Il Calderone di Severus

Alaide - Elegia, Tipologia: Song Fic - Genere: Drammatico - Altro Genere: Introspettivo Avvertimenti: Nessuno - Epoca: Post Malandrini - Pairing: Severus/Lily - Personaggi: Altro - Altri Personaggi: Nessuno

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view post Posted on 1/9/2017, 15:48
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Titolo: Elegia

Autore/data: Alaide – gennaio - febbraio 2014
Beta-reader: nessuno
Tipologia: Song-fic
Rating: per tutti
Genere: Drammatico, Introspettivo
Personaggi: Severus Piton
Pairing: Severus/Lily
Epoca: Post Malandrini
Avvertimenti: Missing Moments
Riassunto: I suoi pensieri continuavano a correre nella sua mente, senza tregua, senza mai finire.
Erano pensieri privi di pace, pensieri da cui affioravano decisioni, volti e ricordi.
Nota: Storia scritta per il Gioco Creativo n.4 A ritmo di musica e partecipante al Gioco Creativo n. 14 Severus House Cup.
La poesia è tratta da un ciclo di Lieder, su testo di Arseny Arkad’yevic Golenishchev-Kutuzov, musicati da Modest Mussorgskij, intitolato Belz solcna (Senza sole). Si tratta della quinta poesia del ciclo. La storia può essere, facoltativamente, considerata il seguito di “Essere stanco”.
Potete trovare a questo link l’intero ciclo:

Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
Parole: 1897, escluso il testo del Lied [1]




Elegia



Nella nebbia, la notte è addormentata. Una stella silenziosa
Baluginante, solitaria, attraverso il velo di nubi. [...]
Come le nuvole notturne i miei cangianti pensieri
Volano sopra di me, disturbati e foschi;



La nebbia copriva Spinner’s End quella notte d’estate e la notte stessa pareva addormentata. Da nessuna delle case della via usciva un solo lume, nemmeno da quella dei Piton.
Eppure il suo proprietario vegliava, incapace di trovare sonno. Stava in piedi nell’oscurità, di fronte a una finestra, senza nemmeno illuminare la stanza con un Lumos. Non ve n’era bisogno, quando conosceva quella casa in ogni suo angolo, perché aveva sempre dovuto trovare un luogo dove nascondersi, quand’era bambino e voleva sfuggire alle liti tra i suoi genitori o alla furia ubriaca di suo padre.
Il sonno, come sempre, gli sfuggiva.
Non passava notte, da che aveva abbracciato la consapevolezza delle sue colpe, senza che rimanesse a lungo in un penoso stato di veglia. Poi dormiva ed il sonno era agitato e difficoltoso.
Nella nebbia anche la notte pareva addormentata, priva com’era di stelle e di luna, ma Severus vegliava ed i pensieri turbinavano nella sua mente.
Osservò per qualche istante gli strati di nebbia fluttuare leggermente, spinti dalla mano invisibile del vento. E tra i veli della fitta foschia, comparve improvvisa una stella.
Era solitaria e a malapena visibile, ma esisteva.
Pareva quasi che anch’essa vegliasse silenziosa nel cuore di quella notte d’agosto del 1991.
Forse avevano dei punti in comune, lui e quella stella.
Non avevano posto tra i loro simili ed entrambi rimanevano in solitaria contemplazione di una notte avvolta nella nebbia.
Eppure in quella stella silenziosa e solitaria non v’era nulla di oscuro, ma baluginava luminosa tra le volute di fumo della nebbia.
Nella sua mente, invece, volavano pensieri di ogni tipo, pensieri che si rincorrevano disordinatamente, confusi e disordinati.
Balzavano da una parte all’altra della sua vita e del suo essere, senza alcuna logica.
Erano alle volte foschi e cupi, alle volte stranamente baluginanti di speranza, di una speranza che credeva da tempo perduta.

Ci sono, in essi, delle speranze, che mi erano una volta care
Che sono da lungo tempo perdute, da lungo tempo morte.
Ci sono rimpianti in essi… e lacrime.



