Il Calderone di Severus

Alaide - Infanzia, Tipologia: Song Fic - Genere: Drammatico - Altro Genere: Introspettivo Avvertimenti: Nessuno - Epoca: Malandrini - Pairing: Severus/Lily - Personaggi: Altro - Altri Personaggi: Nessuno

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view post Posted on 3/9/2017, 16:59
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Titolo: Infanzia

Autore/data: Alaide – febbraio 2014
Beta-reader: nessuno
Tipologia: Song-fic
Rating: per tutti
Genere: Drammatico, Introspettivo
Personaggi: Severus Piton
Pairing: Severus/Lily
Epoca: Malandrini
Avvertimenti: Missing Moment
Riassunto: Il tempo era passato pensante, come se volesse schiacciarlo. E forse lo aveva veramente schiacciato, facendolo a brandelli.

Nota: Storia scritta per il Gioco Creativo n.4 A ritmo di musica e partecipante al Gioco Creativo n. 14 Severus House Cup.

Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.

Parole: 1670, escluso il testo del Lied, su testo di Rilke, musicato, tra gli altri da Orthel e Schelb[1]


Infanzia



Il tempo e la lunga angoscia della scuola scorre,
Accompagnati dall’attesa, da cose assordate.
O solitudine, o pesante passaggio del tempo…
E poi fuori: le vie sono vivaci e rumoreggiano
E sulle piazze le fontane sgorgano
E nel giardino il mondo diviene vasto.
E tra tutto questo andare […],
Ben diverso dagli altri che vanno e vengono –
O tempi meravigliosi, o passaggio del tempo,
O solitudine.



Era l’ultimo giorno in cui sarebbe stato a Hogwarts.
L’ultimo giorno della sua infanzia, forse, anche se a Severus sembrava che fosse finita da tempo, da ben prima di quando si era soliti farla terminare.
Gli erano passati veloci, nonostante tutto.
Nonostante l’angoscia, nonostante quello che era accaduto.
Il tempo era passato pensante, come se volesse schiacciarlo. E forse lo aveva veramente schiacciato, facendolo a brandelli.
Gli anni di scuola erano trascorsi, accompagnati dall’attesa iniziale, che si era rapidamente trasformata in angoscia e rabbia.
L’angoscia di essere, ancora una volta, un essere estraneo, come un parassita nella casa di un ricco, come uno scarafaggio da calpestare e deridere.
L’attesa era stata bella, quando ancora sognava che a Hogwarts tutto avrebbe potuto essere diverso, ancora più quando avrebbe avuto al suo fianco un’amica.
Lily.
Ma era stata un’attesa assurda ed i tempi meravigliosi che aveva sognato erano scomparsi, stritolati dal tempo che passava inesorabile, per lasciar spazio alla solitudine più profonda.
Era una solitudine che lo circondava ovunque.
Una solitudine angosciosa e rimbombante.
La solitudine di chi, anche attraversando una piazza rumorosa ed indifferente, sarebbe stato diverso dalla moltitudine uniforme.
Il tempo era corso impietoso, calpestando la sua attesa, calpestando i tempi meravigliosi dell’attesa di qualcosa di nuovo e bello, calpestando per sempre ogni sua speranza.
Aveva lasciato dietro di sé fantasmi e speranze deluse.
Aveva fatto trionfare la solitudine, che si ergeva sopra di lui e lo circondava con ali oscure.
Ed il mondo, davanti a lui, si apriva vasto, enorme.
Ed era un mondo in cui non aveva un posto.
Eppure avrebbe voluto averlo un posto, avrebbe voluto poter ergersi sopra le sue angosce, potente e temuto.
Forse era quello ciò che l’attendeva nella sua vita da adulto.
In quel momento, però, gli sembrava, mentre non riusciva a dormire, durante quell’ultima notte a Hogwarts, nel suo dormitorio, di star dando per sempre addio alla sua infanzia, a quel poco di infanzia che era rimasta in lui, durante la sua triste adolescenza.

E in tutto questo vedere lontano:
Uomini e donne; uomini, uomini, donne
E bambini che sono differenti e multicolori;
E là una casa e da un momento all’altro un cane,
Paura e sicurezza si scambiano senza rumore.
O tristezza senza ragione, o sogno, o spavento,
O profondità senza fondo.



