo prese in giro mostrandogli un cerchietto identico a quello dei suoi figli.
Il suo, però, aveva il corno verde.
Sollevò un sopracciglio prendendo in mano il cerchietto, Hermione ne indossò uno con il corno rosso.
Sollevò gli occhi al cielo e se lo sistemò sulla testa.
- Ecco. - fece Hermione con un sorriso, se possibile ancora più luminoso – Ora ti amo ancora di più vecchio, acido mago vestito di nero.
Le sorrise.
- Ti amo fastidiosa SoTutto.
Si chinò per baciarla di nuovo.

FINE
 
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