Era presente, evanescente, una speranza che un tempo gli era stata cara. E Severus sapeva che quella speranza era perduta da lunga pezza.
Non sapeva nemmeno per quale motivo sorgesse improvvisa quella speranza nella sua mente.
Era logico che provasse la speranza che, quando fosse giunto il tempo, l’Oscuro Signore scomparisse definitivamente, a qualunque prezzo, anche al prezzo della sua morte.
Aveva trascorso, d’altronde, molte notti insonni nella consapevolezza dell’attesa del tempo in cui l’Oscuro sarebbe tornato. Sapeva che sarebbe accaduto e si era sentito spossato nell’attesa. E sapeva che allora egli avrebbe avuto ben poche speranze di sopravvivenza, ma non le voleva nemmeno.
Stava attendendo di poter tener fede alla sua promessa.
Stava attendendo di poter lottare contro chi, un tempo, aveva chiamato Padrone.
Stava attendendo di combattere e poi di morire.
Ma non era quella la speranza che vagava nella sua mente.
Da qualche parte remota del suo essere, era ricomparsa una speranza perduta da lungo tempo, una speranza che era morta quando aveva perso Lily, una speranza che era morta quando Lily l’aveva guardato con indifferenza.
Non aveva alcun senso nutrire quella speranza, perché era consapevole che quella speranza era impossibile da realizzare.
Forse era nata unicamente dalla consapevolezza che l’anno prossimo sarebbe arrivato a Hogwarts il figlio di Lily.
Il ragazzino che aveva giurato di proteggere.
Non riusciva nemmeno ad immaginare che tipo di carattere potesse avere. Forse sperava che fosse come la madre – e forse era da quest’idea che giungevano quelle assurde speranze che si sarebbero immediatamente infrante -, forse temeva che fosse simile a Potter.
Quello che sapeva era che avrebbe rivisto gli occhi di Lily, incastonati nel volto di chi, un tempo, l’aveva umiliato.
Ed in quegli occhi verdi avrebbe letto il rimpianto atroce delle sue scelte sbagliate, perché voleva ancora credere che, se egli non avesse sbagliato, se egli non avesse detto quella terribile parola all’indirizzo di Lily, non l’avrebbe persa. Voleva credere che, alla fine, lei avrebbe potuto finire con il ricambiare i suoi sentimenti.
Con l’amarlo.
E voleva credere che quel ragazzo, che aveva giurato di proteggere, avrebbe potuto essere suo figlio.
Erano solo sciocchi pensieri, lo sapeva. Pensieri che si erano nutriti, nei giorni della sua gioventù, da sciocche speranze, quelle speranze che erano riaffiorate nella sua mente, per pochi istanti, per essere sommersi dal rimpianto e dal rimorso.
Aveva reso orfano quel ragazzo, il figlio di Lily.
Aveva ucciso la donna che aveva infinitamente amato.
E che amava ancora.
E nulla poteva cambiare quel fatto.
Non il rimpianto.
Non tutte le lacrime che striavano la sua anima annerita dalle colpe.
E sapeva che incontrare il figlio di Lily sarebbe stata una pugnalata.
E sapeva che incontrare Harry Potter avrebbe equivalso a vedere immortalate davanti a sé le sue colpe e le sue speranze infrante a causa della sua stoltezza.
E sapeva che non avrebbe mai potuto riconoscere in quel ragazzino il figlio di Lily, perché sarebbe stato controproducente per la sua causa, perché sarebbe stato a tal punto doloroso da impedirgli di respirare.
Aveva pensato ad Harry Potter unicamente come al figlio di Lily, in quegli anni vissuti nell’attesa del ritorno dell’Oscuro Signore – ritorno che forse avrebbe coinciso con l’arrivo del ragazzino a Hogwarts –, ma d’ora in avanti avrebbe pensato a lui come al figlio di Potter.
Ed avrebbe visto in lui unicamente l’erede di chi l’aveva umiliato. Avrebbe volutamente ignorato qualsiasi tratto di Lily potesse essere presente nell’animo del ragazzino.
Poi ne avrebbe guardato gli occhi verdi e vi avrebbe letto l’odio ed il disprezzo.
Ed avrebbe trovato ciò che aveva cercato nello sguardo di Lily quel primo di settembre, quando era andato a Hogwarts per il suo sesto anno, quando vi aveva letto, invece, unicamente indifferenza.
Avrebbe voluto, nelle sue sciocche speranze, nate dal comparire di una stella solitaria in un cielo nebbioso, poter leggere fiducia negli occhi verdi del ragazzino.
Ma Harry Potter non poteva nutrire alcuna fiducia in un Mangiamorte, perché la sua futura lotta sarebbe stata vana, prima ancora di cominciare.
Ma Harry Potter non poteva nutrire alcuna fiducia in lui, perché allora avrebbe letto nei suoi occhi sentimenti ben più duraturi e radicati dell’amicizia che Lily gli aveva offerto. Perché aveva imparato che l’odio può essere più forte della fiducia.
Ma almeno, in quegli occhi verdi, non avrebbe letto indifferenza.
Ed allora avrebbe avuto il coraggio di lottare ed avrebbe tenuto fede alla sua promessa.
Avrebbe protetto il figlio di Potter, un ragazzino che avrebbe imparato a disprezzare e ad umiliare come suo padre aveva umiliato lui.
Avrebbe imparato, in quei pochi giorni che lo distanziavano dal primo di settembre del 1991, a pensare al ragazzo, come al figlio di Potter e non come al figlio di Lily.
Ed avrebbe, però, continuato a vedere nel ragazzo il rimpianto atroce di ciò che avrebbe potuto essere e non era stato, perché non avrebbe mai potuto essere, non importava quello che egli voleva credere.