Quand’era piccolo aveva sognato spesso il suo futuro, aveva tentato di immaginare che volto avrebbe potuto avere la sua vita da adulto.
Aveva tentato di vedere lontano.
Ed aveva immaginato una moltitudine di uomini e donne.
Ed aveva immaginato dei bambini ben differenti da com’era stato lui. Aveva sognato bambini felici, immersi nella luce colorata dell’arcobaleno, bambini pacificati.
Ed aveva immaginato una casa, una bella casa, come quella di Lily.
La casa in cui avrebbe vissuto da adulto, una casa che avrebbe potuto rappresentare la normalità.
Una casa semplice con un bel giardino e, nel giardino, un cane, come in molte delle case che aveva visto nelle parti migliori della città.
Era una visione di pace, una visione alimentata dall’amicizia con Lily, una visione che si era acuita nelle settimane precedenti la partenza per Hogwarts.
Aveva pensato che allora avrebbe potuto lasciare da parte le sue paure e le sue insicurezze, nate in una famiglia priva d’affetto ed accresciute nella scuola Babbana che aveva frequentato.
Aveva creduto fermamente di poter acquisire sicurezza, di poter essere rispettato, di poter vivere in un mondo diverso, a cui sarebbe appartenuto, che avrebbe potuto chiamare casa.
Ma quei sogni si erano infranti, si disse Severus, rigirandosi appena nel letto, mentre dagli altri letti provenivano i respiri quieti dei suoi compagni che dormivano.
Quei sogni infantili non erano sopravvissuti nemmeno al viaggio sull’Espresso di Hogwarts. Erano sprofondati nella realtà amara, nella profondità senza fondo di ogni giorno che lentamente lo aveva condotto fino alla fine della scuola.
Il sogno si era infranto nell’angoscia e nella rabbia.
Nella profondità senza fondo della sua vita.

E per giocare: una palla e un anello e un cerchio
In un giardino che impallidisce dolcemente,
E alle volte sfiorare una persona alta,
Cieco e scoordinato dalla velocità del gioco,
Ma la sera, calmo, a piccoli passi sinistri,
Rientrare nella casa, preso con fermezza –
O Comprensione sfuggente sempre di più,
O paura, o fardello.



Ricordava ancora i suoi giochi d’infanzia, quei giochi solitari, con oggetti che aveva trovato in casa, appartenuti a chissà chi. Forse anche suo padre, quel padre estraneo e violento, aveva giocato con quel cerchio di legno. Forse era stata sua nonna a tenere in mano quella palla che aveva visto giorni migliori.
Erano gli unici giochi che aveva.
E di quelli si era sempre accontentato.
Li aveva mostrati a Lily, come se fossero stati dei tesori inestimabili e Lily aveva giocato con lui.
Si erano rincorsi una volta, lungo il fiume, e gli era parso che tutto fosse assolutamente normale, anche quando avevano urtato, senza volere, un uomo che camminava, senza una meta, tra gli alberi. Erano stati resi ciechi dalla corsa.
Disattenti dalla velocità del gioco.
Ma non era importato.
A lui era sembrato di poter finalmente assorbire un momento di normalità, quella normalità che gli sfuggiva e che gli sarebbe sempre sfuggita.
Ma allora non lo sapeva.
Allora poteva ancora permettersi di sognare, quando era insieme a Lily.
Rammentava una volta in cui aveva giocato nel giardino che circondava la casa di Lily. Non ricordava più il luogo: era unicamente un giardino dai contorni sfocati, come in un sogno o in un ricordo sbiadito.
Sapeva unicamente che era stata una bella giornata, fino a quando non era giunta sera.
Era tornato a casa allora, a piccoli passi.
E, per quanto fosse ancora un bambino, si era reso conto di quale abisso dividesse la sua vita da quella di Lily.
La città era mutata lentamente davanti ai suoi occhi. Le case ordinata avevano lasciato posto a palazzoni disposti in fila indiana, ognuno uguale a quello successivo, simili ad una successione ordinata di filari. I palazzoni si erano diradati per lasciar posto alle vecchie abitazioni operaie, costruite da tempo, addossate alle ciminiere delle fabbriche, con le loro pareti annerite, con la loro aria squallida.
Ed egli apparteneva a quello squallore.
Ed aveva sentito un lampo di comprensione.
Forse già allora, per un momento, aveva intuito come sarebbero andate a finire le cose, aveva compreso che non era mai stato – e non sarebbe mai stato – degno dell’amicizia di Lily.
Non aveva potuto immaginare, però, allora, che l’avrebbe distrutta con le sue stesse mani.
Forse aveva solo avuto un momento di sfuggente comprensione oppure era troppo spaventato per quello che lo avrebbe atteso a casa.
Non ricordava se fosse stato quel giorno, ma era certo che, una volta, subito dopo aver salutato Lily, era stato afferrato con fermezza da suo padre, non appena era entrato in casa.
Era stata una delle peggiori serate che riuscisse a ricordare della sua infanzia.
La sera in cui suo padre aveva perso il lavoro perché la fabbrica, la cui ciminiera aveva inquinato le loro vite per tanti decenni, aveva chiuso.
E da allora Tobias Piton aveva perso quel poco di umanità che gli era rimasta. Prima gliel’aveva sottratta la fabbrica, la delusione di non essere riuscito a costruirsi una vita migliore, poi, la perdita di lavoro, era equivalsa alla caduta di qualsiasi illusione.
E quell’amarezza era stata riversata sui soli capri espiatori che avesse a disposizione.
Sua moglie e suo figlio.
Eppure, allora, quando era un bambino, Severus era riuscito ancora a nutrire barlumi di speranza.
Nonostante la paura di perdere tutto.
Nonostante il fardello della sua vita familiare.
Aveva sperato accanto a Lily.
Aveva sperato e l’aveva persa.
Forse, si disse Severus, mentre cambiava ancora una volta posizione sul letto, non era tanto dissimile da suo padre, con le sue speranza crollate a terra in un mucchio di macerie.