I pensieri corrono senza fine,
Alle volte, trasformati nelle fattezze di un volto amato,
Mi chiamano, svegliando nella mia anima vecchi sogni,



I suoi pensieri continuavano a correre nella sua mente, senza tregua, senza mai finire.
Erano pensieri privi di pace, pensieri da cui affioravano decisioni, volti e ricordi.
Ed ogni tanto si presentava ai suoi occhi, tra le volute della nebbia, il volto di Lily, quel volto amato e mai dimenticato.
I suoi capelli rossi, i suoi occhi verdi.
Ed allora, nella sua mente si risvegliavano antichi sogni, sogni che sapeva non si sarebbero mai avverati, sogni morti e distrutti ben prima che Lily morisse.
Sogni che erano forse stati sempre privi di fondamento.
Erano pensieri brevi e fugaci, subito inghiottiti da altri pensieri vorticosi che si avviluppavano su se stessi, in un continuo vortice.

Alle volte, immersi nella nera oscurità, pieni di una silente minaccia,
Spaventano la mia mente con il pensiero della lotta futura,



Erano pensieri oscuri, alle volte.
Erano pensieri colmi del volto di Lily.
Erano pensieri colmi del volto evanescente del figlio di Potter.
Erano pensieri immersi nella più cupa oscurità, silenziosi e minacciosi e pervadevano la mente della certezza della lotta che lo attendeva.
Sapeva cosa sarebbe accaduto quando il Signore Oscuro sarebbe tornato. Sapeva cosa lo attendeva e quanto pericoloso e solitario sarebbe stato il suo ruolo.
Una spia era destinata alla solitudine e non importava se egli non avesse mai avuto amici.
Una spia era destinata a combattere in silenzio e a non ottenere la fiducia di nessuno. Unicamente Silente si sarebbe, forse, fidato completamente di lui, ma non poteva nutrirne la certezza assoluta. Non importava, forse, per vincere la guerra contro l’Oscuro. Ciò che era veramente importante era che il Preside gli desse i suoi ordini, per quanto avesse voluto che riuscisse a considerarlo simile ad un figlio, quanto lui lo considerava simile ad un padre.
Ma sapeva che una spia non aveva padre.
Era consapevole che non sarebbe stato altro che una pedina nelle mani del suo generale.
Ma quella consapevolezza non rendeva più tranquilla la sua mente.
E non importava quanto abile fosse come Occlumante, né quanto bravo fosse a mostrare una maschera al mondo. Dentro di sé avrebbe provato paura per la lotta futura.
Paura di fallire, paura di non riuscire a mantenere il suo giuramento.
Ma sapeva che doveva armare il proprio cuore di coraggio e di freddezza, se non voleva fallire, se non voleva che quelle paure diventassero vere, se voleva proteggere il figlio di Potter.

Ed io sento in lontananza il rumore dissonante della vita,
Risa di una folla senz’anima, il mormorio di faide traditrici,
L’insopprimibile sussurro della banalità della vita,
E l’oscuro suono della morte! ...



Quei pensieri che continuavano a rincorrersi nell’oscurità della notte, erano specchio della sua vita.
Una vita dissonante.
Ma forse la vita stessa, nella sua essenza più profonda, era una nenia dissonante, che non cullava lieve, ma che uccideva, al contrario, lo spirito.
Aveva attraversato tante volte la folla.
A Hogwarts, quando passava attraverso i suoi studenti.
A Diagon Alley quando si faceva strada nella via piena di Maghi e Streghe.
A Nocturne Alley quando vedeva l’umanità disgraziata che popolava quell’angolo oscuro del Mondo Magico.
Ed aveva sentito allora delle risate.
Non si era mai interrogato circa quelle risa. Eppure, in quel momento, mentre i suoi pensieri si erano spostati sulla vita, gli pareva che quelle fossero risate di una folla incolore, che si arrabattava nella banalità dissonante della vita.
Anch’egli faceva parte di quella folla informa, fatta di volti, costruita di solitudine, in attesa dell’oscuro suono che sarebbe giunto per tutti.
Il suono della morte.
Ed egli attendeva la morte e sapeva che l’avrebbe incontrata nella sua battaglia.
L’aveva desiderata tante volte ed aveva provato la stanchezza di vivere.
Ma era certo che la sua ora non fosse ancora giunta, ma era altresì certo che, un giorno, avrebbe udito l’oscuro suono della morte, così come lo avevano udito Lily e Potter, la notte in cui erano morti.
Era un suono presente tra le risate della folla informe, presente nelle guerre fratricide che avevano insanguinato il Mondo Magico – e che lo avrebbero insanguinato in futuro –, presente nella banalità della vita.
Presente ed incombente nella sua vita che, una volta cominciata la lotta, sarebbe stata più di altre in bilico.