E durante delle ore, sul bordo dello stagno grigio
Inginocchiarsi con una piccola barca a vela;
Dimenticarla perché delle altre vele, simili
E più belle passano intorno,
E dover pensare alla piccola figura pallida
Che sembra colare nello stagno –
O infanzia, o sfuggente metafora.
Verso dove, verso dove?



I ricordi della sua infanzia si rimescolavano indefiniti nella sua mente inquieta.
E tra quei ricordi, se ne formò uno più nitido, un ricordo che era stato sepolto da tempo.
Erano anni remoti, quando ancora, nella casa di Spinner’s End, si vivevano dei momenti di raggelata serenità. Forse i suoi genitori, in quei momenti, stavano unicamente fingendo che la loro fosse una famiglia come tutte le altre, forse i loro cuori erano ancora colmi di un barlume di speranza.
Non lo sapeva.
Era unicamente certo che quei momenti erano rari e che erano persi da tempo, quando aveva conosciuto Lily.
Quel giorno – credeva di aver avuto cinque, al massimo sei anni – era andato in uno dei parchi cittadini, un bel parco, fatto costruire da un ricco mecenate nel XIX secolo. C’era una fontana rotonda nel centro, una fontana vasta, che ai suoi occhi di bambino, era parsa simile ad un lago stagnante dalle acque grigie come il cielo di quella giornata di primavera.
Suo padre gli aveva procurato da chissà dove una barchetta a vela, un gioco che aveva visto giorni migliori, forse un rimasuglio della sua infanzia conservato da qualche parte in soffitta.
Era stato orgoglioso, quando, con la sua barchetta sotto braccio, era arrivato vicino alla grande pozza d’acqua, con lo spruzzo al centro e altri bambini intorno.
Aveva messo la sua barca nell’acqua e l’aveva guidata cauto con un bastone, ma ben presto il suo gioco non gli era più sembrato così bello ed entusiasmante.
Accanto alla sua vecchia barca, avevano veleggiato altre vele simili, ma più belle, senza rattoppi.
Aveva lasciato andare il bastone ed il gioco era andato lentamente alla deriva, dimenticato, mentre, forse per la prima volta, si era reso conto di quanta distanza vi fosse fra lui ed il resto del mondo.
Forse in quell’immagine, si disse Severus, mettendosi a sedere, era racchiusa la sua vita.
Era una sfuggente metafora del suo futuro e del suo presente.
Ma non sapeva dove lo avrebbe condotto quella metafora che pareva essere simile ad una pallida figura che colava a picco nello specchio d’acqua stagnante del parco.
Verso dove lo aveva spinto la sua infanzia?
Non riusciva ancora a darsi una risposta, per quanto sapesse, in cuor suo, che avrebbe preso delle decisioni, che avrebbe compiuto delle scelte, giuste o sbagliate che fossero.
Una l’avrebbe compiuta a breve.
Una scelta che sapeva sbagliata, ma che gli avrebbe dato – o almeno così sperava – la possibilità di non essere più lo scarafaggio da schiacciare sotto i piedi, di non essere più l’unico con le vele rattoppate, di poter ottenere il potere che mai aveva avuto.
Era verso quella scelta che l’aveva condotto la metafora sfuggente della sua infanzia.
O l’avrebbe condotto altrove?
Non lo sapeva.
L’unica cosa di cui era veramente certo era che il tempo era passato pesante nella devastazione della sua solitudine.