Una stella sorge, come se fosse piena di timidezza,
Sta nascondendo il suo volto luccicante in una nebbia priva di gioia,
Come il mio futuro, muto e impenetrabile.



Lanciò uno sguardo all’oscurità di quella notte nebbiosa e notò che un’altra stella era sorta, appena visibile, quasi nascosta dal fitto strato di bruma. Era una stella luccicante, ma non mostrava il suo volto.
A Severus parve quasi che quel piccolo astro fosse un sinonimo del suo futuro.
Un futuro di cui possedeva poche certezze.
Un futuro che gli si presentava silenzioso, come silenzioso avrebbe dovuto essere lui, quando fosse giunto il momento della lotta.
Un futuro impenetrabile, attraverso al quale non riusciva a vedere nulla, se non la morte che sicuramente lo attendeva alla fine del suo cammino.
Un futuro avvolto nei fitti fumi di quella nebbia.
Ed egli, come quella stella baluginante, avrebbe affrontato il suo futuro, muto ed impenetrabile.



[1] Il testo del Lied è stato utilizzato per più del 75 % (versi utilizzati 19. 75 % = 15,75 versi). Le parti non utilizzate sono indicate in grassetto

V tumane dremlet noch'. Bezmolvnaja zvezda

Skvoz' dymku oblakov mercajet odinoko.
Zvenjat bubencami unylo i daleko

Konej pasushchikhsja stada.

Kak nochi oblaka, izmenchivyje dumy

Nesutsja nado mnoj, trevozhny i ugrjumy;
V nikh otbleski nadezhd, kogda-to dorogikh,

Davno poterjannykh, davno uzh ne zhivykh.

V nikh sozhalenija... i sljozy.
Nesutsja dumy te bez celi i konca,
To, prevratjas' v cherty ljubimogo lica,

Zovut, rozhdaja vnov' v dushe bylyje grjozy:

To, slivshis' v chernyj mrak, polny nemoj ugrozy
Grjadushchego bor'boj pugajut robkij um,

I slyshitsja vdali. Nestrojnoj zhizni shum,

Tolpy bezdushnoj smekh, vrazhdy kovarnyj ropot,
Zhitejskoj melochi nazaglushimyj shopot,

Unylyj smerti zvon! …
Predvestnica zvezda, kak budto polnaja styda,

Skryvajet svetlyj lik v tumane bezotradnom,

Kak budushchnost' moja, nemom i neprogljadnom
.

Traduzione


Nella nebbia, la notte è addormentata. Una stella silenziosa
Baluginante, solitaria, attraverso il velo di nubi.
Colmo di tristezza suonando le loro campane nella distanza,
Un branco di cavalli imbizzarriti.

Come le nuvole notturne i miei cangianti pensieri
Volano sopra di me, disturbati e foschi;
Ci sono, in essi, delle speranze, che mi erano una volta care
Che sono da lungo tempo perdute, da lungo tempo morte.
Ci sono rimpianti in essi… e lacrime.
I pensieri corrono senza fine,
Alle volte, trasformati nelle fattezze di un volto amato,
Mi chiamano, svegliando nella mia anima vecchi sogni,
Alle volte, immersi nella nera oscurità, pieni di una silente minaccia,
Spaventano la mia mente con il pensiero della lotta futura,
Ed io sento in lontananza il rumore dissonante della vita,
Risa di una folla senz’anima, il mormorio di faide traditrici,
L’insopprimibile sussurro della banalità della vita,
E l’oscuro suono della morte! ...
Una stella sorge, come se fosse piena di timidezza,
Sta nascondendo il suo volto luccicante in una nebbia priva di gioia,
Come il mio futuro, muto e impenetrabile.

 
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