[1] Il testo è stato utilizzato nella sua quasi totale interezza (sono state escluse unicamente tre parole, che ho segnato in grassetto nel testo)

Da rinnt der Schule lange Angst und Zeit

mit Warten hin, mit lauter dumpfen Dingen.
O Einsamkeit, o schweres Zeitverbringen...
Und dann hinaus: die Straßen sprühn und klingen
und auf den Plätzen die Fontänen springen
und in den Gärten wird die Welt so weit -.
Und durch das alles gehn im kleinen Kleid,
ganz anders als die andern gehn und gingen -:
O wunderliche Zeit, o Zeitverbringen,
o Einsamkeit.

Und in das alles fern hinauszuschauen:
Männer und Frauen; Männer, Männer, Frauen
und Kinder, welche anders sind und bunt;
und da ein Haus und dann und wann ein Hund

und Schrecken lautlos wechselnd mit Vertrauen -:
O Trauer ohne Sinn, o Traum, o Grauen,
o Tiefe ohne Grund.

Und so zu spielen: Ball und Ring und Reifen

in einem Garten, welcher sanft verblasst,
und manchmal die Erwachsenen zu streifen,
blind und verwildert in des Haschens Hast,
aber am Abend still, mit kleinen steifen
Schritten nachhaus zu gehn, fest angefasst -:
O immer mehr entweichendes Begreifen,
o Angst, o Last.

Und stundenlang am großen grauen Teiche

mit einem kleinen Segelschiff zu knien;
es zu vergessen, weil noch andre, gleiche
und schönere Segel durch die Ringe ziehn,
und denken müssen an das kleine bleiche
Gesicht, das sinkend aus dem Teiche schien -:
O Kindheit, o entgleitende Vergleiche.
Wohin? Wohin?


Traduzione

Il tempo e la lunga angoscia della scuola scorre,
Accompagnati dall’attesa, da cose assordate.
O solitudine, o pesante passaggio del tempo…

E poi fuori: le vie sono vivaci e rumoreggiano
E sulle piazze le fontane sgorgano
E nel giardino il mondo diviene vasto.
E tra tutto questo andare in abito corto,
Ben diverso dagli altri che vanno e vengono –
O tempi meravigliosi, o passaggio del tempo,
O solitudine.

E in tutto questo vedere lontano:
Uomini e donne; uomini, uomini, donne
E bambini che sono differenti e multicolori;
E là una casa e da un momento all’altro un cane,
Paura e sicurezza si scambiano senza rumore.

O tristezza senza ragione, o sogno, o spavento,
O profondità senza fondo.

E per giocare: una palla e un anello e un cerchio
In un giardino che impallidisce dolcemente,
E alle volte sfiorare una persona alta,
Cieco e scoordinato dalla velocità del gioco,
Ma la sera, calmo, a piccoli passi sinistri,
Rientrare nella casa, preso con fermezza –
O Comprensione sfuggente sempre di più,
O paura, o fardello.

E durante delle ore, sul bordo dello stagno grigio
Inginocchiarsi con una piccola barca a vela;
Dimenticarla perché delle altre vele, simili
E più belle passano intorno,
E dover pensare alla piccola figura pallida
Che sembra colare nello stagno –
O infanzia, o sfuggente metafora.
Verso dove, verso dove?

 
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